Factum est di G. Testori 2 - Il Verbo si è fatto carne
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In una dinamica antitetica a quella annunciata nel vangelo di Giovanni dove «Verbum caro factum est» («il Verbo si fece carne»), nell’opera la carne del feto (cui viene impedito di farsi carne al di fuori del ventre materno) si fa di volta in volta parola, profezia, maledizione. Non appena concepito, il feto grida di esultante gratitudine:
Grazie te, Cristo re!
Parlo qui! Sento qui!
Cuore qui, carne qui,
batte qui, grida qui!
Vita Cristo vive qui!
Casa, carne,
ventre, te. […]
Grazie, Dio,
grazie, Luce,
grazie, Te.
Ora e sempre
Vive, parla,
sangue, canta,
carne, me.
La sua gratitudine è rivolta anche al padre e alla madre, cui si sente di appartenere:
son di Lui,
son di voi,
madre, padre,
sono io!
Sono Lui
e lei e te!
Siamo tre! […]
Grido lieto:
sono cuore,
sono vita,
forma sono,
sono feto!
Il padre, però, non riconosce un senso, una causa e un fine a quel grumo di cellule: «caso, bacio/questo è stato». Il feto allora reagisce rivolgendosi alla madre:
Madre,
mamma,
a te m’aggrappo![…]
Chi ti parla
era pur come son io!
Il feto
chiede di venire alla luce e s’incarna nella sua stessa parola senza corpo. Nel grembo balbetta, strascica le parole, fino a che la voce si fa più percettibile, articolata, chiedendo una salvezza per sé e una speranza per la madre e per il padre che lo vogliono rifiutare.
Nelle sue parole c’è un richiamo alla responsabilità del padre, quell’uomo che, anche se lo rifiuta, già è padre, perché il figlio è ormai concepito:
so, papà:
io sono peso,
peso vero;
son fatica,
son legame;
da portare
son legname;
son catena;
sono pena,
ma,
domani?
Tu la vita,
padre,
ami?
Forse un giorno
Mi vedrai
e dirai:
«lasciar lui?
Averlo mai?
Mio bambino,
vitellino,
mio gattino…».