Congedo parentale per portare il figlio in vacanza
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Domanda
Gent. mo Dott Incampo,
sono un Idr al quinto anno di incarico annuale senza ricostruzione di carriera, vorrei sapere se posso prendere alcuni giorni di congedo parentale senza retribuzione per portare mio figlio in vacanza durante la settimana bianca prevista nella sua scuola. Riguardo poi la ricostruzione posso quest'anno presentare domanda pur avendo il titolo di magistero in scienze religiose conseguito nel 2010? Mi chiedo se è necessario il nuovo titolo.
Grazie per l'attenzione.
Risposta
Il tema dei congedi parentali è stato disciplinato dal contratto economico sul secondo biennio 2000-2001 in quanto la legge numero 53 dell’8 marzo 2000 prima e il Testo Unico sulla maternità poi avevano dato più organicità e più garanzie a tale materia.
Infatti il comma 1 dell’articolo 11 di detto Contratto recita testualmente:
“Al personale dipendente si applicano le vigente disposizioni in materia di tutela della maternità contenute nella legge numero 1204/1971, come modificata ed integrata dalle leggi numero 903/1977 e numero 53/2000”
La formulazione di detto comma non fa più distinzione di destinatari di contratto a tempo determinato e destinatari a tempo indeterminato, ma estende i benefici “Al personale dipendente”.
Infatti dal comma 2 in poi si farà sempre riferimento “alla lavoratrice”.
Questo significa che l’insegnante di religione cattolica pur essendo destinataria di contratto a tempo determinato gode degli stessi benefici delle insegnanti con contratto a tempo indeterminato.
Di conseguenza le insegnanti di religione lavoratrici madri avranno diritto:
- Per l’astensione obbligatoria e/o astensione per complicanza della gestazione all’intera retribuzione e non più all’80%;
- Per l’astensione facoltativa, che è di durata massima di sei mesi nei primi tre anni di vita del bambino, all’intera retribuzione nei primi trenta giorni e al 30% per il restante periodo;
- Per la malattia del bambino all’intera retribuzione per un mese ogni anno fino al terzo anno di vita del bambino;
- Per la malattia del figlio alla retribuzione pari al 30% 5 giorni all’anno per il figlio da 3 a otto anni.
A conferma di quanto scritto, si ricorda che l’ARAN, in caso analogo, al quesito “Le norme a tutela delle lavoratrici madri si applicano anche ai dipendenti a tempo determinato? – quesito formulato dal comparto Regione ed Autonomie Locali - ha così risposto: “L’articolo 7 comma 10 del CCNL del 14.9.2000 prevede espressamente che al personale a tempo determinato si applica lo stesso trattamento giuridico ed economico del restante personale a tempo indeterminato salvo le eccezioni espressamente indicate nello stesso articolo. Pertanto le disposizioni a tutela delle lavoratrici madri si applicano anche al personale a tempo determinato, negli stessi modi previsti per il restante personale, anche per quanto riguarda la retribuzione. Precisiamo, inoltre, che il trattamento economico spettante in caso di astensione obbligatoria per maternità, a differenza per quanto previsto dall’astensione facoltativa o per le ipotesi di malattie, nei rapporti a tempo determinato continua ad essere corrisposto alla lavoratrice madre anche dopo la scadenza del termine del contratto”.
A scanso di equivoci faccio notare che la legge sulla maternità - cioè il Decreto Legislativo numero 151 del 20 marzo 2001 - vale sia per il dipendente regionale che per i pubblici dipendenti.
Vorrei inoltre far notare che il comma 2 dell’articolo 1 del succitato Decreto Legislativo recita testualmente “Sono fatte salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione” e che l’articolo 3 stabilisce “Divieto di discriminazione” come appunto dice il titolo.
Questo significa che una lavoratrice madre sia essa dipendente regionale, o delle autonomie locali, o pubblico dipendente, gode degli stessi benefici.
Relativamente alla seconda domanda la risposta è positiva.