L'ora di Religione

L’IRC non è abbandonato perché «troppo cattolico», ma forse proprio in ragione della assenza di tale cattolicità, che - non dimentichiamolo - significa uno sguardo capace di valorizzare tutto ciò che esiste, come ricordava san paolo: «Esaminate ogni cosa, trattenete ciò che vale» (1 Tess 5,21)
Autore:
Scaraffia, Lucetta
Fonte:
Tempi, 13 agosto 2005
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Ospitiamo questo intervento di Lucetta Scaraffia, sperando che il dibattito che in questi giorni si è aperto sulla questione dell'IRC aiuti tutti a valorizzare un insegnamento indispensabile per i giovani di oggi. Non ci nascondiamo le difficoltà e non ci nascondiamo l'uso spesso strumentale della polemica innestata. Ma sappiamo anche che il problema esiste, e che bisogna trovare soluzioni realistiche. In questo momento ci pare che la «soluzione italiana», che riconosce valore all'identità cattolica dell'IRC, vada percorsa e affermata con maggior consapevolezza e dignità culturale. Nell'intervento di Scaraffia ci pare importante la richiesta di una maggiore consapevolezza della dignità culturale di tale insegnamento.
Non è abbandonato perché «troppo cattolico», ma forse proprio in ragione della assenza di tale cattolicità, che – non dimentichiamolo – significa uno sguardo capace di valorizzare tutto ciò che esiste, come ricordava san paolo: «Esaminate ogni cosa, trattenete ciò che vale» (1 Tess 5,21)


Forse non è solo questione di numeri: la qualità della scuola e soprattutto dell'insegnamento che viene trasmesso nell'ora di religione è la causa della disaffezione degli studenti, riscontrabile anche fra quanti, spesso per decisione familiare, dichiarano a parole la volontà di "avvalersene". Chiunque abbia un po' di dimestichezza con la scuola italiana sa che – a parte alcune eccezioni – l'ora di religione costituisce un momento molto basso e svalutato della vita scolastica. A questo contribuisce certo il fatto che l'insegnamento è facoltativo, che la valutazione in questa materia non rientra nella media finale e quindi che la religione è la cenerentola delle materie scolastiche, anche dopo la ginnastica. Ma bisogna riconoscere che questa situazione di partenza sfavorevole, a cui si aggiunge naturalmente la sensazione diffusa che la religione appartenga a un passato in via di estinzione, suscita fra gli insegnanti – per oltre la metà donne – un senso di fallimento che quasi sempre si cerca di superare allettando gli studenti con temi di moda.
Di conseguenza, invece di parlare della loro materia, moltissimi insegnanti di religione impiegano la loro ora in discussioni su temi diversi (nelle scuole medie superiori, spesso il sesso o la droga), facendone in sostanza momenti, noiosissimi, di una terapia di gruppo alla buona. Quando addirittura non arrivano – sempre nel tentativo di amicarsi gli studenti – a schierarsi contro i professori più severi, oppure, come successe a mia figlia alle medie, a portarli in visita alla fabbrica della Coca Cola. In gran parte dei casi sono così gli stessi professori a negare di fatto importanza al loro insegnamento, preferendo trasformarlo in un'ora di "ascolto" dei problemi degli studenti. Si capisce quindi come i ragazzi più grandi fuggano da questo rozzo tentativo di allettarli con una sorta di apertura che non significa niente, e che preferiscano il nulla a un'ora che nega la sua stessa finalità, mentre sono convinta che molti studenti sarebbero interessati a capire qualcosa del cristianesimo.
Credo che abbiamo toccato il fondo: mentre l'ignoranza della tradizione cristiana dilaga sempre più fra i giovani – ripetute esperienze dirette mi hanno insegnato che gli studenti universitari non sanno a cosa mi riferisco se parlo di "figlio prodigo" o non capiscono il soggetto delle raffigurazioni della "fuga in Egitto", mentre magari i più diligenti, se hanno fatto il liceo classico, riconoscono a prima vista i temi mitologici – l'ora di religione si presenta spessissimo come un momento di ammiccamento e supposta apertura "ai problemi dei giovani".
Penso che una responsabilità non piccola, in questa situazione disastrosa, sia degli organismi ecclesiastici competenti in materia, a cui tra l'altro è affidata la preparazione dei docenti: evidentemente si è sottovalutata l'importanza di questa occasione, che oggi per la maggioranza dei ragazzi è divenuta l'unica occasione di capire qualcosa della tradizione religiosa a cui comunque appartengono. Un tempo, infatti, quando l'insegnamento della religione a scuola era obbligatorio e soprattutto era svolto in modo più serio, la trasmissione anche culturale del cristianesimo avveniva soprattutto attraverso la famiglia, la frequentazione della chiesa, la preparazione alla prima comunione e alla cresima. L'ora di religione a scuola era un di più, importantissima se i docenti erano bravi o eccezionali – e l'esempio storicamente più rilevante è quello di don Luigi Giussani al Berchet di Milano – o innocua negli altri casi, molto più numerosi.
Oggi invece l'ora di religione è molto più importante perché costituisce l'unica – e spesso anche l'ultima – occasione per capire cosa significhi essere cristiani, quale sia la religione che ha fondato la cultura in cui viviamo. La proposta di trasformarla in un'ora obbligatoria dove s'insegni la storia delle religioni, e non solo la religione cattolica, può essere una soluzione. A condizione però che non si cada in un relativismo storico che porti a sottovalutare l'importanza della tradizione religiosa ebraica e cristiana nella società occidentale: solo cioè se si dà uno spazio adeguato a questa tradizione religiosa e se si parte da questa per capire le altre tradizioni, cogliendole nelle loro differenze e non solo nelle somiglianze. Urge in ogni modo un rimedio, e molto rapido, per evitare che le nuove generazioni crescano come estranee alla propria cultura e impedire che la secolarizzazione diventi soltanto ignoranza.