Ricominciamo dallo stupore - 2 - La Chernobyl dello sguardo
Che cosa ha reso ottuso il nostro sguardo, così da non permetterci più un limpido stupore? Con l’aiuto dei film “La fabbrica di cioccolato” e “Le Cronache di Narnia” e con esempi tratti dalla quotidianità dei ragazzi cerchiamo una risposta a questa domanda.- Autore:
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• La Chernobyl dello sguardo è iniziata quando abbiamo cominciato a considerare la realtà come una nemica, un laccio stringente e soffocante, un ostacolo alla soddisfazione dei nostri piccoli e grandi egoismi, ai nostri compiaciuti narcisismi, quando abbiamo sostituito l’oblazione con il possesso, quando ci siano distratti di fronte al sorriso libero e spontaneo di un bambino e non abbiamo più deterso le lacrime di chi soffriva accanto a noi; quando, andando per il mondo, ci si è preoccupati più di “consumare” il reale, che di farsi sorprendere ammirati dalle mille sfaccettature della sua drammaticità e della sua positività.
Tra i cinque bambini convocati nella fabbrica del film “La fabbrica di cioccolato” di Tim Burton, solo Charlie è capace di spalancare gli occhi, di aprire lo sguardo pieno di meraviglia. Gli altri quattro appartengono alla peggiore specie d’infanzia scippata dall’effimero moderno o da genitori privi di un’autentica paternità/maternità: c’è un goloso, un’ambiziosa, uno scettico e una capricciosa e ciascuno finirà risucchiato nei vortici della fabbrica proprio a causa della propria egoistica stupidità.
• Il nostro “io” si è smarrito dietro false chimere che promettevano immediate gioie e surrogati di bellezza, ha seguito pifferai magici che ci hanno incantato ed ingannato con fittizie e parziali risposte al nostro desiderio d’infinito con paradisi finiti, i quali, alla fine, ci lasciavano più soli ed insoddisfatti.
Il nostro “io” si è perso quando ha iniziato a dividersi dentro di sé (una maschera per ogni circostanza, un ruolo per ciascun impegno della giornata); si è perso nel momento in cui ha sovrapposto alla propria umanità una serie d’immagini per proteggersi dal reale, anziché affrontare tutto con impeto, desiderio e passione.
Nel film “Le Cronache di Narnia – Il Leone, la strega, l’armadio” di Andrew Adamson, lo stupore dello sguardo si è perso quando Edmund, uno dei bambini, si è lasciato incantare dalle lusinghe della Regina delle Nevi, preferendo il gelo di un paese pieno di ghiaccio e di false promesse. Dalla meraviglia degli occhi luminosi di Lucy, dal suo sguardo stupito, inizierà la riscossa e la liberazione del popolo abitante questo luogo fantastico.
• Il nostro “io” non guarda e non si stupisce più perché si fa catturare dal sogno fantastico di essere qualcun altro rispetto a quello che è, perché questo “io” non si vuole bene e non ama più il reale che ha intorno a sé. Il nostro sguardo inizia così ad essere viziato dal dubbio, è scettico sul fatto che sia possibile riconoscere la bellezza che ci viene costantemente donata. Quindi si analizza il reale, lo si smonta pezzo per pezzo, per vedere cosa ci sia dietro, con la solita tentazione prometeica di catturarne il Mistero e farLo proprio. (Sappiamo tutti come siano finiti Prometeo, Icaro, la torre di Babele, l’Ulisse dantesco…)
• Adolescenti che cercano di catturare l’istante del reale fotografandolo con il cellulare; altri che, in modo ossessivo e narcisistico, imprimono l’immagine di sé sul videofonino, quasi a cercare una conferma della propria esistenza, di un posto nel mondo, di un’appartenenza che non passa più attraverso la scoperta faticosa e drammatica del “tu” che si ha di fronte a sé o attraverso lo svelamento del proprio “io” nei confronti del prossimo. La scoperta della propria identità e il sentirsi parte di qualcosa non avvengono più tramite l’incontro con l’altro, ma attraverso quello che l’altro fa vedere di sé: “Appaio, quindi sono”.
• L’immagine e il suo culto sempre più diffuso si sostituiscono al volto; l’apparenza si sostituisce alla carne, al cuore, alla ragione, al bene e al male di cui è impastato il nostro io, mistura d’umano e di divino. Si può diventare amici, comunicando per e-mail, aprendo siti su internet, dove la verità e l’umanità della persona resta implicita, nascosta. Allora si costruisce una realtà virtuale come quella del gioco o situazioni di ruolo in cui l’alienus (l’altro da sé) agisce, soffre, gioisce, in modo del tutto fittizio e il proprio “io” rimane celato. La moda di vivere mondi paralleli on-line è sempre più diffusa: una connessione internet a banda larga ed una carta credito permettono di inserirsi in Second Life, mondo creato dai suoi abitanti, che provengono da paesi diversi. La compagnia che distribuisce il software dà agli abitanti una sorta di cassetta per gli attrezzi dove trovare materiale per la costruzione di locali notturni, bar, auto, negozi e, in un mondo così virtuale costruito a proprio piacimento, non può mancare anche un cybersex.