L’ora di lezione: un’epifania del cuore 1 – In classe entra una cipolla

"In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde, indifferenze... guardateli, ecco che arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nello zaino. La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla…" (D. Pennac)
Autore:
Mocchetti, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it
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“…i nostri studenti non vengono mai da soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde, indifferenze... guardateli, ecco che arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nello zaino. La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla… basta solo uno sguardo, una frase benevola, la parola di un adulto, fiduciosa, chiara, equilibrata, per dissolvere quei magoni, alleviare quegli animi, collocarli in un presente rigorosamente indicativo… il beneficio naturalmente sarà provvisorio, la cipolla si ricomporrà all’uscita e forse domani bisognerà ricominciare daccapo. Ma insegnare è proprio questo: ricominciare sempre. Se non riusciamo a collocare i nostri ragazzi nell’indicativo presente della lezione, se il nostro sapere ed il piacere di servirsene non attecchiscono in quei ragazzini e in quelle ragazzine, nel senso botanico del termine, la loro esistenza vacillerà sopra vuoti infiniti. Certo non saremo gli unici a scavare cunicoli o a non riuscire a colmarli, ma quelle donne e quegli uomini avranno comunque passato uno o più anni della loro infanzia, della loro adolescenza seduti di fronte a noi. E non è poco un anno o tre anni di scuola: è l’eternità in un barattolo...” (Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli).

1) L’ora di lezione è un’epifania del “cuore”, un’occasione in cui è possibile che si manifesti, tramite l’incontro tra il maestro ed il discepolo, attraverso la materia che viene insegnata, la tensione a rispondere alle rispettive esigenze costitutive (il bello, il bene, il giusto, il vero) dell’ io. Insomma il senso religioso.

2) Infatti se l’educatore “…è colui che è impegnato con la propria vita. Non con alcuni elementi della propria vita, come la professione, la famiglia o la politica, ma è alla ricerca in prima persona della possibilità di soluzione delle sue umane esigenze…” (L. Giussani), allora il docente va nella classe come se essa fosse “un’agorà”, cioè piazza aperta alla ragione ed al cuore, dove incontrare tutti i giorni dei discepoli, comportandosi come Socrate che, umilmente ma decisamente fa della lezione un dibattito aperto, una vera e propria “conversatio” cioè “un dirigersi insieme verso una meta”; oppure semplicemente fa una “lectio”, cioè un’esposizione semplice, ma realistica di quello che sa ai discepoli che non sanno; affinché egli, il maestro, possa diventare sempre più stesso, possa vivere sempre con più passione il reale e affinare un percorso di conoscenza che introduca i ragazzi al reale. Ma il maestro, nell’attimo in cui varca la classe porta dentro lo stesso desiderio (de – sidus, ragionare intorno alle stelle) dell’alunno. Quale desiderio? Che in quell’ora di lezione, insegnando, accada una comunicazione di sé, della propria umanità allo scopo di “risvegliare” nell’alunno il medesimo desiderio. Insomma maestro e discepolo lavorano lealmente, faticosamente per cercare insieme, attraverso lo studio della disciplina, una risposta al bisogno di bellezza, di verità, di bene e di giusto che si trova in ciascuno di loro.