“Un imprevisto / è la sola speranza”
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Avevo lasciato i “miei” studenti, a giugno, con pochi compiti per le vacanze, ma un invito. Fate scorta di bellezza, avevo detto, salutandoli. Come si fa con la legna, in montagna, perché illumini e scaldi le lunghe giornate d’inverno. Accettate l’evenienza che ci si possa anche (e ancora) stupire! Dentro le righe di un romanzo, o, svolgendo i compiti assegnati dai docenti, nella pagina che racconta un episodio della storia; o nell’istante, carico d’ebbrezza, in cui si arriva al risultato di un problema o di un’equazione, dopo essersi scervellati per ore… Soprattutto, cercate lo stupore “dietro l’angolo” e dunque tenete gli occhi bene aperti, sempre. Perché le vacanze, intese come “tempo vuoto da” (impegni, lavoro…) siano occasione per riempire quel “vuoto” di pienezza. E vi facciano tornare a scuola, a settembre, più “ricchi”: con incontri, letture, esperienze - e, soprattutto, VITA - da raccontare.
Li avevo lasciati così, e avevo regalato loro questa poesia, splendida, di Montale, affinché fosse compagna di cammino, e pungolo, e… sfida. Prima del viaggio
Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano
le guide Hachette e quelle dei musei,
si scambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi;
prima del viaggio si informa
qualche amico o parente,si controllano
valigie e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dà un’occhiata al testamento, pura
scaramanzia perché i disastri aerei
in percentuale sono nulla;
prima
del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto è OK e tutto
è per il meglio e inutile.
E ora che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
che è una stoltezza dirselo.
(Eugenio Montale, Satura)
Già. “Un imprevisto / è la sola speranza”, scrive Montale. Ma non “è una stoltezza dirselo”, perché accade. E’ accaduto.
Oggi, Antonella, che tra pochi giorni inizierà la quarta Liceo linguistico, mi ha inviato questa e-mail. Un campeggio, l’incontro, im-previsto, con J. e i suoi amici, una vita che cambia e... provvista di bellezza per sé e per tutti coloro che vorranno ascoltare la sua storia.
“Salve, prof.! Quest’estate l’ho pensata tanto! Ogni volta che vivevo un’esperienza, che mi succedeva qualcosa (come quel che sto per scriverle, ad esempio), pensavo alle sue lezioni in classe, alle nostre discussioni, a ciò che hanno regalato alla mia vita... GRAZIE!
Volevo raccontarle una cosa strana ma bella che ho provato il primo giorno in campeggio, perché sono certa che se la racconto a lei mi capirà.
Il primo giorno è stata “dura” perché non conoscevo nessun volontario (a parte un ragazzo della mia età) e nessuno dei ragazzi disabili, e se devo essere sincera, ad esempio mi ha fatto un po’ di impressione il modo in cui mangiavano… Non avevo mai conosciuto una realtà “così”, e trovarmi di colpo con venti ragazzi che hanno problemi abbastanza gravi e che non sono autosufficienti, non nego che mi ha scosso un bel po’. Li guardavo e mi veniva da piangere, perché vedevo che volevano magari colorare, o cercavano di mangiare da soli e non ci riuscivano… Insomma: le sensazioni che ho provato all’inizio sono state davvero forti, dirompenti, tanto che il primo giorno, sentendomi così scossa, ero impacciata, insicura (e si vedeva benissimo…).
Poi, però, quando sono arrivata in colonia, ho conosciuto J. Lei è in sedia a rotelle perché sua mamma quando era incinta è caduta dalle scale e d’urgenza hanno dovuto far venire alla luce sua figlia, che, non essendo nata a termine, non aveva ancora i polmoni ben formati. Non essendo bene ossigenate (così mi hanno detto) alcune cellule del suo cervello sono morte e così J. ha un ritardo mentale. In seguito si è fratturata delle vertebre e la sua vita, ora, è in sedia a rotelle, anche se è una ragazza abbastanza autosufficiente.
Quando l’ho vista e ho iniziato a parlarle, ho pensato tra me e me (ma so che, in verità, stavo parlando anche con Lui…): ”Spero di essere in camera con lei”. Non so perché ho pensato questo: non è che non mi stessero simpatici gli altri ragazzi, anche perché, comunque, alla fine del campeggio mi sono affezionata a tutti, però in quel momento il desiderio del mio cuore era di stare con lei, di conoscerla meglio. Volevo diventare sua amica.
Nel momento in cui hanno assegnato le camere io sono proprio capitata in camera con lei, ed è come se Dio mi avesse ascoltata, cioè io mi sono proprio sentita aiutata… Come se ci fosse Qualcuno presente, vicino a me in quel momento, che mi diceva: “Non aver paura! Riuscirai a dare e a ricevere tanto! Hai solo bisogno di una mano, in questo momento… Ecco la mano che aspetti! Sono qui!”.
Grazie a quella “mano”, la Sua, ho imparato tanto, in questo campeggio: sia i piccoli gesti di servizio nei confronti dei ragazzi, sia quanto sono importanti le cose che mi hanno fatto “tremare l’anima”, che mi hanno fatto diventare le guance tutte rosse per l’emozione, che mi hanno commosso fino a farmi scendere le lacrime… Sono emozioni troppo grandi, difficili da descrivere a parole… Sono emozioni belle da vivere, queste: non da raccontare!
Da quest’esperienza ho imparato che è importante guardare dentro il nostro cuore e chiederci cosa desideriamo veramente; trovare (o ri-trovare) se stessi e il proprio posto all’interno di questo caos che è il mondo.
E’ importante capire che la vita è bella: ogni vita è bella! E che ogni vita è degna di essere vissuta!”.