Steve Jobs: Quello che cerco l’ho nel cuore, come te
“…Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno / in cui nulla accadrà…”.(Cesare Pavese, Lo steddazzu)
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Dovessi fare, oggi, un esempio ai miei studenti per aiutarli a capire cosa intendesse Cesare Pavese titolando il suo Diario “Il mestiere di vivere”, credo che racconterei la storia di Steve Jobs. In realtà penso la conoscano tutti, la sua storia, non foss’altro per il fatto che in questo periodo – in particolare da quando, a fine agosto, per l’aggravarsi delle condizioni di salute, ha rassegnato le dimissioni da amministratore delegato della Apple – ne hanno parlato, e dettagliatamente, tutti i mass media.
Nonostante questo – insisto – sceglierei lui. E non trascinata dall’onda emotiva dovuta alla notizia della sua morte. Non perché nel 2007 è stato considerato il primo tra i venticinque uomini d’affari più potenti. Neanche per il fatto che nel 2010 è stato definito dal Financial Time “uomo dell’anno”.
Parlerei di lui, perché i suoi 56 anni raccontano cosa significa, letteralmente, “imparare a vivere”, e cioè accogliere gli eventi con la fiducia, sempre, “che tutto sarebbe andato bene”. Perché se la vita non è speranza autentica, non è nulla. Perché – è ancora Pavese a ricordarcelo, nella poesia “Lo steddazzu” – “non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno / in cui nulla accadrà”.
Ciò che in questo testo troverete virgolettato sono le parti in cui lascio parlare lui, perché, come sempre, non c’è voce più credibile di chi, mentre vive, si racconta.
“E’ cominciato tutto prima che nascessi”, aveva esordito Jobs a giugno del 2005 alla Stanford University, in occasione della consegna dei diplomi.
“E’ cominciato tutto prima che nascessi”. Tutto. Come una strada ancora invisibile e ricca di sorprese: di porte che si chiudono e delusioni che arrivano, e poi porte più grandi che si aprono, e orizzonti nuovi. “Tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato senza prezzo, dopo”.
E’ una considerazione che si può fare solo in seguito, ovvio. E infatti lo ammette: “Certamente all’epoca in cui ero al College era impossibile unire i puntini guardando al futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro”.
E allora provo ad immaginare lo sguardo di Steve Jobs che si spinge indietro nel tempo: una madre biologica che decide di darlo in adozione a gente colta; il “progetto” di questa madre che misteriosamente fallisce perché i nuovi genitori, laureati, all’ultimo si tirano indietro; e poi una telefonata. “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete, voi?”. Dall’altro capo, Paul e Clara Jobs, che rispondono: “Certamente”.
“Non prevista” la gravidanza della madre, “non prevista” l’adozione da parte di questi due genitori, in lista d’attesa e chiamati nel bel mezzo di una notte. “Non previsti” tanti e tanti passaggi, e cambiamenti repentini e salienti, e decisivi della sua vita.
Anche l’uscita dal College. Anche il licenziamento dalla Apple, che pur aveva fondato.
“Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa”, aveva detto Jobs ai giovani della Stanford University. “Non perdete la fede, però. Son convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti (…) Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete”.
Vorrei averlo in classe oggi, Steve Jobs. Vorrei che dicesse queste parole ai miei ragazzi e ai ragazzi della mia scuola. Ai miei figli. Agli adolescenti di tutte le scuole di tutto il mondo. Vorrei.
Perché è questo ciò che i ragazzi hanno bisogno di sentirsi dire dagli adulti: che la vita è un “mestiere” da imparare con pazienza; che per tutti ci sono situazioni “non previste”, momenti di fatica, ostacoli, periodi di buio, eppure mai può venir meno la speranza. Che è necessario cercare con tenacia quel che si ama e amare quel che si è trovato.
E’ questa la strada, l’unica strada che dà senso alla vita, innanzitutto, e poi allo studio e al lavoro: mezzi, entrambi, che hanno gli uomini per rendere l’esistenza più bella.
I puntini di questi suoi cinquantasei anni di vita, staccati, prima, ed ora disegno compiuto, ci svelano che solo quando il lavoro è vissuto con passione perde la cogenza materiale e diventa certezza che l’agire non si esaurirà con la conclusione della vita. Perché nel lavoro – anche il più umile – c’è una bellezza irresistibile.
Vorrei averlo in classe, oggi, Steve Jobs, anche perché, guardando negli occhi i ragazzi, parlasse della vita e della morte come, ad altri giovani, ha parlato nel 2005. Con le stesse parole. Con lo stesso sguardo. Con la credibilità che è privilegio solo di chi sa che il suo tempo, sulla terra, sta ormai per finire.
“Quando avevo diciassette anni”, aveva raccontato ai giovani nel 2005, “ho letto una citazione che recitava: ‘Se vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi c’avrai azzeccato’. Mi fece una gran impressione, e da quel momento, per i successivi trentatré anni, mi sono guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto: ‘Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?’. E ogni volta che la risposta era ‘No’ per troppi giorni consecutivi, sapevo di dover cambiare qualcosa. Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita. Perché quasi tutto - tutte le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e l’imbarazzo per il fallimento - sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il vostro cuore”.
Ecco. “Non c’è ragione perché non seguiamo il nostro cuore”. E i suoi desideri più veri.
Vorrei averlo in classe, oggi, Steve Jobs. E vorrei che fosse lui a leggere ai miei ragazzi queste parole di Pavese, tratte dai “Dialoghi con Leucò”. Credo che sarebbero anche le sue…
“Odisseo. Quello che cerco l’ho nel cuore, come te”.
A un anno dalla #morte. #Steve #Jobs: "Quello che cerco l'ho nel cuore, come te". culturacattolica.it/?id=515&id_n=2…
— Luisella Saro (@LuisellaSaro) Ottobre 5, 2012