Chiamati per nome
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C’è modo e modo. Anche di fare l’appello la prima ora del primo giorno di scuola. Scorrere velocemente la lista senza neanche alzare lo sguardo dal foglio, individuare gli assenti per compilare adeguatamente il registro come ricorda la circolare, a norma della legge vattelapesca, oppure… Oppure iniziare, sin dalla prima ora del primo giorno, a mettere le fondamenta per costruire un rapporto con “quello studente lì”, che ha un nome e un cognome. Un “io” che si rivolge ad un “tu”, unico ed irripetibile.
Ogni nome una sosta. Lo sguardo che si alza dal registro, occhi che si incrociano, e un dialogo che riprende, se docente e studente hanno intrapreso insieme il cammino uno, due, tre anni fa; oppure minuti preziosi per conoscersi e per dare il “la” ad una storia che è alle prime battute.
E siccome chi ben comincia è a metà dell’opera, è necessario che ci sia attenzione vera, da parte degli adulti nei confronti del giovane o della giovane che hanno di fronte. Un’attenzione che si percepisce, banalmente, già dal sentirsi…chiamati per nome.
L’ho sperimentato su di me.
Sarà che il mio cognome può essere confuso con il nome proprio di un maschio, fatto sta che, fierissima della femminilità che ho ricevuto in dono, confesso che ho sempre detestato essere chiamata come fossi un maschio. Sarà per questo, forse, che imparo da subito il nome proprio dei miei studenti e mai i cognomi. Non so.
So però quanto mi dava fastidio quando a scuola, anche dopo un po’ che l’anno scolastico era iniziato, qualche professore mi diceva: “Ehi, tu…quella del secondo banco…sì, sto chiamando proprio te…”, oppure: “Ehi, tu…quella con le trecce e gli occhiali…”.
Non li sopportavo proprio, quei prof. lì, e ora sono gli studenti a raccontarmi quanto li infastidisce e li mortifica accorgersi, dopo settimane, che il loro insegnante ancora non li “distingue”, o li confonde con qualcun altro, perché non ha imparato il loro nome.
Sentirmi chiamato per nome significa che chi ho di fronte a me non si rivolge, indistintamente, “alla classe X”, o ad una massa informe, ma sa di avere a che fare con un “tu” dalle peculiarità diversissime ed uniche.
Significa (me lo dice il cuore!) che si prenderà cura di me, proprio di me: della mia vita, delle mie domande, della mia formazione, della mia educazione, del mio destino…
Significa che si è impegnato per capire cosa mi distingue da chi ho accanto.
Significa che mi riconoscerebbe tra cento.
Significa che mi posso fidare di lui, perché per lui sono “speciale”, e non “uno dei tanti”.
Mentre scrivo, penso a tutte le volte che ho visto gemellini di amici che, vestiti identici, a me parevano gocce d’acqua, mentre per i loro genitori le differenze erano evidenti, lampanti. “Ma non vedi come sorride?”, mi facevano osservare… “Ma l’hai vista quella smorfietta? La fa solo lui!”. Ogni volta rimanevo male, e mi scusavo, ma era bello accorgersi che è solo quando vuoi bene a qualcuno, e tanto, che riesci a cogliere i dettagli…
Mentre scrivo, mi torna in mente anche un bel passaggio del racconto Le Petit Prince dello scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry. Lo trascrivo, perché il primo giorno di scuola, nell’incontro tra insegnante e studente, inizia, proprio come nel testo, una straordinaria, affascinante, pazientissima opera di…”addomesticamento”, destinata, più spesso di quanto non si creda, ad unire due persone per la vita.
“Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo e io sarò per te unica al mondo. (…)
La mia vita è monotona. E io mi annoio perciò.
Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai i capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te...”.
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore... addomesticami”, disse.
“Volentieri”, rispose il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici e da conoscere molte cose.”
“Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti amici, gli uomini non hanno più amici. Se vuoi un amico, addomesticami!”
“Che bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la cosa dell’occhio e tu non dirai nulla. le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino...”.
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe. “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti.”
“Che cos’è un rito?” chiese il piccolo principe.
“Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “E’ quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora diversa dalle altre ore.”
C’è modo e modo, dunque, anche di fare l’appello la prima ora del primo giorno di scuola. Perché se è vero che “il gruppo” protegge e dà coraggio, ciò che fa la differenza, da subito, in una classe, è sentirsi… “chiamati per nome”.
N.B. Per onestà confesso che questo articolo non è del tutto “farina del mio sacco”. Ho un suggeritore straordinario. No, non è l’agenda elettronica, l’i-Phone, l’i-Pad o qualche altra corbelleria elettronica. E’… il calendario.
Oggi, 12 settembre, la Chiesa festeggia… un nome. Il Santissimo Nome di Maria.
Mentre pedalavo verso scuola, mi chiedevo come avrei potuto iniziare “bene” quest’anno scolastico. Pensando al calendario, mi è bastato un secondo ed ho avuto la risposta.