Amore, dolore, cuore
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Ho imparato a prendere appunti, quando i ragazzi, all’esame di maturità, espongono la loro “tesina”. Prendo appunti perché spesso sono io, in questa occasione, ad imparare da loro, e così mi segno titoli di libri che hanno letto, o frasi di autori che citano. Il più delle volte, le cose che mi segno sono quelle da cui prenderò spunto per il colloquio che sempre, per me, è provocatoriamente la verifica se ciò che gli allievi hanno approfondito è sterile teoria (pagine riciclate da amici o copia-incolla da internet, per capirci…) o qualcosa di pertinente con la loro vita.
Un esempio.
Una studentessa ha iniziato il suo approfondimento spiegando di essere stata incuriosita dai “poeti maledetti” e da alcuni autori del Decadentismo, soprattutto per la loro ricerca di stati di coscienza diversi provocati da alcool o droghe, per estraniarsi dalla realtà e nella speranza, così, di attingere al “Vero”.
Fatto il preambolo, cita Aldous Leonard Huxley, umanista, pacifista, vegetariano, autore di scritti sulle droghe psichedeliche, da molti considerato padre spirituale degli hippie: “La maggior parte degli uomini e delle donne conduce una vita, nella peggiore delle ipotesi così penosa, nella migliore così monotona, povera e limitata, che il desiderio di evadere, la smania di trascendere sé stessi, sia pure per qualche momento, è, ed è stato sempre, uno dei principali bisogni dell’anima”. Nelle slide successive spiega poi caratteristiche ed effetti dell’LSD e della mescalina così come vengono descritti da Huxley nei saggi “Le porte della percezione” e “Paradiso e inferno”, ed arriva alla teoria dell’autore, il quale sostiene che “c’è bisogno di una droga che conforti e aiuti la nostra dolorosa specie, senza che il danno sia maggiore del vantaggio immediato”.
Passa poi, in inglese, al poeta William Blake, sempre in riferimento a “the doors of perception” e al desiderio dell’essere umano di “esplorare mondi differenti, che siano ‘altri’ rispetto a quelli percepibili con i cinque sensi”.
L’allieva conclude affermando che, secondo lei, “l’uso di sostanze stupefacenti non è una reale alternativa al mondo percepibile con i cinque sensi, ma una falsa via di fuga, un’ulteriore illusione che alimenta la necessità di soddisfare l’animo umano”.
E’ questa la frase di cui ho preso nota, ed è da lì che parto; anzi, dalla vita: la sua.
“Scusa, Elisa”, le dico, “lascia perdere per un attimo gli autori che hai citato. Pensa a te: a ciò che desideri veramente”. “Perché”, le chiedo, “questa tua insistenza rispetto alla ‘fuga’; rispetto ad una alternativa al mondo in cui siamo? Non sarebbe più gratificante trovare il modo per vivere pienamente il presente: l’hic et nunc; per dargli senso? Cosa desidera, davvero, il tuo cuore?”.
“Che domande, prof.! Certo che vorrei vivere pienamente il presente”, mi risponde senza neanche pensarci un attimo, “però… Però mi guardo intorno e vedo i miei coetanei che cercano lo sballo: tutti i modi possibili, fino a rasentare il limite, per provare emozioni forti che anche solo per qualche ora permettano loro di fuggire il presente, e i suoi problemi, e la sua fatica. E vedo adulti scontenti, che vivono nostalgicamente di ricordi o irresponsabilmente e spesso ingenuamente proiettati nel futuro. E vedo specchietti per allodole che ci deludono sempre… E gente frustrata, e infelice. Anche la letteratura che abbiamo analizzato quest’anno è come una letteratura ‘della non-speranza’… Ungaretti, forse…”.
Troppo scontato chiederle Ungaretti. Guardo Elisa e mi dico che, se l’esame può essere un’occasione per lei, per la sua vita, è un altro il testo che fa al caso suo: che può aiutarla a confutare Huxley e l’idea che “c’è bisogno di una droga che conforti e aiuti la nostra dolorosa specie”. E così la fermo e la invito a presentare alla commissione la poesia Amai di Saba, poeta spesso bistrattato e banalizzato, anche in tanti libri di testo, perché scioccamente ritenuto “facile”.
La ricopio per i lettori, ma i “miei” allievi conoscono a memoria i versi più importanti delle poesie studiate in questi anni: i versi che, quando sfiorano il cuore, più non se ne staccano.
Elisa mi guarda, mi sorride e ne recita alcune parti: quelle che anche in classe ci avevano provocato di più.
Amai trite parole che non unoInterrompere il suo ragionamento su Ungaretti e dirottarla a Saba è stato come darle il “la”. Ormai è un treno in corsa. In corsa sul binario “giusto”.
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica, difficile del mondo
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
“Nella poetica di Saba”, spiega, rivolgendosi decisa alla commissione, “le parole chiave sono ‘amore’ e ‘dolore’. Sono due parole che rimano tra loro: in questa poesia e nella vita. Sua e di ciascuno. E’ come si facessero eco. E’ come fossero indissolubilmente legate tra loro. ‘Amore’ e ‘dolore’, dentro il ‘cuore’ di ogni essere umano. Penso al legame tra marito e moglie; tra genitori e figli…”. “E poi” - continua ricordando cosa avevamo scoperto, insieme, in classe - “in ‘am-ore’ e in ‘dol-ore’ sono racchiuse le… ‘ore’, tutte, della nostra esistenza. Saba le amò e sempre le ha amate: gioiose o faticose che fossero, e ci ha invitato ad accogliere e ad abbracciare la vita così com’è: nella sua quotidianità e nella sua straordinaria unicità. Perché è solo vivendo intensamente la vita che si può scorgere la verità che giace al fondo (…) che il dolore / riscopre amica”.
“Una sfida?”, domando. “Una sfida che non uno / osava”, mi risponde sicura.
“Amo te che mi ascolti” , dico ad Elisa, guardandola negli occhi e come rubando la voce al poeta triestino, che so che mi perdonerà. “Senti? Si sta rivolgendo anche a te. A te, a tutti i tuoi coetanei, a noi adulti. Perché non c’è bisogno dell’LSD o della mescalina; dello sballo o della fuga dal presente. A volte, per comprendere che è possibile vivere pienamente la vita, e che c’è una buona carta per tutti, basta leggere… Saba. O seguire le orme del ‘suo’ Ulisse”…
Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.