“No, preside, non ci siamo capiti”
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“No, preside, non ci siamo capiti. Non è questo il punto. Non è una questione di forma. E’ la sostanza che manca…”.
L’ANTEFATTO.
Da tre giorni è iniziato l’anno scolastico, ma solo oggi ho in orario la mia ex-prima, ora seconda liceo. La classe che avevo lasciato dopo gli scrutini (e le bocciature) di giugno era di 19 studenti.
Ieri un collega mi dice che in questa classe sono stati inseriti sette nuovi allievi. Sono la coordinatrice e non ne sapevo nulla.
IL FATTO.
Ore 7.50. Busso alla porta del dirigente. Lo saluto e cortesemente gli dico che son venuta a sapere solo ieri, e per caso, che in classe ci sono sette ragazzi nuovi.
Mi interrompe, anche un po’ bruscamente e come per mettere le mani avanti. Pensa, forse, che sia scocciata per il fatto di non essere stata informata, o perché non è stato convocato il Consiglio di classe e la decisione è caduta “dall’alto”… In realtà non so cosa pensa, perché non mi dà nemmeno modo di parlare. Crede, suppongo, sia lì a protestare perché già la classe era una classe “difficile”, o per il sovraffollamento, o per i troppi compiti da correggere. Immagina, forse, l’ennesima lamentazione che in questo periodo, a scuola, va tanto di moda, e così, senza farmi né cominciare, né finire, risponde a domande che ha in testa solo lui. “…E la legge prevede… E il numero massimo di studenti, secondo la normativa, quest’anno è cambiato… E se lei fosse stata qui a lavorare, ad agosto, come ci sono stato io, avrebbe saputo…” e via di seguito.
Lo guardo e attendo, paziente, che finisca di sfogare la sua stanchezza, la sua frustrazione, la sua rabbia. Anzi. E’ più esplicito ancora. Me lo dice in faccia che è incaz… e che non si può andare avanti così: tagli di qua, tagli di là, “e-non-posso-mica-fare-tutto-io”, e giù – lui – con i piagnistei.
Lascio che parli.
“No, preside, non ci siamo capiti. Non è questo il punto. Non è una questione di forma. E’ la sostanza che manca…”.
Vede, gli dico, nel secondo collegio docenti (già due dall’inizio dell’anno scolastico!) per un’ora abbiamo discusso dell’‘accoglienza’. La “commissione accoglienza” (?!?) ha elaborato un programma dettagliato su cosa si fa la prima ora del primo giorno, e poi il resto della mattinata, e poi il martedì. E l’incontro col preside, e la visita all’Istituto, e il giro della città, e i questionari da somministrare (?!?) ai ragazzi, che poi verranno elaborati per stilare i grafici (?!?) per conoscere (?!?) i nuovi allievi; e i cartelloni, e le attività di socializzazione…
Vede, preside – proseguo, mentre mi osserva perplesso perché proprio lo si vede che è lontano anni luce dall’immaginare dove andrò a parare – non è una questione di forma (…mannaggia, mi son scordato di avvisare la coordinatrice e chissà quella lì, col caratterino che si ritrova…) e nemmeno di numeri (…siamo o non siamo dentro la legge, se in classe c’è anche un’allieva con handicap…). E’ la sostanza che manca.
Non si ‘accoglie’ una volta per tutte i primi due giorni della prima settimana di scuola della prima superiore, seguendo pedissequamente e come robotini il calendario delle attività proposte, e poi buonanotte, fatta anche questa, finalmente si lavora. Se ‘accogliere’ deriva da ad-colligěre (raccogliere, farsi accanto, stringere a sé), si ‘accoglie’ in prima seconda terza quarta e quinta. Ogni giorno di ogni anno. Si ri-accolgono gli studenti “vecchi” e si accolgono gli studenti nuovi.
E si ‘accoglie’ in un incontro tra persone, mettendo in gioco la propria umanità, non proponendo un x numero di attività stabilite da una apposita commissione, o protocollando e chiudendo in un cassetto i grafici frutto dei questionari.
Vede, preside, i ragazzi non sono pedine (questo lo mettiamo lì perché in classe sono in pochi; quello lo mettiamo là perché l’aula è più grande…) e neanche manichini senza volto, senza storia e senza cuore.
No, preside, non ci siamo capiti.
Sono la loro coordinatrice di classe. Scusi se l’ho disturbata. Volevo solo sapere i loro nomi, il cammino fatto fin qui. E’ brutto se si sentono trasparenti o, peggio, degli “intrusi”, perché nessuno ci ha detto che esistono. Nasce un bambino, si appende il fiocco rosa o azzurro alla porta e si fa festa, perché c’è un nuovo arrivato.
Vede, preside, son qui alle 8.00 del mattino perché tra dieci minuti vedrò questi sette ragazzi per la prima volta. Vorrei solo ricevessero il benvenuto che si meritano…