Venuti al mondo. Storie di ordinaria adozione
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Nell’avvicinarsi del Natale propongo qualche considerazione sulla figura di san Giuseppe, unendo due spunti molto diversi raccolti in questi giorni: il primo è il film di Sergio Castellitto, Venuto al mondo, tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Mazzantini; il secondo è la frase di una bambina di otto anni, raccolta e narrata da una collega ad un Colloquio di psicoanalisi tenutosi proprio in questi giorni a Venezia.
Premetto quel che ha scritto tempo fa Giacomo B. Contri: «E’ sempre da freudiano che mi applico a un personaggio la cui celebrità è inversamente proporzionale alle informazioni che ne abbiamo: si tratta di uno Joseph italianizzato in Giuseppe preceduto da “San” (…): questo Joseph è narrato come un aristocratico di alto e primo rango, discendente in linea diretta nientemeno che dal Re Davide: (…). E’ proprio nell’alto rango di buon… rango, che nulla osta a che facesse per esempio il contadino, o il pescatore, o nel suo caso l’artigiano del legno, proprio per l’insito apprezzamento del lavoro - non conosco nulla di più plebeo del disprezzo per il lavoro -: ma nulla a che vedere con il piccoloborghese di una botteguccia di falegnameria.»(1)
Ma andiamo con ordine.
Il film di Castellitto lega lo spettatore con le note di una sofferenza tutta al femminile, ma allo stesso tempo offre più di uno spunto di riflessione. Interpretato da una straordinaria Penelope Cruz, affiancata dal giovane Pietro Castellitto, affronta non uno ma due, addirittura tre drammi: la sterilità della protagonista, la guerra insensata che ha stroncato la vita di migliaia di civili, e infine lo scempio dello stupro di tante donne bosniache a Sarajevo.
La donna che ha visto segnata la propria vita dalla sterilità non sa sfuggire alla fissazione della maternità, che resta il suo tormento. Diventata madre adottiva solo per mantenere in piedi l’idealizzazione di un colpo di fulmine, vi resterà incatenata come ad un ideale irraggiungibile. Ed è, a ben vedere, il medesimo ideale del giovane cui si è legata e a cui non può dare un figlio. L’attore che dà il volto a questo giovane è Emile Hirsch, noto al grande pubblico per avere interpretato nel 2007 Into the Wild: anzi, sembra riproporre quello stesso personaggio, la stessa anima bella, cara al romanticismo, che qui soccombe al senso di colpa.
Nell’epilogo, la protagonista trova un po’ di consolazione nell’abbraccio e nella rivelazione che riceve da un’altra donna, marchiata come e più di lei perché vittima della violenza e dello stupro. E’ una gara tutta femminile nella sofferenza. Donna con donna, madre con madre: entrambe vittime, una della natura “matrigna”, l’altra della ferocia degli uomini. La Mazzantini affida loro l’auspicio e la promessa di un mondo nuovo: soluzione piuttosto debole e utopica.
Ma non è tutto qui. Ad uno sguardo più attento, ci accorgiamo che in disparte, discreto e attento, c’è un padre adottivo. Un capitano dei carabinieri, nel corso della missione di pace, si è imbattuto nella donna che, reduce da Sarajevo, tiene in braccio il neonato. L’ufficiale capisce che non l’ha partorito lei. Da quel momento la sostiene, le si fa compagno, si prende cura di entrambi: il film ce lo mostra mentre dà il latte al piccolo con il biberon. L’uomo, che compare pochissimo in tutto il film, sa tenere la posizione. Sedici anni dopo, Pietro è un ragazzo normale, come ce ne sono tanti, capace di arrabbiarsi con la madre che l’ha condotto con sé a Sarajevo: «Perché devo vergognarmi ogni volta che viene fuori che sono nato a Sarajevo?». Ha ragione: dal suo punto di vista, la vita che ha condotto tutti i giorni, day by day, è stata abbastanza normale, anche grazie alla presenza di questo moderno padre adottivo, in certo senso discendente da Giuseppe di Nazareth.
E’ davvero eccezionale contenere gli effetti distruttivi dello stupro. Nel mito greco, anche Narciso è figlio di uno stupro, come leggiamo in Ovidio. (2) Ma, appunto, non è stato raccolto da alcuno, rimanendo prigioniero della coltivazione della sua solitudine. Narciso non è stato adottato, ma anzi condannato dagli dei a morte certa se solo avesse conosciuto se stesso, cosa che avviene allorché scopre la propria immagine riflessa.
Eppure i bambini sanno bussare a tutti gli sportelli, come ci mostra il secondo spunto cui accennavo all’inizio. Una psicoterapeuta (3) racconta come una bambina di otto anni, entrando per la prima volta nel suo studio, si sia accertata che la propria madre non sentisse, e abbia quindi esordito così: «Dottoressa, io vengo da un pianeta dove non esistono le madri». Non conosciamo il motivo per cui la bambina è stata inviata alla specialista, ma certo è sulla buona strada. Ella si trova a dover fare i conti con una madre disturbante, ostacolante, ma non si impedisce questa fantasia delle proprie origini, che non ha nulla da invidiare alla produzione di grandi autori quali Asimov e Bradbury. La bambina se ne serve per cercare una nuova alleata nella psicoterapeuta: ecco un altro sportello. A otto anni è in cerca di una nuova adozione.
E’ una ricerca di cui resta traccia anche in diversi e diffusissimi cognomi italiani: Esposito, Diotallevi, Dalla Dea, Dioguardi, etc. Sono i venuti al mondo nelle condizioni più diverse, in pace e in guerra, e non da ieri. Ma una volta venuti al mondo, resta da augurar loro di incontrare… san Giuseppe, del quale Agostino scrive che «merita l’appellativo di vero padre non per modo di dire, in quanto esercita vera paternità "per mezzo della mente, non della carne".» (4)
Il Natale che si avvicina non ci sarebbe senza di lui.
NOTE
1. G.B. Contri, Father & Son, Think! 31 maggio - 1 giugno 2008. Lo stesso tema è trattato da Contri anche in Cartolina di Natale 2004. Che cosa vedono l’asino e il bue? (dicembre 2004): http://www.societaamicidelpensiero.com/it/portale/ricerca.htm?pg=65&pp=65
2. Ovidio, Metamorfosi, III. Narciso è figlio del dio fluviale Cefiso e della ninfa Liriope. Per un approfondimento, rinvio all’ottimo volume di Robert Graves I miti greci, Longanesi 2006, pagg. 259-261.
3. Paola Camassa, «Ero diversa. L’autonomia come teoria sessuale infantile», relazione presentata al Colloquio Metamorfosi della pulsione, promosso a Venezia dal Centro Veneto di psicoanalisi, 30 novembre - 2 dicembre 2012.
4. Agostino (De nuptiis et concupiscentia, 1, 11.12), citato in: Pietro R. Cavalleri, Elogio di Giuseppe. Ovvero l’adozione del padre. In: Child. Il bambino i suoi amici i suoi nemici, n. 1, 1999. Sic Edizioni, Milano 1999, pagg. 15-16. Nello stesso articolo leggiamo: «La vicenda di Giuseppe comporta quindi un rovesciamento nel pensiero del rapporto padre-figlio: paternità non è trattare i figli adottivi come figli biologici, ma, al contrario, trattare i figli biologici come adottivi».
Illustrazione di Chiara Ciceri