Quel copilota senza il padre
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«Qui beatum nuntium non perfert recedat».
«Chi non reca una buona notizia torni indietro»: così si legge sulla facciata di una villetta in Città Studi, a Milano. Un’iscrizione singolare, esibita dai residenti a mo’ di difesa. Ma non basta! Vorremmo affidarci a qualche certezza più solida di un auspicio dal sapore scaramantico, senza considerare che oggi le cattive notizie arrivano dal web, cui siamo sempre connessi.
Come distinguere le buone dalle cattive notizie? E che c’entra questo con la strage attuata dal copilota che definisco “senza il padre”, anche se il papà l’aveva? C’entra. Qualcuno ha perfino scomodato Amleto: «C’è del marcio nelle parole e non è la Danimarca…». (1) A ciascuno, dunque, il compito di orientarsi con prudenza nella ridda di frasi lette o udite in questi giorni. Per parte mia, mi atterrò alla versione finora più accreditata dai media, tralasciando altri scenari, terribili e fantasiosi, che sono stati affacciati.
La vignetta di Altan e il commento di Contri.
Altan ha scritto: «In fondo è tutto più semplice di quello che temiamo». (2)
E G.B. Contri l’ha subito citato sul suo blog, aggiungendo questo commento: «Che cosa ha fatto il copilota dell’Airbus? Ha trattato i passeggeri fisicamente raggruppati o assemblati nell’aereo come nient’altro che un insieme matematico (“niente di personale”). Non è una novità: in guerra la parola “nemico” non è davvero esatta, i tali cui sto sparando non sono miei nemici (neppure li conosco), sono oggetti del tiro a segno cui sono associato, la loro similitudine con me è quella di sagome, sono un gruppo assemblato come un insieme matematico (…) Quel copilota ha operato un passaggio personale, ossia ha fatto passare la ragion matematica a ragion pratica, etica: questa operazione è tradizionalmente nota come “conversione”, che è conversione del pensiero come dice il suo corrispettivo greco antico, metà-noia.» (3)
Una simile conversione, tutta all’incontrario di come la si intende di solito, merita attenzione.
Nella normalità psichica (normalità è parola da usare senza virgolette: o la si ammette come possibile e a volte reale, o è da ricusare tout-court), pensieri e affetti non conducono mai a considerare gli altri alla stregua di pure sagome da colpire.
Nel narcisismo, invece, pensieri e affetti si volgono all’incontrario. E giustamente Freud ha definito il suicidio un caso di omicidio rivolto contro se stessi. (4)
Almodovar: “Storie pazzesche”.
Qualcuno ha scritto che il regista spagnolo aveva già profetizzato questa strage nel film che ha prodotto recentemente. (5) Ma non è così. Non amo Almodovar per quel suo mescolare temi drammatici e ghigno goliardico. Il primo degli episodi di Storie pazzesche mostra una vendetta solo in apparenza simile a quanto accaduto sull’Airbus 320. Due osservazioni:
1) Il film è uscito nelle sale a fine 2014. Niente di più probabile che il copilota abbia tratto proprio da esso l’idea sul come attuare il suo proposito stragista (a quanto ne so un solo giornalista della BBC ha avanzato questa ipotesi). Ciò non autorizza a spostare la colpa sul regista: in molti abbiamo letto Moby Dick, ma non per questo abbiamo pensato di ipnotizzare e votare alla morte un’intera ciurma! Il passaggio all’atto criminale resta in capo al copilota.
2) Architettare un omicidio per colpire quanti ci hanno fatto un torto (come nel caso del pilota rappresentato nel film) è cosa del tutto diversa dall’uccidere a tradimento una o molte persone con cui non abbiamo mai avuto a che fare (come ha fatto Lubitz). Ancora una volta, la realtà ha superato la fantasia. La differenza è rilevante. Cambia tutto, diventa emblematico anche il respiro regolare del copilota: per otto minuti non ha avuto un solo cedimento o un ripensamento. Anzi, per lui sarà stato un lungo momento di estasi del tutto coerente con la sua… premeditazione, parola che ho letto in un solo commento. C’è stata dunque premeditazione. Il copilota si era, appunto, convertito: dall’odio empirico contro qualcuno (giusto o sbagliato che fosse) all’odio astratto, contro tutti.
Odio puro.
Cito ancora G.B. Contri: «L’odio non è la vendetta (…) L’odio puro è la strategia del mentitore che ha deciso di rendersi im-penitente sul preciso dolo di una sua menzogna. L’ingresso nella psicosi avviene in tale modo. E’ una copertura data a un male imputabile al soggetto non a un altro, e non “inconscio”.» (6)
Dunque non si è trattato di incidente, né di disastro aereo in senso stretto, né di atto terroristico con tanto di pseudo-legittimazione ideologica. E’ stato un delitto deliberato e spassionato. Mano a mano che giungevano le notizie, considerate attendibili da più fonti, la parola “mistero” è giustamente scomparsa dai commenti.
Il pensiero va al disastro ferroviario di Santiago di Compostela (luglio 2013), in cui un treno ad alta velocità deragliò con 218 passeggeri a bordo, causando la morte di 79 persone. Eccesso di velocità. Il macchinista, sopravvissuto, ammise di avere affrontato la curva a 179 km/h, mentre il limite in quel tratto era di 80 km/h. Non solo: in precedenza si era addirittura vantato su Facebook di quelle che dovevano sembrargli delle “bravate”. Nessuno aveva mosso un dito. (7)
La diagnosi di affidabilità.
A mio avviso, non serve granché moltiplicare la somministrazione dei tests psicologici ai piloti di linea, come asserisce invece un comunicato congiunto della European Federation of Psychologists (EFPA) e della European Association for Aviation Psychology (EAAP). (8) Mentre è molto improbabile che in un colloquio possano sfuggire dettagli preziosi e potenzialmente allarmanti. Un colloquio ad personam otterrebbe risultati più decisivi di tanti tests standardizzati. (9)
Ad una condizione, però: che si rinunci a diagnosi generiche, come quella di depressione, oggi inflazionata e per nulla affidabile. Né servono nozioni come crisi o disagio o sindrome da burn-out dovuta allo stress. Non c’è causa da ricercare, ma imputazione da formulare. Anzi, molti piloti, controllori e assistenti di volo andrebbero premiati per tutti quei casi in cui risolvono un’emergenza agendo fuori dalle procedure previste, o comunque con una prontezza e intelligenza ammirevoli.
Ho apprezzato quel che ha scritto Patrick Smith, stimato pilota di lungo corso dell’aviazione civile statunitense, noto al grande pubblico per il suo seguitissimo blog Ask the Pilot e per l’omonimo libro, pubblicato anche in Italia. Alla domanda: «Ha mai temuto, nel corso della sua carriera, il suo compagno di cabina?» egli ha risposto: «Mai. Quando salgo su un aereo devo pensare che i miei colleghi siano un corpo estremamente professionale e non posso fare altrimenti.» (10)
Ciò vale anche per noi: quando sfiliamo irreggimentati nella folla, attendendo l’imbarco al gate di un aeroporto, ci rendiamo conto che un ambiente è cosa ben diversa dal legame sociale. L’affidabilità del nostro vicino o del pilota è questione che riguarda tutti.
Ecco perché Lubitz ha commesso il delitto più grave, quello di parricidio: ha eliminato dalla propria ragione il principio grazie al quale per ciascun individuo ogni altro può diventare fonte di beneficio (cioè “prossimo”). Ha eliminato il pensiero del padre, ovvero quello di poter possedere-ereditare la terra in cui viveva. (11)
Da quel momento ogni altro è diventato solo sagoma, figlio di nessuno.
Non è andata diversamente nell’eccidio dei giovani universitari in Kenya, solo una settimana dopo: altri 148 morti!
Il caso del copilota mostra però che un solo uomo è sufficiente a perpetrare e realizzare una simile strage, senza neanche bisogno di una causa. Gli è bastata un’idea in fondo frivola: «Un giorno il mondo conoscerà il mio nome». (12)
Da un fatto così tragico e difficile da “metabolizzare” possiamo imparare che ogni atto umano è imputabile: in senso penale, se si ricade nel crinale tra psicopatologia e diritto; in senso premiale in molti altri casi che dovremmo saper individuare e trattare, a cominciare dalla vita quotidiana.
E’ un compito di civiltà (altra espressione freudiana).
Sono giorni che ci penso, e non ho trovato altro insegnamento da quel che è accaduto nelle Alpi francesi. La vignetta già citata di Altan mi ha ricordato quel racconto di Chesterton in cui il protagonista dice agli astanti: «Ho una buona notizia da darvi: è stato compiuto un delitto!» (13) Infatti l’omicida aveva agito avendo cura di cancellare ogni traccia.
Non aspettiamoci che sia Iago a spiegarci il motivo del suo delitto. Ogni Iago, prima di arrivare a tanto, si è già chiuso la bocca da sé. (14) Quella bocca che ogni psicoanalista, con la modestia che conviene, invita ad aprire senza poterla forzare.
NOTE
1. Cfr: http://comune-info.net/2015/03/che-origine-hanno-i-piloti/ In effetti, i media continuano a proporci articoli che si accodano all’attenzione che si accorda al mostro. C’è qualcosa di oleoso in tutto questo, un atteggiamento scandalizzato, patinato, guardone che non vuole arrivare da nessuna parte, ma solo impressionare: ciò confonde le acque del giudizio.
2. La Repubblica, venerdì 27 marzo 2015.
3. G.B. Contri, Altan e la matematica, Think!, 30 marzo 2105. Nello stesso sito (http://www.giacomocontri.it/) invito a leggere anche: Quel superato di un Freud (27 marzo) e Mostri ipnotici (1 aprile).
4. «E’ ben vero, e lo sappiamo da tempo, che non esiste nevrotico i cui propositi suicidi non si siano determinati a partire da impulsi omicidi diretti su qualche altra persona». S. Freud, Lutto e melanconia, in: Metapsicologia (1915), OSF vol. VIII, p. 111.
5. Il film Relatos salvajes (Storie selvagge) è diretto dall’argentino Damiàn Szifron e prodotto dai fratelli Almodòvar. Presentato a Cannes, è stato candidato come miglior film in lingua Straniera all’87ª edizione degli Academy Awards (Oscar 2015). Nel primo dei sei episodi, «due passeggeri di un aereo scoprono di conoscere entrambi un uomo di nome Pasternak: la ragazza era la sua ex fidanzata mentre l'uomo è stato un critico che lo aveva stroncato ad un concorso musicale. Ascoltando la conversazione, anche tutti gli altri passeggeri (compresa la hostess) si accorgono di essere collegati in qualche modo al signor Pasternak. Si scopre così che l’intero volo era una trappola organizzata proprio da Pasternak, che è il pilota e schianta l'aereo sulla casa di riposo che accoglie i suoi genitori.» (http://it.wikipedia.org/wiki/Storie_pazzesche)
6. G.B. Contri, L’ordine giuridico del linguaggio, lemma “odio”, pag. 199. Sic Edizioni, 2003. All’esplorazione del concetto innovativo di “odio logico” è stato dedicato un intero Seminario annuale di Il Lavoro Psicoanalitico (1986-87).
7. G.M. Genga, Santiago: una strage annunciata. Quale prevenzione?, Father & Son, 14 agosto 2013, su questo stesso sito: http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=516&id_n=33593&pagina=1&fo
8. http://www.efpa.eu/news/european-(aviation)-psychologists-react-to-crash-german-wings-flight-4u-9525-
9. G.M. Genga, Il fattore umano nel volo e la questione della soddisfazione, in: Italian Journal of Aerospace Medicine, n. VII-2012, Agosto 2012, Associazione Italiana di Medicina Aeronautica e Spaziale (AIMAS), pagg. 68-75. Disponibile in:
http://www.studiumcartello.it/Public/EditorUpload/Documents/INTERNATIONAL_PAPERS/GENGA_HUMAN_FACTOR_QUESTION_SATISFACTION.pdf
10. P. Smith, http://www.askthepilot.com/germanwings-crash/ Cfr. anche l’avvincente Chiedilo al pilota. Tutto quello che avete sempre voluto sapere sui voli aerei, Ed. Fusi orari, 2005.
11. Alla “terra” la Società Amici del Pensiero “Sigmund Freud” ha dedicato il Simposio del 17 gennaio 2015.
http://www.studiumcartello.it/Public/EditorUpload/Documents/SIMPOSI_SESSIONI/150117SAP1.pdf
12. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/28/andreas-lubitz-ex-fidanzata-giorno-tutto-mondo-conoscera-mio/1545098/
13. A memoria, potrebbe trattarsi del racconto Il giardino segreto, in: L’innocenza di Padre Brown.
14. Nel finale dell’Otello, si rimane sorpresi dalla scelta operata da Iago: sapendo di essere condannato alla tortura e alla morte, si chiude nel mutismo e dichiara pubblicamente: «Non chiedetemi nulla. Sapete quel che sapete, d’ora in poi non aprirò più bocca.»