L'adottato come sorvegliato speciale. "Sacco di patate" sarai tu!

Fonte:
CulturaCattolica.it
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L’adozione dei minori, almeno nel nostro Paese, è un iter particolarmente complesso. Talvolta si rivela una specie di “corsa ad ostacoli”, capace di scoraggiare anche le coppie più motivate a diventare genitori adottivi.
Spesso le difficoltà nascono, più che dalle circostanze dei singoli casi, da alcuni stereotipi molto comuni (come quello della vera madre) o da teorie false e patogene (come quella dell’attaccamento).
L’esempio che segue, di cui sono venuto a conoscenza, mostra la sudditanza a queste teorie da parte degli operatori del sociale.
Ne consegue che pochi genitori adottivi sono in grado di difendere il provvedimento che ne ha già sancito lo status di genitore. (1) Così come molti bambini vengono gravati da pesi non necessari né obbligatoriamente legati alla loro nuova situazione.

La location.
Una coppia aveva adottato da pochi mesi un bimbo di quattro anni, nato in un altro Paese. La famiglia abitava in un bell’appartamento nel centro storico di Milano, a due passi dalla Scala. Dalle finestre, che davano sulla piccola via nei pressi della casa di don Lisander, si poteva ammirare l’infilata di tetti, abbaini e comignoli carichi di Storia, quella con la S maiuscola. Abbassando lo sguardo, ecco l’elegante pavé, lo stesso che nel 1901 venne letteralmente tappezzato di paglia affinché il rumore delle carrozze non disturbasse gli ultimi giorni del maestro Verdi, ospite abituale del Grand Hotel e de Milan.
All’epoca di questa vicenda, tre volte la settimana, alle sei del mattino, il vicolo diventava teatro di un grande viavai: tutta la famiglia veniva svegliata a forza… dalla raccolta dei rifiuti. Puntualissimi ed efficienti, i camion della nettezza urbana sollevavano e svuotavano i contenitori facendo un baccano infernale, soprattutto quando era la volta dei cassonetti contenenti il vetro.

Il gioco del «camion pazzatula».
Il padre aveva preso l’abitudine di svegliare il bambino, appoggiandolo accanto a sé sul davanzale della finestra per assistere a quello spettacolo. Per parte sua, il bambino si divertiva un sacco nel veder roteare le luci color arancione del camion e i loro riflessi sulle facciate degli austeri palazzi. Non solo: gli addetti della nettezza urbana vociavano tra loro come fosse pieno giorno, spesso salutando i due curiosi. Chiuse le finestre, il gioco continuava: il bambino si faceva sollevare più e più volte in aria e poi… giù sul letto, come un sacco di patate. Né mancavano i momenti in cui tornava a chiedere lo stesso trattamento: “Camion pazzatula, camion pazzatula!”. Divertimento assicurato per entrambi (come ognun sa, da che mondo è mondo).

L’inciampo della Teoria.
Al termine dell’anno di affido pre-adottivo previsto in questi casi, la coppia si ritrova inaspettatamente convocata dall’assistente sociale dell’ASL, che ha ancora qualcosa da chiedere. I genitori capiscono che si tratta di fugare gli ultimi dubbi per vedere ultimata la stesura della relazione attesa dal Tribunale: di che si tratterà?
L’arcano è presto svelato: nel corso delle visite al domicilio, la psicologa aveva chiesto ai genitori quali giochi facessero con il bimbo. E il padre aveva raccontato, tra altri, il gioco diventato consueto dopo quei risvegli anticipati.
Ma ora, con loro grande sorpresa, ecco che l’assistente sociale li richiama proprio su quel gioco e li invita a nominarlo in un altro modo.
Il padre, lì per lì incredulo come sua moglie, non tarda ad afferrare di che si tratta, e chiede conferma: la psicologa o l’assistente sociale sospettano forse che il piccolo possa sentirsi trattato alla stregua della spazzatura? Subito propone-promette di chiamarlo da ora in avanti il “gioco del sacco di patate”. L’assistente sociale annuisce sorridendo, sollevata e rassicurata. Fortunatamente ha trovato un padre comprensivo e duttile al suo richiamo. La relazione, già stilata e tenuta in standby in attesa di questo chiarimento, verrà finalmente firmata e inviata al Tribunale.

Insinuazioni e soluzioni
Il padre, tra sé e sé, pensa che in altri lontani tempi un affronto del genere avrebbe giustificato una sfida a duello, e che l’immotivata insinuazione dell’operatrice non sarebbe sorta se si fosse trovata di fronte a una coppia di genitori biologici.
E’ talmente grossa che occorre dirla tutta: secondo quel pensiero distorto, il bambino, in quanto adottato, potrebbe inferire che per i nuovi genitori egli sarebbe come… spazzatura!
Nulla di più lontano dalla realtà dei fatti e dalla realtà psichica del figlio e di quei genitori.
Solo uno stereotipo, chiamato vera-madre o veri genitori, ha potuto produrre la perfida via: nascita in istituto → perdita o abbandono da parte della donna che l’ha partorito → lutto → engramma dello status di rifiutato → fissazione a un destino infausto.
Che dire di una simile Teoria, degna di un film dell’orrore?
Verrebbe da citare Dante: «qual ella sia, parole non ci appulcro»! (2)
Come hanno potuto non vedere che per il bambino si trattava di puro divertimento e di costruzione di una nuova e buona relazione?

NOTE
1. Il presente articolo è la rielaborazione di una parte del mio saggio: Da Salomone alla Convenzione di Strasburgo, pubblicato in Minori in giudizio. La convenzione di Strasburgo, a cura di Giulia Contri, Franco Angeli, gennaio 2012, pagg. 159-174.
2. Dante, Inferno, VII, 60.