Il caso Lomax 3 - Le due vie del destino: libro e film
“All’inizio dei tempi, l’orologio batté l’unapoi cadde la rugiada, l’orologio batté le due
dalla rugiada crebbe un albero, l’orologio batté le tre
dall’albero nacque una porta, l’orologio batté le quattro
quindi comparve l’uomo, l’orologio batté le cinque
non contare, non sprecare gli anni con l’orologio.
Ecco, io sto alla porta e busso.”
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Alcune differenze tra libro e film
Leggendo Le due vie del destino, sono rimasto impressionato dall’enorme distanza, perfino lessicale, tra le pagine che descrivono l’inimmaginabile ‘crudeltà meschina’ dei carcerieri, e quelle dedicate all’incontro con Nagase nel 1993: non sembrano scritte dalla stessa mano, tanta è la distanza degli affetti implicati e delle parole usate per descriverli.
Lomax aveva una cultura superiore alla media, ma la ricchezza dei vocaboli impiegati è anzitutto da ricondurre all’incessante elaborazione che lo occupò per decenni. Nel raccontare i giorni trascorsi in compagnia dell’ex-aguzzino, egli annota: “il suo dolore sembrava più intenso del mio”, “gradimmo la compagnia reciproca”, “mentre camminavamo e parlavamo, ebbi la sensazione che il mio strano compagno fosse una persona con cui, se ci fossimo incontrati in circostanze differenti, avrei potuto un tempo andare d’accordo. Avevamo molto in comune; i libri, l’insegnamento, l’interesse per la storia (…) non vedevo più una ragione per punire Nagase rifiutandomi di perdonarlo”.
Nel film vediamo Lomax intraprendere da solo il suo primo viaggio in Birmania, e affrontare Nagase cogliendolo di sorpresa. Seguirà un secondo viaggio insieme alla moglie. Nella realtà, vi fu un unico viaggio, preparato con cura per quasi due anni, e i Lomax furono ospiti dei coniugi Nagase dapprima in Birmania, poi in Giappone. Il perché di quella scelta narrativa dovremmo chiederlo a Teplitzky e agli sceneggiatori. Credo che abbiano voluto rendere in questo modo l’enorme isolamento in cui Lomax si era ritrovato a vivere: egli non raccontò mai né alla prima moglie (che nel film non viene menzionata) né alla seconda (Patti) le atrocità subìte. Tanta era l’umiliazione. Il viaggio per proprio conto sta al posto degli anni di silenzio e di lontananza affettiva. Inoltre, dal libro si evince che al momento di volare in Indonesia Lomax aveva ormai abbandonato ogni proposito di vendetta: non aveva con sé un coltello, e nessuno dei suoi amici reduci era morto suicida. (13) Per cinquant’anni era rimasto prigioniero dei suoi incubi, pieno di odio per i suoi torturatori e per i giapponesi in generale. In un certo senso, il film condensa tutto il suo processo di pensiero nell’episodio in cui lo vediamo oscillare per qualche istante tra il proposito di giustiziare il giapponese e quello di perdonarlo. Quel bivio, così decisivo, nella realtà è stato molto più articolato e ha occupato un lunghissimo arco di tempo.
“Un risultato che non avrei mai immaginato”
Nagase volle che i suoi ospiti prolungassero il viaggio in Giappone, per mostrare loro la propria casa e… i ciliegi nel momento della massima fioritura. In casa loro - scrive Lomax - “trovai lo stesso caos di libri e carte da cui sono circondato a casa mia. Un giorno, senza rifletterci, mi sedetti nel suo studio, sulla stessa sedia, nella stessa posizione della foto del ‘Japan Times’ in cui l’avevo ritrovato”. Particolare di grande finezza psicologica: che cosa fece Lomax in quel momento? Una esplorazione del tutto normale: si mise al posto del suo ex-torturatore, si immedesimò, chiedendosi se fosse pensabile trovarsi, per qualche strano intreccio della storia, dall’altra parte, pur conservando il ricordo di tutto ciò di cui Nagase era stato capace. (14)
“Per tutto il tempo trascorso in Giappone, non sentii mai rimontare la rabbia che per anni avevo nutrito nei confronti di Nagase, nessuna recrudescenza dell’istinto omicida che mi aveva travolto quando avevo scoperto che uno di loro era ancora vivo.”
Al termine della visita, Lomax aveva ben chiaro che Nagase anelava a ricevere il suo perdono, ed egli stesso era “ansioso di siglare la pace definitiva”. Ma volle farlo a suo modo, lontano da occhi altrui: gli chiese di incontrarlo a tu per tu in albergo e, quando furono soli, gli lesse e consegnò una breve lettera in cui gli assicurava il perdono completo. Quanto a Nagase, “le emozioni lo travolsero; restammo nella sua stanza a lungo, parlando tranquillamente e senza fretta.”
Ciò avvenne alla viglia della partenza, dopo che Lomax ebbe potuto raccogliere moltissimi indici, prove e segni che il pentimento dell’altro era davvero sincero. Poi si salutarono in compagnia delle rispettive mogli. Ma accadde che il giorno dopo Nagase e signora si presentarono a sorpresa alla stazione ferroviaria di Osaka, per accompagnare i loro ospiti fino all’aeroporto: “sembravano bambini eccitati, felici per lo scherzo riuscito; fu bello rivederli”. Un dettaglio che ha dell’incredibile.
“Mentre l’aereo si inclinava sopra la baia di Osaka, strinsi la mano di mia moglie. Ero sicuro di aver ottenuto un risultato che non avrei mai immaginato. L’incontro con Nagase l’aveva trasformato da acerrimo nemico, con cui un’amicizia sarebbe stata impensabile, a fratello di sangue. Se non fossi riuscito a dare un nome a uno degli uomini che mi avevano ferito, se non avessi scoperto che dietro quel volto c’era un’altra vita rovinata, gli incubi provenienti da un passato senza senso non sarebbero mai cessati. E avevo dimostrato a me stesso che ricordare non serve a nulla se si limita ad alimentare l’odio.” (15) (Corsivo mio)
Alla moglie, che davanti alle innumerevoli tombe di un cimitero militare in Thailandia gli aveva chiesto se stessero facendo la cosa giusta, Lomax aveva risposto: “Viene un momento in cui l’odio deve finire.” Arrivare a concepire una frase come questa non è automatico né scontato: o chi la pronuncia mente nascondendo pensieri di segno opposto, o la frase è veridica e attesta un profitto raggiunto dal pensiero. In modi diversi, libro e film documentano bene tutto questo.
Un ultimo esempio: quando durante la prigionia era febbricitante, gli tornava in mente la frase con cui i torturatori lo avevano incalzato: “Lomax, a breve sarai ucciso!” Allora componeva “automaticamente” (sulla scia della letteratura inglese protestante del XVII secolo, che ben conosceva) delle filastrocche bibliche, come egli stesso le chiamava, tra cui questa:
“All’inizio dei tempi, l’orologio batté l’una
poi cadde la rugiada, l’orologio batté le due
dalla rugiada crebbe un albero, l’orologio batté le tre
dall’albero nacque una porta, l’orologio batté le quattro
quindi comparve l’uomo, l’orologio batté le cinque
non contare, non sprecare gli anni con l’orologio.
Ecco, io sto alla porta e busso.”
Per coglierne il senso è sufficiente sapere che dovette trascorrere mesi e mesi nell’isolamento della cella, senza poter parlare con i compagni, senza udire alcun suono e quasi senza poter distinguere il giorno dalla notte. Il tempo umano è sempre scandito da appuntamenti: in assenza di questi, anche il ritmo circadiano o l’avvicendarsi delle stagioni ne fanno le veci. Per un lasso di tempo non breve Lomax fu privato anche di queste percezioni e temette di impazzire. Ciò nonostante, non rinunciò mai a pensare alla propria salute/salvezza come possibile, e seppe dotarsi di tutti gli aiuti che potevano favorirlo, l’ultimo dei quali si rivelò essere proprio Nagase, l’ex-nemico, il suo “odiato confidente” di un tempo. Un risultato che non avrebbe mai potuto immaginare.
NOTE
13. Nel film assistiamo al suicidio di un reduce, Finlay, che “si vendica contro sé stesso. Cerca di offuscare il motivo del gesto tentando di giustificarlo come messaggio (altruistico) per Lomax, ma si odia. Odia sé stesso, ed è terribilmente invidioso (non nel senso che desidera per sé) dell’occasione di riscatto che Patti rappresenta per Eric e che vede come esclusiva dell’amico.” Ringrazio Saverio Valsasnini per questa nota.
14. L’annotazione di Lomax mi è parsa subito ricca di sfumature e mi ha ricordato, per contrasto, il celebre film di Liliana Cavani, Il portiere di notte (1974): in esso l’identificazione reciproca tra vittima e aguzzino si presenta fin da subito rocciosa e foriera di morte, oltre che un esempio di perversione della memoria.
15. Penso che la riflessione di Lomax sulla memoria sia degna di confrontarsi con tanta letteratura, non solo ebraica, sulla Shoah. A questo proposito, rammento il recente Remember di Egoyan (2015) che, quanto alla memoria, è un vero e proprio manifesto della tesi opposta a quanto è sostenuto da Lomax.