Condividi:

Anche i divi hanno l'inconscio - "Vendetta, dov'è la tua vittoria"?

Fonte:
CulturaCattolica.it

Nell’articolo di novembre scorso ho commentato il breve discorso con cui Dustin Hoffman ringraziò per il premio ricevuto come migliore attore protagonista in Kramer contro Kramer nel 1980. (1)
Ora torno sul tema. Se la recente notte degli Oscar ha deluso molti, come abbiamo letto sulla stampa e sul web, è anche vero che subito dopo un lapsus di DiCaprio ha riacceso l’interesse per una vittoria che il rito del politically correct aveva ingessato fin troppo. (2)

LEONARDO DICAPRIO VINCE L'OSCAR E QUASI LO DIMENTICA ALL'AFTER PARTY!

Riassumo: il divo riceve il premio tanto agognato, festeggia la vittoria in un ristorante di Hollywood con gli amici (e con sua madre onnipresente) e, nell’uscire… dimentica nel locale la preziosa statuetta! Un sito americano, TMZ, posta subito un video in cui vediamo un uomo che corre verso la limousine e gli porge la statuetta. (3) Puntuale giunge la smentita dall’entourage dell’attore, mentre sul web sale la protesta dei fan: «Ci hai deluso, non ti montare la testa perché perderai tutti i tuoi fan!». Perderli? Ma perché? Personalmente, la cosa mi ha divertito e mi ha reso più simpatico l’attore che, seppure bravo, non è tra i miei preferiti. Poco prima, durante la cerimonia, DiCaprio ci aveva invitati a non dare per scontato l’intero pianeta, affermando che egli stesso non dava per scontata la propria vittoria. Non immaginava fino a che punto fosse vero.

The Revenant (4) è l’ennesima riproposizione cinematografica del tema della vendetta. Ma DiCaprio, con questo lapsus, dopo essersi calato nei panni - e nella pelle - del protagonista, ne prende le distanze: se non dalla storia, almeno dal chiasso mediatico che l’aveva circondato per via degli Oscar mancati negli anni precedenti. (5) E’ come se - dopo Titanic, The Aviator, Blood Diamond, Inception, J. Edgar, The Departed, The Wolf of Wall Street, Django Unchained, (dimentico qualche titolo?) - avesse detto al mondo intero: “Ora posso fare festa e pensare ad altro, via la statuetta usa e getta!”

Il film di Iñárritu merita anch’esso una riflessione, accanto alla storia di questo leggendario trapper di cui esistono più versioni: (6) facile chiedersi che cosa ci sia di vero.
Forse la fonte storica più completa è The Saga of Hugh Glass, la biografia scritta da John Meyers Meyers nel 1963. Ad essa si è ispirato (oltre che ad altri trattati storici) Michael Punke, avvocato e scrittore, nel suo recente Revenant. La vera storia di Hugh Glass e della sua vendetta (Einaudi, 2014). “Opera di finzione”, come egli stesso dichiara, creata sulla base di documenti giudicati attendibili. Iñárritu, altrettanto creativamente, trae spunto dal libro, ma è falso che il film ne sia l’adattamento cinematografico. Tra libro e film esistono infatti differenze molto rilevanti:

1) Non è affatto certo che Glass avesse sposato una nativa della tribù dei Pawnee;
2) E’ certo che non avesse figli. Perciò chi lo abbandonò mezzo morto, sottraendogli armi e provviste anziché assisterlo, non gli uccise il figlio;
3) A causa delle orrende ferite provocate dall’attacco di un’orsa grizzly, il viso di Glass rimase sfigurato, cosa che il regista decide di non mostrare; (7)
4) Glass raggiunse e perdonò il più giovane dei due compagni che l’avevano abbandonato in fin di vita, ma non si scontrò né uccise l’altro, il perfido Fitzgerald, che nel frattempo si era arruolato nell’esercito. Il confronto tra i due avvenne, secondo quanto scrive Punke, nell’aula di un improvvisato tribunale militare: a Glass fu restituito il suo prezioso fucile Anstadt e consegnata una ingente somma di denaro quale indennizzo, mentre Fitzgerald ebbe solo una pena pecuniaria: la paga di due mesi!
5) Glass rinunciò a spingersi oltre nell’intento di vendicarsi, ma riprese la sua attività di esploratore, fino a morire per mano dei guerrieri Arikara una decina di anni più tardi. (8)

La barbara uccisione del figlio mezzo-nativo deve essere sembrata agli sceneggiatori l’invenzione narrativa più idonea a fornire una causa alla sua vendetta, in modo che essa apparisse in certo senso il top tra tutte le avventure possibili. Secondo quel che riferisce Beatrice Pagan, (9) «l’obiettivo (…) era quello di far emergere il lato spirituale del racconto dell'esperienza vissuta da Glass, obbligato a far emergere la sua forza interiore. Fin dalla fase di stesura della sceneggiatura, Revenant è stato ideato per dare al racconto il giusto equilibrio tra realismo e spiritualità. Prima di iniziare ufficialmente le riprese, ad Alberta, il cast e la troupe si sono riuniti lungo le rive del Bow River e a ognuno è stata consegnata una rosa rossa. Il consulente culturale della tribù dei Blackfoot (Piedi Neri) Craig Falcon, ha guidato una cerimonia, insieme agli anziani della tribù Stoney, per benedire il film, le creature e la terra. Dopo la benedizione, Iñárritu ha chiesto alle 300 persone presenti, di tenersi le mani in silenzio, poi, tutti insieme, sono entrati nel fiume per spargere i petali di rosa.» Non ha dell’incredibile?

Tornando ai lapsus, eccone uno riferito dallo stesso Freud: «Il presidente di un’assemblea (in questo caso del Parlamento austriaco) aprì un giorno la seduta con le seguenti parole. “Registro la presenza del numero legale e dichiaro quindi chiusa la seduta.” Si trattò di un lapsus verbale, senza dubbio il presidente voleva dire: aperta. Perché allora disse il contrario? (…) Tante precedenti sedute erano state così spiacevolmente tempestose e inconcludenti, che sarebbe stato comprensibilissimo se il presidente, al momento dell’apertura avesse pensato: “Magari la seduta che adesso deve cominciare fosse già finita. Preferirei chiuderla anziché aprirla.” Questo desiderio, quando egli cominciò a parlare, probabilmente non gli era presente, non era cosciente, ma certamente esisteva in lui e riuscì a imporsi a dispetto della sua intenzione in quell’errore apparente.» (10)

Il lapsus è un errore solo apparente, dunque. Allo stesso tempo è un atto riuscito, perché costituisce una sanzione nei confronti di atti e pensieri precedenti, ben diversamente da quel che accade nella vendetta, che mira a pareggiare i conti senza mai riuscirvi. Un lapsus è sempre un atto pubblico e allo stesso tempo mite: è sanzione, e non vendetta. Esso reintegra qualcosa che restava fuori, ancora senza cittadinanza. (11) Se si pensa che il lapsus di DiCaprio ha fatto notizia quanto o ancor più della vendetta tanto celebrata nel film, viene da dire: “Vendetta, dov’è la tua vittoria?”

NOTE
1. Cfr. su questo stesso sito: G.M. Genga, “And the winner is…” Il totem degli Oscar e Dustin Hoffman (1980)
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=516&id_n=38015&pagina=1&fo

2. Ringrazio M. G. Pediconi che mi ha gentilmente segnalato la notizia del lapsus di Leo. Circa l’esito delle premiazioni, condivido il giudizio di Mereghetti: «Se la politica e l’impegno si sono presi il primo piano, forse è perché quest’anno non c’erano particolari attese o dubbi. Di Caprio ha vinto finalmente il suo Oscar, com’era prevedibile, grazie al suo film meno bello (o più brutto, a voler essere sinceri), che si è trascinato dietro anche quello per il miglior regista, un
Alejandro G. Iñárritu che mi sembra francamente sopravvalutato.»

http://www.corriere.it/spettacoli/16_febbraio_29/dicaprio-si-aggiudica-l-oscar-il-caso-spotlight-miglior-film-los-angeles-miglior-attore-ab9c75bc-dea6-11e5-8660-2dd950039afc.shtml

3. http://www.tmz.com/2016/02/29/leo-dicaprio-oscar-win-party-vaping?adid=TMZ_Search_Results

4. The Revenant, regia di Alejandro González Iñárritu, che firma anche la sceneggiatura con Mark L. Smith; interpreti: Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Domhnall Gleeson, Will Poulter, Forrest Goodluck, durata 156 min., USA 2015. Il film si è aggiudicato tre premi Oscar su dodici candidature. Molti siti ne riportano la trama, per esempio:

http://www.comingsoon.it/film/revenant-redivivo/50964/scheda/?gclid=CPe9uYS4sssCFTUz0wodfM0A6w

5. L’attesa della premiazione è stata accompagnata dal frenetico moltiplicarsi dei tweet: 450mila al minuto sono proprio tanti: un nuovo social-record! http://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/internet_social/2016/02/29/oscar-record-su-twitter-con-dicaprio_c34b30de-347c-4b9d-8b1e-f31290161979.html

6. «Una delle principali fonti sulla vita di Glass sono i racconti di un suo amico, George C. Yount, che vennero trascritti dal prete cattolico Orange Clark nel 1851 e trasformati in un libro dallo storico Charles Lewis Camp nel 1923» (http://www.ilpost.it/2016/01/17/revenant-storia-vera/)

7. A proposito del grizzly, libro e film fanno intuire qual è stato l’errore di Glass: si è lasciato distrarre dai cuccioli dell’orsa, ne è rimasto ammaliato, non pensando (come da cacciatore esperto doveva e poteva pensare) che se lì erano i cuccioli, la madre non poteva essere lontana!

8. Il libro riporta altre interessanti notizie sulla vita di Glass: pare che qualche anno prima di lavorare come esploratore, un magistrato spagnolo (certo Palacio) stesse per impiccarlo, ritenendolo un pirata o una spia, ma poiché aveva già giustiziato un giovane soldato per essersi addormentato ed era ancora tormentato dal rimorso, lo risparmiò purché andasse verso nord. Poco dopo fu catturato dai Pawnee, che stavano per bruciarlo vivo. A quel punto Glass si tinse la
faccia con del cinabro che aveva con sé e, alzatosi in piedi, si mise ad urlare… il Padre Nostro! Il capo Toro Scalciante restò sbigottito, gli restituì il fucile e lo trattò come un figlio.

9. B. Pagan, “Revenant-Redivivo”, dieci cose sul film, pubblicato sul sito Lettera43, 16 gennaio 2016:
http://www.lettera43.it/cultura/revenant---redivivo-10-cose-sul-film_43675230223.htm
Ad onor del vero, la sceneggiatura riserva la frase più sensata proprio al bastardo Fitzgerald quando, ormai in punto di morte, apostrofa Glass: «Hai fatto tutto questo, ma per che cosa?»

10. S. Freud, Alcune lezioni elementari di psicoanalisi (1938), in: Opere di Sigmund Freud (OSF), vol. XI, Bollati Boringhieri, pag. 642.

11. «Il lapsus - così come il sintomo e l’angoscia - in sé stesso non è psicopatologico, ma è una risposta normale in presenza di psicopatologia. Il lapsus non designa qualcosa da curare. Quindi, di fronte a un lapsus, i casi sono due: lo raccolgo o lo lascio cadere. (…) Perché lo raccolgo? È veramente il test più semplice (a volte anche ilare). (…) Una volta che si sia passati all’aldilà rappresentato dall’assumerlo, ci si accorge che non c’è nulla da interpretare. Se davanti alla porta del mio studio qualcuno estrae le chiavi di casa propria per aprire la porta, è del tutto chiaro che il pensiero è: «Sono a casa mia». Il lapsus, una volta assunto, è già interpretato: nel momento in cui lo si riconosce, il lavoro è già compiuto. Il riconoscimento del lapsus come atto proprio equivale a riconoscere in sé stessi l’esistenza di un’attività sanzionatoria tale per cui ogni condotta riceve comunque una risposta del tipo bene-male, giusto-sbagliato, accompagnata da una sanzione. Il lapsus sanziona un mio errore precedente, è un giudizio: segnala che c’è stato un errore e persino lo corregge. Nel momento in cui lo compio, esso mostra contemporaneamente che dentro me stesso è all’opera un’attività sanzionatoria, vale a dire giuridica e normativa. Il lapsus è il giustiziere: fossero così tutti i giustizieri...». (G.B. Contri, Giudizio di soddisfazione, lezione del 3 febbraio 1995).
http://www.studiumcartello.it/public/editorupload/documents/Archivio/950203SC_GBC3.pdf

Vai a "Father & Son"