Abramo e Isacco: un "cold case" nella tenda dei patriarchi

Il primo cold case della storia dell’umanità è stato il tentato omicidio perpetrato da Abramo nei confronti del figlio!
Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Da qualche tempo il cold case è divenuto un genere alla moda: le indagini riaperte su un delitto rimasto a lungo irrisolto fanno audience, e non senza ragione: l’idea stessa che si possa celebrare un processo è, a mio parere, una buona notizia.
Il lettore avrà riconosciuto il particolare del celebre dipinto del Caravaggio (1602): in esso vediamo come ad Isacco, già legato sull’altare, i conti non tornano! Il primo cold case della storia dell’umanità è stato il tentato omicidio perpetrato da Abramo nei confronti del figlio! Anzitutto, perché l’esistenza storica di questa antichissima coppia padre-figlio risale, secondo autorevoli datazioni, a circa trenta secoli fa, secolo più secolo meno. (A dire il vero, vi è almeno un precedente di cui si ha notizia: quello di Ötzi, l’individuo, specie homo sapiens, vissuto fra il 3300 e il 3100 a.C. e ritrovato mummificato in Alto Adige. Gli scienziati ne hanno recentemente accertato la morte violenta per mano di un suo simile).
Tornando al sacrificio di Isacco, il fatto può dirsi cold case per essere stato nuovamente ‘attenzionato’ anche ai nostri giorni. Tre esempi:
1) l’opera teatrale Padre e figlio, rappresentata lo scorso anno 2017 al Meeting di Rimini, il cui testo è del drammaturgo Fabrizio Sinisi;(1)
2) nella stessa cornice del Meeting, le lezioni del prof. J. H. Weiler, giurista di fama internazionale. Anno dopo anno, egli getta nuova luce sulle maggiori figure del ‘V.T.’ (Vecchio Testamento per i cristiani, Vero Testamento per gli ebrei, come egli ama ripetere). Chi non è prigioniero di pregiudizi antisemiti o anti-meeting può ascoltarle o leggerle con grande interesse;(2)
3) gli articoli dedicati ad Abramo dallo psicoanalista Giacomo Contri, da molti anni sostenitore del pensiero - l’aggettivo laico sarebbe pleonastico - fino ad avere fondato una ‘Società Amici del Pensiero’, cui mi onoro di appartenere. (3)
Vero che i lavori di Sinisi, Weiler e Contri sono molto diversi tra loro. A me piace affiancarli perché tutti e tre portano un benefico scompiglio nel catechismo cattolico tradizionale, o almeno nella sua vulgata. Secondo quest’ultima, Abramo conosce solo la lingua dell’obbedienza, dall’inizio alla fine, senza cesure, tanto che il compimento della promessa sembra arridergli… come per incanto! Niente di più lontano dal succo del racconto biblico: impossibile che il Dio dei Padri desideri il figlicidio, neppure come attestato della fede del proprio servo, anzi alleato. Chissà che non si riesca a riabilitare un poco la figura di Abramo dall’abisso di mistica insensatezza in cui l’aveva precipitato Kierkegaard in Timore e tremore (1843).

IL TESTO DI SINISI: BREVE RIASSUNTO E COMMENTO
Riassumerò brevemente il secondo capitolo (Abramo e Isacco) del testo di Sinisi, quindi proporrò qualche mia nota.
Abramo ama fissare il cielo stellato della Palestina. Dopo decenni di amare delusioni, deve sembrargli ben strano il pronostico di quel loro ospite: “Tra meno di un anno avrete un figlio”. Infatti, egli non gradisce il riso di Sara, anzi la rimprovera. Di lì a poco il piccolo Isacco cresce allietando la loro casa - ai tempi, una tenda - anche se ad Abramo resta, strisciante, l’impressione che il fulcro di quella gioia possa essergli tolto da un momento all’altro.
Iddio torna a parlargli: “Sacrifica tuo figlio.” E il pensiero di Abramo si ferma, come accade sempre in presenza di un paradosso: “Cos’è che mi sconcerta in questo comando? Può Dio amare e avere il diritto di chiedere questo atto folle?”
Dio non ha modo nelle sue richieste, la sua cifra è l’impossibile. Perciò Abramo non discute con Lui né si confida con Sara, anzi è attento a non svegliarla mentre va a chiamare Isacco. Il quale, ovviamente, si fida ciecamente di suo padre e lo segue. Sinisi riflette su questa facilità nell’ottenere l’obbedienza fintantoché un figlio è piccolo e stravede per il genitore. I due camminano fianco a fianco per tre giorni e tre notti. Sono quasi arrivati quando il padre, guardandolo ammirato, gli dice che lo trova assai somigliante a Sara, quando era ancora giovane e bella.
Siamo al culmine: intuendo di che si tratta, Isacco rimane sospeso, vittima sacrificale, e Abramo ne è sorpreso e impaurito a sua volta: “Io, che ho detto sì tutta la vita, adesso sono spaventato dal sì di mio figlio, e tutti i miei sì scompaiono davanti al suo.” Sta per scannarlo, quand’ecco che “quella voce irrompe, ancora una volta”, giusto in tempo per fermargli la mano assassina. Al che il figlio… ride, proprio come aveva riso sua madre molti anni prima, prende il padre per mano e lo porta via “come si fa con un bambino”.
Ora il commento. Mi piace moltissimo che Sinisi ci presenti Abramo abituato a fissare il cielo stellato, che certo gli ricorda la reiterata promessa di Javhè: una discendenza numerosa come le stelle del firmamento (Genesi, 15: 5). Ciò che qui rileva è la novità contenuta in quel passo, e che Sinisi ha ben compreso: le stelle sono metafora della progenie e del futuro, anziché dei propri avi, come accadeva invece in altre religioni (ricordate la notte di preghiera del giovane Re Leone?) Ecco una vera rivoluzione: di solito non vi si fa caso.
Sara, ragazza bellissima ma sterile, come molte altre donne veterotestamentarie, aveva proposto al marito di unirsi alla serva Agar, dalla quale nacque Ismaele. Quanto allo stupore per la notizia dell’imminente gravidanza, si sarà chiesta: come può essere opera del Signore? Ad ogni modo, Abramo confessa di avere gioito nel vedere crescere il piccolo Isacco: ‘furono anni belli, brevi e stupendi’. Una gioia che può averlo indotto a trascurare il rapporto con la moglie, come talvolta accade.
Forse Abramo ha qualcosa da farsi perdonare da Sara. Sta di fatto che non le dice una parola dell’assurdo ‘sacrificio’: certamente la moglie si sarebbe opposta! Dopo tanto lavoro, come può questo piega-la-testa del marito toglierle di punto in bianco la compagnia dell’unico figlio? Sarebbe stata, la sua, una reazione normale, molti secoli prima di una Jane Austen o di Emily Dickinson o di altre donne della storia moderna. Facendo tutto da solo, Abramo opera contro il coniugio.
Qui Sinisi introduce un elemento interessantissimo: la paura di Abramo di “sentirsi dire quello che ogni padre teme di sentirsi dire”. Ancor prima di ricevere l’assurdo ordine, egli teme di perdere il figlio. Dopo Freud, sappiamo che la minaccia della perdita della persona amata, o meglio del suo amore, coincide con la comparsa dell’angoscia. (4) Nella sua cattiva coscienza, Abramo sa che pretenderebbe il possesso esclusivo del figlio e non può evitare di avvertire in sé stesso il proposito figlicida.
Ricordo il caso di quel matricida che, a sua discolpa, mi disse che, vedendo aperto il cassetto del tavolo della cucina con i coltelli in bella mostra, aveva udito la voce di Dio che gli comandava di pugnalare la madre. La proiezione non è mai del tutto in buona fede: resta istruttivo il caso di Norman Bates in Psycho (Hitchcock, 1960).
Ed ora una nota ancor più inquietante. Al termine del loro cammino, Abramo sussurra al figlio: “Quando aveva la tua età, tua madre era bellissima!” Non è senza significato che gli venga in mente proprio in quel momento. Nel figlio che sta per immolare, il patriarca rivede Sara ancora giovane. Non mi giudichi male il lettore digiuno di psicoanalisi, ma qui Abramo fa coming out, come si dice oggi. Oppure non riesce a superare l’odio nei confronti della moglie, bellissima ma sterile! Abramo aveva già generato Ismaele, anche se l’aveva allontanato su richiesta della moglie, ma per Sara Isacco era davvero l’unico figlio. Nel testo biblico ella morirà di lì a poco, non riuscendo a riprendersi dallo scampato pericolo.
E Isacco? Al ritorno (Genesi 22; 19) non è più accanto ad Abramo. Sinisi ce lo raffigura capace di un singolare gesto di tenerezza: grazie a Dio (!), suo padre è rinsavito appena in tempo! Immaginando la vicenda narrata in romanesco - alla Gigi Proietti, per intenderci - Isacco non si sarebbe risparmiato un: “Pa’, che stai a fa’?” (o peggio).

JOSEPH WEILER E GIACOMO CONTRI INTERVENGONO SU ABRAMO
Le citazioni che seguono sono tratte dalle lezioni di Weiler al Meeting nel 2010 e nel 2015, e dal blog Think! di Contri. (5)
1) Anzitutto, per Weiler quello tra Abramo e Sara è un matrimonio senza amore: “Abramo non ha mai amato Sara, non ha mai avuto una passione per Sara. Lei ha sofferto e lui ha sofferto. Proprio lui, che ha superato tante prove, non ha superato quella del matrimonio, dal punto di vista affettivo. Questo è sorprendente, a conferma che la Bibbia non è una telenovela, non cerca di rendere bello quello che non lo è, è molto rude e cruda.” Perciò, la ragione per cui Sara non può concepire va cercata nei loro problemi coniugali. “Abramo si arrabbia con lei, perché capisce che lei ride di lui (…) pensandolo impotente; invece lui non provava desiderio per lei, e perciò non facevano l’amore.”
Non solo. Weiler ricorda come, alla morte della moglie, Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla. (Gen. 23;2) Infatti “lui non viveva con lei (…) cioè viveva altrove.” Il testo biblico dice: “Sara viveva a Kiriat-Arbà, cioè Ebron, nella terra di Canaan”. Pochi versetti prima, leggiamo che Abramo “aveva fissato la sua dimora a Bersabea” (Gen: 22; 19). Tra le due città vi sono all’incirca 60 chilometri.
Infine, Weiler ricorda come “appena lei muore, lui si risposa e ha altri figli. Il Talmud, che come la Bibbia è senza pietà, dice che Chetura [la nuova moglie di Abramo, ndr] è l’altro nome di Agar. Appena la moglie se ne va, Abramo va a sposare il suo vero amore, che è l’egiziana Agar e ha sei figli con lei.” È qualcosa che fa pensare.

2) Prima del sacrificio, Abramo ha avuto tempo per riflettere. “Da una parte, quando Dio gli dice che intende distruggere Sodoma e Gomorra, “Abramo, coraggioso, protesta e dice: “Non è possibile! Tu, Dio della giustizia, vai a distruggere gli innocenti insieme ai colpevoli? Il giudice di tutta la terra (…) Basta un innocente, e non puoi farlo”. Ma quando Dio gli dice: “Vai ad uccidere il tuo proprio figlio”, lui zitto. Sembra quasi non sia la stessa persona. (…) Abramo poteva dire a Dio: “Uccidi me e non mio figlio, anche perché mio figlio è il destino del popolo”. Ma poteva anche dire un'altra cosa: “Tu, Dio, mi hai promesso che in questo figlio è la discendenza: Isacco è la tua parte dell’alleanza”.
In sintesi, per Weiler anche Abramo ha messo alla prova Dio: perciò “da questa storia escono due vincitori”. La natura dell’alleanza risiede in questa reciprocità.

3) Anche Contri osserva che “non è accaduto che Abramo obiettasse a Dio che non era il caso: è proprio ciò che Abramo ha fatto in un altro episodio, quello in cui Dio gli confidava di volere distruggere Sodoma.” Ma “l’episodio del sacrificio di Isacco interessa per il suo finale, cioè la proibizione del sacrificio: il Signore implicitamente rimprovera Abramo (che non loda affatto per la sua “obbedienza”, se non nel secondo tempo) per non avere preso la stessa posizione lui stesso…” (Think!, 4 febbraio 2008) Un giudizio assai severo, dunque.
Nell’articolo L’obbedienza alla tentazione di Abramo (1° dicembre 2014), Contri inserisce una critica a Lacan, che aveva preso in considerazione il caso del dio ingannatore, tanto caro ai filosofi: “J. Lacan ha detto Si Dieu mentait, ce qu’il nous dirait serait la vérité. [Se Dio mentisse, quel che ci direbbe sarebbe la verità, ndr]. Sbagliava. Con il pensiero (“di natura”) lo capirei e non sarebbe la verità.”
Trovo che questa sia la migliore formulazione della correzione del pensiero patriarcale, un pensiero che occorreva emendare. Abramo, dopo un primo cedimento, si lascia correggere, il che lo rende un personaggio prezioso ancora oggi. (6)
Penso agli esempi che incontro quotidianamente nella mia pratica del divano: vi sono padri - e anche madri, a dire il vero - che deridono e umiliano volutamente i loro figli, senza tuttavia sfiorarli con un dito. Contri usa l’espressione: mettere le frasi addosso a qualcuno. È proprio così. Ed è ciò da cui guarì Abramo, forte della rinnovata alleanza con Javhè.
L’episodio non restò però senza conseguenze per Isacco: lo vedremo nel prossimo articolo, a proposito di come si condusse con Esaù e Giacobbe.


NOTE
1. Padre e figlio, Rimini 23 agosto 2017. Riporterò tra virgolette alcune frasi tratte dal testo di F. Sinisi. Mi ricollego al mio articolo del gennaio scorso: Quale futuro per Caino? Una nota su "Padre e figlio" di Fabrizio Sinisi: https://www.culturacattolica.it/educazione/father-son/quale-futuro-per-caino-una-nota-su-padre-e-figlio-di-fabrizio-sinisi.
2. Joseph Halevi Horowitz Weiler è Professore alla New York University School of Law e Co-direttore del Jean Monnet Centre for International Economic Law & Justice. Dal 2013 al 2016 è stato Presidente dell’Istituto Universitario Europeo (IUE), Firenze.
3. Ad Abramo, Giacomo Contri ha dedicato non pochi articoli, soprattutto sul suo blog "Think!”. Sono tutti consultabili in https://www.operaomniagiacomocontri.it/. Tra questi, segnalo soprattutto:
https://www.operaomniagiacomocontri.it/lobbedienza-alla-tentazione-di-abramo/
4. Cfr G.B. Contri, L’angoscia fa l’amore, Think!, 20 marzo 2017: https://www.operaomniagiacomocontri.it/langoscia-fa-lamore/
Il tema è stato introdotto da Freud in Inibizione, sintomo e angoscia (1925). OSF, vol X, pagg 233-317.
5. Chi fosse interessato può leggere le trascrizioni, non riviste dal relatore, delle lezioni da cui ho tratto i brani citati:
https://www.meetingrimini.org/default.asp?id=673&item=5092 (2010)
https://www.meetingrimini.org/detail.asp?c=1&p=6&id=6360&key=3&pfix (2015)
6. Nel suo libro Il figlicidio (Astrolabio, 1974) lo psicoanalista argentino A. Rascovsky svolge un’importante ricerca intorno a questo tema, dall’antichità ai nostri giorni. Le sue conclusioni non sono le mie, tuttavia non gli si può dare torto quando denuncia a questo riguardo una specie di negazione universale, cui sono da ricondurre persino i motivi “inconsci” dei conflitti armati. L’idealizzazione patriottica, infatti, può rivelarsi una tecnica paranoica: “La guerra è un buon affare, ci si investe il proprio figlio.” Inquietante, ma vero. C’è dell’altro: a onor del vero, mi ha sorpreso che l’autore non menzioni in alcun modo l’incredibile diffusione che ha ancora oggi l’orribile pratica dell’infibulazione, anch’essa riconducibile al figlicidio, ai danni della figlia anziché del figlio.