L’anoressia-bulimia è una dittatura mentale e fisica...

Autore:
Turroni, Paola
Fonte:
CulturaCattolica.it

Per parlare di anoressia-bulimia bisogna spalancare gli occhi, senza pregiudizi, senza scorciatoie psicologiche e senza timore di essere spietati con chi ne parla. Per cominciare da come viene definita, “disordine alimentare”, come se il disordine fosse nel cibo e non altrove. Un “disordine” alimentare diventa risolvibile con un aggiustamento-ordinamento, una dieta e una flebo. Ma nell’anoressia-bulimia il numero è un elemento fondamentale di resistenza, quanto pesi quanto misuri quante cose mangi. Una bilancia non basta, ti pesi a casa tua, a casa degli amici e in tre farmacie diverse, poi dai credito al numero più alto per mangiare una cosa in meno domani. La cosiddetta “abbuffata” può scatenarsi dopo uno sgarro numerico, dovevi mangiare un biscotto solo, un biscotto solo, se ne mangi mezzo in più ti sei tradito e li mangi tutti. Parlare di peso con la persona ammalata, portarla in ospedale a riempire tabelle di numeri, diventa parte integrante al sostentamento della malattia. La persona ammalata rifiuta di essere caduta in un “disordine”, perché quello che fa è il tentativo di far ordine in un disordine preesistente. Il cibo è solo uno strumento. È strada inutile, faticosa, quando non peggiorativa, la cura medica, alimentare, del problema. È la via immediata, la più semplice, la più deresponsabilizzante, ma non serve a niente. Al massimo tampona, proroga, a fasi alterne e mai fino in fondo. Bisogna fare in modo che cambi lo strumento. Che si intervenga su di sé e nelle relazioni con gli altri con un altro strumento. Perché parenti e amici intorno prendano un’altra strada bisogna che abbiano coraggio e pazienza. Ci vuole amore ostinato, contro ogni logica, contro ogni no, dentro ogni vuoto. Per molto tempo si amerà senza vedere segni, bisogna continuare ad amare anche mentre la persona dimagrisce, anche mentre vomita, e sembra che non serva a niente. Bisogna dare fiducia a una persona che tradisce le promesse e fa cose di nascosto. Nel tempo necessario a dare questa fiducia bisogna cercare di capire. Non solo capire la persona ammalata, ma capire se stessi, imparare da zero la relazione. Questa malattia più di altre è una modalità, azione su di sé e nel mondo, quindi per ognuno ha una storia, una motivazione e una necessità differente. Parlarne evitando i luoghi comuni è fondamentale, anche se è difficile perché la medicina ha bisogno di definire il campo d’intervento. Le categorie possono aiutare a costruire il modello cui riferire i gesti quotidiani della malattia, quella gabbia in cui la persona malata si divincola, e lo farà fino alla morte se non imparerà con le sue mani ad aprire la porta. Perché è una gabbia che si può aprire solo dall’interno, questa è un’altra consapevolezza necessaria per dare la fiducia. Anche se c’è, o c’è stata, una colpa esterna molto forte, il processo messo in atto attraverso il cibo nel corpo, non è una condanna. Non è una condanna. È una ricerca violenta di sé, di recupero o di costruzione di sé. È un’arma disperata che si è appresa inconsapevolmente, attraverso l’apprendimento della regolamentazione dei rapporti, che sono tutti, dal concepimento alla morte, legati al corpo. Togliere, fare vuoto, imporre il niente. Non sono gesti sacrificali, sono varchi, domande. Bisogna centrare il discorso sul corpo e non sul cibo, il corpo inteso come rapporto con la vita e relazione. Il corpo inteso come madre e padre. La madre fa il corpo del figlio, quindi il suo linguaggio, il padre da esterno è elemento di equilibrio, quindi fa il suo pensiero. La madre e il padre sono anche archetipi che si riversano in altri luoghi della vita, come la scuola, la città, il lavoro, la creazione, la fruizione. Non si dimentichi l’influenza della nostra imperante società dell’immagine, del corpo come immagine. Che collabora, ma non ne é la causa. Anche qui non si semplifichi, non si vuole dimagrire per essere semplicemente magri, ma per avere le misure della modella, essere ciò che quelle misure comunicano. Il corpo mostrato non ha un respiro un odore un sesso, è un linguaggio. Per questo sono fondamentali interventi come l’analisi, che lavorano sul linguaggio. Capire, lo ripeto, le parole con cui si chiama la propria vita, le parole con cui la si è sentita definire o rifiutare, le parole con cui il corpo è voluto, visto, toccato. Rifare la tara alle bilance dei significati e dei valori. Nell’educazione al linguaggio, allo sguardo, alla relazione, sta l’unica guarigione possibile. L’anoressia-bulimia è una dittatura mentale e fisica per reagire al disordine personale e collettivo, e come in ogni dittatura si muore.