Per capire quanto accade in Russia e in Ucraina

Padre Michail C’erenko, professore universitario ucraino, greco-cattolico intervistato dal sociologo russo Roman Lunkin. [29 aprile 2015]
Fonte:
CulturaCattolica.it
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D. Come giudica lei i rapporti attuali fra gli ecclesiastici russi e quelli ucraini: i conflitti sono gravi, come può essere l’aiuto vicendevole, come vede le prospettive?

R. Non esistono rapporti. E questo è meglio, perché lo choc traumatico è così forte che ci vuole tempo per poter rientrare in se stessi. I leader spirituali ucraini dicono apertamente che non sentono più nessuna “fraternità” con i russi. L’aiuto delle Chiese russe ai “Nuovi russi” suscita non meno distacco delle “scorte umanitarie” di Putin. Le prospettive si possono aprire attraverso la penitenza per il sostegno della guerra contro l’Ucraina, non altrimenti.

D. Le dichiarazioni e le azioni delle Chiese (ortodosse e protestanti) in Russia, quanto sono condizionate dalla posizione de potere, quanto dipendono dalla politica dello stato? Quali azioni concrete e dichiarazioni si possono fare, per esempio?

R. Qualsiasi dichiarazione delle confessioni principali della Russia riflette la linea principale del Cremlino. I russi si riconoscono nel fatto di aver ricevuto una proibizione severa ad un libero giudizio sulla situazione che riguarda l’Ucraina. Se nelle dichiarazioni della Chiesa Ortodossa di Mosca questo è coperto da una retorica religiosa nei documenti delle chiese protestanti si possono trovare delle citazioni dirette di Putin. Le Chiese ucraine riunite nel “Consilio di tutte le chiese ucraine e delle associazioni religiose” hanno una propria visione della situazione e conservano il diritto all’indipendenza nelle dichiarazioni, compreso il diritto di contraddire e criticare il potere.

D. Sono mutate le posizioni della COR di Mosca, della Chiesa ortodossa Ucraina, del Patriarcato di Mosca durante gli anni 2014-2015, in rapporto alla crisi russo-ucraina e alla guerra nell’Oriente ucraino e in rapporto con i rappresentanti del potere, rispetto al futuro dell’Ucraina?

R. Si può notare una certa tendenza ad allontanarsi leggermente da una posizione “spirituale” verso una posizione solidale con la politica. Già dalla primavera del 2014 sia la COR di Mosca come la COR ucraina di badare con sguardo reticente ala politica russa, ma in seguito questo sguardo divenne giustificato e consacrato. Il silenzio ambiguo del Patriarca Kirill e la chiusura del metropolita Onufrij si sono mostrati come facessero parte di una strategia per coinvolgere la Chiesa nella politica estera russa. Ora nessuno dubita che queste chiese siano unite e la loro dipendenza dal Cremlino. Tutte le dichiarazioni sia della COR russa che ucraina sono state critiche nel confronto del potere ucraino e mai posero in dubbio le posizioni del potere russo.

D. Tenendo conto del ruolo dell’Ortodossia in Ucraina e nel Consiglio di tutte le chiese ucraine, si è notato il ruolo politico delle chiese nel corso di tutta la crisi ed anche attualmente (non solo a Majdan) ed ottennero le chiese un influsso sulla società e nei circoli del potere? Si può considerare una grazia dello stato il fatto che furono prese delle decisioni che erano state sabotate sotto il governo di Jakunovic’ (sull’istruzione religiosa, sulla scuola, sulle concessioni fiscali, sui sacerdoti nell’esercito)?

R. La Chiesa è stata un sostegno nel momento critico dello stato ucraino. Ma parlare di gratitudine da parte del nuovo potere, non è il caso; hanno luogo una sintonia, speranze vicendevoli. Però soggetto fondamentale dei rapporti con le confessioni non è stato il governo, ma la società. Essa poi influisce sul governo anche nelle decisioni favorevoli alla Chiesa; tanto quanto sono utili alla società Chiesa. Del resto è evidente che mai come oggi nel potere sono presenti molti cristiani convinti delle varie confessioni, ma non si possono considerare come rappresentanti degli interessi confessionali; al potere li ha portati la società, non la Chiesa.

D. Che cosa desidera il potere dalle chiese e, prima di tutto dall’Ortodossia? E che cosa è utile ad una società frammentata, per l’unità e l’integrità dell’Ucraina (occidentale e orientale, di quelli che parlano la lingua russa e di quelli che parlano soltanto, o quasi soltanto, la lingua ucraina)?

R. Le autorità ucraine, come il popolo, desiderano dalla ortodossia la fedeltà alla propria vocazione spirituale in tutto il territorio, cioè a quelli che vivono qui, ma non a quelli che prestano servizio spirituale a centri spirituali e politici oltre il confine. Per il momento ha luogo un centralismo non attorno a Kiev, ma attorno a Mosca.
Se la COR di Mosca sostenesse veramente l’unità del paese e condannasse il separatismo, essa potrebbe diventare l’inizio di una pacificazione nazionale. Ma questo momento è tramontato e le speranze di ridare autorità praticamente non ci sono. La COR di Mosca è sempre più considerata come anti-ucraina e non fa nulla perché si possa cambiare questo rapporto. Purtroppo alla maggioranza appare più importante restare restare per la Russia e non per l’Ucraina, oppure non essere pienamente ucraini e restare non antirussi.

D. Fino a che punto e perché le chiese russe, secondo lei, sono soggette all’influsso del Cremlino e alla posizione di Putin, alla propaganda della stampa? Si può forse pretendere dai leader religiosi della Russia di assumere di fatto una posizione contraria?

R. Le Chiese russe dimostrano una piena dipendenza dal Cremlino, non solo in forza della propaganda, ma in forza di una parentela storica e teologica con il potere imperiale. Senza conoscere tutte le circostanze (fra le quali la pressione e la paura) fra le quali sono tenute a svolgere il proprio ministero, non possiamo pretendere uno spirito di opposizione. Ma in ogni circostanza dalla Chiesa e dai suoi rappresentanti ci si aspetta una indipendenza, una fedeltà al suo Capo. Se non sono possibili “espressioni contrarie” (sebbene mi sia difficile immaginare questa cosa), nonostante tutto non vale la pena mentire e permettersi delle espressioni servilistiche, anti evangeliche.

D. Che importanza ha, nei rapporti fra Ucraina e Russia, la posizione del Patriarca Kirill e del metropolita Onufrij? Loro si intromettono in politica, e in che modo?

R. Non ci sono più intrighi; l’interesse alle persone e ai rappresentanti della COR, sia russa che ucraina è perso. Se prima esistevano delle congetture sul loro gioco indipendente, ora essi sono considerati complici dell’aggressione anti ucraina L’apparente politica di compromissione dei gerarchi aveva luogo all’inizio della guerra. Oggi essi all’unisono si dichiarano, non per l’unica Ucraina, ma per l’unità dell’ortodossia e del popolo russo; per le repressioni contro l’ortodossia “canonica” e i piani del secolarismo “corruttore”, ma soprattutto per l’Occidente pericoloso e perfido. Purtroppo, ci rincresce molto, la COR di Mosca e dell’Ucraina si sono mostrate una Chiesa inconsistente come chiesa, come fosse un altro soggetto di rapporti con lo stato e la società.

D. Le persecuzioni dei cristiani delle varie confessioni furono un fatto nella zona dei conflitti bellici e in altre regioni dell’Ucraina. Quanto, da parte vostra e della società, si riconosce come problema nazionale e civile l’odio nei confronti delle sette nei territori dove si combatte, e l’odio di alcuni nazionalisti nei confronti della Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Mosca?

R. Tutti hanno sentito parlare della “Armata ortodossa russa” nel Donbass, ma nessuno ha mai sentito parlare dell’armata contro l’ortodossia dell’Ucraina. L’ortodossia della Chiesa russa Ortodossa e della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca, che non si affretta ad isolarsi dai propri simulacri, suscita una irritazione meritata da parte della società ucraina, ma questa non giunge all’odio ed ad una discriminazione sistematica. La società ucraina e lo stato vogliono considerare la Chiesa ortodossa accanto alle altre confessioni ucraine, mentre i militari DNR e LKNR, come pure gli ideologi “del mondo russo” vogliono considerare soltanto una Ortodossia, soltanto una, soltanto quella del Patriarcato di Mosca, come ideale. Come si dice, la c’è la differenza.

D. La retorica della predicazione, la teologia hanno cambiato la concezione del mondo negli anni 2014-2015. Quali sono i principi più chiari e fondamentali, dal suo punto di vista, della “teologia del Majdan” capaci di separare la Chiesa dalla responsabilità per la sorte della società e della “teologia della nuova missione”, come pure della nuova strategia sociale e missionaria nella situazione che si è creata (la scissione della società, l’esplosione del patriottismo, i rifugiati, lo sfacelo della zona ATO ecc.)?

R. L’ortodossia del Majdan non è mutata nei suoi dogmi fondamentali, per questo è difficile parlare di nuovi chiari principi, piuttosto si può parlare di accenti fondamentali della nuova situazione. Anzitutto è evidente l’aspetto della solidarietà con il popolo (non con lo stato oppure con partiti concreti) nella situazione di difficoltà. Questo non è uno sfogo di patriottismo, non è una forma compiacente, populistica, ma una forma autocritica espiatoria di solidarietà. Secondo: la tensione notata (trend?) diventa un ecumenismo pratico di confessioni nazionali solidali: greco-cattolici, ortodossi del Patriarcato di Kiev, protestanti. Una tale alleanza, prima del Majdan, non era neppure pensabile. Terzo: viene superato il provincialismo ucraino; si fa strada la comprensione che né “il mondo russo” con la COR del Patriarcato di Mosca, né l’Europa con il suo secolarismo, possono essere un punto di orientamento. La scelta in favore per l’Europa non presuppone l’entrata benevola e tranquilla nella casa comune, ma la lotta comune per la rinascita dei valori cristiani. Anche all’Ucraina, essendo un paese profondamente cristiano, spetta di giocare un ruolo in questi processi. Quarto: nelle condizioni di guerra fredda, prende forza il problema della pacificazione teologica, fra i leader cristiani nel campo della pacificazione nazionale.

D. Quali sono le differenze delle strategie teologiche e missionarie che esistono fra le Chiese ortodosse, (della Chiesa greco-cattolica) e pastorali negli anni 2014-1015? Esistono veri accenti della “teologia di Majdan” fra le varie Chiese, e quali sono questi accenti?

R. Non esistono differenze sostanziali, semplicemente ogni confessione opera nell’ambito delle proprie tradizioni e possibilità. Per esempio i protestanti, per i quali sembrava essere importante un lavoro sociale di base, ora sono impegnati attivamente con gli espatriati e i soldati; vanno in massa a fare i volontari e i cappellani. Gli ortodossi ucraini del Patriarcato di Kiev e i greco-cattolici lavorano più attivamente con il potere, con la stampa e con le sfere culturali ed educative. La loro parola è autorevole per se stessa. I protestanti normalmente acquistano rispetto in moltissime opere. Naturalmente qui si tratta non soltanto di differente strategia, ma della diversa potenzialità sociale, intellettuale, politica. D’altra parte non si può parlare di concorrenza nelle diverse sfere di lavoro supplementare o di riparazione; c’è lavoro per tutti.

D. D’altra parte la COR del Patriarcato di Mosca è la confessione più forte dell’Ucraina; quanto la sua attenzione esprime il desiderio di conservare l’unità della Ucraina?

R. Lo stato della COR di Mosca come la confessione più forte non è più fuori dubbio. Le richieste più recenti dimostrano che una grande parte degli ucraini è legata al Patriarcato di Kiev piuttosto e a quello di Mosca, il 44% contro il 21% (sono i dati comuni delle inchieste del Centro internazionale delle ricerche prospettiche e del Fondo “Iniziative democratiche” pubblicate il 9 aprile 2015). Certamente questi dati devono essere verificati e confermati da altre ricerche. D’altra parte la COR di Mosca simbolicamente, indipendentemente dalla diverse cifre, oggi resta la prima delle confessioni. Non si tratta del peso politico, ma appunto del peso simbolico: la COR di Mosca è rimasta parte dell’identità ucraina, più ampia che etnica o linguistico-ucraina. E questa ampiezza deve essere non soltanto il fondamento di una preoccupazione (per non perdere una parte dei propri parrocchiani) ma il fondamento di una certezza (uniamo questi e quelli come cittadini dell’Ucraina, proprio come ucraini). Questa certezza potrebbe rafforzare l’autocefalia. Senza autocefalia la Chiesa ucraina, sarà sempre considerata come una parte di un’altra struttura religioso-politica. Cosicché senza la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca, la confessione ucraina pluriforme perderebbe molto, ma senza l’autocefalia la chiesa Ucraina Ortodossa perderebbe se stessa.

D. L’identità di una parte degli ucraini (in Oriente) è complessa e, a questo proposito, è forse possibile l’integrazione della cultura ucraina e russo-linguistica nell’Europa (all’interno della Ucraina) oppure l’Ucraina deve liberarsi di essa?

R. La parte russo-linguistica della popolazione e la parte russo-linguistica della cultura sono molto importanti per la stabilità della Ucraina. Essa non regge nella reciproca opposizione di queste parti. Altra questione è che il primo titolo simbolico deve essere l’unità dell’Ucraina. Inoltre questo non vale soltanto per l’Oriente, ma anche per il Centro e l’Occidente del paese. Quindi, per l’Ucraina, il problema della coesistenza delle lingue, delle etnie e delle culture è un problema di vita e una modalità dello sviluppo. Se la cultura locale di lingua verrà unita a quella ucraina, essa non ostacolerà lo sviluppo della cultura linguistica ucraina. Inoltre se la cultura russo-linguistica dell’Ucraina si svilupperà nel dialogo con la cultura ucraino-linguistica locale e con la cultura europea, essa sarà attraente per i russi per la sua peculiarità, cioè per il suo spirito aperto, democratico, pluralistico, in altre parole per la sua libertà. Allora Kiev diventerà di nuovo madre delle città russe, non tanto da un punto di vista politico, ma piuttosto come capitale culturale e spirituale.

D. Che cosa significa in questo caso la centralità ucraina? Non sarebbe più semplice appartenere alla cultura russa in Ucraina, svilupparla, (senza glorificare Mazepa, per esempio), e considerare Golodomor (i morti di fame in Ucraina) come una comune disgrazia e non soltanto come il genocidio del popolo ucraino?

R. Certamente il centrismo ucraino presuppone non soltanto l’orientamento verso il contesto ucraino, ma l’accordo con esso e perfino la sottomissione ad esso, ma insieme una certa conflittualità, tensione, una complessa dinamica di rapporti di identificazione e di allontanamento. Per esempio, si può non esaltare Mazepa come eroe personale, ma non si può non riconoscerlo come eroe nazionale del paese in cui vivi, e nello stesso tempo riservargli un necessario tributo di rispetto. Si può non riconoscere Golodomor come disgrazia esclusiva dell’Ucraina mostrando un più ampio territorio aperto a tutta l’Unione Sovietica di ciò che è accaduto, ma non si può non riconoscere la fame volutamente creata nell’Ucraina, una fame senza precedenti per brutalità e motivata nazionalmente (i morti fatti morire dal governo sovietico, sottraendo loro ogni elemento nutritivo).