Prades – Uminskij: realtà e finzione della fede

Il 26 febbraio 2013 nel Centro “Biblioteca dello Spirito” di Mosca hanno parlato sul tema “Fede e non fede” padre Aleksandr Uminskij, sacerdote ortodosso di Mosca, e padre Javier Prades, sacerdote cattolico di Madrid
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Prades: Negli ultimi anni la parola “crisi” appare frequentemente sulla stampa europea e in particolare spagnola. Si tratta della crisi economica, sociale e politica.
Si tratta soprattutto di mancanza di fiducia nella propria esperienza di vita. Si mette in dubbio la capacità di comprendere se stessi, il mondo che ci circonda e Dio. Porto un esempio. Un mio amico si preparava ad assistere ad un matrimonio in California. Il futuro sposo si confida con lui dicendo di essere sereno perché gli psicologhi hanno garantito che il loro matrimonio ha prospettive buone. Ma i futuri sposi che ne pensano? Si fidano degli psicologhi. Ciò indica l’incapacità dell’uomo di parlare in prima persona: chi sono io, che cosa mi circonda, che cosa conosco del mondo? Mi sembra che proprio a questo livello si trovi la causa principale della crisi nell’Europa occidentale. Influisce questa crisi sul lavoro dell’uomo, sulla sua capacità di amare, di creare dei rapporti con altre persone, di determinare il proprio tempo libero, e naturalmente, in qualche modo di rendersi conto dei propri rapporti con Dio? La prima responsabilità che noi portiamo nella vita ecclesiale è di imparare a comprendere questi problemi e cercare di risolverli.

Uminskij: Padre Javier nel suo esempio molto bello ha mostrato in che consiste la crisi, ma mi sembra che il problema della fede e della non fede è legato ad altre cose … L’Apostolo Paolo dice che la fede è la fiducia in cose invisibili. “La fiducia” e “la fede” sono parole che hanno la stessa radice e nel corso dei secoli la fede era trasmessa come un certa fiducia. Fiducia nelle convinzioni, nelle tradizioni, nei dogmiincrollabili.
In certo momento questa fiducia si indebolì, fu distrutta, venne meno e si sprigionò l’immenso diluvio dell’ateismo, il quale pure, almeno nel nostro paese , negli ultimi cento anni, si trasmetteva come una fiducia. Le generazioni vissute nell’Unione Sovietica furono educate in tradizioni che consegnavano la non fede come una fiducia. In questo senso la tradizione cristiana della fiducia e la tradizione ateistica della fiducia si mostrarono molto simili, ed oggi ambedue si trovano in una situazione inconsistente; l’una e l’altra hanno perso la fiducia.
Per questo i filosofi moderni chiamano questo mondo post-secolare, cioè un mondo che non ha neppure la fede che Dio non esiste. E in questa crisi la persona crea una pseudoreligione, uno spazio-quasi illimitato, cerca un’ideologia. Non ha importanza che si tratti di una ideologia di protesta oppure pseudopatriottica, ma oggi vediamo in Russia il manifestarsi di varie pseudofedi: credo che nel nostro paese tutto andrà bene, oppure che tutto andrà a posto se cambiamo il governo.
Kierkegaard dice che la fede è un beato timore. L’uomo d’oggi non vuole questo timore, lui vuole una precisa determinazione: tu con chi sei, da che parte stai? Mi sembra che questo sia uno dei problemi principali anche all’interno della Ciesa. E’ normale vivere nella fiducia. Ma questo viene infranto dai cambiamenti sociali, dal comportamento dell’uomo verso l’uomo e dal comportamento all’interno dello stato, mentre la Chiesa strutturalmente combatte per la fiducia nella sua posizione, compreso il suo rapporto con lo stato.
Le persone che giungono in chiesa pure cercano una fiducia, per questo all’interno della chiesa creano i loro circoli ideologici, la loro piattaforma ideologica. Normalmente questa piattaforma ideologica non ha nulla in comune con la fede di cui parla Kierkegaard. La fede non può essere fiducia, essa può essere fiducia nell’invisibile, ma solo quando questo invisibile diventa necessario. Ma io non credo che oggi la gente cerchi l’invisibile. Mi sembra che proprio l’abitudine di cercare il visibile sia un momento dolente di questa crisi.

Nel contesto della fiducia, la responsabilità, se esiste, è ridotta al minimo. La persona fiduciosa di comportarsi sempre bene o che si affida totalmente a certi capi, normalmente non risponde di nulla perché sono altri che rispondono a suo nome: per esempio la chiesa in cui lui è entrato, oppure il partito cui si è iscritto.
Nel nostro paese durante un secolo hanno imparato di non essere responsabili di nulla: al posto di loro è il partito che pensa, oppure il governo. Di conseguenza abbiamo imparato a obbedire: l’obbedienza esiste quando io non penso a nulla, io semplicemente compio alcune direttive. In questo senso mi è tolta la responsabilità, assieme alla libertà, perché in questo caso è del tutto inutile.
Siamo stati educati all’idea che esiste soltanto una libertà, la libertà in Cristo e qualsiasi altra libertà è pericolosa, anzi peccaminosa.
La super-ascesi pone l’uomo in una situazione in cui di fronte a Dio e di fronte alla Chiesa è sempre condannato; l’uomo per se non conta nulla. Questo non è giusto. La Chiesa nei suoi dogmi sull’uomo, per esempio nel Concilio di Calcedonia, dice che il Signore ha assunto in se stesso la pienezza della natura umana, tutti i suoi sentimenti e la libertà umana.
Un giorno durante deicorsi missionari ho iniziato a parlare dei semplici sentimenti umani, della gioia, dell’amore, dell’amicizia, della libertà, e chi mi ascoltava rimase meravigliato. Ma questo solo in Cristo, mi osservarono, altrimenti non va: semplicemente godere non è molto giusto, si può godere soltanto in Cristo. Per questo motivo-risposi io- fra di noi non siamo molto allegri, non sappiamo neppure ridere.
Una volta mi trovai all’estero in una parrocchia. Amici mi accompagnarono alla messa domenicale e mi aspettarono alla porta. Quando uscii dalla chiesa mi interrogarono: “Che cosa è successo nella vostra chiesa?” Io dissi che non era successo nulla. “Ma perché siete tutti così cupi?” e rimasero meravigliati.
Per noi è normale: pregare con tensione, uscire di chiesa con tensione, guardarsi attorno con tensione. Si capisce perché. Nei nostri libri di preghiera leggiamo: “Io sono come il figliol prodigo, peccatore, disperato”; “Io sono come un maiale disteso nello sterco, sono schiavo del peccato” E così in qualsiasi testo che si apre si può leggere di sé.
Allora a chi mi ascoltava dissi: “Ma come imparate a godere in Cristo se non sapete godere come uomini? Come capite che si tratta di amore in Cristo se non sapete che cosa sia l’amore fra voi, come può un giovane amare la fidanzata, il marito la moglie? Come potete essere liberi in Cristo, se voi rinnegate ogni libertà, ne avete paura”.
Questo veramente è un grosso problema per la nostra società. Abbiamo già detto che noi trasmettiamo la fede come una fiducia e la non fede come fiducia e allora normalmente non ci distinguiamo l’uno dall’altro, il credente dal non credente. La gente semplicemente ha una fiducia diversa, ma manca di fede. La libertà considera la fede non come una fiducia, ma come un credito. Se mi affido a Dio e non a istituzioni del tutto esterne, che si sono formate e del cui significato nessuno è in grado di capire …
Perché, per esempio facciamo una cosa invece di un’altra? Non si tratta di una tradizione evangelica, non ha nessun rapporto con la tradizione dei santi Padri. Così’ è successo nel nostro paese negli ultimi 300 anni. La gente, per ogni candeliere spostato è disposta a lottare fino in fono, e se qualcuno non fa così, lo considera una dichiarazione di guerra. Senza spiegazioni. Noi non desideriamo avere una spiegazione e neppure spiegare. L’uomo diventa responsabile soltanto con la fiducia. Se ho fiducia ho responsabilità. Se ho fiducia rispondo dei miei comportamenti.
Mi riferisco di nuovo a Kierkengaard. Egli dice che è difficile fidarsi di Dio se Dio non è amore. Se Dio è ragione o furbizia, un tale dio occorre eliminarlo, entrare con lui in tali rapporti in modo da sapere sempre come dobbiamo comportarci, non fare un passa né a destra, né a sinistra. Soltanto se Dio è amore si può fidarsi di lui. Ma se Dio non è amore in ogni luogo, sempre e in tutto, non può esistere nessun dio.

Prades: Gli ultimi due-tre secoli hanno considerato particolarmente i problemi della libertà. Il problema di comprendere giustamente, che cosa è la libertà e in che modo è possibile realizzarla. “Libertà” è la parola maggiormente ripetuta sulla stampa: libertà di tradizione,libertà di pensiero, la libertà politica, la libertà sociale. Nello stesso tempo la nostra società riconosce che non possiede quasi nessuna libertà.Per questo è molto importante richiamarci alla propria esperienza per comprendere quali siano i momenti della propria vita che si possono chiamare liberi.
Spesso la nostra libertà si manifesta quando possiamo scegliere fra una cosa e l’altra. Indubbiamente anche questo è un aspetto importante, ma quando l’uomo può cambiare lavoro, la casa, la macchina non significa che possiamo crescere nella nostra libertà. Possiamo dire di essere liberi veramente quando troviamo qualche cosa che ci compie. Per questo la miglior espressione della libertà è l’amore. Se la libertà fosse ridotta soltanto alla possibilità di cambiare una cosa con un’altra, l’amore sarebbe in contrasto con la libertà, e la libertà con l’amore. Si potrebbe pensare che l’uomo che ama non è libero, e di conseguenza che l’uomo libero non può amare.
Nella nostra società, io ho presente la Spagna e l’Europa Occidentale, tutti vogliono essere liberi, cioè non avere nessun limite, ma nello stesso tempo vogliono trovare un vero amore, un amore per sempre. E proprio qui incomincia il problema di cui ha parlato padre Aleksej. E’ possibile trovare in questo mondo un amore eterno, un amore per sempre che interessi tutti gli aspetti della vita? Ed ecco proprio qui un’esperienza ecclesiastica può svolgere un grande ruolo, se noi sapremo dimostrare l’interesse della Chiesa per l’uomo, dimostrare che il rapporto con Dio è il rapporto di massima libertà.
Il nostro compito principale sta nel testimoniare la vera libertà, quell’amore che per l’uomo è più caro della propria vita. Per questo la testimonianza suprema della libertà è il martirio. I martiri sono stati le persone più libere, più liberi dei loro boia. Questo è l’esempio più alto della libertà cristiana, libertà che nessun potere può toglierci, neppure il Grande inquisitore.
La Chiesa russa è nota per i suoi nuovi martiri, anche la Chiesa spagnola sa che cosa sia il martirio. Ma l’esempio della libertà suprema che mostrano i martiri ha luogo anche nella vita comune. Questa comunione con il presente e il trasmettere l’esperienza dell’incontro con Dio è ciò che ci rende liberi. Quando noi cristiani comunichiamo alla gente che esiste qualche cosa che è più cara della vita stessa. Di questo si parla nella Sacra Scrittura. In questo consiste la viva tradizione della Chiesa.
Mi sembra che esista veramente questa tradizione di cui parla padre Aleksij. Ogni volta che l’uomo s’incontra con questa tradizione, per lui essa diventa interessante. Lui può rinnegarla perché ogni uomo è colui che sceglie, in lui c’è la possibilità antipatica di scegliere ciò che non gli è utile.
Non possiamo dire che la Chiesa non sappia offrire una vera, autentica libertà. Certo l’esperienza di questa libertà nella comunione con Dio non può essere sostituita dal compiere certe determinate norme. Non perché le norme non rappresentino nessun valore, esse sono di nostro aiuto nel raggiungimento la vera libertà in Cristo.
Quando Dio ci dona la libertà, nessun potere può stare sopra di noi. Perciò il momento che dichiariamo critico, è per noi, nello stesso tempo, una grande possibilità di tramettere l’esperienza dell’amore e della libertà che noi abbiamo raccolto in tutta la nostra vita. Quando incontriamo uomini liberi in forza del proprio amore per Dio, non vediamo delle persone tristi ma dal volto completamente sereno. Ogni uomo desidera di partecipare a questa gioia.

Mi sembra che la trasmissione della fede sia anzitutto tramettere l’esperienza di un vivo incontro con Cristo. La fede si trasmette con la parola, con l’azione e in modo particolare con il proprio essere. I genitori educano i propri figli con il loro esempio. I bambini vengono educati non solo dalle parole e dalle azioni dei propri genitori, ma dal loro modo di vivere. Le persone che incontriamo sul cammino della nostra vita, fanno attenzione a ciò che diciamo, di più a ciò che facciamo, ma soprattutto a ciò che rappresentiamodi noi stessi. E quello che noi rappresentiamo di noi stessi, noi stessi lo possiamo comprendere grazie all’incontro con veri cristiani. Se questi incontri avvengono, siamo lieti di seguire queste persone.
Ricordo un fatto della mia pratica di insegnante. Io insegno teologia. Avevo uno studente che sempre sedeva negli ultimi posti e ,evidentemente a lui non interessava quello che io dicevo. Io cecavo di non far attenzione al suo comportamento, ma una vola venne nel mio studio, fuori orario scolastico, e mi disse che non gli piaceva quello che io dicevo. “Ed io che devo fare?” chiesi. Mi rispose: “Io abitualmente non vado dagli insegnanti. Sono già due anni che vivo una crisi personale e penso di abbandonare il seminario. Ho chiesto aiuto a diverse persone, ma quello che mi dicono non mi aiuta, e neppure quello che dice lei durante le sue lezioni, del resto lei mi è antipatico e anche il suo gruppo non mi piace, in qualche modo asseconda la mia crisi personale. Allora io gli risposi: “Anche tu non mi piaci e mi sei antipatico. Ma quello che ti è successo non ha alcun legame con i nostri rapporti. Tu semplicemente ti sei incontrato con la propria vera vita, tu stesso hai scoperto per te la verità della vita. Ed ora sei tu a portare la responsabilità per quello che proseguirai per la verità che hai trovato. Il Signore ti ha aiutato a vedere la realtà. Probabilmente ti sarà più semplice seguire la verità se diventeremo amici. Sono passati alcuni anni, ora lui è sacerdote e noi siamo amici. Ora non mi è più antipatico e spero di non esserlo io. Ecco un esempio come la fede apre il cammino all’uomo, se lui riconosce la verità nella propria vita. Per questo l’uomo abbandonerà i suoi genitori, fratelli, sorelle, la casa per seguire la verità che ha scoperto.

Uminskij: trasmettere la fede oggi è altrettanto difficile come lo è stato per due mille anni. Se intendiamo di trasmettere veramente la fede! Come ho già detto, noi abbiamo imparato a trasmettere la fiducia. Oggi il Signore ci ha privati di questa possibilità. Perché viviamo in un mondo che rifiuta questo tipo di fede e che non ha trovato fiducia neppure nella non-fede.
Come avviene oggi la catechizzazione? Meno di un tempo, ma come un tempo, un numero abbastanza grande di persone, viene in chiesa per essere battezzato. Che cosa noi trasmettiamo come fondamenti della fede? A che cosa noi li formiamo? Noi fondamentalmente trasmettiamo loro delle forme di fiducia. E’ molto pesante trasmettere loro l’esperienza della preghiera, per questo trasmettiamo forme di preghiera secondo le regole di certi testi. Parlando del digiuno, ancora trasmettiamo una forma esteriore: che cosa si può mangiare nei giorni di digiuno, e che cosa non si può. Normalmente noi trasmettiamo la fede nelle forme meno accettabili: “si può-non si deve”, In questo quadro è facilmente accettabile, ma ad un certo punto, la fede se ne va. Cioè, inizialmente la persona entra in una nuova dimensione e cerca di vivere in modo formale: pregare significa leggere delle preghiere, digiunare, trattenersi dal mangiare certi cibi, frequentare la messa, come diciamo, “sgravarsi da un servizio”. Poi i significati svaniscono e senza significati la vita dell’uomo, dopo qualche anno di pratica, entra in un vicolo chiuso. In realtà il compito principale di oggi è trasmettere dei significati, l’esperienza della vita, come esperienza del suo significato. E fuori dubbio che la migliore testimonianza di Cristo, è sempre stata e sarà sempre e soprattutto la trasmissione della fede. Ma oggi, mi sembra, che a testimoniare deve essere non soltanto la persona del cristiano, ma la testimonianza principale deve essere la stessa Chiesa!
Oggi su noi cristiani, corpo di Cristo, gravita una grande responsabilità: rivivere interiormente la stessa Chiesa. In una conferenza sui santi Padri, un partecipante citò una parte di un’antica anafora della liturgia; “Signore, rendici uomini vivi!”. Nell’antica Chiesa così pregava il sacerdote durante la celebrazione eucaristica.! Queste parole mi hanno colpito.
La Chiesa deve veramente rivivere, smettere di vivere nelle categorie “si può-non si deve”, dobbiamo smettere di aver paura di essere liberi. Oggi discutano molto sulla celebrazione in lingua veteroslava oppure russa, come ristrutturare la Divina Liturgia, conservare o meno le antiche tradizioni. Ma non sono queste le cose di maggior importanza. Non è importante come sistemare un mobile in una casa dove c’è l’amore.
Si deve capire che non è importante vedere se stessi alla luce del Vangelo, fare del Vangelo il centro della vita cristiana. Il Vangelo è un libro che non offre all’uomo nessuna fiducia. Alla luce del Vangelo non c’è e non ci può essere nessuna falsa fiducia che noi dobbiamo essere sempre in prima fila, che dobbiamo sempre vincere, che tutti devono ascoltarci e nello stesso tempo essere affascinati di noi uomini per bene, intelligenti e giusti. Per quanto possa sembrare strano, il problema principale d’oggi è di rileggere di nuovo il Vangelo, riviverlo di nuovo, non aver paura di vivere secondo il Vangelo, predicare proprio il Vangelo.
Cristo disse: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Non le forme della vita cristiana, non la fiducia nella propria giustizia, ma il Vangelo. A me sembra che sia proprio questo a mancare oggi e che a questo sia necessario tendere.