La fides romana fonte di carità

Autore:
Falasca, Stefania
Fonte:
30 Giorni Dicembre 2001
Vai a "Studi sull'Arte"

“La Cappella Niccolina può definirsi un compendio della virtù teologale della carità: nel sangue di Cristo, nella predicazione della sua parola, nell’elemosina per suo amore, nel martirio a sua imitazione, nel magistero della sua Chiesa”. Così il domenicano fra Innocenzo Venchi, che è stato il postulatore della causa di beatificazione del Beato Angelico, commenta il ciclo di affreschi dell’Angelico nella Niccolina. Proprio allo studioso domenicano, profondo conoscitore della vita e dell’opera di fra Giovanni da Fiesole, abbiamo chiesto una lettura di quest’importante opera romana del maestro fiesolano.
Padre Venchi, perché nella cappella privata del Papa l’Angelico ha rappresentato proprio le storie di santo Stefano e di san Lorenzo? Qual è stato il motivo di questa scelta?
INNOCENZO VENCHI: Non sappiamo se l’idea di raffigurare queste storie sia nata dal committente, papa Niccolò V, o questi, considerata la profonda stima che nutriva per l’Angelicus pictor (stima peraltro ereditata dal suo predecessore Eugenio IV), abbia lasciato al maestro carta bianca. Sappiamo che il toscano Niccolò V, Tommaso Parentucelli, è stato un papa mecenate, un umanista appassionato di studi patristici, grande bibliofilo, noto anche per la sua magnanimità (“cibava 900 poveri di Roma ogni settimana”, riferisce il Pastor nella Storia dei Papi). L’Angelico ha voluto senz’altro rendergli omaggio (tanto che lo ha ritratto nelle sembianze di Sisto II) rendendo onore al santo noto per la sua carità: Lorenzo. Ma c’è chiaramente un intento più profondo all’origine di questa scelta.
È l’unica volta, questa, in cui il Beato Angelico mette a tema principale dei suoi testi pittorici delle storie di santi...
VENCHI: Il Beato Angelico ha sempre dedicato, se così si può dire, i titoli più grossi, cioè le tavole e gli affreschi, ai misteri fondamentali della storia della salvezza, al Signore Gesù Cristo e alla Madonna, relegando nelle predelle, del resto bellissime, le storie dei santi. Quando queste storie di santi salgono dai piccoli pannelli alle grandi pitture murali - ed è solo unicamente (bisogna sottolinearlo) negli affreschi della Niccolina, nei cicli di santo Stefano e di san Lorenzo - è la fede tramandata dagli apostoli ad essere proclamata, è la Chiesa cattolica che viene onorata, la Chiesa fondata da Gesù Cristo sopra il fondamento degli apostoli.
Le storie di santo Stefano e san Lorenzo sono strettamente legate...
VENCHI: Il popolarissimo santo romano Lorenzo è definito da sant’Ambrogio apostolorum supparem (pari quasi agli apostoli). San Leone Magno dice che “grazie a lui Roma è diventata illustre, tanto illustre quanto Gerusalemme è stata glorificata da Stefano”. Disposte con simmetria sinottica, le scene della Niccolina mostrano le vite parallele dei due diaconi martiri della Chiesa di Gerusalemme e di Roma: Stefano, contemporaneo di Cristo, e Lorenzo, contemporaneo del suo vicario Sisto II. Uno discepolo diretto degli apostoli, l’altro di un suo successore. La stretta correlazione tra i due diaconi martiri è dunque qui mostrata innanzitutto per fare memoria che tutto nasce dall’eredità di Pietro e Paolo, cioè dalla fides romana. È da questa fede che nasce l’eroica testimonianza di Sisto, vescovo di Roma, e dunque successore di Pietro; da questa fede scaturisce la gloriosa passione di Lorenzo, arcidiacono, e dunque amministratore ed erede di Sisto. E la fides romana è fonte di carità. Entrambi i diaconi sono martiri, entrambi elemosinieri. La fede che rende Stefano e Lorenzo vittoriosi nel martirio è la stessa che fa loro distribuire ai poveri i tesori della Chiesa. Del resto, se noi guardiamo nel loro insieme i dipinti della Niccolina, vediamo che l’impianto delle raffigurazioni è un impianto rigorosamente storico innanzitutto, quindi teologico, dottrinale, e sottolineerei anche liturgico.
Può spiegarlo?
VENCHI: L’edificio sacro era destinato alla celebrazione del sacrificio eucaristico, che è il segno sacramentale della redenzione universale operata da Cristo e da lui consumata sulla croce del Calvario. Quindi sull’altare dove si rinnova il sacramento dell’eucarestia, l’Angelico aveva messo un Cristo deposto dalla croce (oggi non più in luogo), secondo la notissima dottrina di san Tommaso, mutuata dai santi Padri: “Dal costato di Cristo dormiente sono scaturiti i sacramenti, ossia il sangue e l’acqua, con i quali sarebbe stata edificata la Chiesa”. La Chiesa, sacramento universale di salvezza, è stata prefigurata dalla storia del popolo eletto. Così l’Angelico ha raffigurato quattordici patriarchi e profeti dell’Antico Testamento, protesi verso Cristo. Mentre l’evento storico della redenzione è annunciato e tramandato dai quattro evangelisti che l’Angelico ha messo sulla volta. Nei pilastri che reggono l’edificio, egli ha posto otto dottori della Chiesa d’Oriente e Occidente, che incarnano la duplice missione santificatrice ed evangelizzatrice della stessa Chiesa che edificano. Entro queste strutture della Chiesa teologicamente impostata, il frate domenicano ha raffigurato le vite esemplari dei due singoli cristiani, particolarmente significative in questo contesto. Per la vita di Stefano, l’Angelico segue il racconto biblico degli Atti degli apostoli. E ogni gesto, ogni atteggiamento, ogni piega rispondono al dettame delle rubriche (come sempre, il sapiente predicatore non indugia nei giochi retorici e tanto-meno nell’aneddotica). Per la vita di Lorenzo si ispira alla Legenda aurea di Iacopo da Varagine. È dunque una pagina di storia biblica seguita da una pagina di storia ecclesiastica.
Lei ha detto che questi dipinti hanno anche un valore liturgico...
VENCHI: Così come in tutte le sue opere, l’Angelico ha osservato con scrupolo l’ordine gerarchico dei personaggi presenti, siano essi terrestri o celesti, così egli si è attenuto fedelmente anche alla tradizione codificata nei cerimoniali liturgici. L’osservante pittore domenicano colloca i personaggi nel luogo stabilito dal rituale per la loro funzione o la loro missione. Ognuno è al proprio posto. Questo è il riflesso del suo rispetto e del suo amore alla liturgia. Modo ordinato di lodare Dio, i cui riti in questa occasione, dato il luogo in cui vengono espressi, sono esemplarmente riprodotti. Ad esempio, la scena di San Lorenzo consacrato diacono da san Sisto segue esattamente lo svolgimento del rito dell’ordinazione diaconale così come avveniva secondo la liturgia dell’epoca. L’Angelico sottolinea la sacralità dei gesti compiuti. C’è una gestualità marcata volta ad evidenziare la trasmissione del potere sacramentale. Il conferimento del diaconato consiste nella traditio o consegna della patena e del calice.
I vescovi ordinanti sono il primo degli apostoli per santo Stefano e uno dei suoi successori, Sisto II, per san Lorenzo. Il sangue di Cristo, contenuto nel calice, secondo la definizione di sant’Ignazio d’Antiochia è “la carità incorruttibile”. Se si osservano ad esempio le scene, si nota come il medesimo gesto delle mani che ricevono la patena e il calice è ripetuto con la stessa sacralità nell’atto di Lorenzo di ricevere da Sisto II i beni da distribuire ai bisognosi.

Gli anni del pontificato di Niccolò V rappresentano un momento difficile della storia della Chiesa. C’è un riferimento a questo nella Niccolina?
VENCHI: Per la lettura completa di questa opera dell’Angelico bisogna tener presente il particolare momento storico che la Chiesa attraversa. Ratificata l’unione dei cristiani d’Oriente e d’Occidente nel Concilio ecumenico celebrato pochi anni prima a Firenze, papa Parentucelli intraprende la restaurazione dell’autorità pontificia, scossa profondamente dalla gravissima crisi dello scisma d’Occidente e dal conciliarismo, emerso minaccioso nei sinodi di Costanza e Basilea. È tenendo presente questo delicato momento storico della Chiesa e il difficile ufficio del Pontefice nelle presenti circostanze, che l’Angelico, ad esempio, mette, nel libro che tiene aperto san Giovanni Crisostomo di Costantinopoli la seguente frase: Attende tibi ipsi ne forte fiat in corde tuo occulta impiave cogitatio (attendi a te stesso, perché non sorga nel tuo cuore alcun pensiero occulto o empio). Nel libro tenuto aperto da san Tommaso d’Aquino leggiamo invece, a grandi lettere, il versetto: Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium (la mia bocca mediterà la verità, e le mie labbra detesteranno l’empio), che è l’inizio della sua Summa contra gentiles. Opera, nonostante il titolo, non polemica ma ecumenica, e attualissima a quell’epoca. Ma la storia stessa dei due diaconi martiri (diacono in greco significa servitore) è paradigmatica di colui che deve rendere presente Gesù Cristo in terra, il figlio di Dio che è venuto in mezzo agli uomini non per essere servito ma per servire e dare la vita per la salvezza degli uomini.
In sostanza, dunque, qual è il messaggio che il frate pittore, attraverso quest’opera, ha voluto indirizzare al Papa?
VENCHI: Il genio del Beato Angelico, che in questa circostanza possiamo definire di “predicatore apostolico” (al pari di quegli illustri religiosi chiamati ai nostri giorni in Vaticano per dettare gli esercizi spirituali al papa e alla famiglia pontificia), sta nell’aver compreso il particolare momento storico e di averne reso un’immagine altamente profetica, quasi provocatoria, tracciando con linguaggio pittorico la strada giusta da seguire per rinnovare la Chiesa. Come ha acutamente osservato il confratello Venturino Alce, nella sua biografia dell’Angelico: “Tutti gli storici dell’arte sono concordi nel definire quelle della Niccolina come “opere latine”, e nell’affermare che in queste pitture l’Angelico ha usato la lingua umanistica, classica, monumentale per rendere omaggio alla Roma imperiale e curiale. Però sono veramente pochi quelli che hanno compreso il messaggio arditamente cristiano, rigorosamente ecclesiale ed ecumenico che l’osservante frate predicatore ha saputo presentare al Vicario di Cristo”. Egli ha voluto evidenziare agli occhi del pontefice il carattere essenziale del suo ufficio che risiede nella custodia del depositum fidei. Ha voluto evidenziare l’unica ricchezza della Chiesa nei suoi due inestinguibili tesori: il deposito della fede e i poveri, che di questa ricchezza, sia spirituale che materiale, sono i fruitori privilegiati. Ha voluto pertanto mettere in luce la carità della Chiesa di Roma, perché “la Chiesa di Roma presiede alla carità”, come afferma sant’Ignazio d’Antiochia.
Potrebbe ora commentare da vicino una delle scene raffigurate, quella ad esempio di santo Stefano che distribuisce le elemosine...
VENCHI: In questa scena che mostra l’attività caritativa di Stefano, vediamo il santo rivestito dei paramenti diaconali. Stefano sembra appena uscito dal luogo della sua ordinazione e il popolo di Dio si fa presente con un tranquillo andirivieni di poveri che si avvicinano, ricevono, e ritornano sui loro passi. L’elemosina è una parte della beneficenza, e ambedue sono atti esterni o effetti della carità. Anzi, dare l’elemosina è un atto della carità mediante la misericordia. Il passaggio della moneta dalla mano di Stefano a quella della donna supplice sembra formare un arco protettivo del bambino sottostante e insieme impetrante. Sulla destra vediamo avanzare un pellegrino, quindi una donna che si avvia a casa con il cestello saturo. Un personaggio dalle mani giunte, in atteggiamento di domanda e di ringraziamento, sembra invece interpretare i sentimenti di chi chiede. La composizione è riferibile a una inquadratura teologica circa i tre effetti dell’elemosina. Il primo è corporale, per supplire l’indigenza del povero. Il secondo è spirituale da parte del donatore, che distribuisce per amore di Dio e del prossimo. Il terzo è ancora un frutto spirituale, perché muove il beneficato a pregare per il benefattore. Effetti personificati dai poveri, Stefano e l’orante.
Questa scena si congiunge con quella di san Lorenzo che distribuisce le elemosine ai poveri...
VENCHI: Lorenzo qui ha appena ricevuto in affidamento da Sisto II un sacchetto rigonfio di monete che, in tempo immediato più che successivo, vengono offerte ai bisognosi. Infatti dal cortile del palazzo pontificio, dove avviene la consegna, si passa alla basilica adiacente, da cui esce Lorenzo per andare incontro ai poveri. Per logica ambientazione di tempo e di luogo, sono collegati il palazzo del Vaticano con la basilica costantiniana di San Pietro. Lorenzo, come Stefano, è vestito dei paramenti diaconali. Lorenzo indossa una dalmatica rossa, simbolo della carità, costellata di tante fiammelle di fuoco, simbolo dello Spirito Santo. Sul pettorale della veste è ricamato in oro il nome di Gesù Cristo. Il ministro sacro personifica egli stesso, in questo modo, la virtù teologale della carità. Egli si pone in mezzo alla porta centrale: ai lati, quattro indigenti con un bambino e una bambina; quindi due uomini, due donne e due bambini. Uno storpio stende la mano ai piedi di Lorenzo, mentre un cieco con il bastone si avvicina a lui. La donna anziana del primo gruppo non stende come gli altri le mani (come la figura orante nella scena di Stefano) ma le congiunge in atto di preghiera. L’altra, un po’ appartata, al limite sinistro della scena, ammantata di colore viola, che tiene in braccio il figlioletto, è di solennità statuaria come una Madonna. Sembra ripensare con lei il canto del Magnificat a lode di Dio che esalta gli umili e ricolma di beni gli affamati. È stato notato dai critici d’arte che il gruppo dei miseri è raffigurato con accenti tutt’altro che aspri, anzi, al contrario, con colori gioiosi, impreziosito di “note gemmee di colore”. È vero. Attraverso la scelta di questi colori, l’Angelico ha voluto evidenziare che essi rappresentano un tesoro, il tesoro della Chiesa, il tesoro della carità.
In conclusione, come può essere riassunto il significato dei dipinti della Niccolina?
VENCHI: La Cappella Niccolina può definirsi un compendio della virtù teologale della carità. È la carità che edifica la Chiesa, la carità che muove la Chiesa alla sua missione, la carità assicura il Regno a chi la vive. Del resto la contemplazione “artistica” di fra Giovanni procedeva dalla carità e terminava nella carità. L’intento dei dipinti del Beato Angelico è sempre un intento edificante. E come nel convento di San Marco aveva presente i destinatari di quell’intento, cioè i frati, così nella Cappella Niccolina egli ha aiutato il Papa a pregare e lo ha fatto attraverso le immagini e i colori di queste figure e storie narrate (perché tutte le sue opere possono definirsi preghiere dipinte). Qui, in particolare, il Beato Angelico, nelle vesti, per così dire, di predicatore pontificio, avendo a cuore il bene della Chiesa, ha voluto rivolgersi al cuore stesso del Vicario di Cristo e unirsi intimamente alla sua preghiera.
Così che entrando in quel luogo sacro per il raccoglimento personale, guardando quelle immagini, si desti nell’animo di chi le guarda il grido apostolico e implorante: Caritas Christi urget nos.