Attualità di san Benedetto 1 – Nella nuova barbarie post-moderna
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
Viviamo, lo sappiamo, in un’epoca cosiddetta post-moderna, segnata da una grave crisi antropologica e culturale: relativismo e scientismo -o, se vogliamo nichilismo e ideologia tecnocratica- ne costituiscono le categorie portanti. Di questo pensiero dominante diverse sono le sfaccettature. Da un lato, si nega e all’uomo e a Dio il carattere di ‘persona’. Si attenta alla dignità della ‘vita’ umana e se ne abolisce la ‘natura’. Ci si chiude alla divina trascendenza e se ne rifiuta l’umana incarnazione; ci si orienta verso spiritualità disincarnate e impersonali, o, addirittura, si idolatra un sacro indeterminato e selvaggio. Dall’altro lato, in un contesto globalizzato, multiculturale e multireligioso, segnato da opposte istanze di confronto e scontro tra civiltà diverse, la stessa identità europea, nelle sue radici e nella sua essenza, viene contestata e messa in discussione, dimenticata e denigrata. All’interno di questo contemporaneo e problematico orizzonte, due sono i luoghi di vita in cui l’‘umanità’ dell’uomo e, quindi, di ciascuno di noi, risulta particolarmente esposta e quotidianamente minacciata nella sua elementare esperienza: gli affetti e il lavoro. Si potrebbe, anzi, affermare che l’odierna -nichilistica- condizione è caratterizzata proprio dalla scissione di fondo tra una razionalità calcolante e meramente strumentale e un vissuto affettivo meramente emotivo e spontaneistico. Da un lato, è la dimensione amorosa a risultare impoverita: banalizzazione dell’eros, indebolimento del senso del matrimonio, indebito allargamento del concetto di famiglia. Dall’altro lato, è la prassi umana lavorativa a trovarsi in una situazione di crisi: dal punto di vista non solo economico, a causa degli importanti processi di cambiamento in atto, ma anche per ragioni di carattere culturale: a causa della mancanza di una adeguata concezione del lavoro, in grado di coglierne e valorizzarne, esperienzialmente, l’aspetto etico e spirituale.
In questa situazione di incertezza e disorientamento, di confusione e fragilità, simile, secondo alcuni, allo smarrimento conseguente al declino dell’impero romano d’occidente, chi o che cosa può indicarci una strada e rappresentare un punto di riferimento ? Qualcuno -A. C. MacIntyre- ha sostenuto che la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità consiste nell’attesa non di Godot, ma di un altro san Benedetto, capace di promuovere e costruire nuove forme di comunità, nelle quali la vita morale, sociale e intellettuale possa essere conservata, sostenuta e rinnovata. Qualcun altro, di nome Benedetto -sarà un caso?- ha insistito e continua ad insistere sulla necessità di costruire spazi di fraternità che, analogamente a quelli voluti da chi fu il vero architetto dell’Europa cristiana, possano costituire i modelli di una riformata, laboriosa e armoniosa città.
Diversi sono i volumi, le mostre, gli studi autorevoli dedicati alla figura di san Benedetto, alla sua influenza e azione, alla tradizione da lui fondata e alle opere da lui ispirate in campo sia spirituale che culturale, sia sociale che di civiltà. Basti pensare a quanto scriveva l’allora card. J. Ratzinger sul fatto che “i grandi uomini, che sono diventati capaci di vedere e perciò pietre miliari, segnavia dei secoli, possono dirci qualcosa anche oggi”. Oppure, ricordare la lettera apostolica di papa Giovanni Paolo II, in occasione della nascita di san Benedetto: “leggendo i segni dei tempi vide che era necessario realizzare il programma radicale della santità evangelica… nelle dimensioni della vita quotidiana di tutti gli uomini. Era necessario che l’eroico diventasse normale, quotidiano e che il normale, il quotidiano diventasse eroico”. Ora, se affetti e lavoro costituiscono i due ambiti principali di cui l’esistenza umana è intessuta, la domanda che ci si può porre è questa: che cosa ‘oggi’ san Benedetto ha da dirci sull’uomo e, in particolare, sulla sua vita affettiva e lavorativa?
Limitandoci alla questione del lavoro, due testi di recente pubblicazione -Paolo G. Bianchi, “Ora et Labora. La regola benedettina applicata alla strategia d’impresa e al lavoro manageriale”, Milano, Xenia Edizioni, 2006; Massimo Folador, “L’organizzazione perfetta. La regola di San Benedetto. Una saggezza antica al servizio dell’impresa moderna”, Milano, Guerini Associati, 2006- offrono, a questo proposito, spunti ricchi di suggestione e interesse. Gli autori, studiosi e conoscitori della Regola benedettina, muovono dalla loro viva esperienza. Paolo G. Bianchi, antropologo, docente e formatore manageriale ha ideato e realizzato in diverse abbazie italiane ‘Abbey Programme’: un programma formativo per manager da sperimentare direttamente nella realtà comunionale del monastero, alternando le sessioni in aula con la partecipazione, sia pure non obbligatoria, ai diversi momenti liturgici della vita dei monaci. Massimo Folador, già dirigente in importanti aziende italiane ed estere, consulente di strategia d’impresa, presidente dell’Associazione “Verso il cenobio”, oltre ad incontrarsi in un eremo per appuntamenti mensili di dialogo e riflessione, ha condiviso, con diversi manager di azienda, alcune giornate in monastero organizzate all’interno di alcuni percorsi formativi. A partire da questa ispirazione benedettina e confrontandosi con uno scenario socio-economico complesso e competitivo, entrambi i promotori di queste iniziative esprimono la stessa viva e sentita esigenza: la necessità di una concreta ‘cultura del lavoro’ che sia in grado di affrontare le difficili sfide del mondo contemporaneo, puntando sul ‘capitale umano’ e dando ‘senso’ e ‘anima’ al proprio agire lavorativo. Il lavoro, infatti, presenta non solo un fondamentale ‘aspetto oggettivo’, legato alle caratteristiche tecniche e quantitative dei beni materiali prodotti, ma anche un imprescindibile e altrettanto decisivo ‘aspetto soggettivo’, riguardante la qualità del lavoro, il processo di autorealizzazione della persona e il sistema di relazione e di comunicazione tra gli uomini. Ogni nostra azione -lavorativa, politica, economica, etc.- da un lato, modifica e trasforma l’ambiente esterno, dall’altro, mentre è compiuta e nel modo in cui è compiuta, trasforma e modifica l’uomo stesso che la compie. Attraverso il fare lavorativo -operando, e nel modo di operare- l’uomo non soltanto produce un effetto oggettivo ed esteriore, ma, nello stesso tempo, ha la possibilità di realizzare o alienare se stesso, valorizzando o rimuovendo la dimensione interiore e spirituale del lavoro stesso.