Torah e Vangelo: l'antica e la nuova legge 1 - Cosa dice Guardini

Autore:
Laguri, Innocenza
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Passi evangelici fondamentali per cogliere il rapporto tra Legge e Nuovo Testamento sono nei Vangeli di Matteo e di Luca. Matteo, come è noto, parla soprattutto agli Ebrei, per questo, nei capitoli IV e V, presenta Cristo sulla montagna come un nuovo Mosè su un nuovo Sinai, mentre Luca è più interessato al messaggio ai pagani. In entrambi, comunque, abbiamo la nuova Torah portata da Gesù. Com’è noto, il Discorso della montagna di Matteo è composto dalle Beatitudini e da una seconda parte che fa riferimento alla Torah, strutturata così: “Vi fu detto… ma io vi dico...” Questo schema sembra sottolineare l’antitesi neotestamentaria al Decalogo. Chiediamoci: quale rapporto?
Concentriamoci sulla seconda parte del discorso e facciamoci aiutare, sulla grande quaestio Torah-Vangelo dalle note di R. Guardini (Il Signore) e di Benedetto XVI (Gesù di Nazaret, I vol).
Guardini sottolinea la distanza tra Torah e Gesù, per esempio a proposito della legge che recita “amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico” cui Cristo oppone l’invito ad amare il proprio nemico.
Guardini spiega: l’amore nominato nella Torah non è ancora libero, perché vive dell’amore che viene contraccambiato, è un amore dipendente dall’amore dell’altro e pertanto giustifica l’odio di fronte all’odio altrui. Il nuovo orientamento proposto dal Cristo non si giustifica più sulla corrispondenza dei sentimenti, ma sulla libera forza creativa del cuore, non dipende più dalla disposizione d’animo dell’altro, vede chi è l’altro nell’intimo, e lo riscopre vicino nella colpa comune e nella comune miseria. Si tratta del superamento del concetto di giustizia; al di sopra della giustizia, dice Guardini, c’è lo sguardo di Dio, il principio della libertà, dell’amore creativo, della grazia, tutte cose che la giustizia non vede. Guai dunque alle persone che vogliono vivere solo secondo giustizia, guai al mondo cui importasse solo la giustizia. Ma lo stesso concetto di giustizia, se analizzato a fondo, chiede il suo superamento. Infatti l’autentica giustizia consiste nel dare a ciascuno ciò che gli spetta, dunque non è giustizia l’uguaglianza universale, si fa invece avanti un ordine vivo secondo la diversità delle persone. Ora, per sapere cosa spetta all’uomo, si deve averlo scorto nella sua natura particolare e questo è possibile solo con gli occhi dell’amore; il teologo conferma la saggezza dell’antico motto “summum jus, summa iniuria.”
E’ un associarsi al punto di vista di Dio, che non è una legge, ma il Cristo vivente ed egli incarna l’archetipo di quel nuovo comportamento che propone il perdono come unica e autentica giustizia. Come già accennato, il perdono emancipa dalla dipendenza dall’ingiustizia dell’altro o meglio dal far dipendere il sentimento di noi stessi dal comportamento dell’altro, fa rinunciare all’atteggiamento difensivo dell’odio naturale, solo apparentemente rassicurante, fa capire che ciò che è autenticamente nostro non può essere vulnerato. Ma tutto questo non basta, dice Guardini: Cristo è il perdono vivo, inviato a portare il perdono del Padre e il suo perdono non si è compiuto come “puro perdono” bensì come espiazione, cioè egli ha assunto su di sé il cumulo che doveva gravare sul colpevole. Il perdono, arrivato all’espiazione, porta alla redenzione. Noi viviamo dell’azione espiatrice e pertanto redentrice di Cristo e non possiamo essere redenti senza che lo spirito della espiazione-redenzione divenga operante in noi. La barriera della paura e dell’odio difensivo, la barriera della distinzione esterno-interno (cioè l’affermare che conta solo l’atto esterno), e anche la barriera della ragionevolezza, quella che fa dire che, certo, si deve essere rivolti all’altro, ma con misura, in corrispondenza del proprio interesse, sono abbattute.
Tornando al rapporto Vangelo-Legge, si può dire che queste sono le barriere che traspaiono nella Torah. Dunque Guardini sottolinea il salto tra Nuovo testamento e Torah.