Il Dio dell'Alleanza

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Domenica Beccafumi, Il vitello d'oro

Alle falde del Sinai quella che era stata l’esperienza sul monte Oreb per Mosè diventa l’esperienza di tutto il popolo.
Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suono della tromba diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con voce di tuono (Es 19 17-19). Dio dettò a Mosè il decalogo e tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide e fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio altrimenti moriremo» (Es 20, 18-19).
Questa è una solenne teofania che sottolinea la straordinaria importanza del dono della legge. E noi sappiamo dal testo sacro che questa sarà soltanto la prima fase della proclamazione della Torah che avverrà in tre sezioni sigillate dal termine chiave Shemà Israel: Ascolta Israele!
Quello che la CEI traduce con il popolo percepiva i tuoni e i lampi nell’originale ebraico suona così: Tutto il popolo vedeva le voci e le fiamme. Come potevano vedere le voci, si domanda il midrash?: Vedevano e udivano ciò che è visibile. Vedevano la Parola di fuoco uscire dalla bocca della Potenza e scolpirsi sulle tavole, come sta scritto: la voce del Signore scaglia fiamme di fuoco (Mekiltà di Rabbì Ishmael su Es 20,18).
La portata dell’evento del Sinai e del dono della legge, a questo punto della storia di salvezza, è paragonabile all’evento della pentecoste e al dono dello Spirito Santo.
A questa proposta di alleanza il popolo risponde: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!» (Es 24, 7).
Anche qui la traduzione non rispetta l’originale ebraico che così si esprime: tutto quanto il Signore ha detto noi lo faremo e lo ascolteremo. In questa risposta appaiono i due verbi chiave dell’esperienza del Sinai e del popolo d’Israele in ogni tempo: ascoltare e fare. Addirittura qui le due azioni sono rovesciate anteponendo l’obbedienza dell’azione all’ascolto. Se da un lato questo indica il timore del popolo nell’ascoltare la voce di Dio, dall’altro sottolinea il valore dell’esecuzione della legge. La torah è ascolto di una voce che guida nelle azioni più quotidiane della vita. Secondo un antica tradizione ’torah’, era il grido usato dal pastore per dare l’avvio al cammino del gregge.
Se fino a questo momento le teofanie erano riservate agli uomini di Dio ai patriarchi, qui ogni intervento divino suppone una ”santa convocazione”. Cioè la convocazione di tutto il popolo dell’alleanza. Nasce il termine Miqrà che significa ”chiamare a raccolta, convocare” e indica appunto l’assemblea del popolo radunata per l’ascolto di Dio. Infatti la stessa radice della parola Miqrà (= qr’) si usa per esprimere la lettura del testo sacro: Mosè prese il libro dell’alleanza e lo lesse (radice qr’) negli orecchi di tutto il popolo (Es 24, 6).

Alle falde del monte Sinai Israele trascorse un intero anno celebrando qui la prima festa di pasqua, dopo quella della notte dell’Esodo. Fu un anno di scuola in cui il popolo sperimento la tentazione, la fatica dell’attesa. Mosè si ritirò sul monte a pregare per ricevere la Torah nella sua totalità e il popolo si annoiò. Non avendo più un punto di riferimento e non sperimentando più segni della presenza di Dio nella loro vita si fecero un Dio d’oro, un vitello di metallo fuso opera delle mani dell’uomo. E di fronte a questo idolo dissero: «Questo è JHWH! Colui che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto» (cfr. Es 32, 4). Suscitarono così la gelosia divina e ne sperimentarono la forza del castigo. Mosè infatti pur intercedendo per il popolo e placare l’ira di Dio ridusse in polvere l’idolo d’oro e lo fece bere agli israeliti.