Giona, IV Tappa: Il Dio pietoso e fedele

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Giona, Tintoretto

La conversione di Giona
Ma quanto Crisostomo abbia messo il dito nella piaga con il suo commento si rivela in questo ultimo capitolo. Qui finalmente conosciamo il perché della ribellione profonda di Giona, il perché del suo ostinato silenzio iniziale; qui la trasformazione avvenuta nel grembo della balena e la conseguente rinascita giunge a maturazione piena.
Di fronte al “pentimento” di Dio, alla mutazione della condanna Giona provò grande dispiacere e ne fu indispettito. Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Perciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime e di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. Or dunque Signore, toglimi la vita, perché e meglio per me morire che vivere!»
Aveva scritto S. Giovanni Crisostomo: «Dio ha preferito che cadesse la profezia anziché far cadere la città». Ecco lo sdegno di Giona! Era stato mandato a profetare, ma le sue profezie erano destinate a non avverarsi. Secondo il midrash Giona aveva già predicato la distruzione di Gerusalemme, ma quando gli Israeliti fecero penitenza, «il Santo, egli sia benedetto, si pentì del castigo minacciato e non la distrusse» E allora gli Israeliti chiamarono Giona falso profeta. Poi Dio lo inviò a Ninive. «Allora Giona pensò fra sé e disse: So che i popoli sono inclini alla penitenza. Ora se essi fanno penitenza, il Santo, egli sia benedetto, scarica la sua collera su Israele. E allora non solo gli israeliti, ma anche i popoli della terra mi chiameranno un falso profeta» (Pirqe deRabbi Eliezer 10)
Quello che interessa al narratore non è tanto di mettere in rilievo la conversione di Ninive, quanto di narrare questa scandalosa conversione di Dio che mette in ridicolo i suoi profeti annullando la sua Parola. I decreti del re erano inappellabili, nessuno, neppure il re poteva annullare un decreto precedentemente emesso, come ci informa anche la vicenda di Ester a proposito della pulizia etnica a danno degli ebrei decretata il 14 di Adar. Come si può concepire un Dio che si rimangia la parola!
Eppure Giona è vero profeta proprio perché la sua profezia viene annullata. I profeti di Dio non sono mai profeti di sventura, sono sentinelle sul monte, indicano la salvezza contro una minaccia che si avvicina. C’è un enorme salto di qualità tra la predicazione di Noè e quella di Giona, anche Gesù l’aveva indicato nella sua predicazione: «Come fu nei giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e li inghiottì tutti, così sarà anche nella venuta del Figlio dell’uomo» (Mt 24, 37-39). Noè era stato un ottimo predicatore, obbediente, scrupoloso nell’osservanza della parola del Signore, ma la sua testimonianza e la sua predica ebbero un effetto fallimentare. Nessuno dei suoi contemporanei si convertì, le sue parole si avverarono. Gesù invece addita Giona nientemeno che come esempio di se stesso: come Giona … così il Figlio dell’uomo. Giona è un pessimo predicatore, rifugge il suo ruolo, non comprende la portata della sua missione eppure la sua predica conosce risultati perfetti: i marinai si convertono, i Niniviti pure. Egli è un vero profeta proprio perché la parola di sventura proclamata non si realizza. Ma questo Giona non lo capisce e Dio con una pazienza infinita, fedele al suo profeta, tanto quanto è fedele al suo progetto di salvezza per l’umanità, si china su di lui: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?» (Gn 4,4)
Ma Giona si rinserra nuovamente nel silenzio; esce dalla città, si rifugia in un luogo strategico da cui può contemplare tutta Ninive e attende. Per nulla convinto, spera ancora che Dio cambi idea, dice infatti il racconto: si mise all’ombra in attesa di vedere che sarebbe avvenuto nella città (Gn 4,5).
Ma ecco che Dio fa crescere in un sol giorno una pianta di ricino per far ombra alla testa di Giona e dargli sollievo nel suo sdegno. Giona provò grande gioia per quel ricino. Ma il giorno dopo, allo spuntar dell’alba, Dio mandò un verme a rodere il ricino e questo si seccò (Gn 4,7). Colpito dal vento e dall’afa, amareggiato per la scomparsa dell’albero Giona invoca di nuovo la morte: «Meglio per me morire che vivere!».
Il ricino si rivela un altro messaggero del Signore per Giona, lo strumento umile della pedagogia divina che entra nelle strette prospettive umane attraverso la via del cuore e le dilata a misura del suo sguardo e del suo cuore.
Dio disse a Giona: « Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino?” Egli rispose: Sì, è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la morte” Ma il Signore rispose: tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale ci sono più di centoventimila persone che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?»
(Gn 4, 9-11).
Il libro si chiude così, con una domanda. Non sappiamo quale fu la risposta di Giona. Non sappiamo se Giona conformerà il suo cuore al cuore di Dio. Il libro dipinge la compassione di Dio per tutti gli esseri viventi, uomini o bestie che siano, e ha come contrasto la durezza di cuore che a volte attanaglia il credente, incapace di uno sguardo clemente verso gli inferiori, coloro che vivono lontani dalla verità e dalla vita. Alla fine del racconto Giona scompare e ciascuno è costretto a rivolgere a se stesso le ultime domande; è costretto a capire che, forse, Giona è in ciascuno di noi.
La risposta a quest’ultima domanda sorgerà più avanti nella storia. sorgerà dal grembo di una vergine. Più ancora sorgerà dal grembo della terra, allorché vincendo il male e la morte, Gesù, il figlio di Dio e Figlio dell’uomo, apparirà come l’incarnazione perfetta e assoluta della misericordia del Padre.