Elia, profeta della Parola e della Presenza di Dio
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Nel contesto di un regno ricco e idolatra la parola di Elia irrompe come un fulmine a ciel sereno:
Elia, il Tisbita, uno degli abitanti di Galaad, disse ad Acab: «Per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io».
Per capire la portata di questa espressione dobbiamo descrivere brevemente il contesto culturale del regno di Acab.
Il padre di Acab, Omri, fu certamente un sovrano capace, fondò la capitale del regno: Samaria, che rimarrà tale fino alla rovina del regno stesso. Acab consolidò il regno del padre anche attraverso l’alleanza con i Fenici, potenti signori del mare. Egli sposò infatti Gezabele principessa fenicia, figlia di un Re-Sacerdote: Ittobal.
Gezabele introdusse nel regno il culto a Baal e alla sua divina sposa Astarte. Baal, il cui nome significa: «Signore», «Padrone» e «Marito», era il dio della tempesta, della pioggia, della fecondità. La pioggia era infatti considerata il seme del dio Baal che fecondava la terra rendendola fertile. A Baal, dunque, dio della vita, veniva tributato un culto che si intrecciava con riti orgiastici in cui aveva gran parte l’esaltazione carnale. Gezabele riempi i templi di Baal di prostituti e prostitute sacre e sebbene Acab non sconfessasse del tutto il Dio dei suoi Padri cedette a forme di sincretismo che si diffusero rapidamente in tutto Israele.
Tuttavia anche i re prima di lui, come Geroboamo e Omri, suo padre, fecero - come dice la scrittura- quanto è male agli occhi del Signore (cfr. 1Re 12,23. 13, 33-34; 16,25-26), perché proprio al tempo di Acab sorse Elia, profeta simile al fuoco come dice il libro del Siracide? (Sir 48,1)
I regni di Giuda e di Israele furono sempre in lotta tra loro, ma il regno di Giuda ebbe un tempo di pace sotto il governo di Asa. Asa fu un re giusto che allontanò gli altari stranieri ed eliminò i pali sacri. (cfr. 2 Cr c.14) Acab divenne re durante il trentottesimo anno del regno di Asa e quando costui morì Acab entrò in alleanza con il suo successore, il figlio Giosafat. Fu la prima volta dalla morte di Salomone che i due regni si ritrovarono uniti.
Inoltre la vicenda di Acab è direttamente collegata alla conquista del popolo della terra promessa avvenuta dopo la morte di Mosé a causa del compimento, sia pure triste compimento, di una profezia di Giosuè su Gerico. Dopo aver conquistato la città di Gerico, presso la quale soltanto in casa della prostituta Rahab avevano trovato ospitalità gli esploratori, Giosuè pronunciò una maledizione secondo cui l’uomo che rialzerà e ricostruirà questa città di Gerico sul suo primogenito ne getterà le fondamenta e sul figlio minore erigerà le porte! (Gs 6, 26)
Quest’uomo sarà Acab il quale ad opera di Chiel di Betel ricostruì Gerico; gettò le fondamenta sopra Abiram, suo primogenito e ne innalzò le porte sopra Segub, suo ultimogenito. Questa affermazione del libro dei Re (1Re 16, 34) potrebbe attestare l’offerta dei figli come vittime per un sacrificio di fondazione, ma non è certo. Quel che è certo è che il riferimento segnala un tempo compiuto, una scadenza, forse il compiersi del tempo riservato alla libertà umana di agire, anche contro la legge di Dio. Acab colmò, in certo modo, la misura dei suoi padri.
Elia sorge in un tempo stabilito che è anche un tempo di pace, due caratteristiche che gli saranno riconosciute sempre generazione dopo generazione: Elia ritornerà per annunciare la pienezza dei tempi e la pace messianica che l’arrivo del Messia inaugurerà.
Torniamo ora alla frase pronunciata da Elia al suo apparire, una parola incandescente che bruciava come fiaccola (Sir 48,1).
L’anonimato da cui sorge Elia, la sobria descrizione con cui viene presentato, contrasta con l’irruenza della sua affermazione:
Elia, il Tisbita, uno degli abitanti di Galaad, disse ad Acab: «Per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io». (1 Re 17,1)
Non si dice qui che Elia era profeta o sacerdote, di lui -diversamente da Eliseo- si tace il nome del padre. Egli è semplicemente un abitante del Galaad, regione ad est del Giordano, nel nord d’Israele. Sarà il racconto successivo che rivelerà Elia come profeta e sarà la tradizione talmudica ad indicarlo come appartenente alla tribù sacerdotale. Elia dunque si oppone ad Acab non in forza di ciò che egli è, ma in forza di una parola che non viene da lui. Egli si presenta infatti come colui che sta alla presenza del Signore, Dio d’Israele.
Vivere alla presenza di qualcuno, soprattutto se sovrano, significava esserne al servizio, conoscerne i desideri e le volontà. Nessuno poteva presentarsi al re senza un esplicito invito del sovrano, neppure la regina. Si pensi alla vicenda di Ester e al rischio che ella corse nel presentarsi al cospetto di Assuero senza essere stata chiamata. Solo le persone di cui il re aveva piena fiducia vivevano costantemente alla sua presenza. Elia è l’uomo che sta davanti a Dio e che quindi pronuncia una parola che viene dal volto stesso del Dio di Israele. Questa parola annuncia una terribile siccità: in questi anni non ci sarà né pioggia né rugiada.
Di fronte al popolo che aveva dimenticato la parola di Dio, che aveva infranto l’alleanza stipulata dai suoi padri, Abramo, Isacco, Giacobbe e che si rivolgeva a Baal per avere pioggia e abbondanza di raccolto, il Signore Dio annuncia per bocca del profeta il suo silenzio. Israele sarà costretto a toccare con mano a prezzo di una lunga sofferenza che non da Baal viene la pioggia e il dono del raccolto, ma dal Signore. Israele identificava la pioggia con il seme di una divinità cananea, aveva dimenticato che l’acqua è segno della Parola benedetta di Dio che ha fatto il mondo e quanto in esso contiene, irrora la terra e la fa germogliare. Non Baal è Dio della vita, ma il Signore e la sua Parola è vita e pane per l’uomo.