Dio: Parola potente

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Tintoretto, L'Eterno Padre appare a Mosè

Dio rivela a Mosè quello che egli dovrà fare in Egitto presso il popolo, attraverso istruzioni profetiche (cfr. Es 3, 16- 22; 4, 19-23) affinché egli sappia ciò che deve compiere e trovi, nella Parola di Dio, la forza per compierlo. Se nei patriarchi la Parola di Dio era annuncio di una promessa qui diviene annuncio della realizzazione. Mosè infatti deve annunciare una salvezza ed essere nel contempo, egli stesso, segno che la salvezza è già presente ed operante nella storia. Per questo Dio gli concederà di compiere guarigioni e segni straordinari, (cfr. Es 4, 1- 9) perché egli è portatore di una Parola che compirà con potenza le promesse fatte ai padri (Possiamo capire allora come, soprattutto l’evangelista Matteo, ma tutta la tradizione cristiana abbia visto in Gesù il Nuovo Mosè. Gesù è annuncio e insieme compimento pieno di quella parola di salvezza che Dio ha pronunciato lungo tutto l’arco della storia di salvezza.).
Che Mosè sia annuncio e insieme segno del compimento delle promesse divine lo testimonia la sua morte: egli vedrà la terra di lontano, la contemplerà, l’additerà, ma non vi entrerà perché in certo qual senso egli stesso rappresentava agli occhi del popolo quella terra.

La parola dell’uomo di fronte alla parola di Dio
Mosè disse al Signore: «Mio Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono mai stato prima e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua» (Es 4, 10)
Come può essere impacciato nel parlare un uomo educato nella più raffinata cultura del suo tempo? Un principe d’Egitto che alla corte fu stimato e tenuto in grande considerazione dal faraone e dai suoi ministri? (cfr. Es 11,3; At 7, 22)
Mosè sente l’inadeguatezza della parola umana davanti alla Parola del Dio Vivente. La cultura egiziana, la sua preparazione umanistica sono nulla di fronte alla imprevedibilità del pensiero divino che sovverte le filosofie umane, anche le più raffinate. In questo dialogo Mosè esprime il dramma dei profeti di ogni tempo,: la bocca umana è angusta per trasmettere fedelmente la Parola di Dio, perciò la bocca del profeta deve essere purificata (Is 6, 6-7) e deve diventare in certo senso ”grembo” di una parola che viene dall’alto e che è tanto potente da generare ciò che dice (Ger 1, 4-10; Ez 2, 1-9).
A differenza dei profeti successivi avviene però con Mosè qualcosa di singolare.
Il Signore gli disse: «Chi ha dato una bocca all’uomo e chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore?» Mosè disse: «Perdonami Signore mio, manda chi vuoi mandare!» Allora la collera del Signore si accese contro Mosè e gli disse: «Non vi è forse tuo fratello Aronne, il levita? Io so che lui sa parlar bene. Anzi sta venendoti incontro, ti vedrà e gioirà in cuor suo[…]. Parlerà lui al popolo per te: allora egli sarà per te come bocca e tu farai per lui le veci di Dio» (Es 4, 11-14. 16).
La solitudine di Mosè è colmata dalla testimonianza di un altro chiamato. La vocazione profetica di Mosè si presenta fin dall’inizio come vocazione per la comunità e sostenuta dalla comunità. Mosè sarà la bocca di Dio, Aronne la bocca di Mosè, ma insieme saranno voce di Dio per il popolo.