Amore e peccato in Davide
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La Bibbia non nasconde le debolezze di Davide. Solo il libro delle Cronache, dando risalto alla liturgia legata all’arca e al tempio, compie una rilettura idealizzata della monarchia dei due sovrani. Davide è un peccatore, ma grazie alla sincerità del suo pentimento, ogni suo peccato si trasforma in un passo avanti nella storia della salvezza.
Il primo peccato di Davide si consuma in un momento in cui l’esercito è impegnato nella battaglia contro gli Ammoniti. Davide, contrariamente a quello che era il dovere di un re, decide di non prendere parte alla guerra. Al tempo in cui i re sogliono andare in guerra Davide rimasto a Gerusalemme, un tardo pomeriggio, alzatosi dal letto si mise a passeggiare sulla terrazza e vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella d’aspetto. Davide mandò ad informarsi chi fosse la donna. Gli fu detto:« É Betsabea figlia di Eliàm, moglie di Urìa l’Hittita». Allora Davide mandò messaggeri a prenderla. Essa andò da lui ed egli giacque con lei […] Poi essa tornò a casa. La donna concepì e fece sapere a Davide: «Sono incinta» (2 Sam 11, 1-5)
Davide commette qui una serie di imprudenze che vanno dal non essere andato in guerra fino all’aver indotto la donna ad entrare nella sua reggia. Il peccato più grave di Davide non è tuttavia questo. Per salvare la rispettabilità di Betsabea, la dignità di un amico e buon ufficiale oltre che la propria, Davide tenta uno stratagemma. Fa richiamare Uria dalla battaglia e lo invita a pernottare a casa, con sua moglie, sperando così di legittimare la paternità del nascituro. Uria però agisce diversamente e rimane a dormire con i servi del re. Vistosi con le spalle al muro Davide, invece di affidarsi alla misericordia di Dio e cercare presso di lui una soluzione, agisce con astuzia e perfidia abusando del proprio potere: rimanda Uria in guerra, affidandogli una lettera per Joab. Davide invita Joab a mettere Uria nel punto dove maggiormente ferve la mischia e poi ritirarsi cosicché rimanga ucciso.
Il Signore invia allora a Davide il profeta Natan per farlo riflettere sul male compiuto e indurlo al pentimento. Natan, pieno di sapienza, racconta una parabola mediante la quale ricostruisce la verità in Davide. Un uomo ricco, padrone di bestiame minuto e grosso, ricevette una visita e risparmiando di ammazzare uno dei suoi molti capi di bestiame preparò una vivanda per l’ospite uccidendo l’unica pecora di un uomo povero. Un pecora che il povero uomo aveva allevato in casa amandola come una figlia. Indignato per la cattiveria di quel ricco Davide sentenziò che un tale individuo era reo di morte ed ecco che Natan lo sorprese dicendo: «Tu sei quell’uomo!»
Davide si pente, Natan gli assicura il perdono del Signore, ma gli annuncia la morte del bimbo di Betsabea. Il neonato infatti si ammalò e Davide ne rimase molto addolorato. Supplicò il Signore, dormì per terra e digiunò, nella speranza di strappare a Dio la grazia della guarigione, ma ciò non avvenne. Allora, morto il bambino, Davide consolò Betsabea, sua moglie, entrò da lei e le si unì: essa partorì un figlio che egli chiamò Salomone. Il Signore amò Salomone, mandò il profeta Natan e lo chiamò Iedidià per ordine del Signore (2 Sam 12, 24-25).
Da questa storia di amore e di peccato, di perdono e di pentimento, nasce colui che diventerà l’erede al trono. Il diritto al trono gli viene conferito non da una primogenitura o da nobili natali della madre, ma dalla storia sofferta di un amore vero. Le esperienze precedenti hanno cresciuto Davide come uomo e come sovrano, qui Davide matura nel suo essere credente. Egli, non per oracoli o teofania come fu per i patriarchi, per Mosé, ma dalla sua propria storia incontra e conosce un Dio imprevedibile e misericordioso. Un Dio che riabilita il peccato al punto tale da farlo diventare un ponte verso la salvezza, solo perché ha scorto nel cuore di chi l’ha commesso amore e pentimento: molto ti è perdonato perché molto hai amato, dirà Gesù molto secoli più tardi, forse pensando anche alla storia di questo suo illustre antenato.
Salomone, il meno provvisto di titoli fra tutti i figli di Davide, è l’unico la cui nascita fu ratificata dal Signore mediante una parola. Salomone si chiamò Iedidià, per ordine del Signore, nome che è sinonimo di Davide e significa Amato da Javhè. Egli è il decimo figlio di Davide una cifra che ritorna nelle indicazioni di misure per la tenda del convegno prima e poi per il tempio. Dieci un numero che - come i suoi multipli (es. 40;50;70…) - indica un tempo compiuto, perfetto: dieci furono le piaghe in Egitto, dieci le parole della legge scolpite sulle tavole, Abramo diede a Melchisedek la decima di tutto. Con Salomone si compie un altro tassello del disegno di salvezza che Dio continua a tessere per il suo popolo.
Il secondo peccato di Davide fu quello legato al censimento del popolo. Il censimento era previsto dalla legge di Mosé tuttavia occorreva farlo con discrezione e prendendo precauzioni: «Quando tu farai la rassegna degli israeliti con il censimento, ciascuno di loro dovrà al Signore il riscatto della propria vita… pagherà mezzo siclo… che sarà un offerta per il Signore» (cfr. Es 30, 11-12) Questo per sottolineare la sacralità del censimento in quanto la vita di ogni uomo è nelle mani di Dio. Davide invece vuole il censimento affinché io conosca il numero della popolazione (2 Sam 24, 2) Davide si abbandona al momento di gloria che sta vivendo a motivo delle sue conquiste, smette di guardare al popolo come a una proprietà di Dio e lo considera oggetto della sua forza e della sua ambizione. Ma non appena Davide venne a conoscenza del numero degli Israeliti, rientrò in se stesso si sentì battere il cuore e comprese di aver peccato contro Dio (2 Sam 24,) Il Signore allora per bocca del profeta Gad gli propone tre alternative per purificarsi dal suo peccato: tre anni di carestia, tre mesi di fuga davanti al nemico, tre giorni di peste nel paese. Davide disse a Gad: «Sono in uno stato di grande ansia… Ebbene cadiamo nelle mani del Signore perché la sua misericordia è grande, ma io non cada nelle mani degli uomini». Davide scelse dunque la peste. Vedendo il popolo sterminato dalla peste Davide implorò il Signore: «sono io che ho peccato… ma questo gregge cos’ha fatto?» Così, ancora per mezzo del profeta, il Signore gli ingiunse di elevare un altare sull’aia di Araunà e lì offrire un sacrificio. Araunà saputa l’intenzione del re si offrì di fare dono, egli stesso dell’aia e degli animali per il sacrificio, ma Davide non accettò: comprò l’aia, i buoi per il sacrificio, li offrì sull’altare e il flagello cessò. Con questo gesto Davide prefigurò l’inizio del tempio, in quello stesso luogo infatti verrà edificato il tempio di Salomone che ancora oggi si venera a Gerusalemme.