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Mozart: Il misterioso dono dell'unità

Autore:
Bombardelli, Umberto
Fonte:
Tracce

Una pagina di alta drammaticità. Così viene spesso sintetizzato il contenuto di una delle più impressionanti composizioni dell’intero repertorio mozartiano: il Concerto per pianoforte ed orchestra n. 20 K466. E certamente lo è, se con la parola “dramma” intendiamo la presenza simultanea di elementi tragici e di altri più lirici e sereni. Già l’esordio della composizione delinea un’atmosfera inquietante. C’è come un fuoco che cova sotto la cenere e che, ben presto, sfocia in un clima tragicamente grandioso, facendo presentire violenti contrasti.
Una prima, sconcertante evidenza tuttavia si impone: questa “drammaticità” non esaurisce affatto la totalità dell’opera. Essa è, infatti, continuamente contraddetta da sottili sfumature, quando non da nuove idee di segno completamente opposto, che ne mutano il senso. Ma, nuovamente, il termine “opposto” non appare interamente adeguato. Le idee, senza mai scontrarsi violentemente, (come invece, accade nella musica di Beethoven), si susseguono con stupefacente continuità, e in una inspiegabile coesione.

Il dramma è, innanzitutto, cammino carico di senso, storia. Solo all’interno di una storia gli opposti rivelano il loro legame profondo. E Mozart – in questa composizione come in poche altre – si dimostra misteriosamente capace di percepire, e di comunicarci, quel nesso nascosto che fonde in unità ciò che appare inconciliabile.
L’entrata del pianoforte, dopo la lunga e tormentata esposizione orchestrale, è di per sé eloquente. Il solista non si oppone titanicamente all’orchestra, né entra nel gioco dialettico delle due idee musicali che stanno alla base di questa prima parte (scritta in forma-sonata). Imprevedibilmente, invece, introduce un terzo e differente spunto tematico che si rivela come il momento di ricomposizione dei contrasti che lo hanno preceduto. Una visione di totale conciliazione, dunque.
Quale può esserne la radice? Mozart non ce lo dice, nascosto dietro la cortina sottile, ma inesorabilmente opaca, delle note musicali. Ce lo fa, invece. Mirabilmente intuire il grande teologo Hans Urs von Balthasar che, in un saggio dedicato alla musica di Mozart, scriveva: “…la realtà terrena, senza decurtazioni, si svolge già nel medio dell’aldilà, che le offre spazio. Non si verifica alcuna trasposizione: il mondo è nell’ambito della redenzione, la terra si trova nel cielo come nella sua vera collocazione appropriata”.

Se spostiamo
ora il nostro punto di osservazione e cerchiamo di cogliere l’opera nella sua globalità, notiamo altri fattori interessanti.
Il concerto è formato da tre parti (Allegro, Romanza, Rondò) e, proprio al centro, Mozart vi colloca uno dei suoi più misteriosi e consolanti tempi lenti. Il cuore della composizione è, così, il manifestarsi di una magica leggerezza, l’affermazione di una pace a lungo attesa e finalmente raggiunta.
Ma, esattamente al centro di questa sezione, ecco riapparire lo slancio drammatico dell’inizio, quasi a disegnare una forma geometricamente perfetta nella sua simmetria. La percezione della coerenza del mondo è dono, misteriosa intuizione, ma è anche ragione ordinatrice, forma concretamente definita. L’uomo integralmente in azione, insomma.
Il terzo, e ultimo, tempo esordisce con un gesto risoluto del pianoforte che sembra non lasciare spazio ad atteggiamenti diversi. Anche in questo caso, tuttavia, gli viene accostato uno spunto tematico di disarmante semplicità che, attraverso ritorni e trasformazioni, sospinge il clima espressivo verso una positività che si comunica anche al ricorrente gesto iniziale, mutandone interamente il significato. Il mondo, e l’uomo con esso, rimane quello che è: luce ed ombra, bontà e crudeltà. Il suo nucleo più profondo è però stato mutato radicalmente. Questo capolavoro mozartiano sta lì a ricordarcelo. Un segno, sorridente ed enigmatico, di quel Fatto che ha mutato il senso della storia: Dio che si fa compagnia all’uomo nel mistero dell’Incarnazione.

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