04 - “Feriti dalla Bellezza”. Preludio op. 32 n. 5 e Preludio op. 23 n. 4 di S. V. Rachmaninov

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Sergej Vasil’evic Rachmaninov, compositore russo vissuto a cavallo tra ’800 e ’900, amante della bellezza e custode della tradizione, ha combattuto contro tutte le contraddizioni che si sono venute a creare nei primi decenni del ’900, contraddizioni riassumibili nella poetica schoenberghiana dell’impossibile coincidenza tra bello e vero. Musicista sensibile, creatore di atmosfere indimenticabili, di struggente e melanconica cantabilità, Rachmaninov sopravvisse agli sconvolgimenti armonici del primo ’900 e rimase legato, in un certo senso, al mondo del passato (viene comunemente definito “l’ultimo dei Romantici”). Ha sempre considerato la sua musica come profondamente “umana”: «La musica deve essere l’espressione della complessa personalità del compositore; deve esprimere il paese di nascita del compositore, i suoi amori, la sua religiosità, i libri che l’hanno influenzato, le pitture che ama. Deve essere la somma totale delle sue esperienze» (Rachmaninov). La musica, quindi, deve avere a che fare con l’uomo nella sua totalità, con quel qualcosa di misterioso che lui stesso chiama “cuore”. «La musica nasce solo dal cuore e si rivolge al cuore. Oggi il cuore sta per diventare un organo atrofizzato: non lo si usa più. Ben presto sarà diventato una semplice curiosità» (Rachmaninov). Rachmaninov metteva nella sua musica tutto se stesso, proprio in un’epoca in cui si cominciava a teorizzare l’estraneità dell’autore e quindi dell’uomo dalla sua opera. Riproporre il cuore come sorgente e recettore del messaggio artistico non poteva che decretare la messa all’angolo del compositore russo. Ma la bellezza della sua musica è molto più forte della cultura dominante. Una bellezza che si accompagna ad un’intelligenza musicale palese. Per la comprensione della musica del Maestro russo, un aiuto fondamentale ci viene dato dal concetto di tocka, “punto”, caratteristica base di ogni sua composizione: «Ogni pezzo che suono è formato attorno al proprio punto culminante: l’intera massa sonora deve essere misurata secondo quella esigenza; la profondità e la potenza di ogni suono deve essere data con tale purezza e gradualità da raggiungere il proprio punto apicale con l’apparenza di un’estrema naturalezza, il cui raggiungimento rappresenta la più eccelsa abilità artistica… Deve essere l’ultima barriera tra la verità e la sua espressione… La composizione stessa determina questo culmine; il punto può giungere alla fine o a metà, può essere sonoro o delicato» (Rachmaninov).
Qual è il punto culminante del Preludio op. 32 n. 5?
Parto da una frase di Rachmaninov: «La melodia è la musica, è la base di tutta la musica. Non scrivere che quello che canta in te!». Il Preludio op. 32 n. 5 è un canto spiegato, intenso e semplice a tal punto da essere disarmante. Banalmente la si può definire “bella melodia” (dove per melodia intendiamo la parte cantabile che emerge), fulcro delle composizioni del maestro russo e “punto” di tale composizione. Il centro di questo brano è, quindi, la melodia. È la bellezza melodica. «Lo scopo della musica è creare la bellezza; oggi i nuovi talenti lavorano più con la testa che con il cuore e sono incapaci di entusiasmo» (Rachmaninov). La stessa bellezza che mi ha colpito al primo ascolto. Ascoltate la melodia, tanto semplice quanto geniale. Forse così si capisce meglio perché Don Giussani riconosce nel fascino melodico la genialità di Rachmaninov. «Le melodie suggestive di Rachmaninov, a volte tenere e malinconiche, a volte più energiche e drammatiche, che esprimono le più variegate sfumature del sentire umano, documentano, con la loro ultima pacatezza, lo spessore di umanità che le ha generate» (Don Giussani).



Quanto detto per il Preludio precedente, vale anche per il Preludio op 23 n. 4, un lunghissimo canto che sembra non aver fine e in cui, a farla da padrona, è l’ormai nota dolcezza melodica. La forma è (A – A1 – B – A2).
A (da 0 a 1’10”): sin da subito viene proposta una melodia leggera e sognante che, ogni volta che si ripete, viene ampliata come a voler dire qualcosa in più.
A1 (da 1’11” a 2’09”): la prima ripetizione si ha con l’aggiunta al tema precedente di alcune note sull’acuto che sembrano portarci “più in alto”, a qualcosa di desiderato, quasi inafferrabile e celestiale.
B (da 2’10” a 3’): dal momento più contemplativo si arriva all’apice (2’53”, tocka, il punto culminante) per riportarci, infine, alla melodia iniziale nuovamente variata.
A2 (da 3’01” a fine): il ritorno graduale a note acute ci invita a guardare nuovamente in alto. Il finale è una discesa verso una pace disarmante.



Una musica (volutamente) bella che (volutamente) esprime l’umano.
La bellezza è dell’uomo, del suo desiderio. È un’esperienza in atto che provoca uno struggimento verso l’infinito e una forte domanda sul destino. «La bellezza fa uscire l’uomo da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo risveglia aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto» (Benedetto XVI).
Verso l’alto. La stessa direzione in cui, dolcemente, ma intensamente, ci spinge Sergej Vasil’evic Rachmaninov.