03 - “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”. Concerto di Aranjuez, II movimento - “Adagio” - J. Rodrigo
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“Cuore” è un termine che, almeno dal Romanticismo in poi, ha assunto connotati diversi rispetto a quelli originari. Oggi chi parla di “cuore” si riferisce principalmente ad un sentimento o ad uno stato d’animo. Il carisma di don Giussani ha saputo riscoprire il vero significato, biblico, di questa parola: «complesso delle esigenze ultime dell’uomo». Ciò che è alla base del mio “essere” umano: i miei desideri, i miei bisogni, me stesso. «È l’esperienza elementare che costituisce il volto dell’uomo nel suo raffronto con tutta la realtà» (don Giussani). Ora, immaginiamo, per un attimo, questo musicista spagnolo, Joaquin Rodrigo, vissuto nel Novecento (1901 – 1999) e noto, ai più, per il celebre secondo movimento del Concerto di Aranjuez (1939). Perché quest’immedesimazione? Per andare realmente a fondo della sua vita e della sua opera. In qualsiasi scritto sul compositore spagnolo troverete che «la sua musica è un omaggio alla ricca e varia cultura spagnola». Il Concerto di Aranjuez è, parole del compositore, «la cattura della fragranza di magnolie, il canto degli uccelli ed il fragore delle fontane dei giardini di Aranjuez». Pura e semplice descrizione. Quasi musica a programma. Vero. Ma ci basta? La realtà è complessa e qualcuno ci ha insegnato a guardarla secondo la totalità dei suoi fattori. Chi era Joaquin Rodrigo? Un grand’uomo, di cultura: docente universitario e docente di conservatorio; un grand’uomo, drammatico; la sua vita è carnalmente determinata da un fatto: all’età di tre anni, a causa di un’epidemia di difterite, resta cieco. Questo è un dramma: una cosa c’è, l’hai davanti, ma non la vedi (è il dramma di tutti gli uomini). Questa circostanza segna, inconfondibilmente, la sua vita, a partire dalla vocazione: come descrivere qualcosa che c’è, che tocco, che sento, eppure non vedo? Ecco l’arte, la musica; quella di Rodrigo è permeata da questo desiderio: vedere. È un suo bisogno.
Il concerto per strumento solista e orchestra è tipico della nostra cultura: quanti concerti per violino e orchestra, per pianoforte e orchestra. Tantissimi, soprattutto in relazione all’esigua produzione di concerti per chitarra e orchestra, come quello di Aranjuez (la cui forma è quella tipica del concerto barocco: tre movimenti, Allegro – Adagio – Allegro). Perché? Possiamo abbozzare tante risposte: lo sviluppo strumentale (la chitarra, come la conosciamo noi, si perfeziona nei primi anni del Novecento), un preconcetto culturale (la chitarra non era lo strumento principale nella Mittle-Europa, capitale della musica “classico-romantica”) oppure, semplicemente, un problema acustico: la chitarra rischiava di essere coperta dagli altri strumenti. Eppure Rodrigo non la copre mai, anzi: è la protagonista della composizione. C’è sempre. Come il battito del cuore: se tu sei vivo, il cuore batte. Pochi anni prima della composizione del Concerto, muore, appena nato, il primo figlio del compositore. L’ennesimo dramma nella vita di Rodrigo. Il cuore che batte, che vuoi continui a battere, che speri continui a battere. E cosa sono quegli accordi iniziali, ribattuti, proprio alla chitarra? Lento, cadenzato, quasi sofferente, eppure batte! Desiderio. E nel dialogo tra la chitarra e gli altri strumenti dell’orchestra, celebre quello iniziale col corno inglese, l’accordo ribattuto della chitarra ritorna sempre. Come il cuore che non si ferma; come il desiderio che il cuore non si fermi. Come il desiderio di vedere, di vedere qualcosa che ci soddisfi pienamente, che salvi anche quel cuore che ora non batte più.
Il tema principale è malinconico e doloroso come fosse un canto lamentoso, un lamento della Settimana Santa. Lo è! Questa melodia, difatti, non è frutto dell’ispirazione compositiva di Rodrigo, ma è un canto della tradizione andalusa, un lamento intonato durante le processioni della Settimana Santa. Le donne piangono e cantano con un desiderio: salire nel carro con Cristo. Perché proprio questa melodia? Desiderio. Desiderio di vedere. Cosa? Desiderio di vederLo. Di vedere Colui che soddisfa il mio cuore, i miei desideri e i miei bisogni, e che salva anche quel piccolo cuore che ha appena smesso di battere. Inizialmente citata dal corno, la melodia viene poi ripresa dalla chitarra e continuamente scambiata tra i due strumenti, come in un dialogo, come fosse un’imitazione: come se appartenesse (la melodia, il desiderio) ad entrambi (da inizio a 3’).
Brevi interventi orchestrali, soprattutto degli archi, commentano il canto. Continua il dialogo, fitto, con la chitarra (da 3’01” a 4’09”). Ricomincia il canto iniziale della chitarra, identico ma trasposto al grave e ricomincia il dialogo con l’orchestra (da 4’10” a 6’32).
La successiva cadenza della chitarra solista (tecnicamente la cadenza non è solo la chiusa di una frase musicale o di un brano; si chiama cadenza anche il momento di “a solo” dello strumento solista) è un climax d’intensità. Un pianto. Un continuo crescendo (a poco a poco, poi molto animato) in note, in dinamiche, persino in virtuosismo; un continuo sviluppo del tema (del tema “sacro”) che sembra raccontarci il continuo desiderio, crescente, del cuore; il desiderio di capire, di vedere, di vederLo (da 6’32” a 8’31”).
Poi l’esplosione (da 8’32” a 9’54”). L’orchestra intera intona il tema centrale in fortissimo. Come la compagnia umana che si fa carico del tuo bisogno, che si fa carico di te, che ti fa compagnia. Ma non ti porta via il dramma, ti lascia libero. Ti fa compagnia: infatti, alla fine del movimento, la chitarra (io, il mio cuore) ripete lo stesso tema (sacro…) ma, questa volta, lo conclude in maniera diversa: dolce, più tranquillo, su un sostenuto degli archi, e con quell’accordo maggiore che apre ad una pace, una letizia mai riscontrata nel pezzo (da 9’55” a fine).
«Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti. Questo mondo così come è fatto non è sopportabile. Ho dunque bisogno della luna, o della felicità, o dell’immortalità, insomma di qualche cosa che sia forse insensato, ma che non sia di questo mondo». È il grido del Caligola di Camus, di un uomo che arde e desidera fortemente una risposta al suo bisogno di felicità, ai desideri del suo cuore. E «quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore» (don Giussani). La spinta del cuore di Rodrigo, il grido, drammatico, del suo cuore, acuito dalle dolorose circostanze della sua vita, sembra aver “visto”, finalmente, questa risposta.
27 / 08 / 2010