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02 - “Quid animo satis?” - Studio op. 10 n. 12 “Il Rivoluzionario” - F. Chopin

Fonte:
CulturaCattolica.it

“Quid animo satis?”. Che Chopin fosse un uomo tormentato da questa forte domanda l’abbiamo intuito. Ma, per rendere ancora più evidente questa drammaticità, vi propongo l’ascolto dello Studio op 10 N°12, in Do minore. Gli studi sono composizioni, fiorite nell’ambito di una letteratura didattica, nate a cavallo tra 1700 e 1800, periodo della definitiva consacrazione del pianoforte. Tuttavia, è solo con Chopin che questo genere di composizioni non si esaurisce in puro esercizio tecnico, ma acquista spessore espressivo – musicale. Questo studio venne definito da Franz Liszt “Il Rivoluzionario” per motivi storici (sembra che Chopin l’abbia composto dopo aver avuto la notizia della violenta presa della capitale Polacca, Varsavia, da parte delle truppe zariste) motivi che hanno sicuramente acuito quell’insoddisfazione di cui abbiamo parlato; lo studio, infatti, nacque di getto, come segno di drammatica insofferenza. La musica, una raffica veloce ed energetica di note che investe tutta la tastiera, sempre affidata alla mano sinistra (scopo tecnico dello studio), riflette uno stato d’animo, il moto interiore di un uomo avvilito, eppure non vinto. Che umanità in queste parole: «Noi uomini siamo dei vecchi cembali su cui il tempo e le circostanze hanno suonato i loro piccoli trilli infelici» descrive la vita umana come uno strumento musicale e le circostanze hanno suonato l’infelicità, la tristezza «la table d’armonie è perfetta», il nostro corpo è come una tavola armonica, però «solo le corde sono strappate, alcuni cavicchi sono saltati», cioè c’è qualcosa che non funziona bene; noi siamo perfetti, siamo gli esseri più perfetti, ma c’è qualcosa che non funziona bene. «L’unica sventura è che siamo opera di un celebre liutaio che ormai non è più qui per aggiustarci». Cioè, quello che manca è l’Autore della vita, della realtà, l’Autore di noi e della natura degli eventi; sentite la conseguenza: «e noi non sappiamo emettere nuovi suoni sotto mani inabili», pensate che Chopin era il più grande virtuoso d’Europa, «e ci soffochiamo dentro tutto ciò che per mancanza di un liutaio nessuno saprà più trarre da noi» (Chopin).
Fryderyk Chopin, polacco e cattolico, sapeva a memoria il Vangelo. Ma, leggendo quanto scritto sopra, si capisce che quello che (a Chopin) manca non è la dottrina, non è la teoria. Manca un’esperienza: manca la fede. Manca che quel liutaio sia presente per renderlo soddisfatto. E tutta la sua musica è un grido di questo.
«Quid animo satis? Il cuore dell’uomo è quel luogo della nostra esistenza personale in cui si capisce che noi siamo quel livello della natura in cui la natura diventa bisogno di rapporto con l’Infinito, bisogno di rapporto con Dio. Prima di questo, tutto crolla; prima di questa sponda eterna e infinita, tutto crolla» (Don Giussani).

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