Il calendario dell'8 Maggio
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Eventi
▪ 589 - Si apre il III Concilio di Toledo, che sancirà la conversione al cattolicesimo di Recaredo I, re dei Visigoti, e di tutto il suo popolo. E' una delle prime tappe della evangelizzazione dell'Europa che avrà il suo punto più alto nella civiltà cristiana medievale del XIII sec.
▪ 838 - Rovigo fu eletta sede dell'arbitrato tra l'arcivescovo di Ravenna e un vassallo dell'imperatore: si tratta del primo documento scritto in cui compare il nome del capoluogo veneto
▪ 1479 - il pontefice Sisto IV emana la prima Bolla di indulgenze per chi recita la preghiera del rosario: la Bolla Ea quae ex fidelium
▪ 1541 - Hernando de Soto raggiunge il Fiume Mississippi e lo battezza Rio de Espiritu Santo
▪ 1794 - Il chimico francese Antoine Lavoisier viene ghigliottinato
▪ 1846 - Guerra Messicano-Americana: Battaglia di Palo Alto - Zachary Taylor sconfigge le forze messicane a nord del Río Grande, a Palo Alto (Texas), nella prima grande battaglia di questa guerra
▪ 1848 - Inizia la battaglia di Cornuda tra le truppe pontificie e quelle austriache, battaglia che si concluderà il giorno seguente con una carica di cavalleria e l'intero sacrificio dei Dragoni pontifici.
▪ 1861 - Gli Stati Confederati d'America spostano la loro capitale da Montgomery (Alabama) a Richmond (Virginia)
▪ 1877 - Grecia: con un telegramma, l'archeologo Ernst Curtius dà notizia che gli scavi ad Olimpia hanno portato alla luce una statua marmorea di Hermes, forse del IV secolo a.C.
▪ 1886 - Il farmacista John Styth Pemberton inventa una bevanda gasata che verrà chiamata Coca-Cola
▪ 1898 - A Torino si disputa in un'unica giornata il primo Campionato di calcio di Serie A: se lo aggiudica il Genoa, che supera in finale l'Internazionale di Torino
▪ 1899 - A Dublino apre l'Irish Literary Theatre
▪ 1902 - In Martinica, il Monte Pelee erutta distruggendo la città di St. Pierre ed uccide circa 30.000 persone. Solo un pugno di residenti sopravvisse al disastro.
▪ 1914 - Viene fondata la Paramount Pictures
▪ 1933 - Mohandas Gandhi inizia un digiuno di 21 giorni per protestare contro l'oppressione britannica in India
▪ 1936 - Benito Mussolini proclama la fondazione dell'Impero dal balcone di piazza Venezia. E' il punto in cui il regime raggiunge il massimo consenso. Chiesa Cattolica e Monarchia sabauda hanno stretto una alleanza con il fascismo, scontentando coloro che avevano dato vita al fascismo/movimento.
▪ 1942 - Seconda guerra mondiale: termina la Battaglia del Mar dei Coralli. È la prima volta nella storia della marina in cui due flotte combattono senza contatto visivo tra le navi in combattimento
▪ 1945
- - Seconda guerra mondiale: in Germania entra il vigore la resa incondizionata firmata il giorno prima
- - Luigi Battisti viene nominato Sindaco di Trento
▪ 1951 - Prima bomba a fissione-fusione della storia che liberò un'energia di alcune centinaia di chilotoni. Il test rinominato "George" avvenne sull'Atollo di Enewetak nelle Isole Marshall per conto degli USA.
▪ 1971 - viene lanciata la settima sonda diretta verso Marte, nell'ambito della missione americana Mariner 8, la quale però fallisce proprio alla partenza
▪ 1972 - Guerra del Vietnam - Il presidente statunitense Richard M. Nixon annuncia il suo ordine di posizionare mine nei principali porti Nordvietnamiti, allo scopo di rallentare il flusso di armi e altri beni verso quella nazione
▪ 1973 - Un testa a testa di 71 giorni tra le autorità federali statunitensi e l'American Indian Movement che stava occupando la Riserva Indiana di Pine Ridge a Wounded Knee (Sud Dakota), finisce con la resa dei militanti
▪ 1978 - Reinhold Messner e Peter Habeler raggiungono per primi la cima dell'Everest senza l'ausilio dell'ossigeno
▪ 1982 - Gilles Villeneuve muore in seguito ad un tragico incidente avvenuto durante le qualifiche per il gran premio del Belgio di formula 1
▪ 1984 - L'Unione Sovietica annuncia che boicotterà le Olimpiadi estive di Los Angeles 1984
▪ 1987 - A Loughgall, in Irlanda del Nord, 8 membri dell' IRA muoiono in un agguato dei SAS. È la perdita più grave durante tutti i Troubles
▪ 1990 - l'operazione Sundevil colpisce gli hacker degli USA
▪ 2004 - Stoccolma: il prototipo di Phoenix, lo space shuttle europeo, effettua con successo il volo di prova, atterrando senza equipaggio
Anniversari
▪ 833 - Abū Muhammad ʿAbd al-Malik (Bassora, ... – Egitto, 8 maggio 833) Ibn Hishām (Abu Muhammad ʿAbd al-Malik b. Hishām b. Ayyūb al-Himyarī) è stato uno storico arabo che, rimaneggiando la prima biografia del profeta Maometto scritta da Ibn Ishāq, vanta il merito di aver trasmesso ai posteri il libro più antico in lingua araba, eccezion fatta per il Corano stesso.
Nato da una famiglia d'origine sud-arabica (del Hadramawt), trasferitasi poi a Bassora e quindi in Egitto, Ibn Hishām è noto per l'ampio rimaneggiamento della Sīrat nabawiyya (Vita del Profeta) di Ibn Ishāq.
Tale adattamento eliminò vari passaggi dell'opera originaria di Ibn Ishāq in cui questi aveva esposto anche episodi riguardanti la dimensione del tutto umana della vita di Maometto e alcuni aspetti in cui la sua attività non risultava particolarmente utile alla celebrazione che del profeta intendeva invece fare Ibn Hishām per i lettori musulmani.
Non tanto di censura si trattava, quanto dell'intento di proporre Maometto come modello di vita e di virtù per tutti i musulmani (esortandoli in definitiva a quella che sarà chiamata dagli orientalisti la imitatio Muhammadis).
Fortunatamente però alcuni episodi stralciati da Ibn Hishām sono sopravvissuti in opere storiche di grande importanza e diffusione, tra cui in particolare gli Annali di Tabari: cosa che permette di apprezzare il grande spessore storico di Ibn Ishaq.
Bisogna però riconoscere che, senza l'adattamento di Ibn Hishām, l'originale versione della Sīra sarebbe rimasta sostanzialmente marginalizzata, mentre la versione di Ibn Hishām acquistò in breve tempo una popolarità e un'amplissima diffusione che si mantengono inalterate fino al giorno d'oggi.
Una traduzione inglese della Sīra è stata curata da Alfred Guillaume per la Oxford University Press. (The Life of Muhammad. A translation of Ishaq's "Sirat Rasul Allah", with introduction [xiii-xliii] and notes, 1955.)
▪ 1079 - San Stanislao (Szczepanów, 26 luglio 1030 – Cracovia, 8 maggio 1079) è stato un vescovo polacco, capo della diocesi di Cracovia dal 1072 alla morte: venne fatto assassinare da Boleslao II nel 1079. È stato dichiarato santo e martire da papa Innocenzo IV nel 1253.
Nacque nei pressi di Cracovia dai nobili Belislao e Bogna: avviato alla carriera ecclesiastica, studiò presso la scuola della cattedrale di Gniezno (per un certo periodo, sede primaziale della Polonia) e, secondo una Vita tarda, a Parigi.
Fu ordinato sacerdote dall'arcivescovo di Cracovia Lamberto Zula, che gli affidò la comunità di Czembocz, dove si guadagnò la fama di pastore onesto e zelante, e lo nominò poi canonico del capitolo metropolitano, predicatore della cattedrale e vicario diocesano generale. Nel 1072, alla morte dello Zula, Stanislao venne designato quale suo successore, ma accettò l'elezione solo dopo la richiesta di papa Alessandro II.
Entrato in aperto contrasto con il re Boleslao II l'Ardito (secondo gli Acta perché ne aveva pubblicamente denunciato la vita dissoluta), venne fatto assassinare dal sovrano mentre celebrava la messa nella chiesa di San Michele: il suo corpo, mutilato e dato in pasto ai cani dagli emissari di Boleslao, venne recuperato dai canonici, sepolto in San Michele e poi traslato nella cattedrale del Wawel di Cracovia (1088).
Venne solennemente canonizzato ad Assisi da papa Innocenzo IV il 17 agosto 1253:[2] è patrono principale della Polonia e il suo culto è particolarmente vivo anche in Lituania, Bielorussia, Ucraina e negli Stati Uniti.
Memoria liturgica l'11 aprile, in Polonia solennità l'8 maggio.
▪ 1794 - Antoine-Laurent de Lavoisier (Parigi, 26 agosto 1743 – Parigi, 8 maggio 1794) è stato un chimico francese. Enunciò la prima versione della legge di conservazione della massa, riconobbe e battezzò l'ossigeno (1778), confutò la teoria del flogisto, ed aiutò a riformare la nomenclatura chimica. Lavoisier viene spesso indicato come il padre della chimica moderna.
Il suo contributo alla scienza
Nato il 26 agosto 1743 a Parigi, Antoine Laurent Lavoisier frequentò il College Mazarin dal 1754 al 1761, studiando chimica, botanica, astronomia, e matematica. Chimico, naturalista, agronomo, economista ed esattore delle imposte, Lavoisier delineò, a partire dagli anni '60 del secolo, con una serie ininterrotta di ricerche, una nuova rivoluzionaria immagine della chimica. La sua prima pubblicazione di chimica apparve nel 1764. Nel 1767 lavorò su uno studio geologico dell'Alsazia-Lorena. Venne eletto membro dell'Accademia francese delle scienze nel 1768 all'età di 25 anni. Nel 1771, sposò la tredicenne Marie-Anne Pierette Paulze, che tradusse dall'inglese per lui e illustrò i suoi libri. A partire dal 1775 servì nell'"Amministrazione delle polveriere reali", dove il suo lavoro portò a miglioramenti nella produzione di polvere da sparo e all'introduzione di un nuovo metodo per la preparazione del salnitro.
Alcuni dei più importanti esperimenti di Lavoisier esaminarono la natura della combustione. Attraverso questi esperimenti, dimostrò che la combustione è un processo che coinvolge la combinazione di una sostanza con l'ossigeno. Dimostrò anche il ruolo dell'ossigeno nella respirazione di animali e piante, cosi come nell'arrugginimento del metallo. La spiegazione data da Lavoisier alla combustione rimpiazzò la teoria del flogisto, la quale postulava che i materiali, quando bruciano, rilasciano una sostanza chiamata flogisto. Scoprì inoltre che l'aria infiammabile di Henry Cavendish che chiamò idrogeno (dal greco "formatore d'acqua"), si combinava con l'ossigeno per produrre una rugiada che, come riportò Joseph Priestley, appariva essere acqua. Il lavoro di Lavoisier era parzialmente basato su quello di Priestley, ma ad ogni modo, egli cercò di prendersi il merito delle scoperte di quest'ultimo. Questa tendenza ad usare i risultati di altri senza riconoscerlo e quindi trarre le proprie conclusioni, si dice che fosse stata una caratteristica di Lavoisier. In Sur la combustion en general, del 1777 e in Considérations Générales sur la Nature des Acides, del 1778, dimostrò che l'"aria" responsabile della combustione era anche fonte di acidità. Nel 1779, chiamò questa parte dell'aria "ossigeno" (dal greco "formatore d'acido"), e l'altra "azoto" (dal greco "senza vita"). In Reflexions sur le Phlogistique, 1783, Lavoisier mostrò che la "teoria del flogisto" era inconsistente.
Gli esperimenti di Lavoisier, furono tra i primi esperimenti chimici veramente "quantitativi", ad essere condotti. Egli mostrò che, anche se la materia cambia il suo stato con una reazione chimica, la quantità di materia è la stessa all'inizio e alla fine di ogni reazione. Bruciò fosforo e zolfo nell'aria, e dimostrò che il prodotto pesava più della materia iniziale. Ciò non di meno, il peso acquisito era stato preso dall'aria. Questi esperimenti fornirono la prova per la legge di conservazione della massa (in una reazione chimica la massa dei reagenti è esattamente uguale alla massa dei prodotti). Lavoisier investigò anche la composizione dell'acqua, e battezzò i suoi componenti come ossigeno e idrogeno. Assieme al chimico francese Claude-Louis Berthollet e ad altri, Lavoisier ideò una nomenclatura chimica, ovvero un sistema di nomi che serve da base al sistema moderno. Descrisse il tutto nel suo Méthode de nomenclature chimique (Metodi di Nomenclatura Chimica, 1787). Questo sistema viene ancor oggi largamente usato, compresi i nomi di acido solforico, solfati e solfiti. Il suo Traité Élémentaire de Chimie (Trattato di chimica elementare, 1789), è considerato il primo moderno libro di testo di chimica, e presentava una visione unificata delle nuove teorie della chimica, conteneva una chiara enunciazione della "legge di conservazione della materia",[1]e negava l'esistenza del flogisto. Inoltre, Lavoisier chiarificò il concetto di elemento come sostanza semplice che non può essere scomposta da nessun metodo conosciuto dell'analisi chimica, e concepì una teoria della formazione dei composti chimici a partire dagli elementi. In aggiunta stilò una lista di elementi, o sostanze, che non potevano essere scomposte, che includeva ossigeno, azoto, idrogeno, fosforo, mercurio, zinco, e zolfo. La sua lista, comunque, includeva anche luce e calorico, che credeva essere sostanze materiali.
I contributi fondamentali di Lavoisier alla chimica, furono il risultato di uno sforzo conscio di far rientrare tutti gli esperimenti all'interno di una singola struttura di teorie. Egli stabilì l'uso consistente della bilancia chimica, usò l'ossigeno per rovesciare la "teoria del flogisto", e sviluppò un nuovo sistema di nomenclatura chimica, che sosteneva che l'ossigeno era un costituente essenziale di tutti gli acidi (il che si rivelò in seguito vero nella maggior parte dei casi). Per la prima volta la nozione moderna di elementi viene impostata sistematicamente; i pochi elementi della chimica classica fecero strada al sistema moderno, e Lavoisier elaborò le reazioni nelle equazioni chimiche che rispettavano la conservazione della massa (si veda ad esempio il ciclo dell'azoto).
Creò anche la prima rivista di chimica specializzata, le "Annales de chimie".
Lavoisier nella vita pubblica
Di importanza fondamentale nella vita di Lavoisier fu il suo studio della legge. Questo lo portò a un interesse per la politica francese e, come risultato, poté, all'età di 26 anni, divenire un Fermier Général (in pratica, un esattore in appalto di vari tipi di tasse). Nello svolgere questa attività cercò di introdurre riforme nel sistema monetario e fiscale francese. Mentre lavorava per il governo, aiutò a sviluppare il sistema metrico decimale, per garantire l'uniformità di pesi e misure in tutta la Francia. Essendo uno dei 28 esattori francesi che non avevano lasciato precipitosamente il territorio nazionale, Lavoisier poté essere catturato e processato come traditore dai rivoluzionari nel 1794 e ghigliottinato assieme al suocero e gli altri colleghi a Parigi, all'età di 51 anni. Il suo principale accusatore fu il rivoluzionario e chimico dilettante Jean-Paul Marat (1743 - 1793), al quale Lavoisier aveva in precedenza rigettato la domanda di accesso all'Accademia delle Scienze. Paradossalmente, Lavoisier fu uno dei pochi liberali nella sua posizione. La sua importanza per la scienza venne espressa dal matematico torinese di origine francese Joseph-Louis Lagrange che si dolse della decapitazione dicendo:
«Alla folla è bastato un solo un istante per tagliare la sua testa; ma alla Francia potrebbe non bastare un secolo per produrne una simile.» (Joseph-Louis Lagrange)
▪ 1825 - Santorre di Santarosa, al secolo Santorre Annibale Derossi conte di Pomerolo, Signore di Santarosa (Savigliano, 18 novembre 1783 – Sfacteria, 8 maggio 1825), è stato un patriota e rivoluzionario italiano.
Infanzia e prime esperienze militari
Nato a Savigliano nel 1783 da una nobile famiglia piemontese (suo padre, all'epoca della Rivoluzione francese, era un colonnello dell'Esercito sardo), Santorre di Santarosa entrò nell'esercito regio a soli tredici anni, come alfiere dei Granatieri reali comandati dal padre e prese parte alla battaglia di Mondovì del 21-22 aprile 1796 contro l'Armée d'Italie comandata da Bonaparte. Durante l'occupazione austro-russa il padre fu colonnello del Reggimento provinciale di Asti e combatté a Marengo (14 giugno 1800) sempre contro Napoleone. Annibale proseguì intanto gli studi a Savigliano e poi all'Università di Torino. Nel frattempo, la Savoia ed il Piemonte, che solo da relativamente pochi anni si erano svincolati dall'influsso politico transalpino, passarono ai francesi.
Interesse per la politica e adesione alla Carboneria
Già da ragazzo, Santorre di Santarosa mostrò uno spiccato interesse per l'attività politica, e nel 1801 iniziò ad impegnarsi su questo fronte, divenendo così piuttosto conosciuto a Savigliano, dove rimase per tutta l'infanzia e l'adolescenza. Nel 1807, all'età di 24 anni, fu eletto sindaco (maire) a Savigliano: in questo modo ebbe la possibilità di approfondire la sua conoscenza del mondo politico e civile. Successivamente entrò nell'amministrazione francese, ed abbandonata la carica di sindaco di Savigliano, nel 1812 divenne sottoprefetto alla Spezia, incarico che continuò ad esercitare fino al 1814. Dopo la Restaurazione della monarchia sabauda, Santorre ottenne il grado di capitano dei granatieri del Reggimento Guardie e col 1º Battaglione prese parte alla campagna austro-sarda in Savoia e nel Delfinato, essendo presente al combattimento del 6 luglio 1815 sotto le mura di Grenoble. Entrò poi nel ministero della guerra e marina come ispettore delle leve provinciali 1816. Il 15 agosto 1820 fu insignito della gran croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Avvicinatosi alla Carboneria, Santarosa cominciò a coltivare l'idea di una campagna militare, che avrebbe dovuto essere guidata da Vittorio Emanuele I di Savoia, allo scopo di liberare i territori italiani dalla dominazione straniera. Inoltre, riteneva che il Re si dovesse impegnare a concedere ufficialmente una costituzione ai sudditi del Regno, un fatto che avrebbe testimoniato l'impegno dei Savoia ad allearsi con i patrioti e ad assumere la guida del movimento liberale italiano. Tuttavia, fin dall'inizio del suo mandato, Vittorio Emanuele I s'impegnò a restaurare in Piemonte e negli altri territori un soffocante regime assolutistico, che contribuì ad andare in direzione opposta alle idee liberali della Carboneria e della borghesia in generale.
Insurrezione meridionale e accordi con Carlo Alberto
Allora, Santorre di Santarosa cercò di trovare un altro aiuto, quello del giovane erede al trono sabaudo Carlo Alberto di Savoia, principe di Carignano, per indurlo ad assumere la guida dei rivoluzionari. Carlo Alberto era stato infatti l'unico esponente della famiglia sabauda ad esprimere la propria solidarietà agli universitari torinesi che, nel gennaio 1821, avevano organizzato contro l'Austria una manifestazione pacifica e liberale, manifestazione repressa subito nel sangue; per questo motivo, Santorre pensò che Carlo Alberto avesse davvero a cuore la questione italiana. I primi contatti si rivelarono più che positivi e sembrava che il giovane esponente dei Savoia avesse davvero intenzione di aderire all'impresa, convincendo Santorre ed altri generali piemontesi ad organizzare un'insurrezione militare.
Nel 1820 le insurrezioni scoppiate in Spagna, Portogallo ed Italia meridionale contribuirono a rafforzare il patriottismo italiano, in particolare quello piemontese, i cui sostenitori pensarono che la loro rivolta sarebbe stata appoggiata e seguita, con ogni probabilità, da parte dei patrioti siciliani e napoletani. Inoltre, i patrioti piemontesi cercarono in ogni modo di sostenere militarmente gli omologhi napoletani, ma non vi riuscirono per motivi legati alla scarsa organizzazione ed alla tardiva notizia della partenza dell'esercito asburgico per il Regno di Napoli. Nella seconda metà del 1820, Santorre si incontrò spesso segretamente con alcuni generali, politici (tra cui Amedeo Ravina) e con il giovane principe di casa Savoia per definire la data e le modalità della ribellione; dopo molte riunioni, si stabilì che la rivolta dovesse scatenarsi non prima dell'inizio del nuovo anno, in modo che l'esercito austriaco, ancora impegnato nella repressione dei moti di Nola e di Napoli dello stesso anno, non fosse subito pronto ad intervenire in quanto bisognoso di qualche tempo per riorganizzarsi.
1821: l'anno dell'insurrezione e del suo fallimento
Accordi con Carlo Alberto e inizio del moto
Il 6 marzo 1821, durante la notte, Santorre e gli altri generali si riunirono nella biblioteca del principe, insieme allo stesso Carlo Alberto, per organizzare nei dettagli l'impresa che, secondo un accordo precedente, sarebbe dovuta iniziare nel mese di febbraio: nel corso dell'incontro, Carlo Alberto mostrò alcuni tentennamenti, soprattutto sulla loro intenzione di dichiarare guerra all'Austria, che portarono Santorre ad avere qualche dubbio sul principe e sulle sue vere intenzioni. Tuttavia il Carlo Alberto lasciò intendere il suo appoggio, e per questo motivo Santorre ed i suoi associati fecero pervenire il messaggio di prossimo inizio della rivolta ai reparti militari di Alessandria, che, il 10 marzo, diedero inizio all'insurrezione, seguiti subito dopo dai presidi di Vercelli e Torino. In quell'occasione fu emesso da parte dei generali insorti il famoso Pronunciamento, un proclama con il quale si decise l'adozione di una costituzione, improntata su quella spagnola di Cadice del 1812, che prevedeva maggiori diritti per il popolo piemontese ed una riduzione del potere del sovrano. Ma il re, piuttosto che concedere il documento, preferì abdicare in favore del fratello Carlo Felice, allora assente dal Piemonte. La reggenza fu affidata al principe Carlo Alberto che, assunto l'incarico, concesse la Costituzione e nominò Santorre di Santarosa ministro della guerra del governo provvisorio.
Crisi del governo costituzionale e tradimento del re
Nel frattempo, il movimento di ribellione aveva portato alla ribalta Michele Gastone e Carlo Bianco di Saint Jorioz, più legati alla dottrina radicale di Filippo Buonarroti che a quella moderata che aveva ispirato la rivolta. Questo fatto contribuì a creare le prime crepe al debole governo costituzionale creato dal re e da Santorre: quest'ultimo, pur resosi conto della crisi, non abbandonò la situazione, rimanendo fedele ai compagni e sperando che tali difficoltà potessero essere risolte. Ma quando sembrava che si fosse giunti ad un accordo, venne meno l'appoggio del reggente che, sfiduciato il 16 marzo dal rientrante Carlo Felice, si distaccò da Santa Rosa e dagli altri insorti.
Il nuovo sovrano revocò la costituzione ed impose a Carlo Alberto di rimettersi al suo volere, abbandonando Torino e recandosi a Novara, rinunciando definitivamente alla sua carica ed alla guida del movimento di rivolta. Nella notte del 22 marzo, mentre alcuni, tra cui lo stesso Santa Rosa, annunciavano una prossima guerra contro l'Austria, Carlo Alberto fuggì segretamente a Novara abbandonando gli insorti al loro destino. Poche ore dopo Santorre, alla guida di un piccolo reparto, si recò nella città piemontese per tentare di convincere il principe e le sue truppe a tornare dalla sua parte, ma la missione si rivelò del tutto infruttuosa. Le sue parole, piene di sentimento e di autentica sofferenza, non furono in grado di riportare l'esercito e soprattutto il renitente Carlo Alberto dalla sua parte:
«Soldati piemontesi, guardie nazionali, volete la guerra civile? Volete l'invasione dei forestieri? Volete i vostri campi devastati, le vostre ville arse e saccheggiate?...Serratevi intorno alle vostre bandiere, circondatele, afferratele, e correte a piantarle sulle rive del Ticino e del Po!»
A questo punto, sapendo che ci sarebbe stata presto una pesante repressione, Santorre si risolse alla fuga. Il 9 aprile il conte riunì per l'ultima volta la Giunta, proponendo di spostare i lavori a Genova per provare un'ultima resistenza, ma l'immediato rifiuto ed il successivo scioglimento della stessa resero vano il tentativo. Qualche giorno dopo, all'inizio di aprile, alcuni reparti dell'armata imperiale austriaca, giunti in Piemonte in funzione di appoggio all'esercito regio, sconfissero pesantemente le forze costituzionali prive della guida del loro carismatico capo. In questo modo, l'avventura del Santarosa e degli altri carbonari terminò tragicamente: il neonato governo costituzionale cadde dopo neppure due mesi ed il sogno dei rivoluzionari si infranse.
Fuga e clandestinità - Soggiorno forzato in Svizzera e trasferimento a Parigi
Temendo di essere presto catturato e giustiziato dagli austriaci, Santorre fuggì verso i territori imperiali, dove fu improvvisamente arrestato; tuttavia, fu presto liberato da trenta studenti guidati dal colonnello polacco Schultz, che gli assicurò il suo appoggio incondizionato. Successivamente, passando segretamente da Genova, Marsiglia e Lione, trovò rifugio a Ginevra, dove visse alcuni mesi in compagnia di alcuni suoi fedelissimi, tra cui Luigi Ornato e Ferdinando Dal Pozzo. In questo breve periodo di tranquillità, uno dei pochi della sua vita, scrisse molti "ricordi", successivamente raccolti in un'opera postuma. Nel novembre 1821 il governo svizzero gli impose di partire, in seguito alle pressioni sabaude e asburgiche. Il 19 novembre si recò a Losanna, da dove partì per Parigi insieme al fedele Ornato, che rinunciò a stare in Piemonte con la sua famiglia, pur avendone la possibilità in quanto non scoperto, per rimanere con il suo "maestro". Arrivato nella città francese, affittò un piccolo appartamento nel Quartiere latino con il nome di Conti: in questo modo, pur vivendo nascosto ed in povertà, riuscì a concentrarsi nei suoi studi e nei suoi scritti, che culminarono nella redazione della sua unica opera organica, La révolution piémontaise, del 1822, uscita in tre edizioni.
Amicizia con Cousin e arresto
Nello stesso anno, cominciò a soffrire moltissimo per la distanza che lo separava dai figli, avuti dalla moglie Carolina tra il 1815 ed il 1820; il pensiero che essi potessero essere educati dai gesuiti lo tormentava di continuo, e negli anni successivi non riuscì mai a perdonarsi di non avere potuto prendersi cura di loro. Intanto, nel febbraio 1822, Villèle fu nominato Presidente del consiglio francese; subito dopo la sua elezione, la polizia transalpina strinse un accordo con quella sabauda, con l'obiettivo di arrestare il maggior numero possibile di rivoluzionari piemontesi che si erano rifugiati in Francia. Tra di essi vi era naturalmente anche Santarosa, che fu immediatamente avvertito di quello che stava succedendo dal suo grande amico Victor Cousin, un filosofo che lo ospitò per qualche tempo nella sua casa di Auteuil.
Un giorno, Cousin si sentì male; convinto dall'amico a cercare aiuto nella vicina Parigi, vi si recò immediatamente: Santorre, che non voleva però abbandonarlo, lo volle seguire a tutti i costi. Trovato un medico affidabile, Santorre approfittò del momento per recarsi nel suo precedente alloggio, al quale era molto affezionato: al ritorno, fu riconosciuto da otto poliziotti, arrestato e condotto in prigione. Fu accusato di cospirare contro il governo francese, ma Cousin difese Santarosa, affermando che quest'ultimo conosceva solo lui: fu comunque condotto in galera, nella quale rimase per due mesi in attesa di essere processato. L'assoluzione per mancanza di prove non gli permise di recuperare l'agognata libertà; trattenuto a lungo dalla polizia locale e trasferito con altri piemontesi nella piccola Alençon, dove si sentì come un leone in gabbia, dopo una breve permanenza a Bourges, fu infine esiliato nel mese di settembre.
Soggiorno inglese e crisi spirituale
Sbarcato in Inghilterra nell'ottobre 1822, si recò molto presto a Londra, dove visse un periodo molto amaro per il sempre più lungo distacco dalla famiglia e per la distanza dagli eventi della sua cara patria. Dopo qualche tempo incontrò il letterato italiano Giovanni Berchet, con il quale discusse a lungo della situazione italiana ed instaurò una buona amicizia; nello stesso periodo conobbe Ugo Foscolo, ritornato in Inghilterra dopo essere stato esiliato dagli austriaci: entrambi espressero il loro rammarico per l'incapacità di contribuire a formare un'Italia indipendente ed unita. Il 1823 fu un anno molto difficile per il conte di Santarosa, che riuscì a malapena a sopravvivere con le scarse risorse economiche di cui disponeva, essendo incapace di trovare un'occupazione che lo impegnasse ed interessasse. Neppure il forte rapporto di amicizia formato con Giacinto Collegno, piemontese ed in esilio come lui, gli impedì di soffrire molto: pensò di cercare un impiego come insegnante di italiano presso qualche scuola, ma desistette presto per il mancato appoggio offertogli dalla riservata società britannica. Stette in contatto con l'amico Cousin, al quale riferì costantemente le sue sofferenze e la sua tristezza; in una di quelle lettere, scrisse:
«I miei sogni, i sogni della mia vivissima fantasia, sono svaniti : neppure la speranza si è spenta nell'anima mia: ella ormai vuole svincolare da questo terrestre suo carcere.»
Trasferimento a Nottingham e partenza per la Grecia
Nel frattempo, cominciò a coltivare l'idea di andare a combattere in Grecia per il movimento indipendentista locale, che mirava all'indipendenza dall'Impero ottomano ed alla creazione di un governo libero e moderno. Dopo lo scoppio della Guerra d'indipendenza greca, Santorre decise di lasciare l'Inghilterra per combattere per la libertà; indipendentemente dalla patria per la quale avrebbe combattuto, voleva morire per quello in cui credeva. Nel 1824 si trasferì con Collegno a Nottingham, dove riuscì a sopravvivere esercitando il mestiere di professore; dopo che i deputati britannici gli promisero che gli sarebbe stato affidato in Grecia un importante incarico, prese la decisione definitiva di partire. Lasciato il non rimpianto suolo inglese il 10 novembre, sbarcò due settimane dopo sulle coste del Peloponneso: le cronache del Collegno riportano che l'entusiasmo iniziale fu gradatamente sostituito da un certo rimpianto e da un'evidente paura per le preannunciate difficoltà dell'impresa, a tal punto che il conte disse:
«Io non so perché mi dispiaccia che sia finito il viaggio: la Grecia non risponderà forse alla idea che me ne ero formata; chi sa quali accoglienze; chi sa che fine ci attende!»
Arruolamento nell'esercito greco
Subito dopo l'arrivo nel Peloponneso, Santorre si diresse con il fidato Collegno verso il centro di Nauplia (l'antica Napoli di Romania) dove fu ricevuto con freddezza dal governo greco, recentemente informato dagli alleati inglesi del suo imminente arrivo. Il conte richiese un qualsiasi incarico per sè e per il compagno, ma la sua richiesta fu subito ignorata, tanto che Santorre non poté fare altro che attendere per qualche tempo. Nel frattempo si recò prima in Argolide, dove ammirò le bellezze di Epidauro e dell'isola di Egina, poi nell'Attica, dove fu invece estasiato dai monumenti di Atene e dalla riservatezza di Maratona, sito della celebre battaglia. Poche settimane dopo, poiché nessuna risposta giungeva dal governo ellenico, decise di chiedere nuovamente un incontro, che si rivelò altrettanto infruttuoso. Gli fu fatto sapere infatti che l'unico modo per poter partecipare alla guerra sarebbe stato quello di cambiare il proprio nome: in caso contrario, gli inglesi lo avrebbero esiliato anche dalla Grecia. Presentatosi così come Annibale De' Rossi, ricevette un'uniforme militare e si preparò a combattere come soldato semplice vista l'impossibilità di assumere un incarico di maggior pregio. Tra il febbraio e marzo 1825 partecipò agli scontri di Patrasso, dove l'esercito greco ebbe la meglio su quello ottomano; il 19 aprile contribuì a sconfiggere le truppe del Pascià Ibrahim, mentre il 21 aprile giunse a Navarino, dove si predisponeva un assedio da parte delle forze locali.
Tra la fine del mese di aprile ed i primi giorni di maggio Santorre di Santarosa visse un periodo piuttosto tormentato; la causa di ciò era dovuta al fatto che l'immagine del suo prediletto figlio Teodoro si era in parte cancellata, e riteneva che questo fatto costituisse un triste presagio per il futuro: come in molti altri casi, Santorre non si sbagliò.
Assedio di Navarino e morte in battaglia
La difesa di Sfacteria, isola di fronte a Navarino, a chiuderne l'omonima baia, iniziò il 5 maggio, quando le truppe egiziane di Mehmet Ali (allora l'Egitto, benché sostanzialmente autonomo, era ancora vassallo dell'Impero ottomano), attaccarono l'isola, ma le fasi principali della battaglia si tennero nei giorni immediatamente successivi, quando i mille soldati greci cominciarono a dare i primi segni di resa. Il 7 maggio vi furono mandati come rinforzo solo cento uomini, tra cui lo stesso Santarosa, che non riuscirono ad offrire un grande apporto per l'efficacia dell'artiglieria nemica: inoltre l'esercito avversario era più riposato, meglio equipaggiato e molto più numeroso. La mattina del giorno successivo, Santorre fu invitato da Grasset, un segretario con il quale aveva stretto un buon rapporto, a lasciare l'isola: Santorre decise, invece, di rimanere fino alla fine per vedere più da vicino i turchi. Quello stesso giorno l'isola cadde in mano nemica; alcuni greci riuscirono a fuggire servendosi di piccole imbarcazioni, ma tra di essi non vi era Santa Rosa, che morì ucciso da un non identificato soldato maltese o egiziano: il conte fu probabilmente riconosciuto dai nemici, ma non fu risparmiato poiché sapevano che dalla sua prigionia non avrebbero potuto ottenere niente di vantaggioso. Il 16 maggio il Collegno ritornò nell'isola, nel frattempo riconquistata, per rintracciare il suo amico, ma non riuscì neppure a trovare il suo cadavere. La sua morte fu vendicata solo nel 1827, quando nei pressi dell'isola l'esercito greco, aiutato dalle truppe inglesi e francesi, sbaragliò i nemici.
Commemorazioni e riconoscimenti
Pochi giorni dopo la sua scomparsa, il quotidiano greco L'amico della legge fu il primo a dare la notizia della morte di Santa Rosa, del quale si tessero le lodi per il grande impegno sostenuto in favore della guerra d'indipendenza locale. Non appena il Cousin seppe dell'accaduto, si promise di far erigere nell'isola di Navarino un monumento in suo ricordo, offrendosi di pagare tutte le spese; siccome non ricevette risposte da parte del governo, si rivolse al colonnello Fabvier, che lo aveva conosciuto personalmente ed aveva saputo apprezzare il suo grande coraggio. Non appena l'isola fu liberata la richiesta del filosofo francese fu finalmente sostenuta, anche pubblicamente, dopo che il nome del conte aveva acquistato una certa fama: il monumento, molto modesto, presentava una breve iscrizione:
«Al Conte di Santa Rosa, ucciso l'8 maggio 1825»
Inoltre Cousin gli dedicò il quarto libro delle sue traduzioni di Platone, nel quale tra l'altro scrisse una veloce biografia del conte. Il 22 agosto 1869 fu inaugurato, nel centro di Piazza Vecchia a Savigliano, un monumento a lui dedicato alto più di sei metri. Eretto grazie ad un comitato costituitosi nel 1863 e scolpito dall'artista romano Giuseppe Lucchetti Rossi, fu prima lavorato a Ferrara e portato a Savigliano solo in un secondo momento. Nell'opera Santa Rosa è rappresentato in abito di ministro di guerra; nella mano sinistra tiene una copia della Costituzione del 13 marzo 1821, posa la destra sull'elsa della spada dalla quale pende una corona d'alloro e ha ai suoi piedi il berretto greco e la scimitarra. Curioso il fatto che la statua riporti su tutti e quattro i lati iscrizioni attribuite al patriota Niccolò Tommaseo.
Il poeta romantico Giovita Scalvini compose in suo onore alcuni versi, nei quali celebrava soprattutto la sua grande caparbietà ed i suoi ideali.
Opere principali
▪ Speranze d'Italia, (1815)
▪ La révolution piémontaise, 1822 (pubblicato a Parigi nel 1823)
▪ Ricordi, 1818-1824 (Torino, 1825)
▪ Queste sono le uniche opere che Santa Rosa scrisse di suo pugno. Altre lettere sono state successivamente raccolte da alcuni scrittori italiani (vedere la bibliografia per maggiori informazioni).
▪ 1873 - John Stuart Mill (Pentonville, 20 maggio 1806 – Avignone, 8 maggio 1873) è stato un filosofo ed economista britannico.
Figlio dello storico e filosofo scozzese James Mill, amico e seguace di Jeremy Bentham e amico di David Ricardo e Jean-Baptiste Say, fu istruito dal padre in modo molto rigoroso con l'obiettivo esplicito di creare un genio intellettuale dedito alla causa dell'utilitarismo. Mill fu in effetti un bambino estremamente precoce: fin dai tre anni esposto a matematica e storia, a dieci anni leggeva correntemente i classici greci e latini in lingua originale, a tredici studiò Adam Smith e David Ricardo, fondatori della nuova scienza dell'economia politica. A quattordici anni risiedette per un anno in Francia, apprezzando in pari misura le montagne, lo stile di vita, gli studi a Montpellier e l'ospitalità parigina di Say.
A vent'anni le fatiche fisiche e mentali dello studio lo fecero entrare in depressione, da cui presto guarì. Rifiutò di studiare alle Università di Oxford e Cambridge per non sottomettersi al requisito di venire ordinato nella chiesa anglicana. Seguì invece il padre nell'accettare un impiego nella British East India Company, che tenne fino al 1858. Nel 1858 morì la moglie Harriet Taylor, che aveva sposato solo nel 1851 dopo ventuno anni di intima ma casta amicizia (era sposata) e che influì molto sulle idee di Mill riguardo ai diritti delle donne (On Liberty, The Subjection of Women).
Tra il 1865 e il 1868 fu rettore della University of St. Andrews, l'università storica della Scozia, e al tempo stesso deputato liberale al Parlamento per il collegio londinese di City e Westminster, proponendo il diritto di voto alle donne, il sistema elettorale proporzionale e la legalizzazione dei sindacati e delle cooperative (Considerations on Representative Government). In quegli anni fu anche padrino di Bertrand Russell.
Come filosofo, aderì all'utilitarismo, teoria etica sviluppata da Jeremy Bentham, ma da cui J.S. Mill differì in senso più liberale e meno fedele al consequenzialismo.
Definito da molti come un liberale classico, la sua collocazione in questa tradizione economica è controversa per il discostarsi di alcune sue posizioni dalla dottrina classica favorevole al libero mercato.
J. S. Mill infatti, riteneva che solo le leggi di produzione fossero leggi naturali, e quindi immutabili, mentre considerava le leggi di distribuzione come una fenomenologia etico - politica, determinate da ragioni sociali e, quindi, modificabili. Di conseguenza, è favorevole alle imposte, quando giustificate da argomenti utilitaristi. Inoltre Stuart Mill ammette un uso strumentale del protezionismo, quando questo sia funzionale a consentire ad una "industria bambina" di svilupparsi fino al punto da poter competere con le industrie estere, momento in cui le protezioni vanno rimosse.
System of Logic (1843)
Nell'opera System of Logic, Sistema della logica deduttiva e induttiva J.S.Mill conduce una critica alla logica come era tradizionalmente insegnata in Inghilterra nella prima metà del XIX secolo, proponendo una radicale riformulazione dei suoi termini e delle sue metodologie d'indagine. La logica è «scienza della prova o dell'evidenza», si occupa non tanto delle verità che risaltano immediatamente (sensazioni, sentimenti ecc...) bensì della conoscenza mediata, frutto di un ragionamento, e quindi delle connessioni interne ad esso. La logica, limitandosi ad organizzare i dati dell'esperienza, compie una prima operazione detta denominazione, cioè l'attribuzione di nomi alle cose. Mill distingue poi:
▪ termini denotativi, termini che indicano un oggetto senza riferimento alle sue qualità o attributi (i nomi propri);
▪ termini connotativi, termini che indicano la proprietà di un oggetto (attributi e nomi comuni)
La logica si interessa del linguaggio in quanto strumento del pensiero. Mill distingue ancora tra proposizioni verbali, quando il predicato esprime un concetto già contenuto nel soggetto e quindi non forniscono nuove informazioni (gli uomini son razionali), e proposizioni reali, quelle in cui il predicato esprime un concetto non contenuto nel soggetto. Verbalità e realtà riguardano anche la connessione tra proposizioni diverse, quindi il ragionamento o inferenza. Perché un ragionamento apporti conoscenza la proposizione conclusiva deve esser contenutisticamente diversa da quella di partenza, altrimenti è una pura trasformazione verbale. Se per la logica tradizionale vi erano due tipologie di induzione:
▪ deduttiva (deduzione), inferenza che va dal generale al particolare,
▪ induttiva (induzione), inferenza che va dal particolare al generale.
Mill ne individua una terza a fondamento delle altre: l'inferenza avviene sempre dal particolare al particolare. Infatti nel sillogismo la premessa maggiore (ad es. «tutti gli uomini sono mortali») non è altro che un insieme di osservazioni particolari espressa in termini generali. Quindi ogni nostra conoscenza parte da un dato empirico e le generalizzazioni sono solo derivate da rassegne di casi particolari (anche la matematica, si parte da oggetti empirici da cui si fa astrazione da certe loro proprietà). L'inferenza si fonda quindi sull'induzione (e non la deduzione, vista la critica mossa da Mill al sillogismo). L'induzione perfetta, in cui si considerano tutti i casi particolari, alla fine dell'enumerazione non porta però nuova conoscenza. Se io dico «Paolo è ebreo, Pietro è ebreo, Marco è ebreo ecc...» e così per tutti gli apostoli, alla fine concluderò «tutti i dodici apostoli sono ebrei» e ne risulterà una semplice trasformazione verbale. L'induzione imperfetta o induzione per enumerazione semplice consente, dall'osservazione di X casi particolari, di inferire una qualità estendibile a tutti gli altri individui appartenenti alla medesima classe, anche a quelli non ancora esperiti. In questo caso c'è ampliamento della conoscenza. La certezza che le osservazioni compiute siano poi estendibili a tutti non c'è mai, ma J.S.Mill apporta a questo metodo rifacendosi al principio dell'uniformità della natura e di conseguenza alla legge di causalità necessaria. Quindi possiamo generalizzare perché supponiamo che la natura sia ordinata da leggi, anche se l'ordine vigente in natura è esso stesso una generalizzazione.
L'uniformità della natura ha come conseguenza la possibilità di prevedere eventi futuri basandosi sull'esperienza passata, tale prevedibilità viene estesa da Mill dalla natura all'ambito dell'agire umano. Conoscendo il carattere dell'individuo e gli impulsi da cui è mosso le sue future azioni diventano prevedibili, questo è il presupposto base, nonché materia di studio, della psicologia. Se la psicologia si occupa della previsione delle azioni umane allora la sociologia si occuperà delle azioni collettive e della previsioni degli eventi sociali futuri.
Egli propone un modello di ragionamento deduttivo, capace di coniugare la verifica e l'osservazione a posteriori dei fenomeni (fisici ed umani) con il ragionamento a priori su di essi. Mill dunque non è un empirista in senso assoluto, ossia non pensa che l'esperienza sia la fonte esclusiva delle nostre conoscenze, ma ritiene che una conoscenza astratta, puramente teorica, ovvero a priori, sia poco utile. È per lui possibile invece integrare teoria ed esperienza, combinare insieme ragionamento ed osservazione, per non cadere nel dogmatismo razionalistico o nel relativismo empirista (o addirittura nello scetticismo): nella follia della ragione astratta o nell'idiotismo della pura esperienza. Nella riflessione di Stuart Mill, il fulcro di una tale ricerca teorica sull'etica riguarda il metodo d'indagine delle scienze sociali. Venivano infatti così definite quelle discipline che, a differenza delle scienze della natura, studiavano i fenomeni sociali, i problemi politici ed economici, la storia ed i meccanismi della mente umana.
Secondo Mill queste discipline, a differenza delle scienze naturali, non potevano essere spiegate ricorrendo allo schema meccanico per cui ad una causa corrisponde sempre un determinato effetto: i fenomeni sociali infatti sono in genere determinati da una pluralità di cause che vanno analizzate e studiate, tenendo presente che la Legge di Causalità è il principio fondamentale di spiegazione di tutti i fenomeni naturali. Essa è nota per esperienza, allorché la mente, tramite un'induzione, comprende che due fenomeni si associano più volte in modo tale per cui la comparsa dell'uno si accompagno a quella dell'altro. Quando una tale osservazione particolare viene generalizzata, ossia quando si verifica un numero elevato di volte, possiamo dire che i due fenomeni sono in rapporto di causa-effetto.
Principles of political economy (1848)
L'opera più importante della produzione milliana sono senza dubbio i Principi di economia politica. Il testo racchiude in sé gran parte del pensiero liberale dell'autore, presentandoci la dottrina politico-sociale in tutta la sua complessità. Nel tentativo di riassumere il suo pensiero è utile riproporre la metafora che egli spesso usa nei suoi scritti: l'autore paragona la società ad un mulino ad acqua. Per capire il funzionamento del mulino, è necessario tener presente due elementi:
▪ Primo, occorre che ci sia una forza naturale, l'acqua che scorre, capace di produrre l'energia necessaria al funzionamento della macchina. Questa energia,che non può essere creata dall'uomo, non è controllabile e risponde a leggi naturali completamente avulse dalle regole dell'etica.
▪ Secondo, è necessario creare un meccanismo capace di sfruttare la forza della natura per trasformarla in ricchezza. Il meccanismo deve essere creato tenendo conto delle conoscenze umane e delle regole che ordinano il vivere civile.
Allo stesso modo, nella società esistono leggi naturali, come ad esempio quelle che regolano la produzione della ricchezza, che non possono subire limitazioni, ma devono seguire le libertà dei singoli individui che naturalmente ricercano il proprio utile e la propria felicità. Ma tutta questa energia prodotta sarebbe inutile, e potenzialmente dannosa, se non fosse guidata e trasformata da un meccanismo sociale, determinato secondo le leggi dell'etica, capace di distribuire questa ricchezza in modo da trasformarla in ricchezza sociale. I Principi di economia politica espongono il problema della divisione tra la produzione e la distribuzione della ricchezza, presentandoci una tra le più brillanti proposte sociali del Mill: la fusione dell'idea liberale con le idee socialiste sulla distribuzione: se le leggi di produzione dipendono dalla necessità naturale, le leggi della distribuzione dipendono dalla volontà umana, e su queste leggi si può agire. Mill auspica infatti che il criterio utilitaristico, ereditato dal maestro Bentham e dal padre, (cioè del maggior benessere per il maggior numero) possa guidare le riforme necessarie per una più equa distribuzione della ricchezza. Anche Mill è quindi convinto che l'egoismo possa esser congiunto all'altruismo, poiché la felicità umana deriva anche dalla felicità dei propri simili e dalla promozione della stessa.
On Liberty (1859)
Nel celebre saggio "Sulla libertà", uno dei capisaldi della cultura filosofica della società moderna, Mill sostiene che un individuo è libero di raggiungere la propria felicità come meglio crede e nessuno può costringerlo a fare qualcosa con la motivazione che è meglio per lui, ma potrà al massimo consigliarlo; l'unico caso in cui si può interferire sulla libertà d'azione è quando la libertà di uno provochi danno a qualcun altro, solo ed unicamente in questo caso l'umanità è giustificata ad agire allo scopo di proteggersi. In tal senso lo Stato è giustificato ad inidirizzare la vita degli individui solo quando il comportamento di uno di essi può danneggiare gli altri. Solo in tal caso potrebbe essere giustificabile la limitazione della libertà dei cittadini da parte dello Stato.
«Se tutti gli uomini, meno uno, avessero la stessa opinione, non avrebbero diritto di far tacere quell'unico individuo più di quanto ne avrebbe lui di far tacere, avendone il potere, l'intera umanità.»
Molto importanti sono anche le argomentazioni con cui Mill sostiene la sua tesi; impedire l'espressione di un'opinione è sempre e comunque un crimine: infatti se l'opinione è giusta, coloro che ne dissentono vengono privati della verità; ma anche nel caso in cui essa sia sbagliata, coloro che ne dissentono sarebbe privati di un beneficio ancora più grande, quello di veder rafforzata la verità medesima per confronto con l'errore.
A fondamento di ciò vi è la convinzione che mentre l'unanimità non è mai utile, la diversità è invece sempre altamente auspicabile; questo perché l'uomo, che è di per se relativo, non può avere sempre verità assolute, e quello che è falso oggi potrebbe essere vero domani (e viceversa). L'anticonformismo è apprezzabile e l'originalità di ogni uomo va sempre valorizzata e mai annullata.
Il suo pensiero politico-economico è quindi attestato su posizioni di liberalismo radicale, la valorizzazione dell'individuo e dei suoi spazi di libertà fanno sì che lo Stato si ordini sulla libertà civile della quale è protettore. L'unica interferenza ammissibile da parte dello Stato, affinché si eviti un danno effettivo a un terzo, riguarda la sola sfera della difesa e tutela delle libertà personali:
▪ la libertà di coscienza, pensiero ed espressione
▪ la libertà di perseguire la felicità,
▪ la libertà di associazione.
Allo stesso tempo, però, si è visto in Mill anche il fondatore del liberalsocialismo; così, ad esempio, nelle analisi di Norberto Bobbio e Nadia Urbinati, in anni recenti, e già in precedenza in quelle di Ludwig von Mises (si veda il suo saggio Sozialismus. in cui Mill è definito "il più grande avvocato del socialismo") e Leonard Trelawny Hobhouse (nel suo Liberalism).
Opere
▪ (1843) A System of Logic (Un Sistema di Logica)
▪ (1844) Essays on Some Unsettled Questions of Political Economy (Saggi su alcune Questioni Aperte di Economia Politica)
▪ (1848) Principles of Political Economy (Principi di Economia Politica)
▪ (1859) On Liberty (Saggio sulla libertà)
▪ (1861) Utilitarianism (Utilitarismo)
▪ (1861) Considerations on Representative Government (Considerazioni sul governo rappresentativo)
▪ (1869) The Subjection of Women (Sull'asservimento delle donne)
▪ (1873) Autobiography (Autobiografia)
▪ (1874) Essays on Religion (Saggi sulla religione)
▪ 1880 - Gustave Flaubert (Rouen, 12 dicembre 1821 – Canteleu, 8 maggio 1880) è stato uno scrittore francese. È considerato l'iniziatore del realismo nella letteratura francese ed è conosciuto soprattutto per essere l'autore del romanzo Madame Bovary e per l'accusa di immoralità che questa opera gli procurò.
▪ 1903 - Paul Gauguin (Parigi, 7 giugno 1848 – Hiva Oa, 8 maggio 1903) è stato un pittore francese.
Formatosi, dalla metà degli anni Settanta, nell'Impressionismo, si distaccò dall'espressione naturalistica accentuando progressivamente l'astrazione della visione pittorica, realizzata in forme piatte di colore puro e semplificate con la rinuncia alla prospettiva e agli effetti di luce e di ombra, secondo uno stile che fu chiamato sintetismo o cloisonnisme, al quale rimase sempre fedele pur sviluppandolo durante tutta la sua vita e portandolo a piena maturità nelle isole dei mari del Sud, quando egli si propose il tema di rappresentare artisticamente l'accordo armonico della vita umana con quella di tutte le forme naturali, secondo una concezione allora ritenuta tipica delle popolazioni primitive.
I pittori nabis e i simbolisti si richiamarono esplicitamente a lui, mentre la libertà decorativa delle sue composizioni aprì la via all'Art Nouveau, così come il suo trattamento della superficie lo rese un precursore del fauvismo e la semplificazione delle forme fu tenuta presente da tutta la pittura del Novecento.
▪ 1936 - Oswald Spengler (Blankenburg am Harz, 29 maggio 1880 – Monaco di Baviera, 8 maggio 1936) è stato un filosofo, storico e scrittore tedesco. Autore de "Il tramonto dell'Occidente" (titolo originale "Der Untergang des Abendlandes", tradotto in italiano da Julius Evola).
"Il Tramonto dell'Occidente" (1918-1922), accolto da un enorme successo di pubblico, è un tentativo di elaborare un compendio di una morfologia della storia universale. In quest'opera Spengler sosteneva che tutte le civiltà attraversano un ciclo naturale di sviluppo, fioritura e decadenza, e che l'Europa, vittima di un angusto materialismo e del caos urbano, si trovava nell'ultimo stadio, l'inverno di un mondo che aveva conosciuto stagioni più fruttuose. L'Europa, a meno di riuscire a purificarsi e ripristinare i suoi valori spirituali e il suo ceppo originario, sarebbe caduta preda di politiche selvagge e di guerre di annientamento. Spengler è influenzato da Johann Wolfgang von Goethe, da Wilhelm Dilthey, da Friedrich Nietzsche (in particolare dalla sua teoria dell'Eterno ritorno) e dal pensiero greco. Spengler intende la storia come un costante processo di decadimento anziché come evoluzione progressiva. In alcuni suoi scritti di carattere politico (Prussianesimo e socialismo, Ricostruzione dello Stato tedesco ecc.), Spengler si farà fautore di uno Stato fortemente autoritario, in parte vicino a quello preconizzato dai nazisti. Mussolini fu profondamente ispirato da Spengler. Il pensiero di Spengler fu in parte ripreso da Alexandre Deulofeu.
Nel saggio Untergang des Abendlandes sostiene la tesi che non esistano culture, filosofie, scienze, morali universali, valide sempre e dovunque, mentre ogni disciplina e ogni aspetto culturale diviene indispensabile all'interno del contesto a cui appartiene. Quello che teme Spengler, oltre alla crisi della spiritualità e della religiosità, sono le nuove forme politiche nascenti, come la democrazia e il socialismo che alterano i rapporti "naturali", o piuttosto quelli tradizionali, di potere.
Sull'ineluttabile tramonto della cultura occidentale Spengler afferma:
«Noi non abbiamo la possibilità di realizzare questo o quello ma la libertà di fare ciò che è necessario o nulla; ed un compito che la necessità della storia ha posto verrà realizzato con il singolo o contro di esso. Ducunt fata volentem, nolentem trahunt » (Untergang des Adendlandes, II, pag. 630)
Oswald Spengler nacque a Blankenburg, una città tedesca ai piedi dei monti Harz. Era il primo di quattro figli e l'unico maschio. La sua famiglia era una tipica famiglia tedesca della piccola borghesia conservatrice. Il padre, originariamente un tecnico minerario discendente da una lunga serie di minatori, era un impiegato postale. Durante la sua infanzia Spengler era molto riservato; crescendo, si appassionò alla lettura e cercò conforto nei grandi personaggi della cultura. Era di salute cagionevole e per tutta la vita soffrì di emicranie e di disturbi d'ansia.
All'età di dieci anni la famiglia si trasferì nella città universitaria di Halle. Qui Spengler compì gli studi classici nel ginnasio locale, dove studiò greco, latino, matematica e scienze naturali. Inoltre qui nacque la sua passione per l'arte - specialmente per la poesia, il teatro e la musica - e qui entrò in contatto con le idee di Goethe e Nietzsche.
Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1901, Spengler frequentò varie università (Monaco, Berlino e Halle) come studente privato, seguendo corsi in molte materie: storia, filosofia, matematica, scienze naturali, letteratura, i classici, la musica e belle arti. Nel 1903 fu bocciato all'esame di dottorato con tesi su Eraclito perché non aveva referenze sufficienti, il che gli rendeva impossibile l'inizio di una carriera accademica. Nel 1904 ottenne il dottorato. Nel 1905 ebbe un esaurimento nervoso.
La sua vita non conobbe eventi di particolare rilievo. Insegnò per un breve periodo a Saarbrücken e poi a Düsseldorf. Dal 1908 al 1911 fu insegnante di scienze, storia tedesca e matematica in una scuola superiore professionale (Realgymnasium) di Amburgo.
Nel 1911, in seguito alla morte di sua madre, si trasferì a Monaco, dove sarebbe vissuto fino alla sua morte nel 1936. Viveva una vita da studioso solitario, con i mezzi provenienti dalla sua modesta eredità. Si sosteneva economicamente anche impartendo lezioni private o scrivendo per i giornali.
Quando cominciò a lavorare al primo volume de Il Tramonto, l'intenzione era di concentrarsi sulla Germania, ma poi fu profondamente colpito dalla crisi di Agadir e allargò la portata della sua opera. Spengler fu ispirato da un libro di Otto Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt (Storia del tramonto del mondo antico). Il libro fu completato nel 1914 ma la pubblicazione fu rimandata per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Durante la guerra Spengler visse in condizioni di estrema povertà, perché la sua eredità, investita fuori dall'Europa, era praticamente inutilizzabile.
Dopo la pubblicazione, avventa nel 1917, Il Tramonto ebbe un grandissimo successo: l'umiliazione nazionale del Trattato di Versailles (1919) e poi la depressione economica intorno al 1923, alimentata dall'iperinflazione, sembravano dar ragione a Spengler. Per i tedeschi le tesi de Il Tramonto erano un conforto, perché così il crollo della Germania poteva essere spiegato razionalmente come parte di processi storici mondiali più ampi. Il libro ebbe un successo enorme anche fuori dalla Germania e fu tradotto in molte lingue. Spengler rifiutò la cattedra di filosofia all'Università di Gottinga per concentrarsi sulla scrittura.
Il libro fu molto criticato, perfino da chi non l'aveva letto. Gli storici erano infastiditi dal tentativo amatoriale di un autore inesperto e dal suo approccio non scientifico. Thomas Mann disse che leggere il libro di Spengler era come leggere Arthur Schopenhauer per la prima volta. Gli accademici non reagirono tutti nello stesso modo. Max Weber disse che Spengler era un "dilettante molto ingegnoso e colto", mentre Karl Popper bollò le sue tesi come "futili". Il grande storico dell'antichità Eduard Meyer aveva un'alta opinione di Spengler, sebbene lo criticasse anche. L'oscurità, l'intuizionismo e il misticismo di Spengler erano facilmente criticabili, specialmente per i positivisti e i neo-kantiani che non negavano il significato della storia. Il critico ed esteta conte Harry Kessler lo considerava non originale e piuttosto inconsistente, specialmente il suo saggio su Nietzsche. Ludwig Wittgenstein, però, condivideva il pessimismo culturale di Spengler.
Nel 1928 la rivista Time pubblicò una recensione del secondo volume de Il Tramonto descriveva l'immensa influenza delle idee di Spengler e la controversia che avevano provocato negli anni '20: "Quando il primo volume de Il Tramonto dell'Occidente uscì alcuni anni fa, furono vendute migliaia di copie. Il dibattito colto in Europa presto si concentrò sulle tesi di Spengler. Lo spenglerismo sprizzava dalle penne di innumerevoli discepoli. Era imperativo leggere Spengler, simpatizzare o ribellarsi. È ancora così".
Nel secondo volume, pubblicato nel 1920, Spengler sosteneva che il socialismo tedesco era diverso dal marxismo e che era in effetti compatibile con il tradizionale conservatorimo tedesco. Nel 1924, in seguito alle agitazioni politico-sociali e all'inflazione, Spengler entrò in politica nel tentativo di portare al potere il generale del Reichswehr Hans von Seeckt. Il tentativo fallì. Nel 1931 Spengler pubblicò L'Uomo e la tecnica, che metteva in guardia contro i pericoli della tecnologia e dell'industrialimo per la cultura. In particolare puntava il dito contro la tendenza della tecnologia occidentale a diffondersi tra le "razze di colore" nemiche, che poi avrebbero preso le armi contro l'Occidente. L'opera non ebbe un grande successo a causa del suo anti-industrialismo. Il libro contiene la famosa citazione di Spengler, "L'ottimismo è viltà".
Nel 1932 Spengler non votò per Hindenburg ma per Hitler, anche se lo trovava volgare. Spengler incontrò Hitler nel 1933 e dopo una lunga discussione con lui, disse che la Germania non aveva bisogno di un "tenore eroico ("Heldentenor", tenore drammatico), ma di un vero ("Held") vero". Spengler fu protagonista di una disputa pubblica con Alfred Rosenberg e il suo pessimismo e le sue osservazioni sul Führer ebbero come risultato l'isolamento e il silenzio. Inoltre rifiutò le offerte di Joseph Goebbels di fare discorsi pubblici. Però quell'anno Spengler diventò membro dell'Accademia di Germania.
Anni della decisione, opera pubblicata nel 1934, fu un bestseller ma poi fu messo al bando dai nazisti per le sue critiche al Nazionalsocialismo. La critica di Spengler al liberalismo fu accolta positivamente dai nazisti, ma Spengler non era d'accordo con la loro ideologia biologica e con l'antisemitismo. Il misticismo razziale aveva un ruolo importante nella sua concezione del mondo, ma Spengler era sempre stato apertamente critico delle teorie razziali pseudoscientifiche professate dai nazisti e da molti altri contemporanei. Pur essendo lui stesso un nazionalista tedesco, Spengler considerava i nazisti troppo tedeschi e non abbastanza occidentali da guidare la lotta contro altri popoli. Il libro metteva anche in guardia contro una futura guerra in cui la civiltà occidentale rischiava di essere distrutta. Anni della decisione fu ampiamente distribuito all'estero prima di essere messo al bando dai nazisti: una recensione della rivista Time raccomandava il libro ai "lettori che amano la scrittura vigorosa", che "saranno contenti di essere accarezzati contropelo dagli aspri aforismi di Spengler" e dalle sue pessimistiche previsioni.
Spengler trascorse i suoi ultimi anni a Monaco, ascoltando Beethoven, leggendo Molière e Shakespeare, comprando molti libri e collezionando antiche armi turche, persiane e indù. Ogni tanto si recava sui Monti Harz e in Italia. Poco prima della sua morte, in una lettera a un amico, scrisse che "probabilmente il Reich Germanico tra dieci anni non esisterà più". Morì di attacco cardiaco l'8 maggio 1936, a 56 anni, esattamente nove anni prima del crollo del Terzo Reich.
Nonostante l'influenza e la fama internazionale di cui godeva tra le due guerre, la sua opera cadde nell'oblio dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una delle ragioni principali per cui Spengler fu ignorato o disprezzato è la sua fiera opposizione alla Repubblica di Weimar. Solo recentemente Spengler è tornato a suscitare interesse. Le sue opinioni, le sue teorie e predizioni sono ancora oggetto di dibattito tra ammiratori e detrattori.
Opere principali
▪ Der Untergang des Abendlandes. Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte, 2 voll., Wien (1918) e München (1922); tr. it. Spengler, Il tramonto dell'Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale, introduzione di S. Zecchi e traduzione di J. Evola, Parma (2002).
▪ Preußentum und Sozialismus, München (1919); tr. it. Spengler: Prussianesimo e socialismo, tr. di C. Sandrelli, Padova (1994).
▪ Der Mensch und die Technik. Beitrag zu einer Philosophie des Lebens, München (1931); tr. it. Spengler, L'uomo e la tecnica. Contributo a una filosofia della vita, introduzione di S. Zecchi e traduzione di G. Gurisatti, Parma (1992).
▪ Jahre der Entscheidung. Erster Teil. Deutschland und die weltgeschichtliche Entwicklung, München (1933); tr. it. Spengler: Anni della decisione, tr. di F. Freda, postfazione di F. Ingravalle, Padova (1994).
Opere pubblicate postume
▪ Urfragen. Fragmente aus dem Nachlaß, a cura di Anton Mirko Koktanek in collaborazione con Manfred Schröter, München 1965; tr. it. Spengler, Urfragen. Essere umano e destino. Frammenti e aforismi di Oswald Spengler, tr. di F. Causarano, Milano 1971.
▪ Frühzeit der Weltgeschichte. Fragmente aus dem Nachlaß, a cura di Anton Mirko Koktanek in collaborazione di Manfred Schröter, München 1966; tr. it. Spengler, Albori della storia mondiale. Frammenti dal lascito manoscritto, 2 voll., tr. di C. Sandrelli, Padova 1996.
▪ 1982 - Joseph Gilles Henri Villeneuve, meglio conosciuto come Gilles (IPA: /ʒil vilnœv/; Saint-Jean-sur-Richelieu, 18 gennaio 1950 – Lovanio, 8 maggio 1982), è stato un pilota automobilistico canadese.
Appassionatosi di automobili durante i primi anni di vita, diede inizio alla propria carriera sportiva partecipando a gare tra motoslitte nella nativa provincia del Québec. Successivamente passò alla guida delle monoposto, e nel 1976 vinse sia il Campionato di Formula Atlantic canadese che quello statunitense. Un anno più tardi la McLaren fece esordire Villeneuve in Formula 1 al Gran Premio di Gran Bretagna 1977; nel corso della medesima annata la Scuderia Ferrari, campione in carica dei costruttori, lo ingaggiò per le ultime due gare stagionali al Mosport Park (Canada) e al Circuito del Fuji (Giappone) in sostituzione di Niki Lauda. In quattro anni con la scuderia di Maranello fece registrare sei vittorie in Gran Premi e un secondo posto nel Mondiale 1979 alle spalle del compagno di squadra Jody Scheckter.
Morì in uno schianto a 225 km/h con la March di Jochen Mass durante le qualifiche per il Gran Premio del Belgio 1982. Villeneuve al momento del decesso era molto popolare tra gli appassionati, e da allora è diventato un simbolo della storia dello sport.
Suo figlio Jacques sarebbe diventanto nel Campionato Mondiale di Formula 1 1997 il primo – e, a tutt'oggi, unico – canadese campione del mondo dei piloti di Formula 1.
▪ 1990 - Luigi Nono (Venezia, 29 gennaio 1924 – Venezia, 8 maggio 1990) è stato un compositore italiano di musica contemporanea.
Oltre che nella musica, Nono fu attivamente impegnato in politica. Utilizzò spesso testi politici nei suoi lavori: Il canto sospeso (1956), che gli diede fama internazionale, era basato sulle lettere di vittime della repressione durante la seconda guerra mondiale; La fabbrica illuminata (1964), per soprano, coro e nastro magnetico, brano di denuncia delle pessime condizioni degli operai nelle fabbriche di quegli anni; Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz (1965), basato su testimonianze dei sopravvissuti all'omonimo campo di concentramento.
Mise in musica testi di poeti e scrittori celebri, come Giuseppe Ungaretti, Cesare Pavese, Federico García Lorca, Pablo Neruda, Paul Éluard.
▪ 2009 - Giovanni Battista Baget Bozzo (Savona, 8 marzo 1925 – Genova, 8 maggio 2009) è stato un presbitero e politico italiano. È stato per due volte europarlamentare.
Baget Bozzo ha militato prima nella Democrazia Cristiana, poi nel Partito Socialista Italiano, infine in Forza Italia. Per la sua militanza politica è stato sospeso a divinis dalla Chiesa[1].
Figlio di una ragazza madre catalana di cognome Baget (morta quando lui aveva solo 5 anni), e di un sergente dell’Aeronautica [2], adottò anche il cognome Bozzo degli zii materni con cui crebbe.
Il suo professore di religione al liceo fu don Giuseppe Siri, futuro vescovo di Genova e cardinale. Nel '44, diciannovenne, Gianni Baget Bozzo si univa al CLN della Liguria, nelle ultime fasi della Resistenza.
Dalla militanza nella Democrazia cristiana al sacerdozio
All'università si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza ed entrò a far parte della FUCI dove, grazie alla guida di sacerdoti genovesi quali, tra gli altri, Franco Costa e Giuseppe Siri, si stavano formando importanti figure del movimento cattolico; durante la guerra entrò nella Democrazia Cristiana genovese; conobbe Paolo Emilio Taviani [2]. Dopo la laurea in legge, aderì nel 1946 alla Civitas humana di Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani e Giorgio La Pira, associazione nata da pochi mesi con lo scopo di orientare il mondo cattolico verso una riforma politica e sociale, seguendo i principi dell’uguaglianza e della partecipazione [3]. Collaborarò alla rivista cattolica Cronache sociali dalla fondazione nel 1947 al 1949. Incontrò in questo periodo il cattolico liberale Augusto Del Noce [4].
Si trasferì a Roma, dove abitò in via Chiesa Nuova 14, al primo piano, appartenente ai signori Domenicano, condiviso con Bartolo Ciccardini, Giuseppe Glisenti, Benedetto De Cesaris, i fratelli Claudio Leonardi e Matteo Leonardi, e Corrado Guerzoni [5]. Con Claudio Leonardi strinse un'amicizia culturale che durò tutta la vita [6]. All'ultimo piano della stessa casa abitavano le sorelle Portoghesi, che davano ospitalità agli onorevoli Dossetti, Lazzati, Gotelli e Bianchini. Baget Bozzo aveva l'onore di sedersi alla tavola, con gli altri ospiti, delle Portoghesi [7] [6]. Nel 1949 [8], dopo che Dossetti decise di lasciare la Dc e sciogliere la propria corrente, ed essendosi distaccato dalla tesi di Dossetti e di Costantino Mortati sul primato del partito sullo Stato, se ne allontanò [2]. Nel 1950-51 collaborò alla rivista Cultura e realtà diretta da Mario Motta [9]. Dal '51 frequentò un piccolo gruppo di cattolici comunisti e di cristiano-sociali di ispirazione dossettiana che si raccoglievano attorno al filosofo torinese Felice Balbo per discutere sulla crisi dei valori nella società contemporanea e sui modi di superarla mediante l'impegno sociale [10]. Dopo la scomunica inflitta da Pio XII ai comunisti e ai loro fiancheggiatori, si avvicinò ad Alcide De Gasperi, in senso non solo morale, ma anche concreto, con la collaborazione alla rivista Terza generazione, il cui scopo era di unire i giovani al di là dei partiti e superare la divisione tra fascisti e antifascisti [11] [2]. La rivista fu promossa da Felice Balbo e diretta prima da Ubaldo Scassellati, poi dallo stesso Baget Bozzo [6]. Morto De Gasperi (1954), e rinunciato alla politica nazionale, ritornò da Roma a Genova, e alcuni amici lo coinvolsero nella politica locale.
Negli anni 1955-1958 ebbe un senso fortissimo della Presenza divina, poi l’esperienza divenne Voce, e ne scrisse per un certo tempo le locuzioni; il tema centrale della Voce era l’annuncio di una grande crisi dottrinale che avrebbe invaso la Chiesa dall’interno [2].
Nel ’58 ruppe con Fanfani e con La Pira, scrivendo su Il quotidiano una serie di articoli contro l’apertura a sinistra. Si trovò poi su una linea politica vicina a quella di Luigi Gedda, con il quale fondò la rivista L'Ordine civile avente per oggetto la riforma in senso presidenziale dello stato e la critica alla partitocrazia. In seguito Fernando Tambroni gli affidò la direzione di una rivista, Lo stato, con cui Baget Bozzo sognava di creare un nuovo partito di cattolici per la libertà, omogeneo alla tradizione sturziana. Successivamente si avvicinò al gruppo della DC romana di Pietro Giubilo, Paolo Possenti e Vittorio Sbardella.
All'inizio degli anni '60 il cardinale Alfredo Ottaviani, Prefetto del Sant'Uffizio e rappresentante delle correnti più tradizionaliste della Chiesa, avrebbe voluto che Baget Bozzo fondasse un nuovo partito cattolico, al fine di punire la Democrazia Cristiana per l'accordo di governo di centro-sinistra con il PSI. Baget Bozzo, così come Ottaviani, vedeva nell'accordo di centro-sinistra e nel PSI degli anni '60 una testa di ponte per l'apertura al PCI. Il progetto fu tuttavia fermato dall'allora arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri [12], in nome del principio dell'unità politica dei cattolici: non a caso a quel periodo risale l'inveterata ostilità di Baget Bozzo rispetto a questo assioma della politica italiana della prima Repubblica.
Nel 1960 assisté con preoccupazione ai disordini di Genova volti a impedire il congresso del MSI. Dopo quella sommossa e la caduta del Governo Tambroni lasciò la politica e si dedica alla ricerca spirituale e allo studio della Teologia, laureandosi presso la Pontificia Università Lateranense. Nello stesso periodo si riuniva con un piccolo gruppo di amici a Roma, a Genova e a Rovereto, per leggere testi patristici, testi mistici ed opere di San Tommaso d'Aquino [2]; insieme costituirono la "Società dello Spirito Santo e di Maria Regina del Mondo" [6] [13], che ebbe un bollettino, "Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia", contenente scritti e conversazioni di Baget Bozzo e altri dal '74 al '78, quando la società si sciolse.
Fu ordinato sacerdote dal Cardinale Siri il 17 dicembre 1967, all'età di 42 anni. Erano presenti Gedda, Dossetti e La Pira.
Così come Siri, Baget Bozzo era nostalgico della Chiesta pre-conciliare: la Chiesa di Pio XI e Pio XII, una Chiesa che era ancora in piedi [12]. Fu incaricato di insegnare esegesi e teologia dogmatica presso la sede genovese della facoltà teologica inter-regionale dell' Italia settentrionale, ed aggiornamenti filosofici e teologia della politica presso la sede milanese di tale facoltà. Gli fu affidata la cura della rivista Renovatio [14], fondata dallo stesso Siri e caratterizzata da un'impronta conservatrice, tanto che le librerie Paoline ne rifiutarono la distribuzione. Sul tema della Chiesa dopo il Concilio ebbe dal 1967 una corrispondenza con Ernesto Balducci [15].
La militanza nel Partito Socialista
La successiva scelta di Baget Bozzo per il PSI si spiega nell'ottica della coerenza dell'anticomunismo.
Spinto dalla sua avversione per il compromesso storico fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano, alla fine degli anni settanta si avvicinò a Bettino Craxi, nel quale vedeva l'ispiratore di una sinistra moderata e socialdemocratica, avversa al comunismo; ciò nonostante iniziò fin dal 1976 una collaborazione con la Repubblica, quotidiano anticraxiano e favorevole al compromesso storico. Il suo primo articolo, «Il ruolo dei cattolici nella società radicale» è datato 12 maggio 1976. Il fondatore Scalfari scrisse il distico con cui presentò Baget Bozzo ai lettori:
«Volentieri pubblichiamo questo intervento di Gianni Baget Bozzo, esponente della Democrazia cristiana negli anni Cinquanta , ora sacerdote e storico del partito cattolico.» (la Repubblica, 12/5/1976.)
Un altro fattore di allontanamento di Baget Bozzo dalla DC furono la prigionia e la morte di Aldo Moro: Baget Bozzo lamentò la «mancanza di umanità» sia della DC che del PCI nel rifiuto di trattare con le Br. Contribuì dal 1978 alla rivista Bozze, mensile diretto da Raniero La Valle, strumento del dibattito ecclesiale e civile. L'opera di fiancheggiamento di don Gianni al PSI è continua, tanto che nel 1980 il cardinal Siri lo ammonisce vietandogli di scrivere su giornali e riviste. Baget Bozzo non lo ascoltò, anzi, al congresso socialista di Verona dichiarò: «La politica di Craxi ha per sé il presente, ha per sé il futuro, ha per sé l'eterno» [16].
Sospensione a divinis
Nel 1984 si candidò per il Partito Socialista Italiano al Parlamento europeo. Un anno dopo, il 29 luglio 1985, fu sospeso a divinis dal Cardinale Siri, per aver violato la norma della Chiesa cattolica che vieta al clero di assumere cariche politiche o istituzionali senza esplicito permesso [1]. Si ricandidò con successo nel 1989, e rimase a Strasburgo fino al 1994. Fu riammesso all'esercizio delle funzioni sacerdotali alla scadenza del mandato da europarlamentare.
L'impegno in Forza Italia
Lo scandalo di Mani Pulite e la discesa in campo di Silvio Berlusconi spinsero Baget Bozzo a continuare il suo impegno in politica, partecipando nel 1994 alla fondazione di Forza Italia, di cui redasse successivamente la Carta dei valori e che si occupò di radicare culturalmente nell'orizzonte del "liberalismo popolare".
Baget Bozzo definì Berlusconi "il politico del secolo" [17]. Il Cavaliere era riuscito a fermare la lunga marcia verso il potere della sinistra, cominciata con la svolta del 1960 dopo i fatti di Genova. Lo "sconfinato entusiasmo" di Baget Bozzo per Berlusconi provocò la riprovazione dell'allora vescovo di Genova, Tarcisio Bertone, ma senza conseguenze formali.[12]
Successivamente collaborò con alcune testate giornalistiche come Panorama e i quotidiani il Giornale, La Stampa e Il Secolo XIX, rivestendo inoltre la carica di direttore responsabile di Ragionpolitica, periodico telematico dell'area politico-culturale che fa riferimento al Popolo della Libertà.
Morì nel sonno a Genova l'8 maggio 2009 [18]. Dopo l'apertura del testamento il suo corpo è stato spostato, come da lui voluto, nel cimitero di Santa Margherita di Staffora, comune dove si trova la comunita Nova Cana (Fondata dalla mistica Angela Volpini) di cui il padre è stato più volte ospite. Nel marzo 2003 viene impugnato il testamento da parte della famiglia degli zii che lo adottò all'età di 5 anni, dopo la morte della madre[19].
Orientamento teologico e controversie
Baget Bozzo riporta di essere stato molto influenzato da Tommaso d'Aquino fin dal primo ingresso in seminario negli anni '40[2]. È stato un sostenitore dell'insegnamento teologico, liturgico e pastorale di Joseph Ratzinger fin dai tempi dell'elezione di quest'ultimo a prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (1981). Ha considerato inconciliabile col pensiero cristiano e occidentale il pensiero islamico, in quanto esso nega la divinità di Cristo, e dove esso ritenga possibile il primato di un partito religioso sulla libertà di espressione politica dei credenti.
Ha scritto varie opere di saggistica religiosa: La metamorfosi della cristianità, Dio e l'Occidente, Il futuro del cattolicesimo, Il Dio perduto, L'Anticristo e Profezia. È stato autore di diversi scritti politici pubblicati in Italia.
Per quanto Baget Bozzo fosse un fiero oppositore della secolarizzazione, per il rischio di svuotamento della presenza cristiana della società, i suoi principali referenti politici, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, furono i principali secolarizzatori della vita politica italiana [12]. D' altra parte era impensabile per lui che la presenza dei cattolici nella politica italiana fosse fondata su un assurdo come un partito votato per ordine dei vescovi. Secondo la tradizione della Chiesa, espressa dal pensiero di San Tommaso, la politica andava fondata sulla legge naturale e non sulla fede e l’obbedienza alla Chiesa [2]. Il rapporto con Felice Balbo lo aveva convinto che la presenza del cristiano in politica doveva rispettare la laicità della politica diretta non dalla fede ma, come affermava Tommaso, dalla ragione e dalle consuetudini storiche di ogni nazione. [6]
Sue dichiarazioni che suscitarono polemiche per il loro carattere controverso:
▪ l'occidente, il concetto nato nella lotta contro il nazismo e il comunismo... è la versione laica e liberale della Cristianità soprattutto grazie agli Stati Uniti... opponendosi agli Stati Uniti a tutti i livelli la Chiesa lotta contro la Cristianità di cui l'occidente è il frutto (Io Credo,p.107)
▪ nell'anno giubilare del 2000, nel clima di polemica della Chiesta contro il Gay Pride a Roma, ammise in un'intervista a Mattia Feltri per Il Foglio di aver provato «casti sentimenti omoerotici», aggiungendo «credo che l'omosessualità possa essere un fatto cristiano» e sostenendo che essa non rappresenta un impedimento alla santità. Per questo motivo si scontrò duramente con l'Associazione per la Difesa della Famiglia e della Civiltà Cattolica[20].
▪ nel luglio del 2000 si pronunciò a favore del riconoscimento delle coppie omosessuali, anche ai fini sociali ed economici.[21]
▪ sul caso dell'eutanasia per Terri Schiavo, ebbe a scrivere su Il Giornale, il 24 marzo 2005: «L'eutanasia è l'atto di un uomo libero, e quando essa è accettata dalle leggi, tale è la sua condizione».[22]
▪ poco prima della morte, si esprime sul caso del divorzio tra Silvio Berlusconi e Veronica Lario con le parole «Lei non ha amato abbastanza né l'uomo né l'opera».[16]
Note
1 ^ a b Leonardo Coen. Baget Bozzo il disubbidiente condannato dal cardinale Siri. la Repubblica, 3 agosto 1985
2 ^ a b c d e f g h Gianni Baget Bozzo. «Consacrato alla politica». Il Foglio, 11-05-2009.
3 ^ ((http://www.storiaefuturo.com/arretrati/2003/pdf/0201009.pdf))
4 ^ Gianni Baget Bozzo. Del Noce, il filosofo della libertà politica. http://www.ideazione.com/Rivista/1999/novembre_dicembre_1999/bagetbozzo_6_99.htm
5 ^ Bartolo Ciccardini, All' insegna del porcellino http://www.bartolociccardini.it/articoli/articolo.asp?titolo=ALL%92+INSEGNA+DEL+PORCELLINO*
6 ^ a b c d e Claudio Leonardi. Un' amicizia lunga 60 anni. http://www.ragionpolitica.it/cms/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=1315.
7 ^ Aa.vv., Fanfani e la casa: gli anni Cinquanta e il modello italiano di welfare state : il piano INA-Casa, Istituto "Luigi Sturzo", Rubbettino Editore srl, 2002
8 ^ Cfr. ((http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/110312/il_visionariomachiavellico)); lo scontro è ascritto all'elezione inopinata di Baget Bozzo nel consiglio nazionale del partito, cui egli dovette rinunciare su pressioni del suo capocorrente.
9 ^ Claudio Napoleoni, di Giancarlo Beltrame. www.gramscitorino.it/downloadDB.asp?iddoc=210
10 ^ Duccio Cavalieri, Scienza economica e umanesimo positivo. Claudio Napoleoni e la critica della ragione economica, Milano, Franco Angeli, 2006.
11 ^ Giovanni Tassani, La Terza Generazione. Da Dossetti a De Gasperi. Tra Stato e Rivoluzione, Roma, Edizioni Lavoro, 1988
12 ^ a b c d Pierluigi Battista. «Baget Bozzo, il ribelle per vocazione in trincea contro il «Satana rosso»». Il Corriere della Sera, 09-05-2009.
13 ^ Gianni Baget Bozzo, Claudio Leonardi, Homo Dei. Resoconto di un'esperienza mistica, SISMEL - Edizioni del Galluzzo, 2001
14 ^ Dai detrattori ribattezzata Conservatio
15 ^ Ernesto Balducci, Archivio privato. http://www.comune.firenze.it/sdiaf/balducci/Catalogoarchivio.htm.
16 ^ a b Ida Dominijanni. «Don Gianni», teologia e demone politico». Il manifesto, 09-05-2009.
17 ^ Riccardo Paradisi, Liberal, 9 maggio 2009.
18 ^ È morto padre Gianni Baget Bozzo. Corriere della Sera, 8 maggio 2009
19 ^ Fonte: Corriere della Sera, 11.03.2010, "«Lascio tutto al geriatra». Duello sull'eredità di Baget Bozzo"
20 ^ Baget Bozzo: ho sentimenti omosessuali, Corriere della Sera, 10 giugno 2000
21 ^ Don Baget Bozzo: «La Chiesa sbaglia sugli omosessuali. Deve aprire gli occhi». Corriere della Sera , 4 luglio 2000
22 ^ http://www.senato.it/notizie/RassUffStampa/050324/71fxg.tif