Il calendario dell'11 Ottobre

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 1492 - Viene avvistata per la prima volta dalla flotta di Cristoforo Colombo la costa americana

▪ 1582 - Questo giorno non esiste nel calendario gregoriano: per riallineare il calendario alle stagioni, i giorni dal 5 al 14 ottobre 1582 vengono saltati

▪ 1614 - Adriaen Block e 12 mercanti di Amsterdam fanno una petizione contro lo Staten Generaal per ottenere dei diritti esclusivi di commercio con la colonia di Nuova Olanda

▪ 1776 - Rivoluzione americana: battaglia di Valcour Island - Sul lago Champlain, nei pressi di Valcour Island, una flotta britannica comandata da Sir Guy Carleton, sconfigge 15 cannoniere americane comandate dal Brigadiere generale Benedict Arnold. Anche se quasi tutte le navi di Arnold vengono distrutte, la battaglia durata due giorni darà agli americani il tempo di preparare le difese di New York

▪ 1796 - Viene costituita a Milano la Legione Lombarda primo reparto militare ad usare il tricolore

▪ 1811 - L'imbarcazione dell'inventore John Stevens, la Juliana, inizia il servizio come primo traghetto a vapore (tra New York e Hoboken)

▪ 1899 - Inizio della guerra boera: in Sudafrica, scoppia la guerra tra il Regno Unito e i Boeri del Transvaal e dello Stato Libero di Orange

▪ 1906 - Il consiglio delle scuole pubbliche di San Francisco innesca una crisi diplomatica tra Stati Uniti e Giappone, ordinando che gli studenti giapponesi ricevano la loro istruzione in scuole razzialmente segregate

▪ 1939 - Progetto Manhattan: al presidente statunitense Franklin D. Roosevelt viene consegnata una lettera firmata da Albert Einstein, che incita gli Stati Uniti a sviluppare rapidamente un programma per la realizzazione della bomba atomica

▪ 1942 - Seconda guerra mondiale: battaglia del Capo di Buona Speranza - Sulla costa nord-occidentale di Guadalcanal, navi della Marina statunitense intercettano e sconfiggono una flotta giapponese che stava andando a rinforzare le truppe presenti sull'isola

▪ 1954 - Guerra del Vietnam: i Viet Minh prendono il controllo del Vietnam del Nord

▪ 1958 - Programma Pioneer: la NASA lancia la sonda lunare Pioneer 1 (la sonda ricade sulla Terra e va in fiamme)

▪ 1962 - Concilio Vaticano Secondo: Papa Giovanni XXIII riunisce un concilio ecumenico della Chiesa Cattolica Romana a 92 anni di distanza dall'ultimo

▪ 1968 - Programma Apollo: la NASA lancia l'Apollo 7, la prima missione Apollo con uomini a bordo, con gli astronauti Wally Schirra, Donn F. Eisele e Walter Cunningham. Gli scopi della missione comprendono la prima trasmissione televisiva in diretta dall'orbita e i test delle manovre di aggancio del modulo lunare

▪ 1984 - A bordo dello Space Shuttle Challenger, l'astronauta Kathryn D. Sullivan diventa la prima donna statunitense a camminare nello spazio

▪ 1986 - Guerra fredda: il presidente statunitense Ronald Reagan e il leader sovietico Michail Gorbačëv si incontrano a Reykjavík, in Islanda, nel tentativo di continuare la discussione sul ridimensionamento dei loro arsenali di missili a medio raggio in Europa (i colloqui falliscono)

* 1998 - Azerbaigian: Haydar Aliyev viene rieletto presidente della Repubblica

Anniversari

▪ 1303 - Bonifacio VIII, nato Benedetto Caetani (Anagni, 1230 circa – Roma, 11 ottobre 1303), fu il 193º Papa della Chiesa cattolica dal 1294 alla morte. Fu discendente di un ramo della famiglia longobarda pisana Gaetani (o Caetani), la quale poté acquisire enormi ricchezze e grandi latifondi sfruttando proprio la sua carica pontificale. Era figlio di Lofredo Caetani e di Emilia Patrasso di Guarcino[1]

Nascita e studi
Per lungo tempo si è ritenuto che l'anno di nascita fosse il 1235. Recentemente, però, è stato rinvenuto un documento datato al 1250 nel quale si fa riferimento ad un canonico di Anagni di nome Benedetto. Poiché non si conosce alcun altro omonimo che sia stato canonico ad Anagni nel decennio 1250-1260 [2], il riferimento al futuro papa appare inequivocabile. Non appare credibile, però, che il Caetani fosse canonico già all'età di quindici anni. Ciò ha indotto a retrodatare la nascita di alcuni anni. La conferma di ciò la si ritrova in una lettera a firma di papa Niccolò IV datata 1291, nella quale il pontefice, riferendosi al cardinal Benedetto Caetani, usa il termine ad senium che, a quei tempi, stava ad indicare i sessantenni. La combinazione dei due documenti porta a concludere, quindi, che Benedetto Caetani sia nato verso il 1230.
Studiò a Todi, dove era vescovo suo zio Pietro Caetani, e a Bologna, specializzandosi in diritto canonico. La sua carriera ecclesiastica fu rapida e prestigiosa, svolgendo missioni di grande fiducia presso le corti di Francia e Inghilterra. Fu eletto cardinale diacono del titolo di San Nicolò in Carcere Tulliano nel 1281 da papa Martino IV. Entrò a far parte del Sacro Collegio nel 1287, all'età di circa cinquantasette anni. Nel 1291 fu nominato da papa Niccolò IV cardinale prete titolare di SS. Silvestro e Martino ai Monti.

L'elezione al soglio pontificio
Il Cardinale Benedetto Caetani fu fra le figure che indussero maggiormente papa Celestino V a rinunciare alla propria posizione. Una volta nominato pontefice, infatti, pare che Celestino V udisse nel silenzio della propria stanza la voce di un angelo che, per ordine divino, lo invitava a rigettare la propria nomina pontificia;[3] in realtà, la voce non era di un angelo, bensì del Caetani stesso che successivamente, essendo un profondo conoscitore del Diritto Canonico, offrì la propria assistenza a Celestino V per trovare le necessarie ragioni legali per abbandonare il soglio pontificio.[4]
Appena dieci giorni dopo l'abdicazione di papa Celestino V i componenti del Sacro Collegio si riunirono in conclave in Castel Nuovo, nella città di Napoli, il 23 dicembre 1294 per dare alla Chiesa il nuovo Pastore. Già il giorno successivo, vigilia di Natale, fu eletto papa il Cardinal Benedetto Caetani,[5] nativo di Anagni e titolare della Chiesa dei SS. Silvestro e Martino. Fu incoronato nella Basilica di San Pietro il 23 gennaio 1295 e assunse il nome di Bonifacio VIII. Aveva 64 anni circa.
Così Jacopone da Todi descrive l'elezione al soglio di Pietro di B. Caetani:
«Quando fo celebrata la 'ncoronazione, / non fo celato al mondo quello che c'escuntròne: / quaranta omen' fòr morti all'oscir de la masone! / Miracol Deo mustròne, quanto li eri 'n placere.» (J. da Todi, O Papa Bonifazio.)

Le regole per l'elezione
Contrariamente al passato, il conclave fu radunato nella città di Napoli, nei dieci giorni dall'apertura della Sede vacante ed ebbe una durata molto breve. Tutto ciò fu dovuto alle disposizioni contenute nella costituzione apostolica Ubi Periculum sull'elezione pontificia, fortemente voluta da papa Gregorio X (al secolo Tedaldo Visconti), nel corso del XIV Concilio Ecumenico tenutosi nella città di Lione (concilio ecumenico Lionese II) dal 7 maggio al 17 luglio 1274.
La costituzione Ubi Periculum conteneva disposizioni molto precise, rigide e vincolanti per l'elezione papale, al fine di sottrarla ad ogni ingerenza che non fosse strettamente ecclesiastica. Conteneva, infatti, l'obbligo del conclave per il Sacro Collegio dei cardinali; il conclave stesso avrebbe dovuto riunirsi, obbligatoriamente, entro dieci giorni dall'apertura della Sede vacante e nella stessa città ove era scomparso il papa precedente.
Passati i dieci giorni, il Sacro collegio doveva essere segregato in conclave sotto la sorveglianza del Podestà. Inoltre, se entro tre giorni dall'apertura del conclave il papa non fosse stato ancora eletto, si dovevano cominciare ad applicare norme restrittive sui pasti e sul reddito dei porporati, fino a ridurli a pane ed acqua. Tutte queste disposizioni erano finalizzate non solo ad evitare che l'elezione del papa finisse nelle mani del popolo o dei nobili, ma anche ad evitare che l'elezione stessa si trasformasse in una lunga ed estenuante trattativa basata su operazioni di mercimonio, come frequentemente avveniva in quei tempi. Questa Costituzione venne peraltro sospesa dopo soli due anni, nel 1276, da Adriano V su richiesta di diversi cardinali, ma fu ripristinata quasi completamente da Celestino V, che voleva evitare le lungaggini ed i problemi che avevano preceduto la sua elezione. Curiosamente, fu proprio Bonifacio VIII ad inserire integralmente la Ubi Periculum nel Codice del Diritto Canonico nel 1298[6] .
Alighieri avanza l'ipotesi che l'elezione di Bonifacio VIII fosse stata viziata da simonia (canti XIX e XXVII dell'Inferno).

La destituzione e la morte di Celestino V
Come primo atto del suo pontificato, dopo aver riportato la sede papale da Napoli a Roma per sottrarre l'istituzione all'influenza di re Carlo II d'Angiò, dichiarò nulle tutte le decisioni assunte dal suo predecessore Celestino V.
Immediatamente dopo, a causa dell'ostilità dei cardinali francesi, ebbe timore che il suo predecessore, Pietro del Morrone, ritornato semplice frate, potesse essere cooptato dai porporati transalpini come antipapa. Per cui si rendeva necessario che la sua persona rientrasse sotto il ferreo controllo del Pontefice. Bonifacio VIII fece pertanto arrestare Celestino V da Carlo II d'Angiò, lo stesso monarca che pochi mesi prima ne aveva sostenuto l'elezione pontificia, e lo rinchiuse nella rocca di Fumone, di proprietà della famiglia Caetani, dove rimase fino alla morte.[5] Nonostante ci siano varie ipotesi non è certo che la morte di Celestino V sia stata violenta o avvenuta per mano di Bonifacio VIII. Lo stato di detenzione voluto dal Caetani, però, può aver peggiorato la salute di un ottantasettenne già debilitato dalle fatiche dei precedenti mesi. L'ampio foro sul cranio dell'ex-papa sembra dovuto non a un chiodo conficcato ma a un ascesso di sangue al cervello. Alla sua morte Bonifacio portò il lutto per lui, caso unico tra i Papi, e celebrò una messa pubblica in suffragio per la sua anima. Poco dopo diede inizio al processo di canonizzazione, che fu accelerato e concluso pochi anni dopo da Papa Clemente V su pressione del re di Francia Filippo IV il bello e dei fedeli.[8]

L'assegnazione della Sicilia
Eliminato un potenziale antipapa come avrebbe potuto essere l'ex Pontefice, il primo atto politico cui egli dovette adempiere fu la risoluzione della controversia in corso tra gli angioini e gli aragonesi per il possesso della Sicilia; controversia che si protraeva dall'epoca dei "vespri siciliani"; cioè dal 1282.
A Napoli governava Carlo II d'Angiò e in Sicilia Federico d'Aragona, fratello di re Giacomo che, a sua volta, era passato nel 1291 al trono d'Aragona. Il 12 giugno del 1295, spinto dal Papa, che parteggiava per l'angioino avendolo questi aiutato nella cattura del Morrone, Giacomo II sottoscrisse il Trattato di Anagni con il quale rinunciava ad ogni diritto sulla Sicilia a favore del Papa. Mentre questi, a sua volta, li trasferiva a Carlo d'Angiò.
Ma la Sicilia si ribellò, preferendo come re il suo governatore Federico d'Aragona e non l'angioino. Il Papa, seppur malvolentieri, dovette acconsentire e incoronò Federico nella cattedrale di Palermo il 25 marzo 1296. Questa incoronazione fu la prima amara sconfitta per papa Bonifacio. Questa sconfitta sarà sanzionata successivamente e definitivamente mediante la Pace di Caltabellotta, stipulata nel 1303 tra Roberto d'Angiò, figlio di Carlo II, e Federico, il quale riceveva il titolo di re di Trinacria e, come feudo, la Sicilia. La Pace di Caltabellotta segnò l'affermazione definitiva degli Aragonesi per l'inizio della loro espansione nel Mediterraneo.

La tassazione degli ecclesiastici
A questa sconfitta politica, altre ne seguirono, decretando il sostanziale fallimento della politica di Bonifacio VIII. Questo fallimento fu causato dalla concezione che il Caetani possedeva circa il ruolo del papa nel contesto degli Stati d'Europa che, sul finire del Medioevo, si stavano avviando a trasformarsi in Nazioni. Bonifacio VIII, più dei suoi predecessori, riteneva che l'autorità del papa fosse al di sopra del potere dei regnanti (teocrazia). Con questa concezione dell'autorità papale, tutti i sovrani dovevano sottostare non solo al potere spirituale del Pontefice, ma anche a quello temporale.
La qual cosa non avvenne mai, aprendo la strada alla lotta per il potere, pressoché ininterrotta, che nei secoli successivi vedrà impegnati Pontefici e sovrani, mediante l'ingerenza di quelli negli affari di stato di questi e di questi negli affari ecclesiastici di quelli.
Papa Bonifacio diede avvio alla sua politica di predominio mediante l'emanazione della bolla Clericis laicos, il 25 febbraio 1296, mediante la quale proibiva ai laici, sotto pena di scomunica ed interdetto, di tassare gli ecclesiastici ed a questi di versare i relativi contributi, con identiche sanzioni in caso di violazione del divieto. Era questa una chiara ingerenza negli affari di stato di paesi sovrani.
Il re di Germania, Adolfo di Nassau - Vilburgo, candidato alla nomina imperiale, non si oppose per motivi di opportunità. Egli, infatti, mirava alla corona imperiale, per cui aveva bisogno dell'approvazione papale. In Inghilterra re Edoardo I Plantageneto, benché contrario, dovette accettare il rifiuto dei vescovi al pagamento delle imposte.
La Francia assunse, invece, una posizione molto diversa. Il re Filippo IV Capeto , detto "il Bello", nel respingere decisamente la bolla papale, emise una serie di Editti, nei quali vietava a chiunque, laici ed ecclesiastici, l'esportazione di danaro e preziosi; contemporaneamente vietava la residenza sul suolo francese agli stranieri, impedendo, di fatto, che eventuali legati pontifici potessero recarsi in Francia per la riscossione delle cosiddette "decime", cioè le tasse per la Chiesa di Roma.
La posizione di re Filippo fu talmente risoluta che il Papa fu costretto ad addivenire ad un accordo, autorizzando il re francese a riscuotere le imposte dal clero, in caso di estrema necessità, senza la preventiva autorizzazione pontificia. Filippo IV, preso atto del nuovo atteggiamento papale, revocò i propri editti e sottoscrisse la pace con la Santa Sede.[9]

I contrasti con la curia
Anche questa fu una pesante sconfitta per papa Bonifacio. Il suo cedimento di fronte alla ferma opposizione del re di Francia nasceva però da una perdita di autorità all'interno della Santa Sede. Infatti, a causa del suo atteggiamento eccessivamente dispotico, aveva provocato l'insorgere di uno schieramento a lui ostile, sia all'interno della Curia che nell'aristocrazia romana. Questo schieramento era capeggiato dai cardinali Giacomo Colonna e Pietro Colonna, appartenenti alla famiglia romana dei Colonna acerrima nemica della famiglia dei Caetani alla quale apparteneva Bonifacio VIII, i quali dichiararono che la sua elezione era illegittima in quanto non valida l'abdicazione di Celestino V. Questa posizione, che preludeva ad un possibile scisma, era sostenuta anche da tutto il movimento degli Spirituali Francescani, i quali avevano la loro voce più alta nelle somme laudi di Jacopone da Todi che definì il Pontefice "novello anticristo". La perdita di potere interno aveva, quindi, indotto il Pontefice ad essere più tollerante verso le resistenze del re francese.
La lotta all'interno delle istituzioni ecclesiastiche toccò il suo culmine il 10 maggio 1297, allorquando i Colonna e gli Spirituali Francescani sottoscrissero un memoriale, il manifesto di Lunghezza, con il quale il papa veniva dichiarato decaduto, sempre a causa della sua illegittima elezione, con espresso invito ai fedeli a non portargli più obbedienza.
La reazione del Pontefice non si fece attendere: con violenza i due cardinali furono destituiti con una apposita bolla, la quale poneva in risalto come la famiglia Colonna fosse da sempre portatrice di disprezzo verso le cose altrui, nonché piena di superbia e oltraggiosa e che, per queste colpe, suscitava soltanto desiderio di annientamento. Si aprì quindi un'ulteriore lotta tra il papa e i Colonna, nella quale questi ultimi speravano in un intervento del re di Francia a loro favore, la qual cosa non avvenne in quanto il monarca francese stava prendendo proprio in quel momento gli accordi con il papa per la risoluzione del problema dei tributi agli ecclesiastici in Francia, per cui non aveva alcun interesse ad inimicarselo.
La lotta tra il Papa e i Colonna si concluse con la sconfitta di questi ultimi. Jacopone da Todi fu confinato in un convento e scomunicato.[10] I cardinali Colonna furono scomunicati e dovettero riparare in Francia sotto la protezione di Filippo il Bello, e i loro beni furono confiscati e divisi tra la famiglia del Papa e la famiglia degli Orsini, anch'essi acerrimi nemici dei Colonna.[10]

La distruzione di Palestrina
Le cronache dell'epoca riferirono che, dopo lunghe trattative, condotte soprattutto attraverso la mediazione del Cardinal Boccamazza, molto vicino ai Colonna, questi, alla fine dell'estate del 1298, si recarono al cospetto del papa, nella città di Rieti, nelle vesti di umili penitenti.
Chiedendo perdono e sottomettendosi all'autorità pontificia, riconobbero la piena legittimità di Bonifacio quale unico vero pontefice della Chiesa cattolica. Il papa accolse con benevolenza le dichiarazioni di contrizione dei Colonna e accordò loro il suo perdono, non senza aver prima preteso che i cardinali Colonna restituissero i loro sigilli che furono debitamente distrutti. Inoltre tutta la famiglia fu inviata al soggiorno obbligato nella città di Tivoli nell'attesa delle decisioni definitive del pontefice.
La tregua tra il Caetani e i Colonna fu tutt'altro che tale, tant'è che l'Inquisizione della città di Bologna, a seguito di una decisione di Papa Bonifacio, datata 12 aprile 1299, ebbe a confiscare il palazzo del cardinale Giacomo Colonna. Di fatto, la conflittualità tra il papa e la famiglia Colonna non fu affatto rimossa e questi ultimi dovettero riparare in Francia.
Nel corso dei negoziati che avevano preceduto l'atto di sottomissione dei Colonna al papa nella città di Rieti, era stato stabilito, tra l'altro, che la città di Palestrina, fulcro e roccaforte dei possedimenti dei Colonna, entrasse nel pieno possesso del papa. Non appena però il papa entrò nel possesso materiale della città, diede ordine di distruggerla e la fece radere al suolo completamente nella primavera del 1299: egli fece passare l'aratro su tutto il territorio della città e ne fece cospargere il suolo di sale. La motivazione del suo gesto è contenuta in una lettera datata 13 giugno 1299, nella quale Papa Bonifacio così si espresse: «...perché non vi resti nulla, nemmeno la qualifica o il nome di città». La distruzione della città ebbe come conseguenza anche la perdita del privilegio di essere una delle sette diocesi suburbicarie di Roma.
Gli storici hanno sempre cercato di trovare la vera motivazione che indusse il Caetani a distruggere una intera città, nonostante ne fosse venuto in possesso pacificamente e a seguito di negoziati. Oggi sono tutti concordi nel ritenere che papa Bonifacio sia stato spinto a un gesto così efferato solo a causa dell'odio che egli nutriva verso i suoi avversari Colonna dei quali intendeva cancellare completamente anche la memoria.
Il 3 ottobre 1299 Papa Bonifacio accettò dal libero comune di Velletri l'elezione a podestà per una legislatura (6 mesi), questo perché il comune di Velletri, da sempre fedele ai papi, aveva un rapporto di amicizia con Bonifacio, che da giovane aveva studiato per un certo periodo in questa città, ma anche perché la stessa Velletri doveva difendersi dai nobili (soprattutto dai Colonna) che la volevano sottomettere, e avere Bonifacio come podestà, oltre ad essere un fatto d'orgoglio, era anche un'ottima alleanza; lo stesso valeva per Bonifacio, che poteva così contare sull'alleanza di un agguerrito comune come quello di Velletri.

L'istituzione del Giubileo
Ispirandosi alla Perdonanza istituita dal suo predecessore Celestino V, Bonifacio istituì l'Anno Santo, nel quale assicurava indulgenza plenaria per tutti quelli che avessero fatto visita alle Basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura. L'Anno Santo fu indetto il 22 febbraio 1300, con la bolla Antiquorum habet fidem, nella quale era anche stabilito che l'Anno Santo si sarebbe ripetuto, in futuro, ogni cento anni.
Il Giubileo ebbe un grande successo e l'afflusso di pellegrini a Roma fu enorme (il Villani parla di 300.000 pellegrini[10]). A parte la diffusa e sentita necessità di indulgenza di quel periodo (ad esempio le stesse crociate offrivano questo beneficio), l'afflusso dei pellegrini a Roma da tutto il mondo significava un notevole apporto di denaro, esaltava la magnificenza di Roma e consolidava il primato ed il prestigio del Pontefice.[11]
Alcuni commentatori ritengono che, terminato il conflitto con i Colonna, e non avendo ancora concluso la pace con Filippo IV, il papa temeva il blocco delle "decime", ed istituì il Giubileo proprio per motivi finanziari. Senz'altro notevole fu l'afflusso di danaro, ma il papa non ricevette l'omaggio dei Sovrani d'Europa (fu per lui una grossa delusione). Queste assenze stavano a significare che la sua aspirazione di riunire nelle sue mani sia il potere spirituale che quello temporale era soltanto una illusione.

I nuovi contrasti con Filippo IV di Francia
Questa stessa aspirazione animava, però, anche il Sovrano francese il quale, a tal proposito, aveva stretto alleanza nel 1299 con il nuovo re di Germania Alberto I d'Asburgo, accusato dal Papa di aver fatto assassinare il suo predecessore Adolfo di Nassau. Questa alleanza contrastava con l'aspirazione del Papa che intendeva sottrarre la Chiesa francese dal controllo del Re. Bonifacio VIII invitò allora il nuovo Re di Germania a comparire alla sua presenza in Roma per discolparsi dall'accusa di assassinio. Questa comparizione non avvenne mai. Anzi il Re di Francia, interpretando l'ingiunzione del Papa verso Alberto d'Asburgo come un affronto verso la sua persona, accentuò ancor più la sua posizione anticlericale mediante la confisca di tutti i beni della Chiesa, provocando un nuovo conflitto con il Papa.
Questo nuovo conflitto si aprì ufficialmente il 4 dicembre 1301 allorquando Bonifacio VIII emanò la bolla Salvator Mundi, mediante la quale abolì tutti i privilegi che Egli aveva concesso a re Filippo allorquando lo aveva autorizzato a riscuotere le imposte agli ecclesiastici anche senza il consenso papale.
Il giorno successivo, attraverso la bolla Ausculta fili, convocò l'episcopato francese e lo stesso re ad un sinodo, da tenersi a Roma l'anno seguente, al fine di definire una volta e per sempre i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, facendo intendere, a chiare lettere, che il papa era l'autorità suprema, cui dovevano sottomettersi anche i Sovrani, senza eccezione alcuna; e che solo al papa tutti dovevano rendere conto dei propri atti, Sovrani compresi.
Questo atteggiamento eccessivamente autoritario e dispotico del pontefice, manifestato nelle due bolle del 4 e 5 dicembre 1301, provocò la immediata reazione di Filippo IV, il quale fece divulgare in Francia una sintesi delle due bolle, alquanto manipolata e non perfettamente conforme alla linea espressa dal pontefice, nel senso che ne peggiorava il contenuto.[senza fonte] Ciò per raccogliere maggiori consensi a suo favore ed aumentare l'ostilità verso il papa.
Lo scopo che si era prefisso il re fu raggiunto quando, nel corso degli stati generali, riuniti a Parigi da Filippo nell'aprile del 1302, egli ottenne l'approvazione dell'Assemblea la quale si concretizzò con la stesura di una lettera indirizzata al Papa, approvata all'unanimità, nella quale veniva stigmatizzata e respinta la posizione altamente ingiuriosa del pontefice verso il re. Contemporaneamente vi fu la proibizione da parte del re ai vescovi francesi di recarsi a Roma per il sinodo.
Nel corso del sinodo, al quale parteciparono trentanove vescovi francesi nonostante il divieto di Filippo il Bello,[12] il 18 novembre 1302, Bonifacio VIII emanò la ben nota bolla Unam Sanctam, nella quale veniva ribadito dogmaticamente il seguente concetto: «…nella potestà della Chiesa sono distinte due spade, quella spirituale e quella temporale; la prima viene condotta dalla Chiesa, la seconda per la Chiesa, quella per mano del sacerdote, questa per mano del re ma dietro indicazione del sacerdote [...] la potestà spirituale deve ordinare e giudicare la potestà temporale [...] chi si oppone a questa suprema potestà spirituale, esercitata da un uomo ma derivata da Dio, nella promessa di Pietro, si oppone a Dio stesso. È quindi necessario per ogni uomo che desidera la sua salvezza assoggettarsi al vescovo di Roma».[13] Ciò stava a significare la supremazia del potere spirituale su quello temporale (pena la scomunica in caso di ribellione).
La reazione di Filippo IV fu estremamente determinata e decisa anche questa volta. Il suo obiettivo, stavolta, era quello di mettere sotto processo il Papa, invalidarne l'elezione, accusarlo di eresia e simonia e procedere alla sua deposizione. In ciò gli furono molto utili le testimonianze dei Colonna che erano stati scomunicati da papa Bonifacio e si trovavano ancora sotto la sua protezione. La decisione di processare il Papa fu adottata da Filippo nel corso di una riunione del Consiglio di Stato da lui convocata al Louvre il 12 marzo 1303. Occorreva però la presenza del Pontefice al processo. A tal fine Egli incaricò il Consigliere di Stato Guglielmo di Nogaret di catturare il Papa e condurlo a Parigi.
Il Pontefice, venuto a conoscenza delle manovre del Re, tentò di correre ai ripari. Prima inviando una lettera di scomunica al sovrano, la qual cosa non sortì effetto alcuno. Poi cercando di guadagnare l'amicizia del re di Germania, Alberto I d'Asburgo, sottraendolo all'alleanza con il re di Francia. Convocò a tal fine un Concistoro per il 30 aprile del 1303 nel quale lo riconobbe ufficialmente re di Germania, nonché Sovrano di tutti i Sovrani, con la promessa della incoronazione imperiale in un futuro alquanto prossimo. Tutto ciò in cambio della difesa della persona del Papa contro tutti i suoi avversari. Promessa che non sarebbe mai stata mantenuta.
Venuto a conoscenza che Alberto d'Asburgo era stato riconosciuto dal Papa re di Germania e temendo di averne perso l'alleanza, re Filippo cercò di accelerare i tempi per la messa in stato di accusa del Papa, convocando una nuova Assemblea degli Stati Generali, al Louvre, nel mese di giugno, con lo scopo di avviare una istruttoria che preparasse il processo al Pontefice.
Poiché il Consigliere di Stato Guglielmo di Nogaret era assente, in quanto si trovava in missione verso Roma, la pubblica accusa fu affidata ad un altro Consigliere di Stato, Guglielmo di Plasian.

Le accuse e le congiure
Numerose furono le accuse formulate verso il Caetani. Innanzi tutto quella di aver fatto assassinare il suo predecessore Pietro da Morrone, già papa Celestino V. Fu accusato poi di negare l'immortalità dell'anima e di aver autorizzato alcuni sacerdoti alla violazione del segreto confessionale. Fu accusato, infine, di simonia e sodomia. Sulla base di queste infamanti accuse, il re propose di convocare un Concilio per la destituzione del Pontefice e la sua proposta fu approvata dalla quasi totalità del clero francese.
Papa Bonifacio, messo al corrente di questi ultimi avvenimenti, preparò una nuova bolla di scomunica contro il Re di Francia, la Super Petri solio, che non fece in tempo a promulgare in quanto il Nogaret, insieme a tutta la famiglia Colonna, capeggiata da Sciarra Colonna, organizzò una congiura contro il Papa cui aderirono una gran parte della borghesia di Anagni e una gran parte del Sacro Collegio dei Cardinali.
All'inizio di settembre del 1303 il Nogaret e Sciarra Colonna riuscirono a catturare il Papa dopo un assalto al palazzo pontificio di Anagni e per tre giorni il Papa restò nelle mani dei due congiurati che non risparmiarono ingiurie alla persona del Pontefice (l'episodio è noto come lo schiaffo di Anagni, anche se pare che in realtà il Papa non sia stato colpito fisicamente ma pesantemente umiliato[14]). Le numerose ingiurie inferte al Papa, unitamente al contrasto tra il Nogaret e il Colonna sul destino del Caetani (il primo lo voleva infatti prigioniero a Parigi, il secondo lo voleva morto), indussero la città di Anagni a rivoltarsi contro i congiurati e a prendere le difese del loro Papa. Vi fu pertanto un capovolgimento di fronte della borghesia di Anagni che mise in fuga i congiurati e liberò il Papa, guadagnandosi la sua benedizione ed il suo perdono.[15]

La morte
Rientrò a Roma il 25 settembre sotto la protezione degli Orsini. Aveva, però, perduto l'immagine del grande e potente Pontefice che si era illuso di essere ed era fiaccato anche nel fisico per le molte sofferenze dovute alla calcolosi renale che lo affliggeva da anni. Morì l'11 ottobre del 1303 e fu sepolto nella Basilica di San Pietro, nella Cappella costruita apposta per lui da Arnolfo di Cambio. Attualmente non vi è traccia alcuna di tale opera in quanto distrutta in occasione della edificazione della nuova Basilica avvenuta per mano del Bramante prima e di Michelangelo poi. Le sue spoglie, invece, furono sistemate nelle grotte vaticane dove si trovano tuttora.

Il processo di Filippo il Bello contro Bonifacio VIII post mortem (1303-1313)
Filippo il Bello intentò un processo contro Bonifacio VIII otto mesi prima della morte del pontefice; fra le molte accuse, evidenti furono le pratiche magiche cui Benedetto Caetani sarebbe ricorso prima e durante il suo pontificato. Un testimone, appartenente alla famiglia del pontefice, dichiarò che il giorno in cui fu eletto Celestino V, sentì il cardinale urlare dalla sua stanza: «Perché mi inganni, perché mi inganni? Io mi dò totalmente a voi e voi mi avete promesso di eleggermi papa, ma ora ne è stato fatto un altro». Il testimone affermò di aver udito la risposta da una voce di fanciullo: «Perché ti turbi? Stando le cose così come sono, non potrai essere papa. Occorre infatti che il tuo papato si realizzi grazie a noi, in modo che tu non sia un vero papa legittimo. Questo lo potremo fare tra breve: abbi fiducia».
I testimoni al processo narrano anche che Bonifacio VIII possedeva un anello potente appartenuto a Manfredi, figlio dell'imperatore Federico II, il quale aveva un'ombra «talvolta luccicante, talvolta no» inoltre assumeva sempre nuove forme umane ed animalesche. Questo anello aveva una natura tanto curiosa che Carlo II D'Angiò, re di Sicilia, durante un'udienza col papa lo osservò con tale insistenza da provocare la reazione del pontefice che gli avrebbe chiesto: «Perché guardi il mio anello così intensamente? Vuoi averlo?» Il re avrebbe risposto in francese: «No, non lo voglio, tenetevelo per voi il vostro diavolo». Molti testimoni infatti durante il processo, assicurarono che gli alloggi papali erano frequentati assiduamente da negromanti ed alchimisti. Queste testimonianze vengono riprese dal poeta francescano del XIII secolo, Jacopone da Todi che apostrofa così l'odiato pontefice:
«Pensavi per augurio / la vita perlongare / anno, dì ne ora / omo non pò sperare / Vedem per lo peccato / la vita stermanare, / la morte appropinquare / quann'om pensa gaudere»
(La frase «Pensavi per augurio / la vita perlongare» merita di essere presa alla lettera: la parola "augurio" indica le pratiche magiche alle quali Bonifacio VIII si sottoponeva per salvarsi dalla morte corporale.)

Considerazioni sulla sua condotta
Fu l'ultimo papa a concepire la Chiesa come una istituzione al di sopra delle genti e degli Stati, tutti ad essa sottomessi. A lui si deve la fondazione dell'Università "La Sapienza" di Roma e la costruzione del Duomo di Orvieto e di Perugia. Pubblicò nel 1298 il Liber sextus, terza parte del Corpus iuris canonici, séguito dei cinque volumi del Liber extra, pubblicati nel 1234 da Papa Gregorio IX, rivelando una ottima conoscenza del diritto. Riorganizzò l'amministrazione della Curia romana e gli archivi vaticani. Con la bolla Super cathedram, emessa il 18 febbraio 1301, ridimensionò i poteri di predicazione e confessione degli ordini mendicanti, riducendo in questo modo i continui conflitti fra clero secolare e clero regolare.[16]
Bonifacio VIII fu un papa dedito al culto della propria immagine. Si fece ritrarre, ancora in vita, in tantissime immagini; cosa che nessun Pontefice prima di lui aveva mai fatto. Statue in marmo e bronzo raffiguranti la sua persona si trovano a Firenze, Orvieto, Bologna, nel Laterano e ad Anagni.[17] Persino Giotto lo immortalò in un celebre affresco nell'atto di leggere, dalla loggia di San Giovanni in Laterano, la bolla con la quale proclamava il Giubileo dell'anno 1300.
Benedetto Caetani fu un personaggio estremamente controverso che visse in un periodo di transizione. Diversi sono gli storici che lo giudicano un personaggio cinico e dispotico, gran peccatore, avido di ricchezze e di potere. Diversi segni fanno supporre che fosse superstizioso tant'è che usava, ad esempio, coltelli aventi per manico corna di serpente e portava al dito un anello appartenuto a re Manfredi di Svevia. La leggenda popolare sosteneva addirittura che avesse strappato personalmente tale anello dal cadavere del Re.
È aspramente criticato da Dante in tutto l'Inferno, tanto che il sommo Poeta scrisse che nella Bolgia dei Simoniaci c'è già un posto riservato a lui.
«[...] "Se' tu già costì ritto, / se' tu già costì ritto, Bonifazio? / Di parecchi anni mi mentì lo scritto./ Se' tu sì tosto di quell'aver sazio / per lo qual non temesti tòrre a 'nganno / la bella donna, e poi di farne strazio?"» (Dante, Inferno, Canto XIX, 52-57)
Queste parole son messe in bocca dal Poeta a Niccolò III, anche lui condannato da Dante per simonia, che, mentre è nella terra con i piedi all'aria, non potendolo vedere, crede che Dante sia Bonifacio VIII. Grazie a questo artificio Dante quindi colloca Bonifacio all'inferno sebbene quest'ultimo sia, in quel momento, ancora in vita.
Pure Jacopone da Todi nella canzone O papa Bonifazio, molt'ai iocato al mondo critica il pontefice dicendo addirittura
«Punisti la tua sedia da parte d'aquilone, escuntra Deo altissimo fo la tua entenzione [...] Lucifero novello a ssedere en papato, lengua de blasfemìa...» (Jacopone da Todi)

Note
1. ^ (EN) The Cardinals of the Holy Roman Church - Benedetto Caetani. URL consultato il 22 maggio 2010.
2. ^ Montaubin, Entre gloire curiale, p.346
3. ^ Indro Montanelli Roberto Gervaso, L'Italia dei secoli d'oro - Il Medio Evo dal 1250 al 1492, in Storia d'Italia, Milano, 1967, Rizzoli Editore - pag. 60
Stando a quanto viene riferito, la "voce" udita da Papa Celestino V affermava: "Io sono l'angelo che ti sono mandato a parlare, e comàndoti dalla parte di Dio grazioso che tu immantanente debbi rinunziare al Papato e torna' ad essere romito".
4. ^ Indro Montanelli Roberto Gervaso, L'Italia dei secoli d'oro - Il Medio Evo dal 1250 al 1492, in Storia d'Italia, Milano, 1967, Rizzoli Editore - pag. 60-61
5. ^ a b Indro Montanelli Roberto Gervaso, L'Italia dei secoli d'oro - Il Medio Evo dal 1250 al 1492, in Storia d'Italia, Milano, 1967, Rizzoli Editore - pag. 61
6. ^ S.Miranda:Papal elections and conclaves of the XIII Century-1998-
7. ^ a b Francesco Ronci e Nicolas de l'Aide de Nonancour furono creati cardinali da Papa Celestino V il 18 settembre 1294, il Ronci con il titolo di San Lorenzo in Damaso e il Nonancour con il titolo di San Marcello ma alla morte del cardinale Francesco Ronci, il Nonancour optò per quest'ultimo titolo. La data precisa in cui morì il Ronci non è nota, si sa che avvenne dopo il 13 ottobre 1294. Il tutto avvenne mentre era in corso il conclave che elesse al soglio pontificio Papa Bonifacio VIII. ((EN) The Cardinals of the Holy Roman Church - L'Aide. URL consultato il 5 giugno 2010. - The Cardinals of the Holy Roman Church - Ronci. URL consultato il 5 giugno 2010.)
8. ^ «Il Papato fatto carne. La fuga di Celestino V e una nuova lettura della teologia di Bonifacio VIII».
9. ^ C. Rendina, I papi, pp. 508-510
10. ^ a b c C. Rendina, I papi, p. 510
11. ^ Del grande afflusso di pellegrini parla anche Dante Alighieri: « Deh peregrini, che pensosi andate, / forse di cosa che non v'è presente, / venite voi da sì lontana gente,/com'a la vista voi ne dimostrate » (Dante Alighieri, Vita Nuova, XL, 24) « .../come i Roman per l'essercito molto, / l'anno del giubileo, su per lo ponte / hanno a passar la gente modo colto, / che dall'un lato tutti hanno la fronte / verso 'l castello e vanno a Santo Pietro; / dall'altra sponda vanno verso il monte. » (DanteAlighieri, Divina commedia, Inferno, Canto XVIII, 28-33)
12. ^ John N.D. Kelly, Gran Dizionario Illustrato dei Papi, p. 529
13. ^ Così citata in: C. Rendina, I papi, p. 513
14. ^ C. Rendina, I papi, p. 514
15. ^ Persino Dante Alighieri, tutt'altro che tenero nei confronti di Bonifacio VIII, rimase indignato per l'oltraggio alla figura del papa e nel Purgatorio fa profetare ad Ugo Capeto: «.../veggio in Alagna [Anagni, n.d.r.] intrar lo fiordaliso, / e nel vicario suo Cristo esser catto. / Veggiolo un'altra volta esser deriso; / veggio rinovellar l'aceto e 'fele, / e tra vivi ladroni esser anciso. / Veggio il novo Pilato [Filippo il Bello, n.d.r.] sì crudele, / che ciò nol sazia, ma sanza decreto / porta nel Tempio le cupide vele. » (Dante, Purgatorio, Canto XX, 86-93)
16. ^ John N.D. Kelly, Gran Dizionario Illustrato dei Papi, p. 530
17. ^ Così citata in: C. Rendina, I papi, p. 515

Bibliografia
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▪ P. Montaubin, Entre gloire curiale et vie commune: le chapitre cathédral d'Anagni au XIII siecle in Mélanges de l'École Française de Rome, Moyen Âge, CIX (1997), pp. 303–442
• Les registres de Boniface VIII (1294-1303), ed. A. Thomas, M. Faucon, G. Digard e R. Fawtier, Parigi, 1884-1939

• 1531 - Huldrych Zwingli (italianizzato Ulrico Zuinglio) (Wildhaus, 1º gennaio 1484 – Kappel am Albis, 11 ottobre 1531) è stato un teologo svizzero, vissuto nel periodo della Riforma Protestante e fondatore della Chiesa riformata svizzera.
Promosse importanti riforme protestanti in questo paese sul modello di Martin Lutero. La sua dottrina, lo zwinglismo, tendenzialmente razionalista e derivante dal clima umanistico che attraversava l'Europa, presenta tuttavia notevoli differenze rispetto all'impostazione data da quest'ultimo, che è improntata su un senso mistico e angoscioso del peccato e della condizione umana.
Zwingli nacque, terzo di otto figli, a Wildhaus, nel cantone svizzero di San Gallo, da una famiglia benestante. Diede il via alla Riforma Protestante in Svizzera, ottenendo prima il supporto della popolazione e delle autorità di Zurigo, e coinvolgendo successivamente altri cinque cantoni svizzeri, mentre i rimanenti cinque rimasero fedeli alla Chiesa cattolica Romana. Egli rimase ucciso nella battaglia di Kappel combattuta contro le forze cattoliche in seguito al fallimento della dieta di Augusta.
Studiò teologia a Vienna e a Basilea; ordinato sacerdote a Costanza, esercitò il suo ministero a Glarona, il più famoso centro svizzero di pellegrinaggi. In quel periodo si avvicinò al pensiero di Erasmo da Rotterdam, ma elaborò presto la sua nuova concezione teologica a cui cercherà di dare applicazione nella sua permanenza a Zurigo.
Nel 1525 progettò una liturgia della cena in tedesco che prevedeva la soppressione dei canti e di tutte le musiche in cui era coinvolto l'organo. In seguito alla disputa teologica del 19 maggio 1526 a Baden, tra la fazione cattolica rappresentata da Johann Eck a quella zwingliana guidata da Giovanni Ecolampadio, le posizioni di Zwingli vennero condannate e il riformatore svizzero fu scomunicato da papa Adriano VI, con conseguente esclusione della Chiesa cattolica.
I tredici cantoni della Svizzera si divisero nelle due posizioni, tuttavia non lo fecero in modo pacifico: ne seguì addirittura un conflitto armato, e Zwingli, che era cappellano e portabandiera delle truppe che lo sostenevano, fu ferito nella Battaglia di Kappel, avvenuta l'11 ottobre 1531 e poi ucciso dai cattolici vittoriosi.
Dopo la sua morte la Riforma segnò il passo: la Confederazione elvetica è tuttora divisa tra cantoni cattolici e cantoni protestanti. Sinteticamente, la sua dottrina si può semplificare in questi brevi punti:
▪ Superiorità delle Sacre Scritture,
▪ Rifiuto dell'autorità papale,
▪ Confutazione del conciliarismo,
▪ Adesione alla predestinazione,
▪ Coinvolgimento all'interno della società (il cosiddetto Vangelo sociale).
Oggi gli eredi, diretti o indiretti, del pensiero di Zwingli sono i Quaccheri e i Battisti.

Caratteri della Riforma di Zwingli
Zwingli pervenne a conclusioni simili a quelle sostenute da Lutero studiando le Sacre Scritture dal punto di vista di uno studioso umanista. Corrispondente ed amico di Erasmo da Rotterdam, proponeva per il cristiano un approccio "senza commenti" al Vangelo. Egli riconduceva la possibilità della salvezza dell'uomo all'onnipotenza divina, ammettendo il concetto luterano della predestinazione, ma riconosceva negli uomini illuminati dalla Grazia la dignità attribuita in tempi recenti dagli umanisti (es: Lorenzo Valla e lo stesso Erasmo) al genio umano.

La Santa Cena secondo Zwingli
Ma la differenza principale rispetto a Lutero consisté nel modo di concepire la Santa cena. Mentre il tedesco sosteneva la reale presenza di Cristo nel Sacramento, Zwingli, a coronamento di un ragionamento filologico, descrisse l'eucaristia come semplice commemorazione dell'ultima cena.
Secondo lui, la Cena commemora, nella comunità raccolta, l'ultimo pasto di Gesù con i suoi discepoli: questo ricorda tutti i beni e le grazie che Dio ha dato per mezzo di suo figlio Gesù. Afferma che il Cristo non è né Reale Corporalmente (visione Cattolica), né Reale ma Spirituale (visione Luterana e Riformata di ispirazione Calvinista) presente nel pane e nel vino al momento della comunione, ma è presente nel cuore, nello spirito e nella vita di quelli che, lì riuniti, li dividono.È questo il principale punto di distacco tra i due.

L'esperienza riformatrice di Zwingli a Zurigo
Predicatore nel Duomo di Zurigo. Dall'autorità venne convocato, per il 29 gennaio 1523, il Consiglio della città perché si tenesse una disputa pubblica tra Zwingli e il Vicario generale di Costanza,che fu disertata dalla parte Cattolica. Di conseguenza il Consiglio cittadino presieduto dal Magistrato dopo aver sentito l'esposizione della sua dottrina contenuta nelle Sessantasette tesi (scritte appositamente per l'occasione) dichiarò vincente la causa della riforma e iniziò a riformare la vita ecclesiastica della città svizzera secondo le disposizioni sostenute dal predicatore. Riforma che venne completata nel 1525 con l'abolizione della messa cattolica e l'introduzione del culto riformato. Con l'intenzione di eliminare l'alone mistico e superstizioso dalla religione che andava formando, Zwingli diede ordine di rimuovere le immagini ritraenti la Madonna e i Santi, il cui culto fu proibito, e di pronunciare le predicazioni in lingua volgare e basandosi solo sulle Scritture; abolì inoltre il celibato ecclesiastico.
Gran parte della popolazione cittadina accettò i cambiamenti; tuttavia, vi furono agitazioni tra i contadini, i quali non trovavano giustificazione ai diritti attribuiti da sempre ai nobili nelle Scritture, e che strapparono un compromesso al governo; e tra gli anabattisti, che rifiutavano il battesimo infantile predicato dalla Chiesa di Zwingli. Questi ultimi offrirono una resistenza più dura dei cattolici alla Riforma di Zwingli ma nel 1526 i consigli cittadini decretarono la pena di morte contro gli anabattisti tramite affogamento in quanto le loro dottrine vennero considerate eversive.Zwingli non fece alcun tipo di intervento per salvarli o proteggerli . Tra il 1525 e il 1529 le sue posizioni furono accolte a Costanza e a San Gallo, e nel 1528 si recò a Berna, dove ebbe un successo pari a quello ottenuto a Zurigo. Quindi ottenne l'appoggio di Bienna, Mulhouse e Sciaffusa. Nel frattempo, tra il 1524 e il 1527 la riforma era penetrata nelle Tre Leghe Grige o Grigioni, all'epoca uno stato indipendente sotto la protezione del vescovo di Coira, rapidamente fu proprio la dottrina di Zwingli quella a prendere il sopravvento, anche se rimasero ampie aree cattoliche (Valtellina, Mesolcina...), Luterane e piccole conventicole Anabattiste, proibite ma poco perseguitate.
Nonostante le agitazioni sociali interne ed il malcontento verso gli abusi del clero cattolico, i cantoni di Uri, Svitto, Untervaldo, Lucerna, Zugo e Friburgo rimasero fedeli alla Chiesa romana, e si opposero fermamente all'ondata riformatrice. A Baden, nel 1526, si tenne un incontro tra i rappresentanti di Zwingli e i rappresentanti cattolici, che si risolse in un nulla di fatto. In seguito a questo evento, il riformatore persuase la città ad intraprendere una guerra contro i cantoni cattolici per permettere la diffusione della riforma. I cantoni cattolici si allearono con l'Austria nel 1529 nell'Unione Cattolica per difendersi, ma non ricevettero effettiva assistenza. Con la mediazione di Berna, riluttante a provocare una guerra, si giunse ad un compromesso sfavorevole ai cattolici.
Nel frattempo, Zwingli aveva concentrato nelle sue mani il potere assoluto sulla città. Nel 1529 ebbe un faccia a faccia con Lutero e Calvino Marburgo. Essi cercarono una posizione comune per portare avanti una riforma unificata. L'unico ostacolo presente nei quindici argomenti discussi furono le differenti concezioni della Santa Cena. Nessuno dei tre cedette la propria posizione e si lasciarono senza un accordo.
Nel 1529-1530 i protestanti elvetici iniziarono a sentirsi accerchiati da un, più o meno immaginario, complotto cattolico, che considerarono manifesto quando il Marchese di Musso invase la Valtellina (all'epoca in mano ai Grigioni). I cantoni protestanti ed i Grigioni risposero con una contro invasione, trovando inaspettatamente un alleato in Francesco II Sforza Duca di Milano. I cantoni cattolici al contrario si mostrarono favorevoli al Marchese di Musso, anche se non inviarono che pochi "osservatori" e non mossero le truppe. Comunque non tennero fede ai patti di alleanza che li avrebbero dovuti legare, al pari degli altri cantoni, all'alleato Grigione. Questo creò numerosi punti di attrito tra cattolici e riformati, soprattutto nei cantoni dove esistevano ancora comunità cattoliche.
Con la propria politica intransigente nei confronti dei cantoni cattolici, provocò il loro ritorno alle armi: il 9 ottobre 1531 essi dichiararono guerra a Zurigo e marciarono verso Kappel. I cantoni protestanti erano impreparati a tale mossa. Zwingli rabberciò un esercito e scese in campo con la prima linea. Egli fu ucciso e il suo esercito perse la battaglia. Con lui morì il governo teocratico di Zurigo. La Chiesa di Zurigo e la sua dottrina riformata furono affidate alla guida di Enrico Bullinger: grazie al quale la riforma di Zwingli si consolidò, accrescendo il ruolo di Zurigo nel cristianesimo riformato.

• 1851 - Luigi Dottesio (Como, 14 gennaio 1814 – Venezia, 11 ottobre 1851) è stato un patriota italiano. Esercitando il suo mestiere di tipografo, fu molto attivo nella diffusione di opuscoli mazziniani prima e dopo il 1848. Intercettato dai gendarmi, venne giustiziato dagli Austriaci a Venezia, nel 1851.

Esordi
Vicesegretario del Comune di Como, divenne fervente attivista della causa risorgimentale. Negli anni precedenti il 1848 si impegnò nel contrabbando di stampa clandestina di ispirazione mazziniana dalla Svizzera.

La prima guerra di indipendenza
Implicato nei moti che fra il 18 e il 22 marzo 1848 avevano costretto un battaglione e mezzo di Austriaci a cedere le armi e lasciare disarmati la città. Al ritorno degli Austriaci, il 10 agosto 1848 (all’indomani dell’Armistizio di Salasco), emigrò in Svizzera e si impiegò a dirigere la “Tipografia Elvetica” di Capolago (di proprietà Repetti, ideologicamente più vicina al Buonarroti).

L'arresto
Restò alla Tipografia Elvetica anche una volta riammesso nel Lombardo-Veneto e gli venne affidata gran parte della diffusione della stampa rivoluzionaria in Lombardia. Egli organizzò quello che chiamava il "sacro contrabbando" fra Canton Ticino e Lombardia austriaca.
Nel gennaio 1851, proprio in occasione di un viaggio di ritorno da Capolago a Como, fu arrestato al valico di Maslianico perché privo di passaporto, e rinchiuso in carcere a Como con l'accusa di aver introdotto stampa rivoluzionaria. Fu trovato, in effetti, in possesso di un elenco di nomi di persone seguite da iniziali o nomi di paesi, che dalla polizia vennero creduti indirizzi di cospiratori o di destinatari della stampa clandestina. L'accusa era che si trattasse di soggetti cui consegnare un piano di insurrezione, per la preparazione della quale aveva visitato il Veneto nell'agosto 1850.
Era stato individuato per delazione del medico Paolo Flora di Treviso, arrestato lo stesso mese e poi condannato a otto anni di fortezza. Si disse fosse stato spinto alla delazione dal confessore col quale si era aperto.

La condanna e l'esecuzione
Trasferito dal carcere di Como a quello di Venezia, dal momento che al supposto piano di insurrezione partecipavano oltre a Flora anche il libraio veneziano Maisner e il conte Giovanni Luigi Tedeschi.
Il 5 settembre 1851 gli Austriaci riunirono il Consiglio di Guerra per giudicare Dottesio e Maisner: il primo accusato di aver diffuso un piano insurrezionale, il secondo per aver ricevuto proclami rivoluzionari e cartelle del prestito nazionale organizzato dal Mazzini (uno l'aveva venduto a Flora). Entrambi avevano avuto contatti con gli esuli in Svizzera.
L'8 ottobre furono condannati alla forca. Nei giorni successivi Flora e Tedeschi ebbero la condanna a morte commutata in otto e dieci anni di ferri in fortezza.
Mentre il Maisner ricevette dal Radetzky la commutazione in dieci anni di lavori forzati con ferri pesanti, il Dottesio fu impiccato nel campo di Marte in Venezia l’11 ottobre.
Il boia, inabile, non uccise subito il Dottesio, che mandava un urlo straziante ancora dopo un quarto d’ora di supplizio fra l’orrore della folla. Il boia, l'indomani, fu trovato impiccato a una trave di casa sua.

Ragioni di tanta durezza
Le ragioni di tanta atroce durezza hanno molto a che fare con la generale attitudine di Radetzky. Ma, passati ormai due anni e mezzo dalla battaglia di Novara, rappresentò un'improvvisa ripresa della repressione e, come tale, colpì i contemporanei. La sfortuna del Dottesio, in effetti, fu che il suo arresto coincidesse con il palese fallimento di ben due viaggi del giovane Imperatore nel Lombardo-Veneto (marzo-aprile a Venezia, settembre-ottobre a Milano-Como-Monza).
Francesco Giuseppe, infatti, era stato accolto ovunque con grande freddezza; ed in particolare il Municipio di Como si era schermito dal prestare comandato omaggio allo imperatore sceso a visitare le provincie Lombardo-Venete: ciò aveva personalmente umiliato il monarca ma, soprattutto, aveva mostrato come la politica di Radetzky non avesse ottenuto alcun successo nell’avvicinare le popolazioni e la nobiltà al regime asburgico. A coronamento del tragico vuoto politico, alla visita a Como aveva seguito un confuso episodio di insubordinazione che interessò le truppe nel corso delle manovre militari tenute dall’Esercito Austriaco tenute a Somma Lombardo, nella brughiera a sud di Varese, alla presenza dello stesso Francesco Giuseppe. L'Imperatore temette una congiura e rientrò rapidamente a Vienna, colmo d'ira.
Tutto ciò non dovette dispiacere troppo a Radetzky plenipoteziario, che, in coincidenza con i falliti viaggi, aveva emesso due proclami (21 febbraio e 19 luglio 1851) che decretavano da uno a cinque anni di carcere duro a chi venisse trovato in possesso di scritti ‘rivoluzionari’ (patriottici, diremmo noi), reimponeva lo stato di assedio, teneva solidamente responsabili le municipalità che ospitassero società segrete.
Accadde così che, con decreto del 2 ottobre, il feldmaresciallo (considerata la condotta sleale, ipocrita, imperdonabile del Consiglio municipale di Como, i pretesti frivoli quanto ingiuriosi per sottrarsi all'omaggio dovuto) sciogliesse il Municipio di Como, promettendo di per via di sudditi fedeli e leali[1]. E, pochissimi giorni dopo, il Luigi Dottesio veniva impiccato.
Dottesio, quindi, servì a feldmaresciallo come doppio esempio: in quanto comasco servì di monito alla città (punita per la inaccettabile accoglienza riservata all'Imperatore e per la ribellione del marzo 1848); in quanto suddito infedele, servì a mostrare la serietà delle intenzioni esposte nel proclama.

Il rimpatrio delle ossa
Con certezza ancora nel 1854 la polizia austriaca teneva sotto controllo Giuseppa Perlasca Bonizzoni, vedova dal 1848, madre di sei figli, convivente del Dottesio (non potendosi risposare per l'opposizione dei parenti). Trasferito il Dottesio a Venezia, ella si era munita di un passaporto falso e vi si era recata, per essere riconosciuta ed esplusa dopo soli tre giorni. Negli anni successivi, aveva ripreso i contatti con la Tipografia Elvetica, arrestata e torturata nel carcere di Mantova, venne liberata per grazia sovrana nel marzo 1853. Perse un figlio alla battaglia di San Martino. Nel 1866, dopo la liberazione di Venezia, fece trasportare a Como le ossa di Dottesio.

▪ 1889 - James Prescott Joule (Salford, 24 dicembre 1818 – Sale, 11 ottobre 1889) è stato un fisico inglese.
Joule[1] nacque la vigilia di Natale del 1818 a Salford, un paese nelle vicinanze di Manchester, da una famiglia di produttori di birra, ed ebbe tra i suoi insegnanti il chimico John Dalton.
Si dedicò sin da giovane a ricerche scientifiche che eseguiva cercando di spingere all'estremo limite l'accuratezza e la precisione delle misurazioni. Si interessò del calore e delle sue connessioni con l'elettricità e la meccanica. A 25 anni effettuò il primo tentativo di definire l'unità di misura della corrente elettrica, attualmente rappresentata dall'ampere. Nel 1841, indagando sugli effetti termici, inviò alla Royal Society un articolo in cui dimostrava che un conduttore attraversato da corrente elettrica produce calore in quantità proporzionale alla resistenza del conduttore e al quadrato della corrente stessa. Questo fenomeno è oggi chiamato effetto Joule.
Successivamente Joule enunciò ad un congresso in Irlanda il principio noto come equivalente meccanico del calore. Grazie alle sue sperimentazioni (e usando uno strumento che prende il suo nome) dimostrò che calore e lavoro meccanico potevano convertirsi direttamente l'uno nell'altro, mantenendo però costante il loro valore complessivo: nelle macchine idrauliche e meccaniche gli attriti trasformano la potenza meccanica perduta (lavoro) in calore e, viceversa, nelle macchine termiche l'effetto meccanico prodotto (lavoro) deriva da una quantità equivalente di calore. In tal modo Joule cominciò a porre le basi sperimentali del primo principio della termodinamica.
Inizialmente la scoperta non suscitò molto interesse, ma in seguito egli ricevette per questo la Royal e la Copley Medal da parte della Royal Society. In pratica egli dimostrò il principio di conservazione dell'energia per i sistemi termodinamici (il calore è una forma di energia meccanica).
Per misurare l'equivalente meccanico del calore, nel 1845 egli costruì una macchina, ora chiamata "mulinello di Joule" che consente di misurare il calore prodotto in conseguenza della dissipazione di una quantità nota di energia meccanica. Questa macchina, è formata da un calorimetro contenente acqua, all'interno del quale è inserito un mulinello libero di ruotare attorno ad un asse verticale. Il mulinello è collegato con un sistema di funi e pulegge ad una coppia di pesi, mantenuti inizialmente fermi. Se i pesi vengono sbloccati, essi incominciano a scendere mettendo in rotazione il mulinello. Tale movimento viene rallentato dall'attrito viscoso dell'acqua contro le pale del mulinello. Una volta che i pesi sono scesi a terra, tutta la loro energia potenziale iniziale si è convertita in calore. Tale calore si può quantificare misurando la variazione di temperatura che subisce l'acqua durante l'esperimento. Joule trovò che per fornire una quantità di calore pari ad una caloria occorrono circa 4,41 J di lavoro. Il valore dell'equivalente meccanico della caloria oggi accettato è di 4,186 J/cal. In suo onore si chiama Joule (J) l'unità di misura dell'energia del Sistema Internazionale (SI).

Nota
1. In Italia, Joule viene pronunciato /dʒaʊl/, sebbene nel mondo anglosassone sia più diffusa la pronuncia /dʒul/

▪ 1963 - Édith Piaf, pseudonimo di Édith Giovanna Gaission (Parigi, 19 dicembre 1915 – Grasse, 11 ottobre 1963), è stata una cantante francese.
È stata una grande interprete del filone realista (chanteuse réaliste). Nota anche come "Passerotto", come veniva amorevolmente chiamata (passerotto infatti nell'argot di Parigi si dice piaf), ha deliziato le folle tra gli anni trenta e sessanta.
La sua voce, caratterizzata da mille sfumature, era in grado di passare improvvisamente da toni aspri e aggressivi a toni dolcissimi; inoltre sapeva far percepire in modo unico la gioia con il suono della sua voce. È la cantante che con le sue canzoni ha anticipato il senso di ribellione tipico dell'inquietudine che contraddistinse diversi intellettuali della rive gauche del tempo come: Juliette Greco, Roger Vadim, Boris Vian, Albert Camus ecc. In molti casi era lei stessa l'autrice dei testi delle canzoni che tanto magistralmente interpretava.
La vita di Édith Piaf fu sfortunata e costellata da una miriade di fatti negativi: incidenti stradali, coma epatici, interventi chirurgici, delirium tremens e anche un tentativo di suicidio. In una delle sue ultime apparizioni pubbliche la si ricorda piccola e ricurva, con le mani deformate dall'artrite, e con radi capelli; solo la sua voce era inalterata e splendida come sempre.
Porta il suo nome un asteroide della fascia principale, scoperto nel 1982: 3772 Piaf.
È ricordata anche per un verso di una sua celebre canzone:
«Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien / Ni le bien qu'on m'a fait, ni le mal / Tout ça m'est bien égal »

L'infanzia e gli inizi artistici
Nacque col nome di Édith Giovanna Gassion da una famiglia di umili origini: il padre Louis faceva l'artista di circo e la madre, Annetta Maillard, era una cantante di strada. Appunto per strada (davanti al numero 72 di rue de Belleville) pare abbia partorito Édith, aiutata da un poliziotto. Il lavoro dei genitori non permetteva loro di allevare un figlio per cui la piccola visse inizialmente la sua infanzia dalla nonna materna, a cui non importava assolutamente della piccola Édith, poi portata dal padre dalla nonna paterna, una prostituta che comunque si prese molta cura di lei.
Édith inizia a cantare per strada per rimediare qualche moneta e dar da mangiare a se stessa e al padre, che nel frattempo le si era riavvicinato; canta La Marsigliese con quella sua voce già piena di rabbia e ruvidezza ma che inizia a prendere forma. Costituisce poi un duo con Simone Berteaut esibendosi per le strade e anche nelle caserme.
A 17 anni ha una figlia dal muratore Louis Dupont, Marcelle, ma la bimba morirà a causa di una meningite a soli due anni; già duramente provata dalla vita, incontra l'impresario Louis Leplée (che morirà qualche anno dopo misteriosamente) e, dopo un'audizione al "Le Gerny's", piccolo locale dove si faceva cabaret, debutta nel 1935. Molti i personaggi famosi che accorrono per ascoltare la sua voce: uno fra tutti, Maurice Chevalier.

Nasce il mito di "passerotto"
A questo punto Édith ottiene un contratto con la casa discografica Polydor. Leplée le cambia il nome in Piaf, ed ha così inizio il suo successo. Ma è nel 1937 che ha inizio la sua ascesa che la porta ad ottenere un contratto con il teatro ABC.
Dopo la morte di Leplée, molti furono i suoi impresari: Raymond Asso, Michel Emer, Paul Meurisse, Norbert Glanzberg, Lou Barrier; qualcuno di loro le fu vicino non solo professionalmente, ma anche sentimentalmente. La fama di Édith Piaf continuava a crescere: conosce Jean Cocteau, che si ispirerà a lei per un lavoro teatrale, Le bel indifférent.

La "vie en rose"
Durante la seconda guerra mondiale, Piaf era contro l'invasione tedesca e si esibì nei campi militari e nei campi di concentramento per prigionieri di guerra. È in quel periodo (1944) che conosce e si innamora di Yves Montand; canta con lui al Moulin Rouge, ma appena lo chansonnier inizia a diventare famoso i due si lasciano. Nel 1945 cambia casa discografica ed entra a far parte della Pathé. Nel 1946 scrive le parole della canzone che, nel Dopoguerra, diventerà per i francesi l'inno del ritorno alla vita: La vie en rose, che interpreta in collaborazione con Les Compagnons de la chanson.
Il titolo di questa leggendaria canzone è talmente legato alla figura di Édith Piaf, che il regista Olivier Dahan, autore della pellicola, vincitore del premio Oscar, sulla tormentata vita della cantante (interpretata da Marion Cotillard), acconsente a modificare, per la versione italiana, il titolo del film da La môme a La vie en rose. Il tutto appena prima dell'uscita del film (2007) che è uscito in Francia ed è riportato negli archivi con il nome originale.

Tragico amore con Cerdan
Édith Piaf realizzò una tournée nel 1946 negli Stati Uniti esibendosi alla Constitution Hall; ritornò un anno dopo, sempre con i suoi fedeli Compagnons de la chanson, per cantare alla Play House e al Versailles di New York, dove ad applaudirla tra il pubblico vi erano, tra gli altri, Marlene Dietrich, Charles Boyer e Orson Welles.
Nel 1948 conosce il pugile Marcel Cerdan ed è la prima volta che Édith si innamora di qualcuno che non faccia parte del mondo della musica: sono felici e innamorati ma la felicità dura poco; infatti, mentre sta volando da lei per raggiungerla negli Stati Uniti, l'aereo cade e Cerdan muore. Completamente distrutta dalla morte del compagno, Piaf inizia a bere e a far uso di droghe. Dedica una canzone al suo amore perduto, la splendida Hymne à l'amour che la porta al successo a livello mondiale e che lei stessa compone assieme a Marguerite Monnot (con cui scriverà nel 1959 anche il testo di Milord).

Mai nessun rimpianto
Piaf continua a deliziare i francesi con molte altre canzoni destinate a diventare dei classici come Le vagabond, Les amants, Les histoires du coeur, La foule, Non, je ne regrette rien, ecc.
Non si sa quanti soldi riesca a guadagnare, ma è certo che non la si è mai vista sfoggiare ricchezza; in effetti, continua ad essere una donna minuta che canta l'amore e che ha bisogno di amore come dell'aria che respira; la sua casa e i suoi camerini sono frequentati da diversi uomini che contribuirà a lanciare come artisti nel mondo della canzone francese e mondiale. Alcuni nomi: Gilbert Bécaud, Charles Aznavour, Leo Ferré, Eddie Constantine; alcuni stringeranno con lei un sodalizio artistico e umano per più tempo, mentre altri se ne andranno prima; tutti però le lasceranno delle bellissime canzoni: fra gli altri, Georges Moustaki scriverà per lei la musica della famosa canzone Milord, Charles Aznavour Jezebel.
Nel 1952 sposa il compositore Jacques Pills, ma il matrimonio dura solo pochi giorni. Siamo nel 1955, Piaf ha quarant'anni e approda finalmente all'Olympia, il tempio parigino della musica; poi, riparte per l'America per esibirsi alla Carnegie Hall di New York, dove la saluteranno ben sette minuti di applausi in standing ovation. Verrà invitata comunque ad esibirsi ancora all'Olympia e le repliche dureranno quattro mesi, cioè fino alla primavera del 1961.

Gli ultimi anni con Theo
In quell'anno sposò Theophanis Lamboukas, in arte Théo Sarapo, che lei aveva lanciato nel mondo della canzone e con cui aveva inciso la canzone A quoi ça sert l'amour. Dopo una broncopolmonite, Piaf andò col marito nel sud della Francia a Grasse per passarvi la convalescenza, ma una ricaduta le fu fatale. Si spense l'11 ottobre del 1963 durante un triste e vano viaggio di ritorno verso Parigi. Le cause del decesso furono attribuite a una cirrosi epatica, sviluppatasi a causa del massiccio uso di droga fatto da Édith; i medici più volte l'avevano avvertita ma lei non dava loro ascolto. Il suo esile corpo (dimostrava molto più dei suoi 47 anni) venne caricato sul sedile posteriore della macchina dal marito Theo che, per esaudire il suo ultimo desiderio, la riportò nella capitale francese.
Al suo funerale presero parte migliaia di persone. Il suo corpo riposa nel cimitero parigino delle celebrità Père Lachaise: l'elogio funebre venne scritto da Jean Cocteau che però morì d'infarto poche ore dopo aver appreso la notizia della morte della cantante. Nella tomba della "Famille GAISSION-PIAF" riposano con lei anche il padre Louis Alphonse Gaission, la figlia Marcelle ed il marito Théophanis Lamboukas. Sulla tomba c'è scritto: "Madame LAMBOUKAS dite EDITH PIAF 1915 - 1963".
La città di Parigi le ha dedicato una piazza e recentemente anche una statua, nel 20.mo arrondissement.
Nel 1982 l'astronoma sovietica Ljudmila Georgjevna Karachina ha scoperto un pianeta, classificandolo col numero 3772 e denominandolo Edith Piaf.

Édith Piaf raccontata dagli artisti
▪ 1974: Piaf di Guy Casaril con Brigitte Ariel nel ruolo di Édith Piaf, inedito in Italia.
▪ 1975: Joni Mitchell compone la canzone Edith and the Kingpin dedicata a Edith Piaf, inclusa nell'album The Hissing of Summer Lawns.
▪ 1976: Elton John e Bernie Taupin composero la canzone Cage the songbird su Edith Piaf, inclusa nell'album Blue Moves.
▪ 1983: Édith et Marcel di Claude Lelouch con Évelyne Bouix, inedito in Italia.
▪ 1984: Piaf, telefilm con Jane Lapotaire, inedito in Italia.
▪ 1994: Une brève rencontre : Édith Piaf, telefilm di Michel Wyn con Sophie Arthur, inedito in Italia.
▪ Dal 2005: Priča o Edith Piaf / Raccontare Edith Piaf di e con Ksenija Prohaska (Teatro Nazionale Croato, Spalato-Caravan)
▪ 2007: La Môme di Olivier Dahan con Marion Cotillard, in Italia ed in altri paesi è uscito col titolo La vie en rose.

Canzoni celebri
▪ Mon légionnaire (1936)
▪ Le Fanion de la Légion (1936)
▪ Tu es partout (1943)
▪ La vie en rose (1945)
▪ Les Trois Cloches (1945)
▪ Hymne à l'amour (1949)
▪ Padam... Padam... (1951)
▪ Sous le ciel de Paris (1954)
▪ Les Amants d'un jour (1956)- Albergo a ore, nella versione italiana, curata da Herbert Pagani
▪ La Foule (1957)
▪ Milord (1959)
▪ Non, je ne regrette rien (1960)

▪ 1973 - Walter Audisio (Alessandria, 28 giugno 1909 – Roma, 11 ottobre 1973) è stato un partigiano e politico italiano.
Nato in una modesta famiglia di impiegati, lavorò per anni come ragioniere; nel 1931 entrò in un gruppo antifascista clandestino di Alessandria (il PCI) ma fu scoperto dall'OVRA, che nel 1934 lo confinò a Ponza.
Cinque anni dopo, nel 1939, Audisio chiese la licenza per tornare ad Alessandria, per sottoporsi all'operazione di appendicite di cui aveva bisogno. Per ottenere il permesso, Audisio dovette abiurare i suoi principi di comunista e assicurare di fare richiesta di grazia al duce. Compilato il documento, il confinato politico poté tornare ad Alessandria. Venne esonerato dall'invio al fronte. Durante la Seconda guerra mondiale egli riprese a militare con i partigiani, organizzando nel Monferrato le prime bande. Successivamente aderì al Partito Comunista Italiano e comandò le formazioni della brigata Garibaldi, operanti in provincia di Mantova e nel basso Po.

I fatti di Dongo
Col nome di battaglia di "Comandante Valerio" la sua identità venne celata, divenne ispettore delle Brigate Garibaldi e, dal gennaio del 1945, una delle figure principali della Resistenza partigiana a Milano. In veste di ufficiale del CVL, il 28 aprile ricevette l'ordine di recarsi a Dongo e di eseguire la condanna capitale che era stata decretata nei confronti di Mussolini e di altri gerarchi fascisti. Secondo la sua versione, fu lui a eseguire la condanna nei confronti di Benito Mussolini e commise l'assassinio della sua amante Claretta Petacci, giustificando il fatto dicendo che la Petacci cadde tra lui ed il Duce mentre la raffica di mitra era già partita.
Tuttavia alcuni aspetti dell’esecuzione di Mussolini e della Petacci rimangono poco chiari, le testimonianze dei presenti risultano discordanti, la storiografia italiana ha molto dibattuto su ciò, tanto che esistono diverse versioni sull’accaduto, alcune delle quali mettono anche in dubbio il ruolo avuto dallo stesso Audisio.[1][2][3][4] Il Comandante Valerio divenne comumunque un eroe della Resistenza, ma che dietro questo nome ci fosse Walter Audisio restò segreto per molto tempo.

Impegno politico del dopoguerra
Nel dopoguerra Audisio venne eletto deputato tra le file del Fronte Democratico Popolare nel 1948 per la circoscrizione Cuneo-Alessandria-Asti e sempre confermato con il PCI fino al 1963, anno in cui optò per il Senato della Repubblica. Nel 1968 non si ricandidò e preferì lavorare presso l'ENI, ma morì cinque anni dopo a causa di un infarto che lo colse improvvisamente mentre si trovava con la moglie Ernestina nella sua abitazione romana.
Le sue memorie, intitolate In nome del popolo italiano, furono pubblicate dall'editore Teti due anni dopo la sua morte.

Il "Colonnello Valerio" nella musica rock
Il nome di battaglia "Colonnello Valerio" è stato citato nella canzone "Lettera del compagno Lazlo al Colonnello Valerio" di Giorgio Canali & Rossofuoco, resa disponibile gratuitamente su internet [5]. Il testo è incentrato sulla situazione creatasi dopo la conclusione della Resistenza: viene descritta un'Italia non ancora libera nella quale i fascisti sono rimasti impuniti. Scritta in occasione dell'uscita della compilation Materiali Resistenti, prodotta per la festa del 25 aprile 2010, veniva esclusa da quest'ultima in quanto contenente due bestemmie. Tale motivazione ufficiale appariva ad alcuni poco convincente, in quanto le due espressioni in oggetto erano espressione artistica coerente col violento sentimento di rabbia descritto. Non a caso anche lo stesso Canali ironizzava sul punto, affermando sarcasticamente che la canzone sarebbe stata esclusa "perché a nessuno piace come suona 'sta cazzo di armonica", come affermato nell'esibizione live di Frigento del 14 agosto 2010, qui visibile [6].

Note
1. ^ Ombre sul lago - Giorgio Cavalleri - 1995 - Piemme
2. ^ L'ora di Dongo - Alessandro Zanella - 1993 - Rusconi
3. ^ La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-1946) - Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni, Mario J. Cereghino - 2009 - Garzanti
4. ^ Perché uccisero Mussolini e Claretta - Luciano Garibaldi, Franco Servello - 2010 - Rubbettino
5. ^ http://www.rockit.it/album/13640/giorgio-canali-e-rossofuoco-lettera-del-compagno-lazlo-al-colonnello-valerio
6. ^ http://www.youtube.com/watch?v=xI2D454iVyE

▪ 1986 - Georges Dumézil (Parigi, 4 marzo 1898 – Parigi, 11 ottobre 1986) è stato uno storico delle religioni, linguista e filologo francese.
Dumézil è divenuto universalmente noto per le sue teorie sulla società, l'ideologia e la religione degli antichi popoli indoeuropei, sviluppate comparando tra loro i miti di quei popoli e scoprendovi una struttura narrativa identica che per Dumézil rifletteva essenzialmente una stessa visione della società e del mondo, caratterizzata in particolare da una tripartizione funzionale: la funzione sacrale e giuridica, la funzione guerriera e la funzione produttiva. Oltre che nei miti, questa struttura si ritrova, secondo Dumézil, anche nell'organizzazione sociale di alcuni popoli indoeuropei, a cominciare dalle caste dell'India.

Biografia
Durante la prima guerra mondiale fu costretto a interrompere gli studi, in quanto fu richiamato sotto le armi come ufficiale d'artiglieria, dal marzo 1917 al febbraio 1919. Dopo la guerra divenne lettore di francese all'Università di Varsavia nel 1921, ma l'anno dopo rientrò in Francia per iniziare le sue tesi di storia delle religioni, sotto la guida di Antoine Meillet.
Nel 1924 sostenne due tesi universitarie: la prima, intitolata Le festin d'immortalité. Étude de mythologie comparée indo-européenne, tratta della comparazione tra l'ambrosia e una mitica bevanda indiana, l'amrtâ. Nella tesi, Dumézil va oltre la semplice comparazione tra le due bevande e la integra con elementi di altre religioni, sostenendo che presso le popolazioni scandinave è la birra a prendere il posto dell'ambrosia. A questo punto, però, gli viene rimproverato di essersi preso troppe libertà con i fatti pur di raccontare una bella storia, ed è lo stesso rimprovero che viene fatto tutt'oggi a quest'opera. La seconda tesi s'intitola Le crime des Lemniennes. Rites et légendes du monde égéen.
Nel 1925 partì per la Turchia dove insegnò Storia delle Religioni all'Università di Istanbul, appena creata da Mustafa Kemal Ataturk. Qui imparò il turco e viaggiò nel Caucaso e in Russia, dove scoprì la lingua e la mitologia degli Osseti, un piccolo popolo indoeuropeo del Caucaso. Studiò anche la lingua dei Circassi, degli Abkhazi e degli Ubykh, un popolo caucasico sconfitto dai Russi tra il 1860 e il 1870 e rifugiatosi nella Turchia occidentale. Le ricerche di Dumézil in questo campo costituiscono uno dei più importanti contributi alla caucasologia in Occidente.
Nel 1931 ottenne un posto di lettore di francese all'Università di Uppsala, dove perfezionò la sua conoscenza della mitologia scandinava e apprende la lingua svedese. Si dimise nel 1933 e venne nominato direttore degli "Studi comparativi delle religioni dei popoli indoeuropei", alla quinta sezione della École pratique des hautes études. Seguì anche dei corsi di sinologia tenuti da Marcel Granet, dove conobbe Marcel Mauss. Nel 1938 elaborò la sua teoria delle tre funzioni.
Nel 1941 fu espulso dall'insegnamento per appartenenza alla massoneria ma fu reintegrato l'anno seguente grazie all'intervento di Jérôme Carcopino. Insegnò al Collège de France dal 1949 al 1968 alla cattedra di Civiltà indoeuropee (cattedra creata in suo onore). Nel 1968 andò in pensione, ma nei tre anni successivi continuò a tenere conferenze negli Stati Uniti, nell'Università di Princeton, Chicago e Los Angeles. Fu a questo punto che Dumézil intraprese un lavoro di revisione della sua opera, pubblicando i tre volumi di Mythe et épopée negli anni fra il 1968 e il 1973.
Nel 1970 fu eletto all'Académie des inscriptions et belles-lettres. Entrò a far parte dell'Académie française nel 1978.
Dal 1952 al 1972 viaggò frequentemente nel Caucaso per studiare le lingue e le mitologie di quei popoli.
Verso la fine degli anni settanta, divenne membro del Comité de Patronage di Nouvelle Ecole, rivista diretta da Alain de Benoist che gli dedicò un numero speciale, e le sue opere influenzarono profondamente l'ambiente del Groupement de Recherches et Etudes pour la Civilisation Européenne, più tardi divenuto famoso con il nome di Nouvelle Droite.

Opere
▪ Le festin d'immortalité, étude de mythologie comparée indo-européenne. Parigi, P. Geuthner, 1924.
▪ Le crime des Lemniennes, rites et légendes du monde égéen. Parigi, P. Geuthner, 1924.
▪ Le problème des Centaures, étude de mythologie comparée indo-européenne . Parigi, P. Geuthner, 1929.
▪ Légendes sur les Nartes, suivies de cinq notes mythologiques. Parigi, Librairie H. Champion, 1930.
▪ La langue des Oubikhs. Parigi, Collection de la Societé de linguistique de Paris, 1931.
▪ Introduction à la grammaire comparée des langue caucasiennes du Nord. Parigi, Librairie H. Champion, 1933.
▪ Ouranos-Varuna, étude de mythologie comparée indo-européenne. Parigi, Adrien Maisonneuve, 1934.
▪ Textes populaires ingouches, recueillis, commentés et précédés d'une introduction grammaticale (con M. Djabagui). Parigi, Adrien Maisonneuve, 1935.
▪ Flamen-Brahman. Parigi, P. Geuthner, 1935.
▪ Contes lazes. Parigi, Musée de l'Homme, 1937.
▪ Fable de Tsey Ibrahim (tcherkesse occidental) (con A. Namitok). Parigi, P. Geuthner, 1938.
▪ Mythes et dieux des Germains, essai d'interprétation comparative. Parigi, Presses Universitaires de France, 1939.
▪ Mithra-Varuna, essai sur deux représentations indo-européennes de la Souveraineté. Parigi, Presses Universitaires de France, 1940 (seconda edizione: Parigi, Gallimard, 1948)
▪ Jupiter, Mars, Quirinus (Jupiter Mars Quirinus. Parigi, Gallimard, 1941). Torino, Edizioni scientifiche Einaudi, 1955.
▪ Horace et les Curiaces (Mythes romains I). Parigi, Gallimard, 1942.
▪ Servius et la Fortune, essai sur la fonction sociale de louange et de blâme et sur les éléments indo-européens du cens romain (Mythes romains II). Parigi, Gallimard, 1943.
▪ Naissance de Rome (Juppiter Mars Quirinus II). Parigi, Gallimard, 1944.
▪ Naissance d'archanges-Essai sur la formation de la religion zoroastrienne (Juppiter Mars Quirinus III). Parigi, Gallimard, 1945.
▪ Tarpeia, cinq essais de philologie comparée indo-européenne (Mythes romains III). Parigi, Gallimard, 1947.
▪ Juppiter Mars Quirinus IV, explication de textes indiens et latin. Parigi, Presse Universitaire de France, 1948.
▪ Loki. Parigi, G.P. Maisonneuve, 1948 (terza edizione: Parigi, Flammarion, 1986).
▪ L'héritage indo-européen à Rome. Parigi, Gallimard, 1949.
▪ Le troisième souverain, essai sur le dieu indo-iranien Aryaman et sur la formation de l'histoire mythique de l'Irlande. Parigi, G.P. Maisonneuve, 1949.
▪ Les dieux indo-européens. Parigi, Presses Universitaires de France, 1952.
▪ La saga di Hadingus: dal mito al romanzo (Du mythe au roman, la saga de Hadingus et autres essais. Parigi, Presses Universitaires de France, 1953). Roma, Edizioni Mediterranee, 2001. ISBN 8827214267.
▪ Rituels indo-européens à Rome, Parigi, Klincksieck, 1954.
▪ Déesses latines et mythes védiques . Bruxelles, Collection Latomus, vol. XXIV, 1956.
▪ Aspects de la fonction guerrière chez les Indo-Européens. Parigi, Presses Universitaires de France, 1956.
▪ Contes et légendes des Oubykhs. Parigi, Musée de l'Homme, 1957.
▪ L'idéologie tripartite des Indo-Européens. Bruxelles, Collection Latomus, vol. XXXI, 1958.
▪ Études oubykhs. Parigi, Adrien Maisonneuve, 1959.
▪ Gli dei dei Germani: saggio sulla formazione della religione scandinava (Les dieux des Germains, essai sur la formation de la religion scandinave. Parigi, Presses Universitaires de France, 1959). Milano, Adelphi, 1979.
▪ Documents anatoliens sur les langues et les traditions du Caucase . Parigi, Adrien Maisonneuve, 1960.
▪ Documents anatoliens sur les langues et les traditions du Caucase II. Textes oubikhs. Parigi, Musée de l'Homme, 1962.
▪ Il libro degli eroi (Le livre des héros, légendes ossètes sur les Nartes. Parigi, Gallimard, 1965). Milano, Adelphi, 1969.
▪ Documents anatoliens sur les langues et les traditions du Caucase III. Nouvelles études oubikhs. Parigi, Musée de l'Homme, 1965.
▪ La religione romana arcaica (La religion romaine archaïque, avec un'appendice sur la religion des Étrusques. Parigi, Payot, 1964). Milano, Rizzoli, 1977. ISBN 8817866377.
▪ Documents anatoliens sur les langues et les traditions du Caucase IV. Récits lazes en dialect d'Arhavi, parler de Senköy. Parigi, EPHE, 1967.
▪ Documents anatoliens sur les langues et les traditions du Caucase V. Etudes abkhaz. Istanbul-Parigi, Bibliothèque archéologique et historique de l'Institut français d'Archéologie d'Istanbul, 1967.
▪ Mito ed epopea. La terra alleviata. L'ideologia delle tre funzioni nelle epopee dei popoli indoeuropei (Mythe et épopée. L'idéologie des trois fonctions dans les épopées des peuples indo-européens. Parigi, Gallimard, 1968). Torino, Einaudi, 1982.
▪ Le sorti del guerriero (Heur et malheur du guerrier, aspects de la fonction guerrière chez les Indo-Européens. Parigi, Presse Universitaire de France, 1969). Milano, Adelphi, 1990.
▪ Idee romane (Idées romaines. Parigi, Gallimard, 1969). Genova, Il Melangolo, 1987.
▪ Mythe et épopée II. Types épiques indo-européens: un héros, un sorcier, un roi. Parigi, Gallimard, 1971.
▪ Myth et épopée III. Histoires romaines. Parigi, Gallimard, 1973.
▪ Feste romane (Fêtes romaines d'été et d'automne, suivi de Dix Questions romaines. Parigi, Gallimard, 1975). Genova, Il Melangolo, 1989.
▪ Le verbe oubykh, études descriptives et comparatives (con Tevfik Esenç). Parigi, Mémoires de l'Académie des inscriptions et belles-lettres, Nouvelle série, I, 1975.
▪ Gli dei sovrani degli indoeuropei (Les dieux souverains des Indo-Européens. Parigi, Gallimard, 1977). Torino, Einaudi, 1985. ISBN 8806577034.
▪ Storie degli Sciti (Romans de Scythie et d'alentour. Parigi, Payot, 1978). Milano, Rizzoli, 1980.
▪ Matrimoni indoeuropei (Mariages indo-européens, suivi de Quinze Questions romaines. Parigi, Payot, 1979). Milano, Adelphi, 1984.
▪ Apollon sonore et autres essais. Parigi, Gallimard, 1982.
▪ La Courtisane et les seigneurs colorés et autres essais, 25 esquisses de mythologie. Parigi, Gallimard, 1983. ISBN 2070700372.
▪ Il monaco nero in grigio dentro Varennes (Le moyne noir en gris dedans Varenne, sotie nostradamique). Parigi, Gallimard, 1984). Milano, Adelphi, 1987.
▪ L'oubli de l'homme et l'honneur des dieux. Parigi, Gallimard, 1985.
▪ Le Roman des jumeaux, esquisses de mythologie. Parigi, Gallimard, 1995 (Edizione postuma a cura di Joël Grisward).
▪ L'ideologia tripartita degli Indoeuropei. Rimini, Il Cerchio (seconda edizione) 2003

Collegamenti esterni
▪ (FR) Sito dedicato a Georges Dumézil

▪ 2008 - Jörg Haider (Bad Goisern, 26 gennaio 1950 – Köttmannsdorf, 11 ottobre 2008) è stato un politico austriaco. Fondatore della BZÖ (Alleanza per il futuro dell'Austria), in passato era stato leader del partito conservatore FPÖ (Partito della Libertà austriaco), che proprio con Haider aveva ottenuto il miglior risultato di sempre alle elezioni del 1999, diventando il secondo partito austriaco.
Nato il 26 gennaio 1950 a Bad Goisern, in Alta Austria, da una famiglia collusa con il nazismo (il padre era stato un funzionario del Terzo Reich), Haider s'iscrisse al Partito della Libertà Austriaco (FPÖ) ancor prima di laurearsi in diritto. Divenne portavoce del movimento dei giovani liberali nel 1971, e mantenne la carica fino al 1977.
Dopo la laurea, nel 1973, iniziò il servizio di leva nell'esercito austriaco, che prolungò volontariamente di 3 mesi (invece dei nove mesi obbligatori, ne svolse 12). Nel 1974 iniziò a lavorare presso l'Università di Vienna, presso il Dipartimento di Diritto Costituzionale.

Carriera politica
L'ascesa all'interno dell'FPÖ

Grazie al suo carisma, Haider divenne dapprima segretario e presidente della sezione carinziana del FPÖ (dal 1977 al 1983), e poi, dal 1986 al 2000, segretario nazionale del movimento, che durante la sua segreteria abbandonò i principi tipici d'un partito liberale e aderì a una sorta di populismo nazionalista.
Il punto decisivo della sua carriera si concretizzò nel settembre 1986, quando sconfisse il vice cancelliere austriaco Norbert Steger nelle votazioni per la dirigenza del partito, al congresso di Innsbruck del FPÖ. Molti delegati temevano infatti che le posizioni politiche liberali di Steger, e la sua alleanza con i social-democratici, potessero minacciare l'identità e l'esistenza del partito.

Governatore della Carinzia e aumento dei consensi
Nel 1989 Haider fu eletto governatore della Carinzia, ma due anni dopo fu costretto alle dimissioni per aver elogiato pubblicamente la politica socio-economica di Adolf Hitler. Nonostante questo, egli riuscì ad attirare a sé svariati austriaci, che si sentivano delusi, o peggio ancora stritolati dal consociativismo tra l'ÖVP (Partito Popolare Austriaco) e l'SPÖ (Partito Socialdemocratico Austriaco). Nel 1999 fu rieletto presidente della Carinzia, e nelle elezioni politiche dello stesso anno ottenne quasi il 30 % dei voti.
Cominciò allora un periodo di collaborazione governativa tra l'ÖVP e l'FPÖ: tale accordo, seppur inviso all'Unione europea, perdurò fino al 2002, quando Haider ritirò la fiducia al governo guidato dal popolare Wolfgang Schüssel.
Dopo la sconfitta del suo partito alle elezioni politiche del novembre 2002 (alle quali ottenne solo il 10,2 % dei voti) Haider, che aveva lasciato la presidenza dell'FPÖ a Susanne Riess-Passer già da due anni, si ritirò dalla politica nazionale. Il successo ottenuto in Francia da Jean-Marie Le Pen lo convinse però a ricandidarsi: nelle elezioni del marzo 2004 riuscì a ottenere il 42,5 % dei voti in Carinzia, e si fece così rieleggere governatore della regione.

L'abbandono dell'FPÖ e la fondazione del BZÖ
In seguito alle oscillazioni del consenso elettorale, l'FPÖ, di cui la sorella di Haider, Ursula Haubner, era diventata presidente, iniziò a essere attraversato da tensioni interne.
Il 4 aprile del 2005 Haider fondò, insieme ad altri membri dell'FPÖ (tra cui, in particolare, la sorella ed il vice cancelliere Hubert Gorbach), un nuovo partito chiamato Bündnis Zukunft Österreich (BZÖ, Alleanza per il futuro dell'Austria), diventandone segretario. Questo produsse l'effetto di scindere la FPÖ in due. Il 7 aprile 2005 egli fu quindi espulso dal suo precedente partito, l'FPÖ.
Nei mesi successivi, il BZÖ tentò di stabilire il proprio ruolo all'interno del panorama politico austriaco, ma con poco successo. Haider ed il suo nuovo partito mantennero l'accordo di coalizione con il Partito Popolare, e questo portò a duri scontri politici con l'FPÖ. Sondaggi elettorali successivi segnalarono che entrambi i partiti stavano perdendo consensi, e rischiavano di non raggiungere la soglia critica del 4 % dei voti per poter essere rappresentati in parlamento.
Nelle elezioni federali del 2008 il BZÖ ebbe invece un clamoroso successo (il 10,7 % dei voti, mentre il FPÖ raggiunse il 17,5 %), riportando così Haider nel pieno della scena politica nella fase dei negoziati per la formazione del nuovo governo.

La morte
Haider morì l'11 ottobre del 2008 all'1:15 del mattino in un incidente d'auto a Lambichl (una frazione di Köttmannsdorf, in Carinzia), mentre tornava da una festa organizzata in occasione della presentazione di una nuova rivista carinziana avvenuta in una discoteca della cittadina di Velden, "Le Cabaret", e da una presunta successiva sosta, allo Stadtkrämer, un locale gay di Klagenfurt, dove avrebbe consumato alcol.[1][2][3] Nell'incidente riportò gravi lesioni al capo, alla colonna vertebrale e al torace, che ne causarono il decesso.[4] La Volkswagen Phaeton di servizio che guidava, senza altri occupanti, sbandò per l'alta velocità mentre compiva un sorpasso (142 km/h su un tratto limitato a 70), si ribaltò e finì fuori strada, urtando due segnali e un pilone in cemento.[5] Gli accertamenti hanno successivamente rilevato che al momento dell'incidente Haider aveva nel sangue un tasso alcolemico di 1,8 grammi per litro (contro un limite di legge di 0,5).
Il 24 ottobre la moglie Claudia diede disposizioni per il blocco della cremazione del corpo per fare ulteriori accertamenti sulle cause del decesso.[6]
Nell'aprile successivo le autorità austriache hanno formalmente chiuso l'inchiesta sulla morte del politico, escludendo le ipotesi di malori e complotti.[7]

Vita privata
Haider era sposato con Claudia Hoffman sin dal 1º maggio 1976 e dalla donna aveva avuto due figlie, Ulrike Haider Quercia e Cornelia Haider-Mathis.
Il padre, Robert Haider, si unì alla Hitler Jugend nel 1929 e pochi anni dopo entrò a far parte del partito nazionalsocialista, venendo per questo arrestato, poiché in Austria il partito nazista era stato dichiarato illegale agli inizi degli anni '30. In seguito, Robert Haider emigrò in Germania, dove si unì all'esercito tedesco.[8] Secondo alcuni[9] la militanza politica del padre avrebbe avuto dirette influenze sulla formazione ideologica del figlio, in particolare per quanto riguarda l'aspetto dell'antisemitismo.
Poco dopo la morte, cominciarono a susseguirsi voci su una presunta omosessualità di Haider. In particolare, Stefan Petzner, designato dallo stesso Haider come successore alla presidenza dell'FPÖ, definì il suo rapporto con Haider come qualcosa che "andava ben oltre la semplice amicizia".[10] Petzner lo definì anche come "l'uomo della sua vita" (Lebensmensch in lingua tedesca, un termine che può implicare sia una relazione intima, sia il rapporto che si instaura tra mentore e allievo). L'Associated Press riporta il commento di Petzner in maniera seguente: "Io e Jörg eravamo connessi da qualcosa di veramente speciale. Era l'uomo della mia vita, gli volevo bene, era il mio migliore amico". Le dichiarazioni di Petzner, in ogni caso, rinvigorirono le dicerie sulla presunta omosessualità di Haider. Il politico austriaco, infatti, già un decennio prima era stato criticato per essersi circondato di giovani uomini all'interno del partito, che veniva infatti definito "Il partito dei ragazzi di Haider".[10][11]
Nell'ottobre del 2009, la vedova di Haider vinse una causa contro il quotidiano Bild, che aveva pubblicato un'intervista con un uomo che dichiarava di essere stato per anni l'amante di Haider. La corte, constatata la violazione della privacy di Haider, minacciò una sanzione pecuniaria fino a 100.000 € per qualunque organo di stampa che dichiarasse o diffondesse notizie riguardo all'omosessualità o la bisessualità di Haider o al fatto che egli avesse avuto un amante.[12][13]

Note
1. ^ «MORTE HAIDER, IL SUCCESSORE: "JOERG ERA L`UOMO DELLA MIA VITA"». gay.tv, 17-10-2008. URL consultato in data 30-10-2008.
2. ^ «HAIDER VISTO IN UN LOCALE GAY PRIMA DELLA MORTE». la7.it, 17-10-2008. URL consultato in data 30-10-2008.
3. ^ «È giallo sull'ultima ora di Haider:"Il governatore era in un locale gay"». la stampa.it, 17-10-2008. URL consultato in data 30-10-2008.
4. ^ «Austria. Joerg Haider muore in un grave incidente stradale. Paese sotto chock». americaoggi.info, 11-10-2008. URL consultato in data 18-10-2008.
5. ^ «Haider morto sul colpo, guidava a 142 km/h». Il Sole 24 Ore, 12-10-2008. URL consultato in data 13-10-2008.
6. ^ «Haider, una nuova autopsia chiesta dalla moglie: «Ancora dubbi»». la stampa.it, 24-10-2008. URL consultato in data 24-10-2008.
7. ^ «Haider, incidente per alcol e velocità». Corriere della Sera, 15-04-2009, p. 15. URL consultato in data 3-09-2009.
8. ^ (DE)Christa Zöchling, Haider. Eine Karriere, Monaco, Econ Taschenbuch Verlag, 2000.
9. ^ (EN) Anat Peri, Jörg Haider’s Antisemitism , Gerusalemme, Hebrew University, Vidal Sassoon International Center for the Study of Antisemitism, 2001.
10. ^ a b (EN) Jorg Haider successor tells of their 'relationship'. URL consultato il 29 gennaio 2010.
11. ^ (EN) PRIVATE BIN: Schadenfreude, thy name is “Haider’s boy party”. URL consultato il 29 gennaio 2010.
12. ^ (EN) Newspapers sentenced for 'gay Haider' reports, AustrianTimes.at, 2009-11-19.
a. ^ (DE)ÖSTERREICH: Toter Haider gewinnt Prozess zu seinem Sex-Leben. URL consultato il 29 gennaio 2010.