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Il calendario dell'1 Giugno

Fonte:
CulturaCattolica.it

Eventi

▪ 987 - Ugo Capeto di Francia è eletto re di Francia.

▪ 1204 - Caduta della città di Rouen, che diventa possedimento del re di Francia, Filippo II.

▪ 1252 - Alfonso X di Castiglia, detto il saggio, viene proclamato re di Castiglia e di León.

▪ 1479 - viene fondata l'Università di Copenhagen.

▪ 1485 - Mattia Corvino di Ungheria ottiene Vienna da Federico III.

▪ 1495 - il frate John Cor registra il primo lotto conosciuto di scotch whisky.

▪ 1533 - Anna Bolena è incoronata regina, come erede di Enrico VIII di Inghilterra.

▪ 1774 - Rivoluzione americana: Il governo della Gran Bretagna ordina la chiusura del porto di Boston, Massachusetts

▪ 1779 - Rivoluzione americana: Benedict Arnold viene giudicato dalla corte marziale per condotta disonesta nella gestione della proprietà governativa

▪ 1812 - guerra del 1812: Il Presidente degli Stati Uniti d'America James Madison chiede al Congresso di dichiarare guerra al Regno Unito

▪ 1815 - Napoleone Bonaparte giura fedeltà alla Costituzione francese

▪ 1829 - il Capitano James Stirling fonda la Swan River Colony nell'Australia Occidentale

▪ 1831 - James Clark Ross scopre la posizione del Polo Nord magnetico sulla Penisola di Botnia

▪ 1840 - Samuel Cunard completa la traversata di un vaporetto a ruota da 700 tonnellate, da Liverpool, Inghilterra ad Halifax (Nuova Scozia)

▪ 1869 - Thomas Edison riceve il brevetto per la sua macchina elettiva elettrica.

▪ 1879 - il pontefice Leone XIII pubblica la Lettera Enciclica Ci siamo grandemente, sulla indissolubilità del matrimonio

▪ 1890 - l'Ufficio del Censo degli Stati Uniti inizia l'utilizzo della macchina tabulatrice di Herman Hollerith per conteggiare i risultati del censimento

▪ 1910 - la spedizione di Robert Falcon Scott verso il Polo Sud lascia l'Inghilterra.

▪ 1933 - l'esposizione mondiale Secolo del progresso apre a Chicago (Illinois)

▪ 1938

  1. - Viene pubblicato il primo fumetto di Superman
  2. - In Germania, Heinrich Himmler ordina la deportazione di asociali, Rom, vagabondi, lenoni, prostitute.

▪ 1941
  1. - seconda guerra mondiale; fine della battaglia di Creta; l'isola viene conquistata dai tedeschi.
  2. - I britannici riprendono il controllo di Baghdad dopo un colpo di stato.

▪ 1942 - seconda guerra mondiale; il giornale di Varsavia Liberty Brigade pubblica le prime notizie riguardo l'esistenza dei campi di concentramento.

▪ 1943 - incursione aerea della Raf sugli stabilimenti Zeppelin a Friedrichshafen, in Germania, dove si producevano gli impianti radar tedeschi.

▪ 1955 - inizio della Conferenza di Messina

▪ 1958
  1. - Iniziano le trasmissioni televisive a livello nazionale in Canada
  2. - Charles de Gaulle viene richiamato dalla pensione per guidare la Francia per decreto per un periodo di sei mesi

▪ 1959
  1. - In Tunisia viene adottata la prima Costituzione repubblicana
  2. - Comincia in Nicaragua una rivoluzione contro il presidente Somoza

▪ 1962
  1. - I curdi rivendicano presso l'ONU il loro diritto all'indipendenza
  2. - Indipendenza delle isole Samoa

▪ 1965 - un incidente dentro una miniera in Giappone (Yamano) causa 237 morti.

▪ 1973 - Viene proclamata la Repubblica in Grecia

▪ 1977 - l'Unione Sovietica accusa di tradimento il leader dei diritti civili Anatoly Sharansky

▪ 1979 - in Rhodesia finisce il novantennale dominio della minoranza bianca; la nazione diventa Zimbabwe-Rhodesia

▪ 1988 - il presidente statunitense Ronald Reagan, e quello sovietico, Mijail Gorbachov stipulano un accordo per l'eliminazione dei missili a media gittata

▪ 1990 - George H. W. Bush e Mijail Gorbachov firmano un documento riguardo la riduzione del 30% delle loro armate nucleari

▪ 2001 - il vincitore del Premio Nobel John Forbes Nash (A Beautiful Mind) risposa l'ex-moglie; divorziarono nel 1963

▪ 2003 - la Cina inizia a riempire il bacino dietro la massiccia diga delle Tre Gole, innalzando il livello dell'acqua di oltre 100 metri

▪ 2005 - con un referendum, i Paesi Bassi rifiutano la creazione di una Costituzione Europea

▪ 2008
  1. - freddato a colpi di pistola Michele Orsi, imprenditore che dopo essere stato coinvolto in una inchiesta su camorra e appalti aveva deciso di collaborare con gli inquirenti di una direzione distrettuale antimafia ; il giovedì seguente avrebbe dovuto deporre in tribunale.
  2. 2009
  3. - un Airbus A330-200 di Air France partito da Rio de Janeiro e diretto a Parigi scompare dai radar brasiliani alle ore 8 circa. 228 le persone a bordo, tra queste 10 italiani, 3 di origine trentina. La settimana dopo vengono ritrovati i primi resti del velivolo, nessun superstite.

Anniversari

▪ 1307 - Fra Dolcino o Dolcino da Novara (Prato Sesia, circa 1250 – Vercelli, 1º giugno 1307) è stato un predicatore millenarista italiano. Accusato di eresia dalla Chiesa cattolica, fu catturato e giustiziato sul rogo nell'estate del 1307.
Le notizie storicamente accertate sulla figura e l'opera di Dolcino sono poche ed incerte e le fonti sono prevalentemente di parte avversa ai dolciniani.
Secondo alcune di esse il suo vero nome era Davide Tornielli. Il suo effettivo luogo di nascita è sconosciuto, anche se viene convenzionalmente indicato in Prato Sesia; così come la data di nascita. Si suppone tuttavia che sia nato nell'alto novarese (è stato affermato, infatti, che il cognome Tornielli sia originario di Romagnano Sesia, mentre una torre nel territorio di Trontano, in Ossola, porta quel nome).
Alcune ricostruzioni posteriori, per squalificarne la nascita, sostennero che Dolcino fosse il frutto dell'unione di una donna del posto con un prete, forse il parroco di Prato Sesia.
Nel 1291 Dolcino entrò a far parte del movimento degli Apostolici, guidato da Gherardo Segarelli. È dubbio in tal senso come la definizione di "frate", con cui spesso anche Dolcino viene definito, debba essere intesa, perché non si è affatto sicuri che egli abbia mai pronunciato voti religiosi: si limitò forse ad autodefinirsi "fratello" nell'ambito del movimento ereticale. Gli Apostolici, in sospetto di eresia e già condannati da papa Onorio IV nel 1286, furono repressi dalla Chiesa cattolica e il Segarelli fu arso sul rogo il 18 luglio 1300.
La predicazione di fra' Dolcino si svolse anzitutto nella zona del lago di Garda, con un soggiorno accertato presso Arco di Trento. Nel 1303, predicando nei dintorni di Trento, Dolcino conobbe la giovane Margherita Boninsegna nativa di Cimego, donna che i cronisti posteriori, per sottolinearne il fascino in qualche modo perverso, concordano nel definire bellissima. Margherita divenne la sua compagna e lo affiancò nella predicazione.
Dolcino si rivelò dotato di grande fascino e comunicativa e, sotto la sua guida, il numero degli Apostolici riprese a crescere. Si attirò le ire della Chiesa per i contenuti della predicazione, apertamente ostile a Roma e a papa Bonifacio VIII, di cui profetizzava la prossima scomparsa. Durante gli spostamenti effettuati in Italia settentrionale per diffondere le proprie convinzioni e accrescere il numero dei seguaci, Dolcino e i suoi furono ospitati tra il Vercellese e la Valsesia.
Qui, a causa delle severe condizioni di vita dei valligiani, le promesse di riscatto dei dolciniani furono accolte positivamente. Per questo, dopo un breve ritorno nel Bresciano, approfittando del sostegno armato offerto da Matteo Visconti, nel 1304 Dolcino decise di occupare militarmente la Valsesia e di farne una sorta di territorio franco dove realizzare concretamente il tipo di comunità teorizzato nella propria predicazione.
Di qui, il 10 marzo 1306, tutti i seguaci, abbandonati dal Visconti, si concentrarono sul Monte Rubello sopra Trivero (poco distante dal Bocchetto di Sessera, nel Biellese), nella vana attesa che le profezie millenaristiche proclamate da Dolcino si realizzassero.
Contro di loro fu schierato l'esercito di una vera e propria Crociata, proclamata da Raniero degli Avogadro vescovo di Vercelli e che coinvolse anche truppe del Novarese. I dolciniani resistettero a lungo, ma infine, provati dall'assedio e dalla mancanza di viveri, che la popolazione locale, divenuta oggetto di vere razzie, non poteva né voleva più fornire loro, furono sconfitti e catturati nella settimana santa del 1307. Quasi tutti i prigionieri furono passati per le armi; fra' Dolcino, processato e condannato a morte, fu giustiziato pubblicamente il 1º giugno, dopo avere assistito al rogo di Margherita e del suo luogotenente Longino da Bergamo.

Setta degli Apostolici
La setta degli "Apostolici", fondata da Segarelli verso il 1260, rientra nel novero dei movimenti pauperistici e millenaristici che fiorirono numerosi in quel periodo.
Essi conducevano una vita con frequenti digiuni e preghiere, lavorando o chiedendo la carità, senza praticare il celibato forzoso: la cerimonia di accettazione dei nuovi seguaci prevedeva che pubblicamente si spogliassero nudi, per rappresentare la propria nullità davanti a Dio, come aveva fatto san Francesco; predicavano l'ubbidienza alle Scritture, che portava alla disobbedienza ai pontefici, la predicazione ambulante dei laici, l'imminenza del castigo celeste provocato dalla corruzione dei costumi ecclesiastici, l'osservanza dei precetti evangelici e la povertà assoluta. Quest'ultimo punto, ovviamente, portò alle ire della Chiesa di Roma ed i dolciniani stessi furono accusati di depredazioni e accaparramenti decisamente maggiori di quelli strettamente necessari a garantire la loro semplice sopravvivenza.
Dolcino espose la sua dottrina in una serie di lettere (tutte ricostruite sulla base di documenti di parte avversa) indirizzate agli Apostolici: ispirandosi a Gioacchino da Fiore, egli riteneva che la storia della Chiesa si dividesse in quattro epoche, e che fosse imminente l'avvento dell'ultima, un tempo finale in cui si sarebbe ristabilito finalmente l'ordine e la pace dopo le degenerazioni della Chiesa del tempo; annunciò l'approssimarsi della fine dei tempi e la discesa dello Spirito sugli apostoli. Alcuni teologi della Riforma videro in Dolcino un loro antesignano, e nella diffusione della Parola di Dio legata alla liberazione del nord Europa dal giogo papale, l'adempimento della sua profezia.

La Crociata contro i dolciniani
La Crociata contro Dolcino fu bandita, come detto, dal vescovo di Vercelli Raniero (o Rainero) degli Avogadro, con il beneplacito di papa Clemente V nel 1306. A lungo si è ritenuto che i valligiani tra il Biellese e la Valsesia l'avessero addirittura anticipata aderendo allo Statutum Ligae contra Haereticos (cosiddetto statuto di Scopello), redatto già il 24 agosto 1305. Studi più recenti, tuttavia, hanno dimostrato che il documento è un falso, confezionato alla fine del sec. XVIII in ambienti clericali per dimostrare l'esistenza di un movimento popolare antidolciniano sin dalle origini della sua predicazione nel Biellese. Nello Statuto si pretendeva che numerosi rappresentanti delle genti delle tre principali valli valsesiane, riuniti nella chiesa di San Bartolomeo a Scopa, avessero giurato sui Vangeli di scendere in armi contro i dolciniani fino al loro totale sterminio. Chiunque indossi la veste con croce e si appresti a partire verso le valli del Novarese e Vercellese per combattere l'eresia dolciniana - questo il senso della disposizione delle autorità ecclesiastiche - avrà rimessa la totalità dei peccati. Come detto, tuttavia, lo Statutum è un falso (cfr. R. Ordano, "Boll. Storico Vercellese" 1, 1972).
Il movimento guidato da Dolcino contava, al massimo della sua espansione, tra i 5000 ed i 10000 aderenti, benché simili numeri possano anche essere considerati l'esagerazione di alcuni autori: per fare un confronto, infatti, la città di Novara contava al tempo circa 5000 abitanti e l'alta Valsesia meno di 500. Nell'organizzazione della loro difesa i dolciniani costruirono fortificazioni le cui vestigia sul Monte Rubello sarebbero state ancora rinvenute da scavi archeologici recenti. Scorribande improvvise e sortite notturne nelle campagne della Valsesia e del Biellese permisero un misero sostentamento ai fuggiaschi, verso i quali crebbe però l'ostilità dei valligiani depredati. Un rigido inverno contribuì a ridurre ulteriormente le forze e le riserve alimentari. I vescovili dal canto loro potenziarono il proprio esercito assoldando, tra gli altri, anche un contingente di balestrieri genovesi. Le alture circostanti, tra le quali il Monte Rovella, vennero fortificate con lo scopo di isolare Dolcino e i suoi seguaci. Nella settimana Santa (23 marzo) del 1307, le truppe di Raniero riuscirono a penetrare nel fortilizio fatto costruire da Dolcino, dove ancora resistevano disperatamente gli ultimi superstiti del gruppo ormai falcidiato. Secondo le fonti di epoca successiva, lo spettacolo che si presentò agli assalitori fu drammatico: gli assediati, per sopravvivere, si erano cibati dei resti dei compagni morti. Tutti i dolciniani, comunque, vennero immediatamente passati per le armi eccetto Dolcino, Longino e Margherita.

Il processo e l'esecuzione
Fra' Dolcino fu processato a Vercelli e condannato a morte. L'Anonimo Fiorentino (uno dei primi commentatori della Divina Commedia) riferisce che egli rifiutò di pentirsi e anzi proclamò che, se lo avessero ucciso, sarebbe resuscitato il terzo giorno.
Margherita e Longino furono arsi vivi sulle rive del torrente Cervo, il corso d'acqua che scorre vicino a Biella, dove la tradizione identifica ancora una sorta di isolotto detto appunto "di Margherita". Un cronista annota che Dolcino, costretto ad assistere al supplizio dell'amata, "darà continuo conforto alla sua donna in modo dolcissimo e tenero". L'Anonimo Fiorentino, all'opposto, afferma che Margherita fu giustiziata dopo di lui.
Per Dolcino si volle procedere ad un'esecuzione pubblica esemplare: secondo Benvenuto da Imola (un altro antico commentatore dantesco), egli fu condotto su un carro attraverso la città di Vercelli, venne torturato a più riprese con tenaglie arroventate e gli furono strappati il naso e il pene. Dolcino sopportò tutti i tormenti con resistenza non comune, senza gridare né lamentarsi. Infine fu issato sul rogo e arso vivo a sua volta. Con molta probabilità il rogo avvenne nell'attuale zona del Tribunale di Vercelli, una volta letto del fiume Sesia.

Fra' Dolcino nella Divina Commedia
Dante ricorda fra' Dolcino nella Divina Commedia con questi versi:
«Or di' a fra Dolcin dunque che s'armi,
tu che forse vedrai lo sole in breve,
s'egli non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve

non rechi la vittoria al Noarese,

ch'altrimenti acquistar non sarìa lieve.»
(Inferno XXVIII, 55-60)

Dante destina fra' Dolcino alla bolgia dei seminatori di discordie e degli scismatici; poiché però l'azione della Commedia è ambientata nel 1300, quando egli era ancora vivo, Dante non lo incontra durante la sua visita all'Inferno, ma è Maometto, che si trova in quella stessa bolgia, a preannunciargli il suo arrivo. Si tratta di una delle numerose "profezie" che Dante inserì nel poema per poter citare personaggi ancora viventi nel 1300 o eventi posteriori a tale data (ma già avvenuti, ovviamente, nel momento in cui egli scriveva).
La notorietà dell'episodio, che nell'economia del poema è assolutamente marginale, è dovuta soprattutto all'orgoglio un po' campanilistico con cui, nel XIX secolo, gli intellettuali dell'area tra il Biellese e la Valsesia sottolinearono la presenza di un accenno alle loro terre nel capolavoro dantesco: un fenomeno analogo è osservabile nell'esagerato rilievo che la cultura vercellese ha sempre dato ai versi - di poco successivi - relativi "al dolce piano / che da Vercelli a Marcabò dichina" (Inferno XXVIII, 73-74). Essi, infatti, costituiscono solo una precisazione geografica e non certo una lode del capoluogo eusebiano.

Il "mito" di Dolcino
Il "mito" di Dolcino è in buona sostanza una riscoperta ottocentesca. Tutte le menzioni precedenti avevano sottolineato in varie forme il ruolo positivo della Crociata vercellese contro gli eretici a tutela dell'unità della fede cristina e dell'integrità dell'ordine sociale esistente. Nel clima laico che seguì l'Unità d'Italia, la revisione della tradizione clericale portò a presentare Dolcino come un simbolo della lotta al potere temporale della chiesa.
Nel 1907, per il seicentesimo anniversario della morte di Dolcino, alla presenza di una folla di diecimila persone riunitesi sui luoghi dell'ultima battaglia, un obelisco alto dodici metri fu eretto in memoria dei dolciniani. Promotore dell'iniziativa era stato Emanuele Sella, letterato ed economista che vantava trascorsi in seno al socialismo: fu soprattutto lui a suggerire un accostamento tra le istanze dolciniane e quelle socialiste. Nonostante il successo ottenuto nella ricorrenza non vi fu alcuna reale adesione popolare al "mito di Dolcino" e già l'anno successivo, nel 1908, le celebrazioni andarono pressoché deserte.
Nel 1927 l'obelisco fu abbattuto da un gruppo di fascisti che, evidentemente, aveva accettato di vedere in Dolcino proprio quel "protosocialista" che storicamente egli non fu mai. La volontà di riedificare il monumento acquistò grande valore simbolico dopo la caduta del Regime fascista e nel 1974 un monumento più piccolo fu edificato nello stesso punto del monte Rubello. Da allora ogni anno, nella seconda domenica di settembre, viene organizzato un convegno dolciniano.
La matrice ideologica della riscoperta dolciniana è evidente nell'orientamento politico delle opere più recenti sull'argomento: nel 1977 Dario Fo e Franca Rame fecero tornare in auge, con "Mistero Buffo", nella giullarata di Bonifacio VIII, la leggenda di fra' Dolcino e del suo maestro, visti come precursori del socialismo. Nel 1980 Umberto Eco inserì nella trama del celebre romanzo Il nome della rosa due personaggi (il cellario Remigio da Varagine e il suo aiutante Salvatore) che vengono giudicati (ed infine condannati al rogo) per il loro passato di seguaci dolciniani.
Il settecentesimo anniversario della morte di fra' Dolcino ha posto in essere, tra la fine del 2005 e l'inizio del 2007, molte manifestazioni in suo ricordo. Nel 2006 Luigi Tribaudino, ad esempio, gli ha dedicato un poema dal titolo La fenice libertaria. Il 28 aprile 2007, inoltre, è stata rappresentata in prima assoluta l'opera Dolcino, viaggio senza scarpe né padrone per le musiche di Daniele Vineis e i testi di Enrico Strobino.

▪ 1453 - Giovanni Giustiniani Longo (Genova, ... – Chio, 1 giugno 1453) fu un comandante militare genovese che operò nel Levante. Podestà di Caffa, generale marinaro, secondo i suoi biografi nacque nel XV secolo, e trovò la morte ancora in giovane età l'1 giugno del 1453, a Chio (colonia genovese dell'impero bizantino), a causa delle ferite riportate durante la difesa di Costantinopoli dall'assalto ottomano.

La battaglia di Costantinopoli
Giovedì 5 aprile 1453 il sultano Maometto II mandò un ultimatum all'imperatore Costantino promettendo salva la vita a lui e ai suoi cittadini se si fosse arreso; promise anche che non vi sarebbero stati saccheggi. Ma Costantino rifiutò e Mehmet II, vedendo che non arrivava risposta, il giorno successivo iniziò il bombardamento contro le mura prospicienti il fiume Licino, presso il punto reputato più debole delle mura di Costantinopoli.
Costantino presidiava di persona quella zona insieme alle sue guardie imperiali e designò Giovanni Giustiniani Longo al ruolo di suo aiutante, affidandogli il punto più critico delle mura, dove il comandante genovese e i suoi settecento soldati combatterono con estremo coraggio.

L'ultima messa
L'assedio durò per un mese e mezzo. Sabato 26 maggio 1453, il sultano ordinò la sospensione dell'attacco per tre giorni al fine di preparare l'assalto finale.

I bizantini, saputa la notizia, furono presi dalla disperazione e la sera del lunedì 28 maggio fecero celebrare dal cardinale Isidoro l'ultima messa a Santa Sofia. Alla celebrazione partecipò tutta la cittadinanza di Costantinopoli.
Giovanni - ricordano i suoi biografi - sedeva vicino a Costantino. Quando Isidoro finì il suo sermone Costantino si alzò in piedi e si diresse lentamente verso l'altare per tenere un breve discorso. Cercando di rincuorare il suo popolo, disse che con l'aiuto di Dio e della Santa Vergine Costantinopoli avrebbe potuto salvarsi dall'attacco ottomano; poi proseguì ringraziando tutta la popolazione, il clero e infine i Latini che erano venuti ad aiutare Costantinopoli. Un particolare ringraziamento lo rivolse a Giovanni Longo Giustiniani, dicendo che non avrebbe mai pensato che un genovese si sarebbe mai battuto con tanto coraggio e lealtà verso Costantinopoli.
Costantino riuscì per un giorno a riunire le due chiese, cattolica e ortodossa, raccolte nella stessa chiesa e con la stessa disposizione d'animo.

La fine dell'impero
Dopo la messa, Giovanni Giustiniani Longo si diresse verso la porta di San Romano, quella che il giorno dopo avrebbe dovuto difendere, e siccome la porta stessa e le sue vicine mura erano piene di brecce, ordinò ai suoi uomini di ripararle. Le mura furono riparate e rinforzate in breve tempo con l'ausilio di legna, cocci di mattoni, arbusti paglia e ogni cosa che potesse risultare utile alla bisogna. Fece anche costruire un fossato che corresse dietro le mura in modo tale da potersi trincerare insieme ai suoi uomini.
Alle prime ore di martedì 29 maggio 1453 ci fu l'ultimo attacco ottomano: la battaglia durò circa sei ore; Giovanni e suoi pochi soldati superstiti erano alla difesa della porta di San Romano; i soldati ottomani non riuscivano a penetrare, continuamente respinti. Giovanni e i suoi uomini difesero Costantinopoli con ferocia e coraggio.
Durante la battaglia si verificò un alterco tra lo stesso Giovanni e il Megas Doux delle mura, Luca Notara, per il fatto che quest'ultimo non riusciva a procurare la promessa polvere da sparo per l'uso dei cannoni; Giovanni estrasse il coltello e lo puntò minacciosamente verso Luca Notara accusandolo di essere un traditore.
La battaglia intanto proseguiva, con la strenua difesa dei soldati di Giustiniani Longo, ai quali si erano aggiunti tutti i latini ormai fedeli a lui. Ma quando i giannizzeri - reparto d'èlite degli ottomani - arrivarono, Giovanni fu ferito mortalmente. I suoi uomini superstiti abbandonarono le posizioni caricando il ferito su una barella per trasportarlo al luogo in cui erano attraccate le navi. La popolazione e gli altri soldati, vedendo passare quella sorta di corteo, si addolorarono rassegnandosi alla sconfitta.
Costantino, vedendo che ormai non vi era più nulla da fare, si tolse le insegne imperiali e con le sue poche guardie sopravvissute rimase a difendere la città: nessuno di quegli uomini avrebbe avuta salva la vita.
Giovanni e suoi uomini riuscirono ad imbarcarsi sulla loro nave genovese e si diressero verso Chio, la nave genovese arrivò a destinazione nei primi giorni di giugno, dove però il condottiero genovese morì appena giunto per le ferite riportate nella difesa di Costantinopoli.

▪ 1905 - Giovanni Battista Scalabrini (Fino Mornasco, 8 luglio 1839 – Piacenza, 1º giugno 1905) è stato un vescovo cattolico italiano, fondatore delle congregazioni dei Missionari e delle Suore di San Carlo Borromeo (Scalabriniani). Il 9 novembre 1997 è stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II.
Fu ordinato sacerdote il 30 maggio 1863; insegnò in seminario fino al 1870 quando fu ordinato parroco nella parrocchia San Bartolomeo di Como. Papa Pio IX lo ordinò quindi vescovo di Piacenza il 30 gennaio 1876.
Nel 1887 fonda la Congregazione dei Missionari di San Carlo Borromeo, conosciuti come Scalabriniani, per la cura degli emigrati italiani, cura nella quale riesce a coinvolgere anche le Apostole del Sacro Cuore di Gesù, fondate dalla forlivese Clelia Merloni.
Nel 1895 fonda le Missionarie di San Carlo. Nel 1901 viaggiò presso gli emigranti degli Stati Uniti d'America e nel 1904 andò in visita pastorale presso le comunità italiane del Brasile.
È stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 9 novembre 1997.

▪ 1940 - Alfred Firmin Loisy (Ambrières, 28 febbraio 1857 – Ceffonds, 1º giugno 1940) è stato un teologo francese, il più famoso dei modernisti, il più dotto e uno dei più radicali.
Fu l'uomo che innescò la grande crisi religiosa del principio del XX secolo. E lo fece non criticando la Chiesa ma difendendola, nel saggio L'Evangile et la Eglise (1902), contro le critiche del teologo protestante Adolf von Harnack.
La sua difesa, però, scardinava tutti i principi dell'apologetica tradizionale, e si diffondeva su un'ardita esegesi dei testi biblici e su una interpretazione storicistica dell'apporto dato dall'evolversi dei tempi, dalla cultura dei popoli e dalla mediazione della Chiesa al primitivo messaggio cristiano.
Il libro fu condannato dall'arcivescovo di Parigi e messo all'indice dalla curia romana.
Loisy, già celebre e sospetto come studioso delle Sacre Scritture, riprese i suoi studi e pubblicò negli anni 1907-1908 l'opera maggiore, Les évangiles synoptiques, che gli valse la scomunica.
Sacerdote dal 1879, era già stato sospeso a divinis nel 1906 e severamente condannato da papa Pio X col decreto Lamentabili sane exitu e con l'enciclica Pascendi (1907), in cui il modernismo è definito sintesi di tutte le eresie.
Loisy, sotto il peso di un così violento attacco, reagì concentrandosi negli studi e dando al suo pensiero un'impronta sempre più radicale. Nel 1909 accettò la cattedra di storia delle religioni al Collège de France, e la tenne fino al 1926.
Ma il suo distacco era ormai profondo e definitivo e la stessa concezione di un Dio trascendente e personale gli era divenuta estranea. Nella sua coscienza, l'Umanità aveva preso il posto di Dio, e la Società delle Nazioni quello della Chiesa.

▪ 1952 - John Dewey (Burlington, 20 ottobre 1859 – New York, 1º giugno 1952) è stato un filosofo e pedagogista statunitense. È stato anche scrittore e professore universitario. Ha esercitato una profonda influenza sulla cultura, sul costume politico e sui sistemi educativi del proprio paese. Intervenne su questioni politiche, sociali, etiche, come il voto alle donne e sulla delicata questione dell'ingiusta condanna degli anarchici Sacco e Vanzetti.

Pensiero filosofico
La formazione di Dewey è stata fortemente influenzata dal pragmatismo americano e dall'evoluzionismo di Darwin: il pragmatismo era una corrente filosofica tipicamente americana secondo la quale la verità si identificava con le esperienze concrete e le operazioni a esse collegate, per i filosofi di questa corrente il pensiero è un processo attivo che dipende da un comportamento e da una credenza.

Il concetto di esperienza
Il pensiero filosofico e pedagogico di Dewey si basa su una concezione dell'esperienza come rapporto tra uomo ed ambiente, dove l'uomo non è uno spettatore involontario ma interagisce con ciò che lo circonda. Il pensiero dell'individuo nasce dall'esperienza, quest'ultima intesa come esperienza sociale. L'educazione deve aprire la via a nuove esperienze ed al potenziamento di tutte le opportunità per uno sviluppo ulteriore.
L'individuo è constante con il suo ambiente, reagisce ed agisce su di esso. L'esperienza educativa deve quindi partire dalla quotidianità nella quale il soggetto vive. Successivamente ciò che è stato sperimentato deve progressivamente assumere una forma più piena ed organizzata. L'esperienza è realmente educativa nel momento in cui produce l'espansione e l'arricchimento dell'individuo, conducendolo verso il perfezionamento di sé e dell'ambiente. Un ambiente in cui vengono accettate le pluralità di opinioni di diversi gruppi in contrasto tra loro, favorisce lo sviluppo progressivo delle caratteristiche dell'individuo.

Il ruolo della filosofia
Dewey analizza la condizione di precarietà dell'essere umano, da cui nasce il bisogno sia del trascendentale, nelle epoche contraddistinte da un fervore religioso, sia della fiducia nel progresso, nella ragione e nella filosofia, nei periodi laicizzanti. Dewey appare critico nei confronti dei sistemi filosofici tradizionali perché incapaci di scorgere l'interezza della realtà e del mondo e di valutare con obiettività ciò che imperfetto, disordinato e irrazionale. Una delle soluzioni, secondo l'autore è rintracciabile nella dottrina dell'evoluzione, recante in sé, la speranza del progresso continuo dell'uomo. Il ruolo assegnato alla filosofia è quello di "supervisore", di controllo e di critica delle discipline di studio, con la finalità di rinnovare i valori più che di perseguire la conoscenza di tutto il mondo reale.

Logica e sviluppo
In una delle sue ultime grandi opere "Logica come teoria della ricerca (1938)", Dewey si preoccupa di delineare la ricerca, lo studio razionale con i suoi presupposti e le sue finalità, le diversità apparentemente presenti tra i fatti da osservare e le idee e la loro invece comune natura "operazionale", in quanto operanti entrambi sulla realtà per plasmare il "senso comune" della collettività.
Continuando la sua indagine sugli elementi costituenti il senso della filosofia e della natura dell'uomo, Dewey rintraccia nella coscienza il fulcro di ogni mutamento, nell'insieme di usi e costumi dettato dalla tradizione rileva lo "spirito" della società; nell'eventuale rifiuto propositivo e nel desiderio di iniziativa verso l'"ignoto", delinea l'impulso ai rinnovamenti. Nell'opera "Human Nature and Conduct" critica il determinismo, proponendo un modello di spiegazione che valorizzi la libertà di scelta e il fluire continuo dei mutamenti.

La democrazia
Dewey affronta il concetto di 'democrazia' anzitutto nei suoi aspetti culturali, che sviluppa a partire da una personale rilettura dell'opera di Emerson, che Dewey in un articolo del 1903 considera l'autentico "filosofo della democrazia". Da qui deriva una rilettura radicale dell'idea stessa di democrazia. L'ambiente sociale che Dewey identifica come il mezzo costruttivo per lo sviluppo delle energie individuali è la società democratica. In democrazia, infatti è richiesta la collaborazione di tutti per il bene della società, in quanto i sistemi democratici hanno il vantaggio di essere in perenne stato di crisi e necessitano quindi di una continua disponibilità al cambiamento. Per Dewey, una persona per partecipare ad una Democrazia deve avere questi quattro requisiti:
▪ alfabetizzazione: secondo l'autore il saper leggere e scrivere poteva fornire le stesse possibilità anche alle classi meno abbienti.
▪ competenze culturali e sociali le quali portano ad un maggior interesse per la vita pubblica
▪ pensiero indipendente, requisito fondamentale della democrazia che non può vivere con un pensiero unico (indottrinamento)
▪ predisposizione a condividere con gli altri
Per questi motivi, l'Educazione ha un ruolo preponderante nella creazione della società democratica.

La scuola e la società
Anche il pensiero pedagogico di Dewey risente degli influssi di Emerson. Dewey applica a questa il suo pensiero filosofico, basato sull'esperienza, all'insegnamento scolastico. Le esperienze non vengono imposte dall'insegnante ma nascono dagli interessi naturali degli alunni ed il compito dell'educatore è quello di assecondare tali interessi per sviluppare attraverso essi il senso della socialità.

La scuola
La scuola è un'istituzione sociale, che rappresenta la vita attuale. Riprende quelle che sono le attività quotidiane per rendere partecipe il fanciullo alle abitudini della vita familiare ed assicurargli un'adeguata integrazione sociale. L'industrializzazione ha allontanato il giovane dalle esperienze di partecipazione al processo lavorativo, per cui la scuola ha il compito di introdurre il lavoro come fattore formativo, al fine di assicurare un'attiva vita in comune e un apprendimento pratico di cose reali.
▪ La scuola è definita come attiva (attivismo pedagogico) in quanto il bambino, che viene a contatto con una delle difficoltà che il mondo gli pone, tenta di agire su di esso e cerca di reagire alle conseguenze che derivano dalle sue azioni. Il bambino mette in atto le sue strategie, elabora congetture per verificare o falsificare le sue ipotesi.
▪ La scuola di Dewey è chiamata anche progressiva in quanto l'attività che si svolge al suo interno, presuppone uno sviluppo progressivo. La scuola deve rappresentare per il bambino un luogo di vita: quella vita sociale che deve svilupparsi per gradi, partendo dall'esperienza acquisita in famiglia e nell'ambiente sociale in cui egli vive.

La suddivisione dell'età evolutiva
Anche Dewey come la maggior parte dei pedagogisti moderni divide l'età evolutiva in tre fasi:
1. Dai 4 agli 8 anni prevalgono nel bambino gli istinti e i bisogni in modo spontaneo che si manifestano con il gioco e l'attività ludica.
2. Dai 9 ai 12 anni il bambino frequenta la scuola primaria che è basata sul lavoro per permettere al soggetto di acquisire le abitudini culturali della società in cui vive.
3. Dai 12 ai 14 anni all'alunno viene data la possibilità di ampliare le sue conoscenze astratte attraverso lo studio in biblioteca e laboratorio all'interno della scuola media.

Pensiero politico
È vicino ai radicali americani, ritiene ci si possa realizzare solo in un ordinamento dove lo Stato interviene. Ha sotto gli occhi la situazione dell'America post '29 in cui fanno fortuna gli speculatori e non gli imprenditori e in cui non vi è alcun tipo di libera concorrenza: questa società si caratterizza per un'opinione pubblica controllata dai media. Ha di fronte a sé una società liberale che ha disatteso i suoi principi: lo Stato non può lasciar fare da sé e quando lo ha fatto si è prodotta la società americana a lui contemporanea. L'istanza liberale della libertà individuale può realizzarsi solo mediante il riordinamento pianificato dell'economia.
Il liberalismo, per lui, può superare la propria crisi solo compiendo un salto qualitativo, ossia rinunciando ai postulati liberisti, e conferendo all'autorità pubblica un compito permanente di regolazione di tutte le fasi del ciclo economico nel quadro di uno sviluppo pianificato a fini sociali. La dottrina di non ingerenza dello Stato va quindi superata da una politica di interventi pubblici cui demandare il compito di correggere le condizioni di non libertà insite nei rapporti sociali. Il "nuovo liberalismo" auspicato da Dewey mira a promuovere una forma di organizzazione sociale capace di neutralizzare le minacce illiberali che nascono dall'affermarsi dei grandi potentati economici.
Dewey si occupa anche di studiare cos'è l'uomo e come si deve comportare verso gli altri uomini; l'individuo esiste perché esiste la società: l'individuo per autorealizzarsi non può prescindere dalla società. Dewey scrive nel 1935 "Liberalismo e azione sociale": vi è una divaricazione tra le forze che resistono alla razionalizzazione e al progresso e la cultura aperta all'innovazione e antidogmatica, tale cultura si basa sul continuo scambio tra individuo e società e prende il nome di pluralismo.

▪ 1966 - Tommaso Gallarati Scotti (Milano, 18 novembre 1878 – Bellagio, 1º giugno 1966) è stato uno scrittore e diplomatico italiano.
Figlio primogenito di Gian Carlo, principe di Molfetta, e di Maria Luisa Melzi d'Eril dei duchi di Lodi e fratello di Gian Giacomo Gallarati Scotti, da ragazzo ebbe come istruttore di catechismo ed assistente nei primi studi il giovane prete don Achille Ratti (divenuto poi papa con il nome di Pio XI).
Il rapporto educativo tra Ratti e Gallarati Scotti crebbe e si intensificò nel corso degli anni, come testimoniato dalle numerose lettere che i due si scambiarono tra il 1892 e il 1915. Questo trentennale rapporto, dapprima educativo e poi amicale e paritetico - ma sempre intessuto di profondo e reciproco affetto - si intrecciò con la relazione di profonda amicizia che legò il futuro Pio XI con la famiglia Gallarati Scotti e accompagnò Tommaso fino alle soglie del suo matrimonio con la contessa Aurelia Cittadella Vigodarzere (1918).
Nel 1899 Gallarati Scotti aveva conosciuto Antonio Fogazzaro, col quale condivise una moderata posizione modernista, auspicando un rinnovamento della Chiesa cattolica ma fu pronto a far atto di sottomissione alla Chiesa. Si occupò anche di iniziative sociali e assistenziali a favore degli emigrati, dei ciechi e degli orfani poveri.
Tommaso Gallarati Scotti conseguì la laurea in Lettere nel 1901 presso l'Università di Genova.
Fondò nel 1907 con altri tre laici cattolici, Achille Alfieri, Alessandro Casati e Stefano Jacini la rivista Il Rinnovamento, cui collaborarono anche Ernesto Buonaiuti e il più giovane Giovanni Boine. La rivista vorrebbe conciliare il cattolicesimo con la scienza moderna ma viene condannata dalla Chiesa e Gallarati Scotti lascia la direzione e s'impegna con la Lega democratica nazionale per l'autonomia politica dei cattolici.
Nel 1909, su invito di Fogazzaro, promuove l'Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d'Italia con Giustino Fortunato, Leopoldo Franchetti e Umberto Zanotti Bianco. Due anni dopo una sua raccolta di novelle, Storie dell'amor sacro e dell'amore profano, viene condannata dalla Chiesa.
Alla morte di Fogazzaro, redige La vita di Antonio Fogazzaro, com'era desiderio dello stesso scrittore vicentino, che esce nel 1920, dopo che Gallarati Scotti aveva partecipato, volontario, alla Prima guerra mondiale, ufficiale d'ordinanza del generale Luigi Cadorna.
Si oppone al fascismo, firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti stilato da Benedetto Croce e collabora ai fogli di opposizione Il caffè e Il Popolo. Accetta la Conciliazione del 1929 come il definitivo superamento della frattura risorgimentale, ma non si mostra per nulla entusiasta del Concordato. In questi anni scrive la Vita di Dante, Così sia, Miraluna, Storie di noi mortali, La confessione di Flavio Dossi, e rielabora la Vita di Antonio Fogazzaro che viene pubblicata nel 1934.
Il regime lo sottopone alla vigilanza permanente della polizia fascista. Nel 1943 deve rifugiarsi in Svizzera per sfuggire all'arresto. Durante l'esilio svizzero Gallarati Scotti collabora al supplemento della Gazzetta ticinese intitolato «L'Italia e il secondo Risorgimento», diretto dall'economista Luigi Einaudi. Durante la Resistenza incoraggia le formazioni liberali, indipendenti e cattoliche in modo che la lotta di liberazione non fosse appannaggio dei soli comunisti. Ottiene personalmente dal governo inglese che il comando delle forze partigiane sia affidato al generale Raffaele Cadorna. Inoltre prende le difese di Enrico Mattei (futuro fondatore dell'ENI) che con le sue formazioni di cattolici ha impedito che la resistenza si «tingesse tutta di rosso».
Coopera alla stesura del programma liberale, che servirà di base per l'orientamento e l'azione del Partito liberale italiano a guerra finita.
È ambasciatore in Spagna dal 1945 (arrivo a Madrid il 25 novembre) al 1946 e a Londra fino al 1951.
Trascorre gli ultimi anni nella residenza di famiglia che si affaccia sul lago di Como, la prestigiosa Villa Melzi d'Eril a Bellagio. Qui compone una biografia del giovane Alessandro Manzoni e le Interpretazioni e memorie.
Muore nel 1966 e viene sepolto nella cappella della Villa Melzi d'Eril a Bellagio (Como).

* 1970 - Giuseppe Ungaretti (Alessandria d'Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1° giugno 1970) è stato un poeta e scrittore italiano.
Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, nel quartiere periferico di Moharrem Bey, l'8 febbraio 1888 (ma venne denunciato all'anagrafe come nato il 10 febbraio, e festeggiò sempre il suo compleanno in quest'ultima data) da genitori lucchesi. Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morì due anni dopo la nascita del poeta, nel 1890. La madre, Maria Lunardini, mandò avanti la gestione di un forno di proprietà, con il quale garantì gli studi al figlio, che si poté iscrivere in una delle più prestigiose scuole di Alessandria, la Svizzera École Suisse Jacot.
L'amore per la poesia nacque durante questi anni di scuola e si intensificò grazie alle amicizie che egli strinse nella città egiziana, così ricca di antiche tradizioni come di nuovi stimoli, derivanti dalla presenza di persone provenienti da tanti paesi del mondo; Ungaretti stesso ebbe una balia originaria del Sudan, ed una domestica croata.
In questi anni, attraverso la rivista Mercure de France, il giovane si avvicinò alla letteratura francese e, grazie all'abbonamento a La Voce, alla letteratura italiana: inizia così a leggere le opere, tra gli altri, di Rimbaud, Mallarmé, Leopardi, Nietzsche, Baudelaire, quest'ultimo grazie all'amico Moammed Sceab.
Ebbe anche uno scambio di lettere con Giuseppe Prezzolini. Nel 1906 conobbe Enrico Pea, da poco tempo emigrato in Egitto, con il quale condivise l'esperienza della "Baracca Rossa", un deposito di marmi e legname dipinto di rosso che divenne sede di incontri per anarchici e socialisti.
Lavorò per qualche tempo come corrispondente commerciale, ma realizzò alcuni investimenti sbagliati; si trasferì poi a Parigi per svolgere gli studi universitari.

Soggiorno in Francia
Nel 1912 Ungaretti, dopo un breve periodo trascorso al Cairo, lasciò l'Egitto e si recò a Parigi. Nel tragitto vide per la prima volta l'Italia ed il suo paesaggio montano. A Parigi frequentò per due anni le lezioni del filosofo Bergson, del filologo Bédier e di Strowschi, alla Sorbonne e al Collège de France.
Venuto a contatto con l'ambiente artistico internazionale, conobbe Apollinaire, con il quale strinse una solida amicizia, ma anche con Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Palazzeschi, Picasso, De Chirico, Modigliani e Braque. Invitato da Papini, Soffici e Palazzeschi iniziò la collaborazione alla rivista Lacerba.
Nel 1913 morì l'amico d'infanzia Sceab, suicida nell'albergo di rue des Carmes che condivideva con Ungaretti. Nel 1916, all'interno de Il porto sepolto, verrà pubblicata la poesia a lui dedicata, In memoria.
In Francia Ungaretti filtrò le precedenti esperienze, perfezionando le sue conoscenze letterarie e il suo stile poetico. Dopo qualche pubblicazione su Lacerba, decise di partire volontario per la Grande Guerra.

La Grande Guerra
Quando nel 1914 scoppiò la Prima Guerra Mondiale, Ungaretti partecipò alla campagna interventista, per poi arruolarsi volontario nel 19° reggimento di fanteria, quando il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra. Combatté sul Carso e in seguito a questa esperienza scrisse le poesie che, raccolte dall'amico Ettore Serra (un giovane ufficiale), vennero stampate in 80 copie presso una tipografia di Udine nel 1916, con il titolo Il porto sepolto. Collaborava a quel tempo anche al giornale di trincea Sempre Avanti. Trascorse un breve periodo a Napoli, nel 1916 (testimoniato da alcune poesie, per esempio Natale: "Non ho voglia / di tuffarmi / in un gomitolo di strade...")
Nella primavera del 1918 il reggimento al quale apparteneva Ungaretti andò a combattere in Francia nella zona di Champagne.

Tra le due guerre
Al termine della guerra il poeta rimase a Parigi dapprima come corrispondente del giornale Il Popolo d'Italia, ed in seguito come impiegato all'ufficio stampa dell'ambasciata italiana.
Nel 1919 venne stampata a Parigi la raccolta di poesie francesi La guerre, che sarà poi inserita nella seconda raccolta di poesie Allegria di naufragi pubblicata a Firenze nello stesso anno.
Nel 1920 il poeta sposò Jeanne Dupoix, dalla quale avrà due figli, Anna Maria (o Anna-Maria, come soleva firmare, con trattino alla francese), detta Ninon (17 febbraio 1925) e Antonietto (19 febbraio 1930).
Nel 1921 si trasferì a Marino (Roma) e collaborò all'Ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Gli anni venti segnarono un cambiamento nella vita privata e culturale del poeta. Egli aderì al fascismo firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925.
In questi anni egli svolse una intensa attività su quotidiani e riviste francesi (Commerce e Mesures) e italiane (sulla La Gazzetta del Popolo), e realizzò diversi viaggi in Italia e all'estero per varie conferenze, ottenendo nel frattempo vari riconoscimenti di carattere ufficiale, come il Premio del Gondoliere. Furono questi anche gli anni della maturazione dell'opera Sentimento del Tempo; prime pubblicazioni di alcune sue liriche avvennero su L'Italia letteraria e Commerce. Nel 1923 venne ristampato Il porto sepolto presso La Spezia, con una sbrigativa prefazione di Benito Mussolini, che aveva conosciuto nel 1915, durante la campagna dei socialisti interventisti.
Nel 1928 maturò invece la sua conversione religiosa, evidente nell'opera Sentimento del Tempo.
A partire dal 1931 ebbe l'incarico di inviato speciale per La Gazzetta del Popolo e si recò in Egitto, in Corsica, in Olanda e nell'Italia meridionale, raccogliendo il frutto delle esperienze vissute in Il povero nella città (che sarà pubblicato nel 1949), e nella sua rielaborazione Il deserto e dopo, che vedrà la luce solamente nel 1961. Nel 1933 il poeta aveva raggiunto il massimo della sua fama.
Nel 1936, durante un viaggio in Argentina su invito del Pen Club, gli venne offerta la cattedra di letteratura italiana presso l'Università di San Paolo del Brasile, che Ungaretti accettò; trasferitosi con tutta la famiglia, vi rimarrà fino al 1942. A San Paolo nel 1939 morirà il figlio Antonietto, all'età di nove anni, per un'appendicite mal curata, lasciando il poeta in uno stato di grande prostrazione interiore, evidente in molte delle poesie raccolte ne Il Dolore del 1947 e in Un Grido e Paesaggi del 1952.

La seconda guerra mondiale e il dopoguerra
Nel 1942 Ungaretti ritornò in Italia e venne nominato Accademico d'Italia e «per chiara fama» professore di letteratura moderna e contemporanea presso l'Università di Roma, ruolo che mantenne fino al 1958 e poi, come "fuori ruolo", fino al 1965. Intorno alla sua cattedra si formarono alcuni intellettuali che in seguito si sarebbero distinti per importanti attività culturali e notevoli carriere accademiche, come Leone Piccioni, Luigi Silori, Mario Petrucciani, Guido Barlozzini, Raffaello Brignetti, Ornella Sobrero, Elio Filippo Accrocca.
A partire dal 1942 la casa editrice Mondadori iniziò la pubblicazione dell' opera omnia di Ungaretti, intitolata Vita di un uomo. Nel secondo dopoguerra Ungaretti pubblicò nuove raccolte poetiche, dedicandosi con entusiasmo a quei viaggi che gli davano modo di diffondere il suo messaggio, e ottenendo significativi premi come il Premio Montefeltro nel 1960 e il Premio Etna-Taormina nel 1966.

Gli ultimi anni
In Italia raggiunse una certa notorietà presso il grande pubblico nel 1968, grazie alle sue intense letture televisive di versi dell' Odissea (che precedevano la nota versione italiana del poema omerico per il piccolo schermo, a cura del regista Franco Rossi).
Nel 1958 ricevette la cittadinanza onoraria di Cervia [8]. Nel 1969 fondò l'associazione Rome et son histoire.[9]
Nella notte tra il 31 dicembre 1969 e il 1º gennaio 1970 scrisse l'ultima poesia, L'Impietrito e il Velluto, pubblicata in una cartella litografica il giorno dell'ottantaduesimo compleanno del poeta.
Nel 1970 conseguì un prestigioso premio internazionale dell'Università dell'Oklahoma, negli Stati Uniti, dove si recò per il suo ultimo viaggio che debilitò definitivamente la sua pur solida fibra. Morì a Milano nella notte tra il 1° e il 2 giugno 1970 per broncopolmonite. Il 4 giugno si svolse il suo funerale a Roma, nella Chiesa di San Lorenzo fuori le Mura, ma non vi partecipò alcuna rappresentanza ufficiale del Governo italiano. È sepolto nel Cimitero del Verano accanto alla moglie Jeanne.
Poetica
L'Allegria segna un momento chiave della storia della letteratura italiana: Ungaretti rielabora in modo molto originale il messaggio formale dei simbolisti (in particolare dei versi spezzati e senza punteggiatura dei Calligrammes di Guillaume Apollinaire), coniugandolo con l'esperienza atroce del male e della morte nella guerra. Al desiderio di fraternità nel dolore si associa la volontà di ricercare una nuova "armonia" con il cosmo che culmina nella citata poesia Mattina (1917), o in Soldati. Questo spirito mistico-religioso si evolverà nella conversione in Sentimento del Tempo e nelle opere successive, dove l'attenzione stilistica al valore della parola (e al recupero delle radici della nostra tradizione letteraria), indica nei versi poetici l'unica possibilità dell'uomo, o una delle poche possibili, per salvarsi dall'"universale naufragio".
Il momento più drammatico del cammino di questa vita d'un uomo (così, come un "diario", definisce l'autore la sua opera complessiva) è sicuramente raccontato ne Il Dolore: la morte in Brasile del figlioletto Antonio, che segna definitivamente il pianto dentro del poeta anche nelle raccolte successive, e che non cesserà più d'accompagnarlo. Solo delle brevi parentesi di luce gli sono consentite, come la passione per la giovanissima poetessa brasiliana Bruma Bianco, o i ricordi d'infanzia ne I Taccuini del Vecchio, o quando rievoca gli sguardi d'universo di Dunja, anziana tata che la madre aveva accolto nella loro casa d'Alessandria:
«Il velluto dello sguardo di Dunja
Fulmineo torna presente pietà» (da L'Impietrito e il Velluto, 1970)


La fortuna di Ungaretti
La poesia di Ungaretti creò un certo disorientamento sin dalla prima apparizione del Porto Sepolto. A essa arrisero i favori sia degli intellettuali del La Voce, sia degli amici francesi, da Guillaume Apollinaire ad Aragon, che vi riconobbero la comune matrice simbolista. Non mancarono polemiche e vivaci ostilità da parte di molti critici tradizionali e del grande pubblico. Non la compresero, per esempio, i seguaci di Benedetto Croce, che ne condannarono il frammentismo.
A riconoscere in Ungaretti il poeta che per primo era riuscito a rinnovare formalmente e profondamente il verso della tradizione italiana, furono soprattutto gli ermetici, che, all'indomani della pubblicazione del Sentimento del tempo, salutarono in Ungaretti il maestro e precursore della propria scuola poetica, iniziatore della poesia «pura». Da allora la poesia ungarettiana ha conosciuto una fortuna ininterrotta. A lui, assieme a Umberto Saba e Eugenio Montale, hanno guardato, come un imprescindibile punto di partenza, molti poeti del secondo Novecento.

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▪ 1996 - Vittorino Colombo (Albiate, 3 aprile 1925 – Milano, 1º giugno 1996) è stato un politico italiano, parlamentare, ministro e infine, Presidente del Senato.
Nato nel piccolo paese di Albiate da una famiglia modesta, con la scomparsa del padre, per sostenerla si impiega giovanissimo alla Marelli. Sono gli anni bui della guerra e dei grandi scioperi operai. Il coraggio di quel gesto in un ambiente carico di odi ideologi di quegli anni lo fa diventare un punto di riferimento come dirigente del CNL e della CISL.
Nel dopoguerra si segnalerà per il suo impegno nel mondo sindacale cattolico e nelle ACLI per la sua capacità di coinvolgimento e organizzativa. Laureatosi, come studente lavoratore, in economia e commercio all'Università Cattolica diventerà dirigente nel centro studi della Montecatini. Un impegno che condividerà con alcuni nomi fondamentali per il cattolicesimo sociale come Ezio Vanoni, Luigi Clerici e Giovanni Verga che con lui contribuirono a cambiare il volto della Milano – e non solo - del lavoro e dei lavoratori.
Vittorino Colombo comincerà ad occuparsi in questo periodo di uno dei campi che, nel segno di una attenzione ai bisogni concreti dei lavoratori, più gli staranno a cuore: la nascita e il rafforzamento delle cooperative edilizie, come Presidente dell'UNCCEA (Unione Nazionale Consorzi Cooperative Edilizie ACLI) e Fondatore e Consigliere del Consorzio Casa.
Vittorino Colombo è da sempre impegnato in politica. Alla fine degli anni ’50 viene eletto – sarà uno dei parlamentari più votati – deputato e rimarrà parlamentare della repubblica ininterrottamente (come senatore dalla metà degli anni settanta) fino all'inizio degli anni ’90. In questa sua veste e come rappresentante della corrente riformista in seno alla DC “Forze Nuove” diventerà uno dei punti di riferimento della politica lombarda (fu il primo a proporre la costituzione della Provincia di Monza e Brianza).
Vittorino Colombo ebbe una lunga esperienza nel governo del paese a partire dal Sottosegretariato alle Finanze nel Governo Moro III. Dalla suo incarico come Ministro del Commercio con l'Estero nel Governo Rumor I (1968-69) nacque il suo interesse per i rapporti con i paesi dell'”oltre cortina”. In particolare fu molto intensa la sua attività per creare rapporti con i Paesi dell'Est europeo come Presidente della Federazione delle Camera di Commercio Estere ed Italo Estere dell'Europa Centro Orientale e dell'Asia in Italia (FE. CAM. EST.) e membro di molte delegazioni Europee a: Varsavia, Budapest, Praga e Sofia.
Il suo nome è legato, però, alla costruzione di un “nuovo corso” nei rapporti politici, economici e diplomatici con la Cina e ai rapporti amichevoli con i massimi dirigenti della Repubblica Popolare Cinese: Zhou Enlai, Zhao Ziyang, Hu Yaobang, Li Peng, Jiang Zemin e Deng Xiaoping. Eredi di questa attività sono stati l'Istituto Italo Cinese per gli Scambi Economici e Culturali e la Camera di Commercio Italiana in Cina, da lui fondati.
Come Ministro delle Poste e Telecomunicazioni (a cavallo fra gli anni ’70 e ’80) fu uno dei primi a percepire la straordinaria forza delle televisioni private (fu fondatore di TV66).
Fra gli altri incarichi è stato: 5 agosto 1969 – 27 marzo 1970, Ministro della Marina Mercantile nel Governo Rumor II; 14 marzo 1974 – 23 novembre 1974, Ministro della Sanità nel Governo Rumor V; 29 luglio 1976 – 11 marzo 1978, Ministro delle Poste e Telecomunicazioni nel Governo Andreotti III; 11 marzo 1978 – 20 marzo 1979, Ministro dei Trasporti e Marina Mercantile nel Governo Andreotti IV; Presidente del Senato nel 1983.
Il Senatore Vittorino Colombo è scomparso il 1 giugno 1996. I suoi amici, il 15 luglio 1996, hanno voluto costituire per ricordalo e continuare la sua opera la Fondazione Vittorino Colombo che gli dedica ogni anno un Premio Internazionale.

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