Il calendario del 9 Ottobre

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 680 - Martirio di Al-Husayn ibn Ali terzo imam sciita

▪ 768 - Carlomanno I e Carlo Magno vengono proclamati re dei Franchi

▪ 869 - Carlo il Calvo viene proclamato re di Lotaringia

▪ 1000 - Leif Ericson scopre Vinland, diventando il primo europeo conosciuto a mettere piede in Nord America

▪ 1238 - Giacomo I d'Aragona conquista Valencia, capitale del regno di Valencia

▪ 1446 - In Corea viene creato l'alfabeto Hangul

▪ 1582 - Questo giorno non esiste nel calendario gregoriano: per riallineare il calendario alle stagioni, i giorni dal 5 al 14 ottobre 1582 vengono saltati

▪ 1621 - Con il Trattato di Khotyn si sancisce la pace tra Impero Ottomano e Polonia

▪ 1635 - Roger Williams, fondatore del Rhode Island, viene bandito dalla Colonia della Baia di Massachusetts in quanto dissidente religioso, dopo essersi espresso contro le punizioni per le offese religiose e la cessione delle terre dei nativi americani

▪ 1655 - Carlo X Gustavo di Svezia conquista Cracovia liberandola dall'occupazione russa

▪ 1701 - La "Collegiate School of Connecticut" (in seguito ribattezzata Università di Yale) ottiene uno statuto

▪ 1776 - Padre Francisco Palou fonda la Mission San Francisco de Asis, in quella che oggi è San Francisco

▪ 1799 - La nave militare francese HMS Lutine affonda lungo le coste olandesi con un bilancio di 240 uomini

▪ 1820 - Guayaquil dichiara l'indipendenza dalla Spagna

▪ 1864 - Guerra di secessione americana: Battaglia di Tom's Brook. La cavalleria dell'Unione, nella Shenandoah Valley, sconfigge le forze confederate a Tom's Brook (Virginia)

▪ 1871 - Il Grande incendio di Chicago viene messo sotto controllo

▪ 1874 - Con la firma del Trattato di Berna viene istituito quello
che è oggi l'Unione Postale Universale e da allora questa data diventerà la Giornata mondiale della Posta

▪ 1877 - Onori militari e sepoltura del Generale Custer caduto assieme ai suoi soldati nella battaglia di Little Bighorn più di un anno prima

▪ 1888 - Il Monumento a Washington viene aperto al pubblico

▪ 1914 - Prima guerra mondiale: Assedio di Anversa - Anversa cede alle truppe tedesche

▪ 1936 - I generatori della Diga Boulder Dam (in seguito rinominata Diga Hoover) iniziano a trasportare elettricità dal Colorado a Los Angeles

▪ 1940 - Seconda guerra mondiale: Battaglia d'Inghilterra - Durante un raid aereo notturno della Luftwaffe, la Cattedrale di St. Paul, a Londra, viene colpita dalle bombe

▪ 1942 - Il Westminster Adoption Act formalizza l'autonomia dell'Australia

▪ 1944 - Seconda guerra mondiale: il primo ministro britannico Winston Churchill e il capo dell'Unione Sovietica Josif Stalin, iniziano una conferenza di nove giorni, a Mosca, per discutere del futuro dell'Europa

▪ 1963

  1. - L'Uganda diventa una repubblica
  2. - Strage del Vajont: nell'Italia nord-orientale, oltre 2.000 persone vengono uccise quando una frana caduta nel bacino della diga del Vajont produce una gigantesca onda che supera la diga e si riversa a valle

▪ 1967 - Il giorno dopo la sua cattura, Che Guevara viene giustiziato per aver incitato la rivoluzione in Bolivia

▪ 1969 - A Chicago, la Guardia Nazionale viene chiamata a controllare la folla, mentre continuano le dimostrazioni legate al processo degli Otto di Chicago (processo iniziato il 24 settembre)

▪ 1970 - In Cambogia viene proclamata la Repubblica Khmer

▪ 1982 - Attentato alla sinagoga di Roma: muore un bambino di due anni e 35 feriti gravi

▪ 1989 - A Lipsia, nella Germania Est, dimostranti chiedono la legalizzazione dei gruppi di opposizione e riforme democratiche

▪ 1994 - Viene creato a Darmstadt l'elemento 110

▪ 2006 - Primo test atomico della Corea del Nord, sebbene i dati rilevati lascino seri dubbi sul fatto che si tratti di una vera esplosione nucleare

▪ 2010 - Santissima Cresima dei ragazzi della Parrocchia Sant'Agnese fuori le Mura (Roma)

Anniversari

▪ 1253 - Roberto Grossatesta, Robert Grosseteste per i connazionali (Stradbroke (Suffolk), 1175 – ?, 9 ottobre 1253), frate francescano, fu vescovo di Lincoln (Inghilterra), teologo, scienziato e statista.
A.C. Crombie lo giudica: il vero fondatore della tradizione del pensiero scientifico nella Oxford medioevale e, in una certa misura, della tradizione intellettuale della moderna Inghilterra.

Opere
Grossatesta ha scritto un gran numero di opere giovanili in latino e in francese quando era un clericus (vedi la biografia più sotto); tra queste una intitolata Chasteua d'amour, un poema allegorico sulla creazione del mondo e sulla redenzione cristiana, nonché parecchi altri poemi e testi in prosa sull'economia domestica e sull'etichetta cortese. Egli inoltre ha scritto un notevole numero di opere teologiche, tra le quali l'importante Hexaëmeron, negli anni 1230.Gli viene attribuito anche il poemetto francese Vie de Sainte-Marie l'Egiptienne.
Grossatesta tuttavia viene considerato un pensatore originale soprattutto per merito delle sue opere concernenti questioni scientifiche e riguardanti il metodo scientifico.
Nel periodo che va, grosso modo, dal 1220 al 1235 ha scritto una lunga serie di trattati scientifici, tra i quali:
▪ De sphera, un lungo testo su vari argomenti.
▪ De accessione et recessione maris. sulle maree.
▪ De lineis, angulis et figuris, sulle argomentazioni matematiche nelle scienze naturali.
▪ De iride, sul fenomeno dell'arcobaleno.
Grossatesta ha scritto anche svariati commenti su Aristotele; tra questi il primo commento occidentale sull'Analytica Posteriora e uno sulla Fisica.

Scienza
Nei suoi lavori degli anni 1220-1235, in particolare i commentari aristotelici, Grossatesta delineò l'intelaiatura del corretto metodo scientifico. Anche se non seguì sempre i suoi stessi consigli nel corso delle sue ricerche, le sue opere sono considerate strumentali nella storia dello sviluppo della tradizione scientifica occidentale.
Grossatesta fu il primo degli scolastici a comprendere pienamente la visione aristotelica del percorso duale del ragionamento scientifico, riassumendo particolari osservazioni in una legge universale e quindi ricavando da leggi universali la previsione dei particolari. Grossatesta chiamò questo processo "risoluzione e composizione". Quindi ad esempio, guardando ai particolari della Luna è possibile arrivare a leggi universali sulla natura. Al contrario, una volta che queste leggi universali sono comprese, è possibile fare previsioni e osservazioni su altri oggetti oltre la Luna. Inoltre, Grossatesta disse che entrambi i percorsi devono essere verificati attraverso la sperimentazione allo scopo di verificarne i principi. Queste idee fondarono una tradizione che giunse fino a Padova e a Galileo Galilei nel XVII secolo.
Nonostante l'importanza che la "risoluzione e composizione" avrebbe acquisito per il futuro della tradizione scientifica occidentale, più importante per il suo tempo fu l'idea della subordinazione delle scienze. Ad esempio, guardando geometria e ottica, l'ottica è subordinata alla geometria perché l'ottica dipende dalla geometria. Quindi Grossatesta concluse che la matematica era la principale tra tutte le scienze e la base per tutte le altre, poiché ogni scienza naturale dipende in ultima analisi dalla matematica. Egli sostenne questa conclusione guardando la luce, che egli credeva essere la "prima forma" di tutte le cose, fonte di tutta la generazione e il moto (approssimativamente ciò che oggi conosciamo come biologia e fisica). Quindi, poiché la luce poteva essere ridotta a linee e punti, e perciò completamente spiegata nell'ambito della matematica, la matematica costituiva per lui l'ordine più alto delle scienze.
Ricevette la sua formazione a Oxford dove divenne esperto in legge, medicina e scienze naturali. Giraldo Cambrense, del quale aveva fatto conoscenza, lo presentò, prima del 1199, a William de Vere, vescovo di Hereford. Grossatesta aspirava ad un posto nella casa del vescovo, ma essendo stato deceduto il suo sostenitore, intraprese da sè lo studio della teologia. È possibile che abbia visitato Parigi a questo scopo, ma alla fine si stabilì a Oxford come professore e come capo dei francescani.
Il suo successivo avanzamento di grado fu la cancelleria dell'università. Egli si distinse notevolmente come lettore, e fu il primo rettore della scuola che i francescani fondarono a Oxford attorno al 1224. La cultura di Grossatesta venne altamente lodata da Ruggero Bacone, che era un critico severo. Secondo Bacone, egli conosceva poco il greco o l'ebraico e prestava poca attenzione alle opere di Aristotele, ma prevaleva tra i suoi contemporanei per la sua conoscenza delle scienze naturali. Tra il 1214 e il 1231 Grossatesta resse in successione gli arcidiaconati di Chester, Northampton e Leicester.
Nel 1232, dopo una grave malattia, rinunciò a tutti i suoi benefici e le promozioni, ad eccezione di una prebenda che deteneva a Lincoln. La sua intenzione era di passare il resto della vita in contemplativa religiosità, ma mantenne l'incarico di cancelliere e nel 1235 accettò il vescovato di Lincoln. Egli intraprese senza indugio la riforma della morale e della disciplina clericale in tutta la sua vasta diocesi. Questo schema lo mise in conflitto con più di una corporazione privilegiata, ma in particolare con il suo stesso ordine, che contestò vigorosamente la sua pretesa di esercitare il diritto di ispezione nelle sue comunità. La disputa si surriscaldò dal 1239 al 1245. Venne condotta da ambo le parti con indecorosa violenza, e quelli che più avevano approvato lo scopo principale di Grossatesta, ritennero necessario avvertirlo dell'errore commesso nell'essere troppo zelante. Nel 1245, grazie ad una visita personale alla corte papale di Lione, si assicurò un verdetto favorevole.
In politica ecclesiastica il vescovo apparteneva alla scuola di Becket. Il suo zelo per la riforma lo portò ad avanzare, per conto delle corti, pretese cristiane che era impossibile venissero ammesse dal potere secolare. Egli incorse due volte nel rimprovero di Enrico III su questo argomento, anche se poi toccò a Edoardo I sistemare la questione di principio in favore dello stato. La devozione di Grossatesta alle teorie gerarchiche del suo tempo sono attestate dalla corrispondenza con il suo ordine e col re. Contro il primo confermò le prerogative dei vescovi e contro il secondo asserì che era impossibile per un vescovo non considerare gli ordini della Santa Sede. Dove le libertà della chiesa nazionale entravano in conflitto con le intenzioni di Roma, egli stava dalla parte dei suoi compatrioti.
Così nel 1238 chiese che il re rilasciasse alcuni studiosi di Oxford che avevano assalito il legato Otho. Ma almeno fino al 1247 si sottomise pazientemente alle interferenze papali, accontentandosi della protezione (per via di uno speciale privilegio papale) della sua diocesi da chierici stranieri. Era più impaziente con le esazioni reali; e dopo il ritiro dell'Arcivescovo Sant'Edmondo si costituì come portavoce dello stato clericale nel gran Consiglio.
Nel 1244 sedette nel comitato incaricato di considerare una domanda di sussidio. Il comitato rigettò la richiesta, e Grossatesta impedì un tentativo del re di separare il clero dal baronaggio. "È scritto", disse il vescovo, "che uniti restiamo in piedi e divisi cadiamo".
Fu comunque ben presto chiaro che il re e il papa erano alleati per annullare l'indipendenza del clero inglese, e dal 1250 in avanti Grossatesta criticò apertamente i nuovi espedienti finanziari a cui papa Innocenzo IV era stato costretto dal suo disperato conflitto con l'impero. Nel corso di una visita fatta ad Innocenzo in quell'anno, il vescovo presentò a papa e cardinali un memoriale scritto, nel quale attribuiva tutti i mali della chiesa all'influenza maligna della Curia. La cosa non produsse effetti, anche se i cardinali ritennero che Grossatesta fosse troppo influente per essere punito per la sua audacia.
Grandemente scoraggiato dal suo fallimento, il vescovo pensò di ritirarsi. Alla fine comunque, decise di continuare la lotta impari. Nel 1251 protestò contro un mandato papale che invitava il clero inglese a versare a Enrico III un decimo delle proprie entrate per finanziare una crociata e attirò l'attenzione sul fatto che, col sistema della raccolta di fondi, una somma di 70.000 marchi veniva sottratta annualmente all'Inghilterra dagli incaricati di Roma. Nel 1253, essendogli stato ordinato di offrire la sua diocesi a un nipote del papa, scrisse una lettera di rimostranza e rifiuto, non al papa in persona, ma ad un suo commissario, Maestro Innocenzo, attraverso il quale aveva ricevuto il mandato. Il testo della rimostranza, come riportato dagli annali di Burton e da Matthew Paris, è stato forse alterato da un falsario che aveva meno rispetto per il papato di quanto ne avesse Grossatesta. Il linguaggio è più violento di quello impiegato altrove dal vescovo, ma la questione generale, che il papato può chiedere obbedienza solo se i suoi ordini sono consoni all'insegnamento di Cristo e degli apostoli, è quello che ci si attende da un riformatore ecclesiastico dell'epoca di Grossatesta. Ci sono più motivi di sospettare della lettera indirizzata "ai nobili d'Inghilterra, ai cittadini di Londra, e alla comunità dell'intero reame," nella quale Grossatesta viene rappresentato mentre denuncia senza mezzi termini la finanza papale in tutti i suoi rami. Ma anche in questo caso si deve avere una certa tolleranza per la differenza tra gli standard di decoro moderni e medioevali.
Grossatesta figurò tra gli amici più intimi del professore francescano Adam Marsh. Tramite Adam giunse ad una stretta relazione con Simon de Montfort. Dalle lettere del francescano emerge che il conte aveva studiato un trattato politico di Grossatesta sulle differenze tra la monarchia e la tirannia, e che aveva abbracciato con entusiasmo il progetto di riforma ecclesiastica del vescovo. La loro alleanza iniziò già nel 1239, quando Grossatesta si sforzò di portare la riconciliazione tra il re e il conte. Ma non c'è motivo di supporre che le idee politiche di Montfort siano maturate prima della morte di Grossatesta, ne tanto meno che quest'ultimo si sia troppo occupato della politica secolare, eccetto quando questa toccava gli interessi della Chiesa. Grossatesta capì che il malgoverno di Enrico III ed il suo patto senza principi con il papato rendevano ampiamente conto della degenerazione della gerarchia inglese e del lassismo nella disciplina ecclesiastica, ma difficilmente può essere definito un costituzionalista.
Era già un uomo anziano, con una salda reputazione, quando divenne vescovo. Come statista ecclesiastico mostrò lo stesso zelo impetuoso e la stessa versatilità di cui aveva dato prova nella sua carriera accademica, ma la tendenza generale degli autori moderni e stata quella di esagerare le sue funzioni politiche ed ecclesiastiche e di ignorare la sua attività come scienziato e studioso. L'opinione del suo tempo, così come viene espressa da Matthew Paris e Ruggero Bacone, fu molto differente. I suoi contemporanei, pur ammettendo l'eccellenza delle sue intenzioni come statista, evidenziano i suoi difetti di carattere e discrezione, ma vedono in lui il pioniere di un movimento scientifico e letterario. Non solamente un grande ecclesiastico che patrocinò lo studio nel suo tempo libero, ma anche il primo matematico e fisico del suo tempo. È certamente vero che anticipò in questi campi del pensiero alcune delle idee più brillanti alle quali Ruggero Bacone diede successivamente più ampia risonanza.

▪ 1930 - Enrico Forlanini (Milano, 13 dicembre 1848 – Milano, 9 ottobre 1930) è stato un ingegnere, pioniere dell'aviazione e inventore italiano.
Ricordato in particolare come inventore dell'aliscafo, la sua attività pionieristica nel nascente settore aeronautico fu particolarmente significativa nell'ambito degli elicotteri e dei dirigibili. Oltre all'aliscafo, altre sue intuizioni si rivolsero ai dirigibili: la navicella di comando solidale con l'involucro per ridurre la resistenza aerodinamica e il primo utilizzo pratico di getti d'aria compressa per il controllo direzionale di un aeromobile, quest'ultimo applicato nel dirigibile Omnia Dir che volò postumo nel 1931.

* 1936 - Sant'Innocenzo dell'Immacolata C.P., nato Emanuele Canoura Arnau, (Santa Cecilia del Valle de Oro, 10 marzo 1887 – Turón, 9 ottobre 1936), è stato un sacerdote spagnolo. Proclamato santo martire da Papa Giovanni Paolo II.
Sorvolando sulle cause della guerra civile in Spagna, il cui culmine, per quanto riguarda la persecuzione anticlericale, si ebbe dal 1936 al 1939 possiamo almeno dire che storicamente essa ebbe le prime sanguinose avvisaglie già nel 1931 con le sommosse, rappresaglie e vendette nelle Asturie, regione mineraria della Spagna a forte concentrazione operaia e marxista.

Gli scontri nella regione fra la forza pubblica e le varie fazioni politiche in lotta fra loro, portarono a più di mille morti e migliaia di feriti, specie ad Oviedo la capitale. I rivoltosi rossi si distinsero per la loro aggressività nei confronti di religiosi e sacerdoti, imprigionati ed uccisi senza ragione, se non quella di essere educatori, assistenti ospedalieri, dispensatori di pace spirituale. 

Le vittime furono 33: dieci sacerdoti diocesani, sei seminaristi, 3 passionisti, 3 vincenziani, 2 gesuiti, 1 carmelitano e otto fratelli delle Scuole Cristiane. Proprio questi ultimi otto Fratelli sono celebrati in questa memoria, essi insieme ad un padre passionista, subirono il martirio il 9 ottobre 1934, a Turòn presso Oviedo, dove avevano una grande scuola. 

Celebravano la s. Messa, quando la mattina del 5 ottobre, una trentina di persone violente irruppero nella chiesa e prelevarono gli otto confratelli e il padre che era venuto per le confessioni, furono rinchiusi in una “Casa del popolo” per quasi quattro giorni. La notte del 9 ottobre furono presi e in silenzio, per evitare un allarme fra i fedeli che sapevano della loro reclusione, facendo finta che si trattasse di un trasferimento, insieme a due ufficiali dei carabinieri che erano in ostaggio, portati al cimitero di Turòn ove era stata preparata una grande fossa e lì furono mitragliati con due scariche, con negli occhi la visione della loro scuola che si vedeva poco distante. 

I loro nomi sono: Fr. Cirilo Bertràn, fr. Marciano José, fr. Victoriano Pio, fr. Benjamin Juliàn, fr. Julian Alfredo, fr. Augusto Andrés, fr, Benito de Jesùs, fr. Aniceto Adolfo, padre Inocencio de la Immaculada. 
Il più piccolo aveva 22 anni. 
Beatificati da Giovanni Paolo II il 19 aprile 1990 e e dallo stesso papa canonizzati il 21 novembre 1999. 


Padre Innocenzo dell’Immacolata (Emanuele Canoura Arnau) sacerdote passionista
Emanuele Canoura Arnau, nacque il 10 marzo 1887 a S. Lucia del Valle de Oro (Lugo) Spagna; ancora adolescente avvertì la chiamata allo stato religioso e a 18 anni entrò a far parte della Congregazione dei Passionisti, fondata da S. Paolo della Croce nel Settecento; giacché sin da piccolo fu devoto alla Madonna, volle prendere il nome di Innocenzo dell’Immacolata, quando emise la professione religiosa il 27 luglio 1905. 

Studiò con notevole profitto teologia, filosofia e altre scienze ecclesiastiche, venendo ordinato sacerdote il 20 settembre 1913. Quasi subito fu impegnato dai superiori a formare i nuovi missionari passionisti e nella predicazione; buona parte della sua vita, la passò nell’insegnamento ai giovani studenti, nelle varie Comunità passioniste della provincia del Preziosissimo Sangue di Madrid. 
Essendo membro della comunità di Mieres (Asturias), il 4 ottobre 1934 i superiori richiesero la sua disponibilità per confessare gli alunni dei Fratelli delle Scuole Cristiane del vicino paese di Turón. In quell’anno si ebbero le prime avvisaglie di quella grande carneficina, che fu la Guerra Civile Spagnola, che sconvolse parte della Nazione, dal 1936 al 1939. 
Le vittime religiose furono più di 7300; ma già nel 1934 vi fu la Rivoluzione delle Asturie, regione della Spagna settentrionale che va dai monti Cantabrici al golfo di Biscaglia, e il 5 ottobre 1934 i rivoluzionari atei penetrarono nel collegio dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Turón, catturando otto fra studenti e religiosi, più il padre Innocenzo Canoura Arnau, arrivato il giorno prima per confessarli. 
Dopo vari giorni di prigionia e di grandi privazioni e sofferenze, in cui il padre passionista, unico sacerdote, si adoperò a confortare gli altri, quasi tutti giovani, e senza alcun processo, furono fucilati in odio alla fede, il 9 ottobre 1934 nel cimitero di Turón. 
L’orrore del loro sacrificio innocente, non bastò di lì a due anni a fermare la grande persecuzione contro la Chiesa spagnola. 
(Autore: Antonio Borrelli)

* 1944 - Agostino Piol (Limana, 8 gennaio 1924 – Giaveno, 9 ottobre 1944) è stato un partigiano italiano, Medaglia d'oro al valor militare.
Agostino Piol nasce a Limana vicino Belluno l'8 agosto 1924, operaio calibrista, celibe, alpino nella Brigata "Exilles". Agostino nella Resistenza era Comandante di Battaglione, con grado di Tenente. Da giovane, con la famiglia si trasferisce da Limana a Rivoli. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il padre viene prelevato per raprresaglia, dopo essere stato torturato, fu orribilmente straziato il 29 giugno del 1944 e gettato in una roggia tra Rivalta e Rivoli. Il 25 luglio 1943 alla caduta del fascismo il fratello Severino accorse insieme ad altri giovani alla casa littoria, dove però fu ucciso da un colpo di rivoltella dal custode. L'altro fratello Arduino, cadde in combattimento contro una formazione di S.S. presso Mortera di Avigliana il 6 aprile 1944. In seguito Agostino fu costretto a rifugiarsi nella Val Sangone. Nel agosto del 1944 dopo la morte del padre, le Brigate nere di Rivoli incendiarono la casa dove si trovava la madre. Questa quindi fu costretta a scappare nelle montagne e a raggiungere Agostino e gli altri figli.
Nel ottobre di quello stesso anno, Agostino viene sorpreso con alcuni compagni presso l'abitato di Rivalta di Torino da una banda republichina, questi fecero fuoco uccidendo tutti i suoi compagni, noncurante delle forze impari, Agostino da solo anche se ferito riuscì a sfuggire alla cattura. Le ferite però gli furono fatali. Agostino Piol morì all ospedale di Giaveno tra le braccia della madre il 9 ottobre 1944.
La madre, Brigida Piol si ritrovò senza casa, marito e con un solo figlio; quest'ultimo, appena sedicenne nella primavera del 1945, durante un'operazione di rastrellamento bellico presso il castello di Rivoli fu colpito a morte da una mina.
Ad Agostino e fratelli sono dedicati una via di Rivoli, una piazzetta di Limana e un rifugio-museo sul Pian delle Femene (Limana).

* 1950 - Nicolai Hartmann (in lettone: Nikolajs Hartmanis; Riga, 20 febbraio 1882 – Gottinga, 9 ottobre 1950) è stato un filosofo tedesco.
Hartmann nacque, di discendenza tedesca, a Riga, in Lettonia. Studiò medicina presso l'Università di Tartu, e successivamente filosofia a San Pietroburgo e, in particolare, all'Università di Marburg in Germania, dove conseguì il Ph.D. e l'Habilitation. Fu professore di filosofia in Marburg (1922–25), Cologne (1925–31), Berlino (1931–45) e Gottinga (1945–50), dove morì. Ha studiato sotto gli insegnamenti di Paul Natorp ed Hermann Cohen ed ha sviluppato una sua filosofia che è stata definita come un tipo di esistenzialismo o di realismo critico oppure una fenomenologia trasformata in un materialismo trascendentale Tra i suoi allievi vanno citati Hans-Georg Gadamer e Boris Pasternak.

Teorema di Nicolai Hartmann
Hartmann elaborò il teorema della proporzionalità inversa tra la forza e l'altezza dei valori sociali, postulando che tanto più un valore è forte, tanto meno esso è alto. Maggiore è il consenso attorno al valore, maggiore è la sua forza. Allo stesso modo un valore è tanto più alto, quanto è rivolto a terzi.

Bibliografia
Alessandro Gamba, In principio era il fine. Ontologia e teleologia in Nicolai Hartmann, Vita e Pensiero, Milano 2004. ISBN 88-343-1970-2

▪ 1958 - Papa Pio XII, nato Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli e detto il "Pastore Angelico" (Roma, 2 marzo 1876 – Castel Gandolfo, 9 ottobre 1958), è stato il 260º papa della Chiesa cattolica. Nel 2009, a conclusione della seconda fase di beatificazione, ha ricevuto il titolo di venerabile, che ne attesta l'eroicità delle virtù per la Chiesa.

«Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra. »(Dal discorso radiofonico del papa del 24 agosto del 1939)

[...]

Contro il grande pontefice si sono appuntate le critiche feroci di una certa storiografia, alla quale si sta rispondendo in termini di approfondimento storico e di serietà documentaria.
Tornielli – per esempio - si sforza, con un più umile atteggiamento storico, di inserire nel suo tempo la figura di un uomo che è stato protagonista dei fatti mondiali lungo quattro decenni tra i più tormentati della storia contemporanea.
Ai giudizi spesso tranchant su Pio XII, Tornielli contrappone questo del vescovo evangelico di Berlino, Otto Dibelius:
“Può giudicarlo unicamente chi per lungo tempo ha avuto sulle spalle una responsabilità analoga, e quindi ha potuto rendersi conto di che cosa significhi il professare la fede cristiana (…) nella spaventosa atmosfer che si ricrea negli stati totalitari”.
Per approfondire due saggi indicativi di questa revisione vedi i link di seguito riportati

A.Tornielli

P. Mieli

▪ 1967 - Ernesto Guevara de la Serna, più noto come Che Guevara, El Che, Il Che o più semplicemente Che (['ʧɛ]) (Rosario, 14 giugno 1928 – La Higuera, 9 ottobre 1967), è stato un rivoluzionario e guerrigliero argentino. Guevara fu membro del Movimento del 26 di luglio e, dopo il successo della rivoluzione cubana, assunse un ruolo nel nuovo governo, secondo per importanza solo a Fidel Castro.
Dopo il 1965, lasciò Cuba per attuare la Rivoluzione popolare in altri Paesi, prima nell'ex Congo Belga (ora Repubblica Democratica del Congo), poi in Bolivia. L'8 ottobre 1967 venne ferito e catturato da un reparto anti-guerriglia dell'esercito boliviano - assistito da forze speciali statunitensi costituite da agenti speciali della CIA - a La Higuera, nella provincia di Vallegrande (dipartimento di Santa Cruz). Il giorno successivo venne ucciso e mutilato ai polsi e caviglie nella scuola del villaggio. Il suo cadavere - dopo essere stato esposto al pubblico a Vallegrande - fu sepolto in un luogo segreto e ritrovato da una missione di antropologi forensi argentini e cubani, autorizzata dal governo boliviano di Sanchez de Lozada, nel 1997. Da allora i suoi resti si trovano nel Mausoleo di Santa Clara di Cuba.

«Hasta la victoria siempre.»

[…]
Guevara e le accuse di crimini contro l'umanità
In taluni scritti anti-comunisti e di destra Guevara è stato accusato di aver commesso alcune atrocità usando la propria autorità che gli era stata conferita nell'ambito dell'esercito rivoluzionario. Di tali atrocità riferirebbero Il libro nero del Comunismo [37] e lo scrittore Alvaro Vargas Llosa anche sulla base di quanto scritto dal Che nel proprio diario.[38][39][40] Analoghe accuse di aver più volte violato i diritti dell'uomo e di aver commesso crimini contro l'umanità gli sono state mosse dallo scrittore Andrea Morigi.[41]

Accuse di atrocità vengono mosse anche in relazione al ruolo che Che Guevara avrebbe avuto come giudice d'appello nel contesto dell'applicazione delle cosiddette "Ley de la Sierra": si trattava di una normativa penale risalente al XIX secolo.[42] Tali "Ley de la Sierra" comminavano la pena capitale per numerosi crimini e vennero estese all'intero territorio cubano nel 1959, allo scopo di perseguire coloro che erano considerati "criminali di guerra".

Nel corso dei processi tenutisi a La Cabana nel periodo summenzionato venne inflitta la pena di morte per fucilazione [43] a parecchie decine di persone, seppure le fonti siano discordi sul numero esatto dei fucilati.[44] Tali esecuzioni sono state tacciate di arbitrarietà: il rispetto dei diritti dell'imputato, come la presunzione d'innocenza ed il diritto ad un giusto processo, secondo i critici, sarebbe stato meramente formale e non sostanziale, il che sarebbe dimostrato dalla brevità dei procedimenti giudiziali e dalla violazione fattuale del diritto di difesa.[45] Si sarebbe trattato in sostanza di processi farsa, nei quali non sarebbero stati coinvolti solo criminali di guerra ma soprattutto semplici oppositori politici. [46]

Alvaro Vargas Llosa afferma che, in base alle testimonianze raccolte nelle sue ricerche, coloro che furono fucilati a La Cabana nel periodo di comando di Guevara potrebbero superare il numero di 2000 persone[47] e sostiene che già nel 1959 Guevara si sarebbe reso responsabile dell'esecuzione sommaria di numerosi oppositori politici. [48]

Nel 1960 inaugura il sistema concentrazionario cubano, venendo posto a capo del primo campo di concentramento castrista, creato in quell'anno sulla penisola di Guahana.[49][50][51][52]

Nel periodo di attività del campo, che si potrasse ben oltre il periodo in cui Guevara ne fu a capo, si stima che trovarono la morte circa 50.000 oppositori politici al regime comunista cubano e che molte altre vennero, sin dalla sua fondazione, sottoposte a svariate torture.[53]

Régis Debray, ideologo dei focolai di guerriglia rivoluzionari e compagno di Guevara in Bolivia, affermò con riferimento a questi che "è stato lui e non Fidel a ideare il primo «Campo di lavoro correzionale»".[54] Guevara è stato visto da alcuni come la mente del regime castrista nella sua prima fase di vita (all'incirca tra il 1959 ed il 1965) ed è stato pertanto considerato responsabile o comunque complice dei crimini commessi in questa parte della storia di Cuba,[55] tra i quali una sconsiderata politica di collettivizzazione che avrebbe determinato la miseria di molte persone a vantaggio di poche e che avrebbe spinto molti a fuggire da Cuba.[56]

Note
37. ^ Dal capitolo "L'America Latina alla prova" a pag. 608 dell'opera: Il Libro Nero del Comunismo, 1998, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
38. ^ Dall'articolo dello scrittore Alvaro Vargas Llosa riportato in cui si afferma che "In January 1957, as his diary from the Sierra Maestra indicates, Guevara shot Eutimio Guerra because he suspected him of passing on information: “I ended the problem with a .32 caliber pistol, in the right side of his brain.... His belongings were now mine.” Later he shot Aristidio, a peasant who expressed the desire to leave whenever the rebels moved on. While he wondered whether this particular victim “was really guilty enough to deserve death,” he had no qualms about ordering the death of Echevarría, a brother of one of his comrades, because of unspecified crimes: “He had to pay the price.”"
39. ^ Dallo stesso articolo dello scrittore Alvaro Vargas Llosa in cui si afferma che "At other times he would simulate executions without carrying them out, as a method of psychological torture."
40. ^ Ibid. in cui si afferma che "In 1958, after taking the city of Sancti Spiritus, Guevara unsuccessfully tried to impose a kind of sharia, regulating relations between men and women, the use of alcohol, and informal gambling—a puritanism that did not exactly characterize his own way of life. He also ordered his men to rob banks, a decision that he justified in a letter to Enrique Oltuski, a subordinate, in November of that year: “The struggling masses agree to robbing banks because none of them has a penny in them.” This idea of revolution as a license to re-allocate property as he saw fit led the Marxist Puritan to take over the mansion of an emigrant after the triumph of the revolution."
41. ^ Ad esempio da Andrea Morigi in "Che Guevara, il bandito santificato", 2007, Il Timone
42. ^ Gómez Treto 1991, p. 115. "The Penal Law of the War of Independence (July 28, 1896) was reinforced by Rule 1 of the Penal Regulations of the Rebel Army, approved in the Sierra Maestra February 21, 1958, and published in the army's official bulletin (Ley penal de Cuba en armas, 1959)" (Gómez Treto 1991, p. 123).
43. ^ Niess 2007, p. 60
44. ^ Different sources cite different numbers of executions. Anderson (1997) gives the number specifically at La Cabaña prison as 55 (p. 387.), while also stating that as a whole "several hundred people were officially tried and executed across Cuba" (p. 387.). This is supported by Lago who gives the figure as 216 documented executions across Cuba in two years.
45. ^ Dal capitolo "L'America Latina alla prova" dell'opera Il Libro Nero del Comunismo, 1998, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
46. ^ Ibid.
47. ^ Dall'articolo di Vargas Llosa in cui afferma che "How many people were killed at La Cabaña? Pedro Corzo offers a figure of some two hundred, similar to that given by Armando Lago, a retired economics professor who has compiled a list of 179 names as part of an eight-year study on executions in Cuba. Vilasuso told me that four hundred people were executed between January and the end of June in 1959 (at which point Che ceased to be in charge of La Cabaña). Secret cables sent by the American Embassy in Havana to the State Department in Washington spoke of “over 500.” According to Jorge Castañeda, one of Guevara’s biographers, a Basque Catholic sympathetic to the revolution, the late Father Iñaki de Aspiazú, spoke of seven hundred victims. Félix Rodríguez, a CIA agent who was part of the team in charge of the hunt for Guevara in Bolivia, told me that he confronted Che after his capture about “the two thousand or so” executions for which he was responsible during his lifetime. “He said they were all CIA agents and did not address the figure,” Rodríguez recalls. The higher figures may include executions that took place in the months after Che ceased to be in charge of the prison."
48. ^ Lo afferma in "Il Mito di Che Guevara e il Futuro della Libertà", pubblicato nel 2005
49. ^ vedi in: Dalla dittatura di Castro e Che Guevara solo morte e povertà
50. ^ Dal capitolo "L'America Latina alla prova" dell'opera: Il Libro Nero del Comunismo, 1998, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
51. ^ Armando Valladares, Contro ogni speranza. Dal fondo delle carceri di Castro, SugarCo, Milano 1987
52. ^ Dall'articolo di LLosa in cui si afferma che "Counterrevolutionary” is the term that was applied to anyone who departed from dogma. It was the communist synonym for “heretic.” Concentration camps were one form in which dogmatic power was employed to suppress dissent. History attributes to the Spanish general Valeriano Weyler, the captain-general of Cuba at the end of the nineteenth century, the first use of the word “concentration” to describe the policy of surrounding masses of potential opponents—in his case, supporters of the Cuban independence movement—with barbed wire and fences. How fitting that Cuba’s revolutionaries more than half a century later were to take up this indigenous tradition. In the beginning, the revolution mobilized volunteers to build schools and to work in ports, plantations, and factories—all exquisite photo-ops for Che the stevedore, Che the cane-cutter, Che the clothmaker. It was not long before volunteer work became a little less voluntary: the first forced labor camp, Guanahacabibes, was set up in western Cuba at the end of 1960. This is how Che explained the function performed by this method of confinement: “[We] only send to Guanahacabibes those doubtful cases where we are not sure people should go to jail ... people who have committed crimes against revolutionary morals, to a lesser or greater degree.... It is hard labor, not brute labor, rather the working conditions there are hard. "
53. ^ vedi sopra
54. ^ vedi qui
55. ^ Dall'articolo dello scrittore Alvaro Vargas Llosa in cui si afferma, citando il periodico americano Time Magazine, che "so Time magazine may have been less than accurate in August 1960 when it described the revolution’s division of labor with a cover story featuring Che Guevara as the “brain” and Fidel Castro as the “heart” and Raúl Castro as the “fist.” But the perception reflected Guevara’s crucial role in turning Cuba into a bastion of totalitarianism. "
56. ^ Dall'articolo dello scrittore Alvaro Vargas Llosa in cui afferma che "Land reform took land away from the rich, but gave it to the bureaucrats, not to the peasants. (The decree was written in Che’s house.) In the name of diversification, the cultivated area was reduced and manpower distracted toward other activities. The result was that between 1961 and 1963, the harvest was down by half, to a mere 3.8 million metric tons. Was this sacrifice justified by progress in Cuban industrialization? Unfortunately, Cuba had no raw materials for heavy industry, and, as a consequence of the revolutionary redistribution, it had no hard currency with which to buy them—or even basic goods. By 1961, Guevara was having to give embarrassing explanations to the workers at the office: “Our technical comrades at the companies have made a toothpaste ... which is as good as the previous one; it cleans just the same, though after a while it turns to stone.” By 1963, all hopes of industrializing Cuba were abandoned, and the revolution accepted its role as a colonial provider of sugar to the Soviet bloc in exchange for oil to cover its needs and to re-sell to other countries. For the next three decades, Cuba would survive on a Soviet subsidy of somewhere between $65 billion and $100 billion." e che "In his memoirs, the Egyptian leader Gamal Abdel Nasser records that Guevara asked him how many people had left his country because of land reform. When Nasser replied that no one had left, Che countered in anger that the way to measure the depth of change is by the number of people “who feel there is no place for them in the new society.”

▪ 1978 - Jacques Brel (Schaerbeek, 8 aprile 1929 – Bobigny, 9 ottobre 1978) è stato un cantautore e compositore belga di lingua francese. Considerato anche, grazie al forte potere espressivo dei suoi testi, poeta. Ricordato nelle nazioni francofone come attore e regista teatrale. Partecipò nel 1969 al film "Mon oncle Benjamin" nel ruolo principale. Scrisse, diresse ed apparve nel film "Le Far West" candidato nel 1973 per la Palma d'oro al Festival di Cannes.

▪ 1982 - Anna Freud (Vienna, 3 dicembre 1895 – Londra, 9 ottobre 1982) è stata una psicoanalista austriaca.
Figlia di Sigmund Freud, si è dedicata prevalentemente alla psicoanalisi infantile ed allo studio dei meccanismi di difesa dell'Io.
Figlia di Sigmund Freud, divenne psicoanalista ed iniziò ad occuparsi della psicoanalisi infantile. Assai noti sono i suoi scontri teorici con l'altrettanto nota psicoanalista tedesca Melanie Klein (1882-1960), che perdurarono dalla metà degli anni venti sino alle dimissioni degli allievi della Klein, nel 1946, dall'Associazione Freudiana ufficiale. A differenza della Klein, Anna Freud non riteneva potessero svolgersi trattamenti psicoanalitici di bambini in età troppo precoce, a causa della loro presunta non analizzabilità per via della supposta mancanza di un transfert. Caposcuola della scuola psicoanalitica detta di "Psicologia dell'Io", che ebbe molta fortuna negli Stati Uniti. In Europa questo orientamento teorico ebbe in Jacques Lacan il suo più acerrimo oppositore, poiché in essa egli vedeva un "accentramento" dello psichismo sull'Io, mentre riteneva che il "senso sovversivo" della psicoanalisi fosse proprio nel "decentramento" dello psichismo: il linguaggio dell'Inconscio quale verità, di cui l'Io sarebbe solo un "sintomo". Anna Freud contribuì in particolare a concettualizzare, stabilire e sistematizzare il funzionamento dei meccanismi di difesa dell'Io, inizialmente intuiti da Sigmund Freud ed aggiungendone altri alla teorizzazione paterna. Oltre alla rimozione e a nove classici descritti già dal padre quali: Regressione, modificazione attiva dell'io, isolamento, annullamento retroattivo, identificazione, proiezione, rivolgimento contro se stessi, trasformazione al contrario, sublimazione.
Aggiunse: l'identificazione con l'aggressore e una forma di altruismo, che implicano una interazione tra l'individuo e un altro nel suo mondo. Ascetismo ed Intellettualizzazione, due difese tipiche dello stadio di sviluppo dell'adolescenza, periodo dello sviluppo così importante per la persona; e per finire tre reazioni a forme di dolore: negazione in fantasia, negazione con atti e parole e limitazione dell'io.
Anna Freud inoltre tende a sottolineare un passaggio evolutivo da forme di difesa più semplici, o primitive, a forme di difesa più complesse, o più evolute.

Curiosità
Fra tutti i suoi pazienti la più famosa è certamente Marilyn Monroe.

▪ 1987 - Clare Boothe Luce (New York, 10 aprile 1903 – Washington D.C., 9 ottobre 1987) è stata una scrittrice, giornalista e ambasciatrice statunitense.
Ventenne, sposò nel 1923 George Tuttle Brokaw, ricco erede di una catena di abbigliamento di New York, dal quale ebbe una figlia: Ann. Dopo il divorzio nel 1929, intraprese la carriera giornalistica. Lavorò nella rivista di moda Vogue e, nel 1931, assunse la direzione di Vanity Fair, periodico di costume, cultura, moda e politica.
Nel 1935 sposò in seconde nozze Henry Luce, fondatore ed editore di alcuni tra i più importanti periodici americani, quali TIME, Life e Fortune. Eletta tra le file del Partito Repubblicano, dal 1943 al 1947 fece parte della Camera dei Rappresentanti, per lo Stato del Connecticut.
La morte della figlia Ann, avvenuta in un incidente automobilistico nel 1944, provocò in lei una crisi che la condusse, nel 1946, sotto la guida del predicatore monsignor Fulton J. Sheen, a convertirsi al Cattolicesimo. Narrò la tragica esperienza vissuta e le motivazioni della sua scelta in The Real Reason (La vera ragione), un articolo pubblicato nel 1947 sul mensile femminile McCall's.
Dal 1953 al 1956, nominata dal Presidente Dwight Eisenhower, fu ambasciatrice statunitense in Italia dove il suo deciso anticomunismo ed alcuni interventi nelle vicende politiche interne provocarono vivaci polemiche.
Tornata negli Stati Uniti, nel 1964 sostenne la campagna presidenziale del conservatore repubblicano, senatore Barry Goldwater, che venne però sconfitto nettamente dal democratico Lyndon B. Johnson.

▪ 1989 - Piero Bartezzaghi, nato Pietro Bartezzaghi (Vittuone, 18 novembre 1933 – Milano, 9 ottobre 1989), è stato un enigmista italiano. Autore tra i più noti dell'enigmistica classica e famoso per i suoi cruciverba.
Bartezzaghi era un perito chimico e ha lavorato per qualche anno alla Montecatini, posto che lasciò nel 1960 per essere assunto come redattore alla Settimana Enigmistica. L'enigmistica era sempre stata la sua passione: tredicenne, inviò il suo primo cruciverba a La Domenica del Corriere; la collaborazione con la Settimana Enigmistica iniziò due anni dopo.
A partire dagli anni cinquanta Bartezzaghi è stato il curatore di un raffinato e difficile cruciverba a schema libero pubblicato sulla Settimana Enigmistica a pagina 41, conosciuto fra gli appassionati brevemente come il Bartezzaghi. La popolarità di questo schema ha finito col superare i confini specialistici dell'enigmistica; nel 1976 Piero Mazzarella aggiunse nella commedia di Aldo De Benedetti Due dozzine di rose scarlatte la battuta "Quel tale è più complicato del Bartezzaghi", riconoscendo l'assunzione a classico per antonomasia del celebre enigmista. Oltre all'attività di cruciverbista Bartezzaghi è stato anche un grande creativo nel settore dell'enigmistica "classica", come autore di giochi crittografici e poetici con lo pseudonimo di Zanzibar. I suoi componimenti enigmistici in versi sono stati raccolti un libro, Quello che volevo, stampato a cura della sua famiglia.
Dei suoi figli, Alessandro ha seguito le orme paterne come creatore di cruciverba e redattore della Settimana Enigmistica, mentre Stefano, pur senza disdegnare l'eredità di Piero, è affermato ludolinguista e collabora con La Repubblica presso cui cura la rubrica "Lessico & Nuvole". Il terzo figlio Paolo ha abbracciato il giornalismo ed è redattore della Gazzetta dello Sport.

▪ 2003 - Walter Valdi, pseudonimo di Walter Pinnetti (Cavenago Brianza, 20 agosto 1930 – Milano, 9 ottobre 2003), è stato un artista, cantante e attore italiano, autore di pièces teatrali e musicali in dialetto meneghino.
Walter Valdi nacque il 20 agosto del 1930 a Cavenago Brianza, in provincia di Milano (oggi provincia di Monza e Brianza), nel palazzo seicentesco che oggi ospita il municipio. Ancora in tenera età si trasferì con la famiglia nel capoluogo lombardo, dove risiedette a lungo in viale Monza.
Il padre era un noto avvocato, fatto questo che spinse lui e le due sorelle Egle e Lia ad intraprendere gli studi giuridici e, in seguito, la professione forense. Valdi aprì uno studio in via Podgora, poi chiuso per dedicarsi a tempo pieno alla professione dell'artista.
Si sposò con Gabriella Falcetti ed ebbe un figlio, Antonio Amadeus, così battezzato in onore di Mozart, il suo compositore preferito.
A lungo sofferente di cuore, morì il 9 ottobre del 2003, all'età di settantatré anni, dopo un ricovero all'ospedale Niguarda.

▪ 2004 - Jacques Derrida, nato Jackie Derrida (El Biar, 15 luglio 1930 – Parigi, 9 ottobre 2004), è stato un filosofo francese.
È stato fino alla morte direttore di ricerca presso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi.
Nato il 15 luglio 1930 a El Biar, quartiere di Algeri, terzo di cinque figli di una famiglia di ebrei sefarditi, dopo un iniziale percorso di istruzione nella scuola pubblica, in seguito ai provvedimenti antisemiti della repubblica collaborazionista di Vichy viene espulso e prosegue i suoi studi in una scuola ebraica. Consegue la maturità nel 1948, dopo essere stato respinto l'anno precedente. Derrida stesso ricorderà in seguito di aver avuto grandi difficoltà nel periodo scolastico e universitario, essendo respinto a numerosi esami, spesso per problemi di adattamento e di disciplina nello studio.
Nell'immediato dopoguerra si appassiona alla filosofia, leggendo Nietzsche, Bergson, Sartre, la letteratura esistenzialista, e Heidegger. Si trasferisce nel 1949 a Parigi e nel 1951, al terzo tentativo, viene ammesso alla École Normale Supérieure (ENS), dove è suo tutor Althusser e fra gli insegnanti c'è già Michel Foucault. Nel 1954 consegue il diploma con una tesi sul problema della genesi nella filosofia di Husserl.
Dopo aver vinto una borsa di studio per l'università Harvard, si sposa e nel 1957 svolge il servizio militare in Algeria. Nel 1959 svolge il suo primo intervento pubblico, sulla fenomenologia di Husserl, e negli anni successivi insegna alla Sorbona, tenendo numerosi seminari soprattutto su Hegel, Husserl e Heidegger.
La sua fama crescente lo porta, nel 1963, a scontrarsi direttamente con Foucault, a causa delle critiche che Derrida muove alla sua "Storia della follia". La riconciliazione con Foucault avverrà solo nel 1981.
Nel 1966 tiene la prima di una lunga serie di conferenze negli Stati Uniti, dove conosce Paul De Man e dove si afferma soprattutto come studioso della lingua e della scrittura. L'anno successivo escono le prime opere di grande diffusione, "La scrittura e la differenza", "La voce e il fenomeno" e "Della grammatologia"; le sue conferenze gli assicurano una grande notorietà, ma Derrida, durante gli avvenimenti del 1968, preferisce restare defilato, irritato per gli aspetti più ideologici del movimento. In questo stesso periodo, a Parigi, frequenta Blanchot e il poeta Paul Celan.
Sempre di più la sua attività filosofica si svolge a livello internazionale, viaggiando e tenendo conferenze in tutto l'Occidente, fra l'Europa (ad esempio in Germania, Svizzera) e gli Stati Uniti, dove sempre più forte è la polemica con i filosofi analitici e in particolare con Searle.
Essendo stata approvata una legge che aboliva, in Francia, l'insegnamento della filosofia nelle scuole, Derrida convoca nel 1979 i cosiddetti "Stati generali della filosofia", ovvero 1200 studiosi della materia, in una manifestazione di protesta; è in questa occasione che accetta per la prima volta di essere fotografato in pubblico.
Sul finire del 1981 recatosi a Praga per tenere un seminario organizzato da Charta '77, viene arrestato per motivi politici con la falsa accusa di detenzione di stupefacenti. Verrà rilasciato solo grazie all'intervento di François Mitterrand.
Si moltiplicano negli anni '80 le critiche all'oscurità e all'ambiguità del suo pensiero, ad es. da parte di Jürgen Habermas e dei filosofi analitici; nel 1992 questi ultimi pubblicheranno una lettera sul Times di Londra, per accusare Derrida di non essere un vero filosofo ma solo uno scrittore, e contesteranno perciò l'assegnazione della laurea honoris causa a Cambridge, avvenuta quello stesso anno.
Negli ultimi anni il pensiero di Derrida si concentra maggiormente sui temi etici dell'amicizia, della morte, e sulle questioni politiche, in particolare riguardo l'attualità del problema del terrorismo e del Medio Oriente; nel 2003 viene insignito della laurea honoris causa a Gerusalemme. La sua morte avviene l'anno dopo, nel 2004, in un ospedale parigino, a causa di un tumore al pancreas già in corso da lungo tempo.

Pensiero
Prendendo spunto da alcuni motivi emergenti dalla fenomenologia di Husserl, dal pensiero di Heidegger e dalla linguistica strutturalista di de Saussure, nonché riprendendo temi propri alla riflessione di Nietzsche e di Freud, Derrida ha elaborato un percorso filosofico, originale e provocatorio, che si caratterizza come decostruzione della "metafisica della presenza". Quest'ultima costituirebbe l'aspetto più evidente ed egemone della filosofia occidentale. Nel definire il suo approccio alla filosofia e al testo in generale, Derrida ha insistito nel mettere in guardia dal concepire la decostruzione semplicemente come un metodo d'interpretazione.
La nozione di metodo, infatti, è stata elaborata nell'ambito di quella stessa filosofia che la decostruzione coinvolge e pertanto ne condivide taluni presupposti. La decostruzione non riguarda semplicemente l'approccio soggettivo alla materia d'indagine, poiché è che accade alle "strutture" e alle istituzioni che nel complesso costituiscono una cultura; è la trasformazione di quelle stesse strutture e istituzioni. In questo senso si tratta di qualcosa che è "sempre già" incominciato nel momento in cui se ne può prendere atto. Se si considera l'implicazione circolare dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo in gioco in un simile approccio, le analogie della decostruzione con l'ermeneutica filosofica sono evidenti. Tuttavia non mancano da parte di Derrida riserve critiche e prese di distanza rispetto a quei principi che mantengono l'ermeneutica aderente alla metafisica della presenza e al cosiddetto "logocentrismo".
La riflessione di Derrida ha esercitato qualche influenza in svariati campi del sapere, in particolare nell'ambito della letteratura, del diritto, dell'architettura e dell'arte in generale.
Per lo stile di scrittura, particolarmente complesso ed ellittico, da più parti il suo pensiero è stato ritenuto più vicino a una forma letteraria che a una rigorosa elaborazione filosofica. Le reazioni dei critici più autorevoli sono spesso state riprese dallo stesso Derrida in opere successive e fatte oggetto di analisi.

Il rapporto con la fenomenologia
I primi lavori di Derrida si situano all'interno del dibattito fra storicismo e strutturalismo impostosi negli '40 e '50, e riguardano in particolare le soluzioni al problema della genesi delle idee (genesi storica o metastorica, ovvero strutturale?) esposte da Husserl nella sua filosofia. Com'è noto, Husserl riteneva di poter dedurre la sussistenza di un io trascendentale, cui corrisponderebbe una logica pura, cui si potrebbe accedere attraverso un processo di riduzione a partire dalle condizioni empiriche della conoscenza effettiva del soggetto. La critica di Derrida a questa impostazione resterà un motivo di fondo e fondativo del suo pensiero: per il filosofo francese, un trascendentale puro non può che essere totalmente astratto e vuoto, quindi indifferente alla storia; il vero trascendentale non può che quindi convivere con il reale pur non essendone direttamente determinato, in altre parole si tratta di un a priori materiale(riempito di contenuti) e non formale: la decostruzione, intesa come analisi dell'esperienza che ne esibisce le strutture necessarie, è a sua volta anche una costruzione, ovvero l'esibizione delle condizioni a priori celate nel mondo e che lo rendono possibile.

Critiche
Le principali critiche rivolte al pensiero di Derrida riguardano, da un lato, come detto, la presunta oscurità con cui egli espone i suoi concetti; questa oscurità secondo alcuni sarebbe sinonimo di arbitrarietà, ovvero di mancanza di rigore filosofico; dall'altro canto, la centralità del tema della decostruzione nella filosofia di Derrida, ha spinto alcuni a ritenere il suo un pensiero nichilista, che esita nello scetticismo e nel solipsismo più assoluti, giacché la decostruzione mostrerebbe l'infondatezza e la precarietà di tutta la tradizione del pensiero occidentale. Derrida sostiene invece che il decostruzionismo è affermativo, produttivo, e non mira a togliere fondamento ai concetti, ma solo a esibire le modalità del loro sviluppo e funzionamento.
Nikos Salingaros critica aspramente il decostruttivismo in architettura e della sua applicazione a-critica della filosofia del post-strutturalismo. Nel suo saggio “The Derrida Virus” egli sostiene che le idee di Jaques Derrida, applicate in modo poco critico, costituiscono un “virus” di informazione che distrugge il pensiero logico e la conoscenza. Salingaros utilizza il modello del meme, già introdotto da Richard Dawkins per interpretare la trasmissione delle idee. Nel fare ciò egli offre un modello che conferma le precedenti affermazioni del filosofo Richard Wolin secondo le quali la filosofia di Derrida è in senso logico nichilista.
I maggiori esponenti della filosofia continentale (J. Habermas e K.O. Apel) si sono sempre schierati contro i principi della decostruzione e del decostruzionismo e hanno proposto, al contrario, l'idea di una dialettica progressiva tra la comunità storica e ideale degli interpreti che miri alla progressiva risoluzione dei conflitti economico e sociali attraverso i principi di un'etica della comunicazione, ovvero di una strategia discorsiva pienamente democratica.

▪ 2005 - Gaetano Afeltra (Amalfi, 11 marzo 1915 – Milano, 9 ottobre 2005) è stato un giornalista e scrittore italiano.
Penultimo dei nove figli di Luigi Afeltra, segretario comunale di Amalfi, Gaetano passò l'infanzia e l'adolescenza nel paese natale (i cui ricordi e tradizioni furono in seguito da lui narrati nei suoi libri e saggi culturali). Fin da ragazzo aspirava a diventare giornalista, e per poter coronare questo sogno, il 25 settembre 1934 giunse a Milano, dove viveva il fratello maggiore, Cesare, che lavorava per il Corriere della Sera. Nel 1937, a causa delle sue idee antifasciste, Cesare fu allontanato dal giornale.
Sebbene il fratello gli sconsigliasse di intraprendere la carriera giornalistica, Gaetano Afeltra volle perseguire lo stesso il suo obiettivo. Il fratello Cesare lo aiutò a trovare lavoro ed ad introdurlo nell'ambiente di Milano. Dopo qualche collaborazione ed una breve esperienza giornalistica all' Ambrosiano, alla fine del 1942 Afeltra fu chiamato al Corriere della Sera dall'allora direttore Aldo Borelli.
Con l'occupazione tedesca seguita ai fatti dell'8 settembre 1943, Afeltra si autosospese dal giornale. Il 25 aprile 1945 rientrò a Milano con Mario Borsa, in tempo per realizzare il Corriere del giorno dopo. Il 26 aprile il giornale uscì con la testata Il Nuovo Corriere; rimase un numero unico poiché il CLN decise la sospensione immediata di tutte le testate compromesse con la Repubblica Sociale. Afeltra passò a condurre la redazione di due quotidiani: Corriere Lombardo (1945) e Milano Sera (dalla fine del 1945 al giugno 1946). Dopo queste esperienze fu richiamato al Corriere della Sera, ormai tornato in edicola, e da quel momento in poi ricoprì incarichi prestigiosi all'interno del quotidiano di Via Solferino: nominato redattore capo da Guglielmo Emanuel, venne poi confermato dal successore Mario Missiroli, con il quale creò un solido connubio, diventando il direttore de facto del Corriere. Suo fu il merito di aver lanciato nuove firme come Goffredo Parise, Alfonso Gatto, Domenico Rea e Alberto Arbasino.
Nel 1954 fu il responsabile del Corriere d'Informazione[1]. Infine nel 1961 divenne vicedirettore del Corsera. Lasciò il giornale nel 1963 per dissensi con il nuovo direttore Alfio Russo.
Cominciò a dedicarsi ad un altro progetto: un nuovo quotidiano fortemente voluto dalla casa editrice Rizzoli. Si doveva chiamare Oggi. Afeltra vi lavorò insieme con Gianni Granzotto che doveva diventarne il direttore. Il progetto non vide mai la luce.
Successivamente fu consulente per la casa editrice Domus. Dal 1972 al 1980 diresse Il Giorno, per poi rientrare nuovamente al Corriere in qualità di collaboratore per le pagine culturali e di consigliere d'amministrazione, cariche mantenute fino alla morte, sopraggiunta nella sua abitazione milanese di Via Manzoni il 9 ottobre 2005.
Afeltra era molto legato alla sua terra di origine, e quando ne aveva la possibilità, ritornava spesso ad Amalfi per ritrovare familiari e conoscenti.
Giorgio Bocca nutre una pessima considerazione di lui, definendolo ' "la negazione del giornalismo"

▪ 2006 - Nicola Matteucci Armandi Avogli Trotti (Bologna, 10 gennaio 1926 – Bologna, 9 ottobre 2006) è stato un politologo italiano, fondatore della rivista Il Mulino, poi della casa editrice omonima e dell’Istituto Carlo Cattaneo. È considerato uno dei massimi teorici del costituzionalismo liberale del Novecento.

«Il liberalismo consiste in una situazione di possibilità per l'uomo di scegliere, esprimere e diffondere i propri valori, sia morali che politici, per realizzare se stesso» (Dizionario di politica, voce “Liberalismo”)

Formazione e attività accademica
Durante gli anni scolastici 1943-44 e 1944-45 le scuole rimangono chiuse per buona parte del tempo. Per il giovane Matteucci la guerra diventa l’occasione di studi autonomi e fortemente motivati. Non è attratto né dal marxismo né dal nazionalsocialismo, ma si sente animato da autentiche passioni liberali. Comincia così la lettura delle principali opere del pensiero liberale, che può trovare nella fornita libreria di famiglia, o anche grazie al prestito di amici.
All’indomani della fine della guerra, nel maggio 1945, il padre viene assassinato da un cosiddetto “balordo” comunista, senz’altra ragione tranne l’odio di classe. Il tragico episodio, di cui Matteucci non parlerà mai in pubblico, costituì senza dubbio uno spartiacque nella sua vita.
Si laurea all'Università di Bologna in giurisprudenza nel 1948 con una tesi su Il diritto nella Filosofia dello spirito di Benedetto Croce e nel 1950 in filosofia con una tesi su Antonio Gramsci e la Filosofia della prassi.
Allievo e collaboratore di Felice Battaglia, dopo la laurea frequenta come borsista l’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, fondato da Benedetto Croce e diretto dallo storico Federico Chabod.
Inizia la sua carriera accademica nel 1950 come docente di Filosofia del diritto. Dopo una parentesi a Ferrara, nel 1966 torna a Bologna dove diventa professore ordinario in Storia delle dottrine politiche. Dopo il 1974 decide di passare dalla Facoltà di Scienze Politiche a quella di Lettere, nella cattedra di Filosofia morale.
Dal giugno 1966 al novembre 1969 è presidente dell’Istituto Carlo Cattaneo; poi è stato presidente dell’Associazione di cultura e politica “Il Mulino” per due mandati: gennaio-ottobre del 1969 e dal settembre 1980 all’ottobre 1983.

Il suo pensiero
Già durante gli anni della formazione, in cui aveva affiancato gli scritti sui maestri liberali con gli studi su Gramsci, poi sul giornalista ginevrino Mallet Du Pan e Machiavelli, Matteucci dimostra un’apertura mentale assai rara tra gli intellettuali del nostro Paese.
Se la formazione crociana lo aveva reso aperto mentalmente, il mondo universitario bolognese rende Matteucci attento alla precisione scientifica; sicché dialogare con persone di idee diverse gli sarà sempre connaturale: la collaborazione con Norberto Bobbio, per esempio, è stata una di quelle più durature ed efficaci. In politica le loro opinioni divergevano profondamente: secondo Matteucci la costituzione è il quadro entro cui si rende possibile lo sviluppo delle libertà individuali; Bobbio invece era un fautore del positivismo giuridico, cioè della prevalenza dello Stato sui diritti dei singoli.
Con Matteucci il liberalismo italiano evolve dal pensiero di Benedetto Croce, ormai inadeguato ai nuovi assetti mondiali postbellici, al liberalismo di matrice anglosassone che oggi rappresenta il filone dominante nel pensiero politico liberale. Matteucci si interessa molto alla cultura americana, in quanto distante e contrapposta sia al pensiero marxista-comunista che a quello corporativista della destra. Il suo interesse verso il pensiero anglosassone nasce inoltre dal fatto che, storicamente, il costituzionalismo liberale aveva preso forma proprio con la Costituzione americana del 1787 e la successiva Dichiarazione dei diritti (Bill of Rights).
Non si deve dimenticare che tra i classici che più contribuiscono alla formazione del suo pensiero, un ruolo decisivo spetta ad Alexis de Tocqueville, che lo stesso Matteucci fa conoscere alla cultura politica italiana curando la traduzione in italiano delle sue opere. L'autore de La democrazia in America ha aiutato Matteucci ad approfondire le proprie riflessioni sulle istituzioni, e soprattutto l’ha portato a delineare la sua visione anglosassone del liberalismo, attenta al rapporto del tutto speciale che religione e libertà intrattengono negli Stati Uniti. Tra i suoi autori preferiti compaiono anche Hannah Arendt, Carl Schmitt e Friedrich von Hayek.
Accademicamente Matteucci fu sempre un laico, ma la sua cultura politica non fu mai nutrita di anticlericalismo o avversione per la Chiesa.

Attività editoriale
Nel 1951, con alcuni amici conosciuti al liceo, Matteucci dà vita alla rivista Il Mulino. Tre anni dopo, nel 1954, viene fondata la casa editrice omonima. Dirige la rivista per tre mandati: nei periodi 1959-60, 1970-73 ed infine tra il 1984 ed il 1990. È stato sempre membro del consiglio editoriale della casa editrice.
Matteucci, vero scopritore di talenti, saprà costituire attorno al Mulino un vero e proprio pensatoio di cui faranno parte intellettuali del calibro di Angelo Panebianco, Lorenzo Ornaghi, Carlo Galli, Alessandro Dal Lago, Angelo Petroni, Carlo Rossetti ed Edmondo Berselli.
Matteucci ha fondato altre due riviste scientifiche: nel 1968 «Il pensiero politico»; nel 1987 la rivista «Filosofia politica», di cui è stato anche direttore.

Attività pubblicistica
Il libro che segna il distacco di Matteucci dal crocianesimo, e probabilmente il suo libro maggiore, è Il liberalismo in un mondo in trasformazione, pubblicato nel 1972. Sfidando il marxismo allora dominante – specie nella sua versione “francofortese” – Matteucci si appoggia inizialmente al pensiero idealistico di stampo crociano, per poi distaccarsene adottando una prospettiva empirica.
Dopo alcuni anni di collaborazione con Il Resto del Carlino, il giornale della sua città, nel 1974 Matteucci viene chiamato da Indro Montanelli alla fondazione del suo nuovo quotidiano, Il Giornale. Comincia una feconda collaborazione che proseguirà anche dopo il 1994, quando Montanelli stesso lascia per dare vita a La Voce.
Nel 1976 esce il celebre «Dizionario di politica», diretto da Norberto Bobbio, Matteucci e Gianfranco Pasquino. Verrà più volte ristampato in centinaia di migliaia di esemplari, per diventare un "classico" della pubblicistica in Scienze politiche.

Impegno politico
È sempre stato marginale per Matteucci che, dopo gli infruttuosi tentativi di organizzare la gioventù liberale nella rossa Bologna, ha sempre privilegiato “Il Mulino” come sede più consona per il dialogo con i cattolici e i socialisti democratici. L’elenco delle sue partecipazioni attive alla politica è breve:
▪ Accetta di essere candidato nelle liste del PRI per amicizia con Ugo La Malfa (senza venire eletto);
▪ Fa parte del Consiglio di amministrazione della RAI in quota PRI negli anni settanta;
▪ Nel 1992 si candida al Parlamento con la Lista Sì Referendum promossa dal collega costituzionalista Massimo Severo Giannini, già membro dell’Assemblea Costituente (la Lista fallisce i suoi obiettivi poiché nessuno viene eletto).