Il calendario del 6 Giugno
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
Eventi
+ 1508 - Massimiliano I del Sacro Romano Impero viene sconfitto in Friuli dalle forze veneziane. Viene costretto a firmare una tregua triennale e a cedere diversi territori a Venezia
+ 1523 - Gustav Vasa viene eletto re di Svezia
+ 1683 - Si inaugura l'Ashmolean Museum
+ 1809 - La Svezia promulga la costituzione del 1809
+ 1833 - Il Presidente statunitense Andrew Jackson diventa il primo presidente a viaggiare in treno
+ 1844 - La Young Men's Christian Association (YMCA) viene fondata a Londra
+ 1859 - La regina Vittoria firma le carte che rendono il Queensland una colonia separata
+ 1912 - Inizia l'eruzione di Novarupta in Alaska. La seconda più grande eruzione vulcanica in tempi storici
+ 1925 - Viene fondata la Chrysler Corporation
+ 1933 - Apre il primo drive-in, a Camden (New Jersey)
+ 1942 - Seconda guerra mondiale: I nazisti incendiano il villaggio ceco di Lidice, come rappresaglia per l'uccisione di Reinhard Heydrich
+ 1944 - Seconda guerra mondiale: D-Day: L'Operazione Overlord dà il via alla Battaglia di Normandia
+ 1949 - Viene pubblicato 1984, di George Orwell
+ 1951 - A Berlino si tiene la prima edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino
+ 1966 - James Meredith, attivista dei diritti civili, viene ferito mentre cerca di marciare attraverso il Mississippi
+ 1971 - Lancio della Soyuz 11
+ 1974 - Viene promulgata una nuova costituzione, che rende la Svezia una monarchia parlamentare
+ 1978 – Antonio Santoro, capo della polizia penitenziaria di Udine, cade vittima di un agguato, assassinato per la strada da terroristi del gruppo Proletari Armati per il Comunismo, che rivendica poi l'omicidio.
+ 1982 - Il ministro della difesa israeliana Ariel Sharon dà inizio all'Operazione Pace in Galilea in Libano
+ 1985 - Viene localizzato e riesumato il corpo del criminale di guerra Nazista Josef Mengele
Anniversari
+ 1207 - San Gerardo dei Tintori (Monza, 1134+ – Monza, 6 giugno 1207) è un santo della chiesa cattolica, patrono di Monza insieme a san Giovanni Battista.
«Fratello, non essere di poca fede. Dice il Vangelo: chi per amor di Dio darà uno, il centuplo riceverà. Cristo non abbandona coloro che fanno il bene e sperano in lui. Va dunque e distribuisci tutto ciò che puoi ai poveri di Cristo.» (san Gerardo dei Tintori, citato da Bonincontro Morigia)
L'anno di nascita di Gerardo non si conosce con certezza; secondo lo storico monzese Bartolomeo Zucchi fu il 1134, secondo altri il 1135 o 1140. Il cognome "Tintore" o "dei Tintori" (de Tinctoribus) probabilmente rimanda alla professione esercitata dalla sua famiglia.
Gerardo era di condizione agiata; dopo la morte del padre, con i beni ereditati, fondò un ospedale con lo scopo di assistere i poveri e i malati. La sede dell'ospedale pare fosse la casa stessa di Gerardo: essa si trovava sulla riva sinistra del Lambro presso il ponte che oggi è detto "di san Gerardino" e dove esiste l'omonima chiesetta.
La fondazione dell'ospedale avvenne certamente entro il 1174. In questa data infatti Gerardo stipulò con il Comune di Monza e con il Capitolo della Basilica di S.Giovanni Battista una convenzione nella quale se ne definiva lo status giuridico e amministrativo: l'ospedale dipendeva formalmente dall'autorità ecclesiastica, ma di fatto manteneva una sostanziale autonomia, mentre il Comune ne assumeva l'avvocazia, cioè la tutela giuridica.
Il servizio nell'ospedale era svolto da conversi: laici che vivevano in comune al modo dei frati, senza però prendere i voti religiosi. Gerardo era uno di loro e svolgeva anche l'incarico di "ministro", cioè direttore dell'ospedale. Come risulta anche da alcuni documenti degli anni successivi, egli mantenne questo incarico fino alla morte avvenuta il 6 giugno 1207.
Sepolto dapprima nella nuda terra nel cimitero della vicina chiesa di Sant'Ambrogio (oggi San Gerardo al Corpo), il corpo di Gerardo fu riesumato quaranta giorni dopo per iniziativa della popolazione di Olgiate Comasco (vedi sotto) e collocato in un sarcofago presso l'altare della chiesa. Nel 1740 il sarcofago fu sostituito da un'urna di cristallo con decorazioni d'argento, dentro la quale lo scheletro di Gerardo è esposto alla vista dei fedeli. L'urna è collocata nella cappella al fondo del transetto destro.
L'ospedale fondato da Gerardo continuò la sua attività fino al XVIII secolo, quando il governo austriaco lo accorpò ad altri istituti di cura. Nel 1946 l'amministrazione comunale di Monza decise di ricordare la sua opera intitolandogli l'ospedale cittadino costruito nell'Ottocento (che in precedenza portava il nome di Umberto I); anche l'ospedale nuovo, costruito in seguito, che ospita anche la facoltà di medicina dell'Università di Milano-Bicocca, ha conservato l'intitolazione a san Gerardo.
Culto e tradizione
La venerazione di Gerardo iniziò ben presto dopo la sua morte: è chiamato "beato" già in un documento del 1230, e "santo" in uno del 1247. Carlo Borromeo, dopo aver fatto compiere un'inchiesta, ne confermò ufficialmente il culto nel 1583. A lui sono intitolate ben tre chiese monzesi: la parrocchiale di San Gerardo "al Corpo", dove appunto sono conservati i suoi resti (a lui preesistente, anticamente intitolata a Sant'Ambrogio, assunse il nome di San Gerardo entro il XIV secolo); la piccola chiesa di San Gerardo Intramurano, popolarmente detta "San Gerardino", sul luogo dell'antico ospedale, di cui originariamente era la cappella (il nome di san Gerardino si è esteso anche al vicino ponte sul Lambro); e un'altra chiesa col titolo di San Gerardo, che era la cappella dell'altro ospedale costruito alla fine dell'Ottocento (l'attuale Ospedale vecchio).
San Gerardo è invocato soprattutto dagli ammalati e dalle partorienti. L'iconografia tradizionale lo rappresenta anziano (visse circa 70 anni) e barbuto, vestito di un saio, con un bastone dal quale pende un rametto di ciliegie; ai suoi piedi si trova un cesto con pane, vino e uova, o una scodella con un cucchiaio, che simboleggiano la sua attività di assistenza ai poveri e agli infermi.
La sua memoria liturgica, iscritta nel calendario della diocesi di Milano, è il 6 giugno, anniversario della morte. In questa data si celebra a Monza la festa patronale in suo onore: tra la chiesa di san Gerardo al Corpo e il vicino ponte di san Gerardino si svolge una sagra in cui hanno un posto importante le bancarelle che vendono ciliegie, tradizionale attributo iconografico del santo. Alcuni metri a monte del ponte, la statua di san Gerardo, in piedi sopra il suo mantello, viene collocata in mezzo al fiume, a ricordo del più famoso miracolo a lui attribuito (vedi sotto). Nell'ottava della festa si apre anche la chiesetta di San Gerardino, solitamente chiusa.
I miracoli
«Il cristiano talvolta può salvarsi per la fede e per la devozione da ogni infermità del corpo e dell'anima.» (san Gerardo dei Tintori, citato da Bonincontro Morigia)
La tradizione riguardante san Gerardo, tuttora viva tra i monzesi, è stata messa per iscritto per primo dal cronista monzese Bonincontro Morigia il quale, circa cento anni dopo la sua morte, poté raccogliere le testimonianze di "persone anziane della nostra città di Monza ai quali i conversi ed altri religiosi di buona reputazione e degni di fede, amici intimi e conoscenti del Beato, riferirono ciò che videro con i propri occhi".
Secondo questa tradizione, san Gerardo operò diversi miracoli in vita, e numerosi altri sono attribuiti alla sua intercessione dopo la morte. L'inchiesta ordinata da san Carlo Borromeo ne riconobbe in tutto 20. Di alcuni di essi il Morigia scrive di aver raccolto testimonianze giurate dai testimoni diretti, e in un caso (la guarigione di Nazario da Sesto) di avervi assistito lui stesso.
+ Il miracolo più famoso è certamente quello dell'attraversamento del Lambro: si racconta che, mentre Gerardo si trovava in duomo a pregare, il fiume, ingrossandosi improvvisamente, ruppe il ponte che collegava l'ospedale con la città. L'ospedale stesso si affacciava sul Lambro e rischiava di essere allagato: Gerardo, subito accorso, stese il suo mantello sull'acqua, vi salì sopra e su di esso attraversò il fiume, raggiungendo i suoi malati, quindi ordinò alle acque di non entrare nelle stanze degli infermi. Secondo il resoconto del Morigia, le acque si fermarono sulle porte per alcune ore nonostante la loro altezza superasse di mezzo cubito (più di 20 cm) quella delle soglie.
+ Un altro miracolo è richiamato dal rametto di ciliegie con cui san Gerardo viene rappresentato: si racconta che egli si trattenesse spesso in chiesa a pregare fino a tarda ora. Una sera, per convincere i canonici del Duomo a lasciarlo rimanere oltre l'orario di chiusura, promise loro un cesto di ciliegie; benché fosse pieno inverno, gliele consegnò subito la mattina successiva. Questo episodio però non compare nella cronaca del Morigia né negli atti dell'inchiesta ordinata da san Carlo, per cui si deve ritenere un'invenzione di epoca posteriore (il primo scritto che ne parla è del 1695). Il Morigia afferma invece che Gerardo andava a pregare in Duomo al mattino molto presto, e spesso giungeva ancora prima dell'orario di apertura ed entrava attraverso le porte chiuse, "la qual cosa era ben conosciuta dai sagrestani".
+ Si racconta poi che, in tempo di carestia (forse nel 1162), quando le provviste dell'ospedale erano quasi esaurite, Gerardo ordinò di distribuire ai poveri tutto ciò che restava, quindi si raccolse in preghiera: il dispensiere, andando di malavoglia ad eseguire l'ordine, trovò il granaio così pieno che non riusciva più nemmeno ad aprire la porta, e la cantina piena di botti di buon vino.
+ San Gerardo è inoltre venerato dai fedeli di Olgiate Comasco per un altro miracolo: egli era morto da quaranta giorni quando gli olgiatesi, afflitti da un grave morbo chiamato "sincoposi" (è incerto di quale malattia esattamente si trattasse), su consiglio di un eremita si recarono in pellegrinaggio a Monza sulla sua tomba, ed il morbo scomparve. Per riconoscenza fecero voto di ripetere perpetuamente il pellegrinaggio ogni anno: esso si compie tuttora ogni 25 aprile. Gli olgiatesi inoltre diffusero il culto di san Gerardo nei paesi circonvicini: nel 1740 lo storico monzese Antonio Francesco Frisi elencava ben 14 località dove il santo era venerato, tra le quali Como e Mendrisio.
+ All'intercessione di san Gerardo sono attribuite diverse guarigioni. Tra di esse è particolarmente notevole quella di un certo Nazario da Sesto San Giovanni che, si narra, cadde ubriaco sotto le ruote di un pesante carro, una delle quali gli schiacciò la gola; dato per morto, si risvegliò dopo un'ora perfettamente sano.
+ Viene infine narrata una storia piuttosto curiosa: secondo essa, nel 1324, durante una guerra, alcuni soldati salirono sul tetto di legno della chiesa di San Gerardo e iniziarono a smantellarlo, per farne legna da ardere. Di fronte alle proteste dei monzesi, uno dei soldati bestemmiò e offese il santo: immediatamente tutti caddero dal tetto e il bestemmiatore morì sul colpo.
+ 1661 - Martino Martini (in cinese: Wei Kuang-guo, Jitai; Trento, 20 settembre 1614 – Hangzhou, 6 giugno 1661) fu un gesuita, storico e cartografo italiano. Ha operato principalmente nella Cina imperiale. Fu il primo compilatore di una grammatica cinese, il primo storico della Cina premoderna, il primo geografo attento al gusto barocco nell’arricchire le sue carte.
Gli scienziati di oggi sono sempre più interessati al lavoro di Martini, egli è acclamato come il padre della scienza geografica Cinese.
A Martino Martini è intitolato l'Istituto di Istruzione Martino Martini di Mezzolombardo.
Il Centro Studi
Nel 1997 un gruppo di docenti dell'Università di Trento ha fondato l'associazione culturale Centro Studi "Martino Martini". Il gesuita è stato scelto in quanto «propugnatore ante litteram del dialogo e della cooperazione fra le civiltà europea e cinese.» +L'associazione sta curando la pubblicazione dell'opera omnia di Martini.
Convegno internazionale
Durante un convegno internazionale organizzato nella città di Trento (sua città natale) un membro dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali, il professore Ma Yon disse: «Martini fu il primo a studiare la storia e la geografia Cinese con obiettivo rigore scientifico, l’ampiezza della sua conoscenza della cultura cinese, l’accuratezza delle sue ricerche, la profondità della sua comprensione dei concetti cinesi sono esempi per i moderni sinologi». Ferdinand von Richthofen chiamò Martini «Il più grande geografo della missione Cinese, che non è stato uguagliato da nessun altro nel XVIII secolo …. Non ci sono stati altri missionari, né prima, né dopo, che hanno fatto un uso così diligente del proprio tempo nell’acquisire informazioni riguardanti il paese.» (China, I, 674 sq.)
+ 1832 - Jeremy Bentham (Spitalfields, 15 febbraio 1748 – Londra, 6 giugno 1832) è stato un filosofo e giurista inglese.
Fu un politico radicale e un teorico influente nella filosofia del diritto anglo-americana. È conosciuto come uno dei primi proponenti dell'utilitarismo e dei diritti degli animali che influenzò lo sviluppo del liberalismo.
Bentham fu uno dei più importanti utilitaristi, in parte tramite le sue opere, ma in particolare tramite i suoi studenti sparsi per il mondo. Tra questi figurano il suo segretario e collaboratore James Mill e suo figlio John Stuart Mill, oltre a vari politici (e Robert Owen, che divenne poi uno dei fondatori del socialismo).
Argomentò a favore della libertà personale ed economica, la separazione di stato e chiesa, la libertà di parola, parità di diritti per le donne, i diritti degli animali, la fine della schiavitù, l'abolizione di punizioni fisiche, il diritto al divorzio, il libero commercio, la difesa dall'usura, e la depenalizzazione della sodomia. Fu a favore delle tasse di successione, restrizioni sul monopolio, pensioni e assicurazioni sulla salute. Ideò e promosse un nuovo tipo di prigione, che Bentham chiamò Panopticon.
Morendo nel 1832 non lasciò solo il retaggio della sua dottrina morale e politica, ma anche quello di un'istituzione nuova in Inghilterra, l'Università di Londra, distinta dalle tradizionali università inglesi di Oxford e Cambridge per il suo carattere rigorosamente laico e subito tacciata dagli avversari come «l'Università senza Dio»
+ 1861 - Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, detto conte di Cavour, di Isolabella e di Leri, più semplicemente noto come Cavour (Torino, 10 agosto 1810 – Torino, 6 giugno 1861), è stato un politico italiano, protagonista del Risorgimento nella veste di capo del governo del Regno di Sardegna e successivamente in quella di primo Presidente del Consiglio del Regno d'Italia. È storicamente considerato, con Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Giuseppe Mazzini, tra i principali artefici dell'Unità d'Italia.
La famiglia
Camillo nacque da famiglia dell'antica nobiltà piemontese d'origine savoiarda, il cui patrimonio iniziò a vacillare, fino a giungere sull'orlo della bancarotta, nella seconda metà del XVIII secolo. La situazione economica fu risolta dall'arrivo in famiglia della nonna paterna di Camillo, la francese Filippina de Sales, che assunse le redini amministrative, dimostrando tutto lo spregiudicato pragmatismo della sua cultura illuminista e anti bigotta, nonostante fosse la pronipote del celebre santo e dottore della chiesa. La sua lingua madre restò il francese, ed usava l'italiano nella vita pubblica. Il padre di Camillo, Michele Benso, dimostrò d'aver pienamente ereditato lo spirito pratico della madre, iscrivendosi giovanissimo alla massoneria e schierandosi in favore di Napoleone che lo nominò barone dell'Impero. Ferito durante il servizio, si trasferì a Ginevra per farsi curare, ove conobbe e prese in moglie Adele, figlia del conte di Sellon, che gli diede due figli e gli consentì vaste aperture nella riservata cerchia degli uomini d'affari svizzeri. Il secondogenito Camillo ebbe questo nome perché fu tenuto a battesimo da Paolina Bonaparte e dal marito Camillo Borghese.
Dopo la caduta di Napoleone, la restaurazione seguita al congresso di Vienna fu per Michele Benso un vero disastro. La polizia piemontese lo aveva schedato come giacobino, la corte lo manteneva a distanza e la concessione per lo sfruttamento della tenuta reale La Mandria gli fu revocata. Riabilitato grazie ai buoni uffici dell'amico Carlo Alberto, Michele divenne sindaco di Torino nel 1833 e fu nominato, nel 1837, vicario di polizia della capitale sabauda, mantenendo l'incarico fino al 1847 e svolgendolo con zelo e rigore tali da attirarsi non poche critiche dagli ex compagni bonapartisti.
Qualunque sia il giudizio storico, è certo che Michele Benso dimostrò grande arguzia e capacità di adattamento, riuscendo a non farsi travolgere dagli eventi che sconvolsero l'intera Europa, durante il periodo napoleonico e in quello successivo. Ne trassero grandi benefici il primogenito Gustavo, la cui diligenza e resa scolastica facevano ben sperare una luminosa carriera, e il secondogenito Camillo, la cui insofferenza all'autorità ed allo studio non promettevano nulla di buono.
La giovinezza
Aristocratico piemontese di idee liberali, Cavour in gioventù frequentò il 5º corso della Regia Accademia Militare (conclusosi nel 1825) e nell'inverno 1826-27 grazie ai corsi della Scuola di Applicazione del Corpo Reale del Genio diventò ufficiale del genio. Alla conclusione del suo tirocinio militare presentò una memoria dal titolo Esposizione compita dell'origine, teoria, pratica, ed effetti del tiro di rimbalzo tanto su terra che sull'acqua.
Trasferito nel 1830 a Genova, ebbe modo di conoscere la marchesa Nina Giustiniani, con la quale avvierà una forte amicizia intrattenendo con lei un lungo rapporto epistolare.
In seguito abbandonò l'esercito e prese a viaggiare all'estero studiando lo sviluppo economico di paesi largamente industrializzati come la Francia e l'Inghilterra.
All'età di ventidue anni Cavour venne nominato sindaco di Grinzane, dove la famiglia aveva dei possedimenti, e ricoprì tale carica per ben diciassette anni. In questo lungo periodo, oltre a distinguersi come amministratore efficiente e capace, fu anche innovatore in campo agrario ed enologico: a Cavour infatti è attribuita l'invenzione del Barolo, inteso come procedimento di invecchiamento del vino Nebbiolo.
Nel 1916 Grinzane cambiò il suo nome in Grinzane Cavour proprio in onore del grande statista.
Il modello inglese
Ammiratore del liberismo economico e del liberalismo politico inglese, egli era convinto che con il metodo delle tempestive riforme si sarebbe evitato ogni sovvertimento socialista.
Osservava in proposito:
«L'umanità è diretta verso due scopi, l'uno politico, l'altro economico. Nell'ordine politico essa tende a modificare le proprie istituzioni in modo da chiamare un sempre maggior numero di cittadini alla partecipazione al potere politico. Nell'ordine economico essa mira evidentemente al miglioramento delle classi inferiori, ed a un miglior riparto dei prodotti della terra e dei capitali.» (da C.Cavour, Discorsi parlamentari, Firenze, 1932-1973)
Un realistico riformismo per necessità più che per convinzione il suo: le riforme vanno fatte quando sono ormai inevitabili perché, insistendo con una politica reazionaria, il rischio di una rivoluzione si fa reale, comportando così la perdita del potere gestito fino a quel momento. Un visione della politica che ricalca quella dell'economia: se voglio acquistare un oggetto, nello scontro tra domanda e offerta dovrò alla fine accettare il prezzo pattuito, altrimenti non potrò acquistare, o vendere, l'oggetto in questione.
Le prime idee politiche
Alla nascita, nel 1847, del partito moderato come alternativa riformista ai movimenti di ispirazione democratica e insurrezionale aveva contribuito anche il pensiero politico del giovane Cavour che nel 1846 così scriveva:
«In Italia una rivoluzione democratica non ha probabilità di successo[..] Il partito favorevole alle novità politiche[..] non incontra grandi simpatie nelle masse...in genere assai attaccate alle vecchie istituzioni del paese. La sua forza risiede nelle classi medie e in una parte della classe superiore. Su queste classi[..] così fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione dei giovani [inesperti ed ingenui] si può affermare che non esiste in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla sventura.»
Una lucida analisi politica, questa, sulla scarsa incisività dell'azione di Mazzini dovuta anche all'avversione culturale che le classi colte e le masse contadine cattoliche riservavano alla idea mazziniana di progresso democratico e di coinvolgimento popolare al processo unitario.
Per dirla secondo una definizione di Massimo D'Azeglio anche tra i moderati si formava L' opinione nazionale italiana.
Sempre nel 1846 Cavour aderiva all'idea (ispirata dal Gioberti) di una lega doganale come premessa di una futura federazione politica dei vari stati italiani.
Contrariamente a tanti cortigiani dei Savoia, timorosi delle novità politiche e tecnologiche, egli pensava, facendosi interprete delle esigenze della classe imprenditoriale e della aristocrazia illuminata, che la costruzione di ferrovie in Italia sarebbe stata la premessa della nostra emancipazione politica poiché in questo modo il paese sarebbe entrato in rapporto con le economie e con le idee degli stati europei più avanzati.
Nel 1847 fece la sua comparsa ufficiale sulla scena politica come fondatore, assieme a Cesare Balbo, del periodico "Risorgimento".
Prime esperienze parlamentari e di governo
Nel giugno del 1848 Cavour fu eletto deputato al Parlamento del Regno di Sardegna, il primo costituzionale, quel Parlamento che dovette gestire la prima guerra di indipendenza, la sconfitta e l'abdicazione di Carlo Alberto e la successione di Vittorio Emanuele II.
Il 29 marzo 1849 il nuovo Re si presentò davanti al Parlamento per pronunciare il giuramento di fedeltà e, il giorno dopo, lo sciolse indicendo le nuove elezioni per il 15 luglio. Il nuovo Parlamento si rifiutò di ratificare l'Armistizio di Vignale e il Re, appellandosi agli elettori con il proclama di Moncalieri, lo sciolse nuovamente. Grazie alle elezioni del 9 dicembre, il liberale moderato Massimo d'Azeglio otteneva finalmente un'ampia maggioranza per il governo formato già il 7 maggio 1849 e il 9 gennaio 1850 il trattato di pace con l'Austria venne, infine, ratificato.
In questi anni Cavour aveva mantenuto una linea politica indipendente, cosa che non lo escluse da critiche ma che lo mantenne in una situazione di anonimato fino alla proclamazione delle leggi Siccardi, che prevedevano l'abolizione di alcuni privilegi relativi alla Chiesa, già abrogati in molti stati europei. L'attiva partecipazione di Cavour alla discussione sulle leggi ne valse l'interesse pubblico.
Entrò a far parte del governo D'Azeglio nell'Ottobre del 1850, come ministro dell'Agricoltura, del Commercio e della Marina; il 19 aprile dell'anno successivo completò il suo controllo della vita economica del Paese con l'aggiunta alle sue competenze del Ministero delle Finanze.
Nel difendere al Senato Subalpino la politica economica liberista del governo e i trattati commerciali con la Francia, il Belgio e l'Inghilterra, Cavour affermava che coloro che sostenevano il protezionismo erano i naturali alleati dei socialisti. Il protezionismo, propugnando l'intervento dello stato nell'iniziativa privata, costituiva «La pietra angolare sulla quale il socialismo innalza le batterie con le quali intende abbattere l'antico edificio statale.» (C.Cavour, Discorsi parlamentari op. cit). Una tesi originale questa che voleva spaventare i reazionari accomunandoli ai sovversivi. Chi difendeva la libertà individuale non poteva non accettare il principio della libera concorrenza. (1)
Il connubio
Nel 1852 diede vita al cosiddetto "connubio": una forma di coalizione programmatica tra le componenti più moderate della destra liberale (i cui esponenti più rappresentativi erano Cavour stesso e il D'Azeglio) e della sinistra piemontese (guidata da Urbano Rattazzi), che lo portò nel novembre dello stesso anno a diventare Presidente del Consiglio dei ministri.
Il connubio mirava innanzitutto a ridurre all'impotenza l'opposizione rappresentata dalla vecchia aristocrazia fondiaria e clericale che si era battuta nel 1850 contro le leggi Siccardi e dai pochi rappresentanti della Sinistra democratica e dell'estrema guidate da Angelo Brofferio, Giuseppe Saracco e Agostino Depretis.
Scriveva Cavour qualche anno dopo:
«Io penso di aver reso con ciò un servizio al nostro paese, perché stimo di avere così innalzata una barriera abbastanza alta onde la reazione non venga mai a superarla.»
In realtà il connubio rappresentava quella che fin d'allora fu chiamata una dittatura parlamentare frutto di una politica che, escludendo ogni reale apporto dell'opposizione alla formazione delle leggi, mirava a una sorta di governo personale. Una politica che non rifuggendo dall'usare lo stesso strumento della Sinistra di Agostino Depretis nel 1882, può essere considerata, per certi aspetti, l'antesignana del famigerato trasformismo (cfr. Denis Mack Smith, Cavour. Il grande tessitore dell'unità d'Italia, Bompiani, 2001).
Questo giudizio può essere temperato se consideriamo che a parere di altri storici invece, come Luigi Salvatorelli, Cavour ebbe sempre un grande rispetto per la libertà e lo Statuto albertino in nome del quale si contrastò persino con il re Vittorio Emanuele II, non sempre disposto a fare la parte del sovrano costituzionale. Ciò non toglie, secondo lo storico Denis Mack Smith, che i deputati sapessero di dover fare quello che lui voleva.
Tale atteggiamento politico era dovuto anche al suo carattere che come ci racconta Petruccelli della Gattina ne I moribondi di palazzo Carignano (Milano 1862) era tale che « Conosce la gente che lo circonda, la stima poco, forse punto ed ha il torto di darlo a vedere. Non tollera eguali, non essendo abituato a incontrarne molti.»
Riforme economiche
Raggiunta la guida del Governo, Camillo Benso Conte di Cavour si diede al potenziamento economico-industriale del Regno di Sardegna, favorendo la costruzione di ferrovie e di strade (nel 1859 il Piemonte aveva 807 km di ferrovie, più di ogni altro stato italiano). Rese il porto di Genova il più grande d'Italia. Diede nuova vita all'agricoltura introducendo nuove coltivazioni e abolendo il dazio sul grano, facendo opere di bonifica e costruzione di canali d'irrigazione. Favorì la creazione di un'industria siderurgica e il potenziamento dell'industria tessile.
Tutto ciò comportò un alto costo finanziario che Cavour affrontò contraendo pesanti prestiti con la Francia e l'Inghilterra i cui rimborsi furono coperti con gravose tassazioni che non risparmiarono neppure i generi alimentari con grave disagio dei ceti più deboli. Tra gli affari e la politica, sta la partecipazione di Cavour alla creazione dei primi moderni istituti di credito a Genova e a Torino, destinati a confluire nella Banca Nazionale degli Stati Sardi che più tardi divenne Banca d'Italia.
I rapporti tra Stato e Chiesa
Fin dal 1850 si era proceduto in Piemonte ad un'opera di laicizzazione dello stato tanto più necessaria per un paese dove sopravvivevano residui medioevali come il diritto d'asilo per chiese e conventi che le leggi Siccardi alla fine riuscirono a cancellare nonostante l'opposizione clericale guidata dall'arcivescovo di Torino Luigi Fransoni arrestato e condannato ad un mese di carcere. Ancora nel 1852 non si riuscì a far approvare un progetto di legge che istituiva il matrimonio civile per l'opposizione del Senato e del Re. (2)
Anche Cavour nel 1855 dovette affrontare l'opposizione cattolica in relazione ad un progetto di legge per la soppressione degli ordini religiosi non dediti all'insegnamento o all'assistenza dei malati e l'incameramento dei loro beni allo stato. La forte maggioranza parlamentare di Cavour dovette arrendersi di fronte all'opposizione del clero e di una parte dell'opinione pubblica, ma soprattutto per l'intervento del Re. Cavour si dimise aprendo una crisi costituzionale chiamata crisi Calabiana dal nome del vescovo di Casale Luigi Nazari di Calabiana avversario del progetto di legge. Lo scontro si risolse con un compromesso. Cavour ritirò le dimissioni e la legge fu ripresentata in termini molto più moderati rispetto alla precedente.
Il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa si ripresentò dopo l'unità aggravato dalla forte intransigenza di papa Pio IX nei confronti dello stato italiano che aveva proclamato Roma capitale del nuovo regno. Seguendo il metodo diplomatico, Cavour aveva avviato trattative segrete con Napoleone III, tutore della Chiesa cattolica e con lo stesso Papato offrendogli l'abbandono di ogni pretesa giurisdizionalistica di controllo regalistico sulla Chiesa da parte dello stato italiano in cambio della rinuncia al potere temporale dei Papi. (3) Era la famosa formula della «Libera Chiesa in libero Stato» che Cavour non ebbe modo di mettere in pratica per la sua morte improvvisa.
Il rifiuto di papa Pio IX suscitò la reazione dell'anticlericalismo liberale e dei democratici mazziniani e garibaldini convinti che il problema di Roma capitale si potesse risolvere solo col metodo rivoluzionario.
La politica estera e la questione italiana
Il programma politico di Cavour riguardo il problema italiano non prevedeva, come fu fatto credere dall'agiografia risorgimentale dopo l'unità, di unificare l'Italia. (4) Per esempio, durante il Congresso di Parigi nel 1856, dopo l'incontro con Daniele Manin, un capo della Società Nazionale Italiana, Cavour scrisse che Manin gli aveva parlato "dell'unità d'Italia ed altre corbellerie" (5). L'obiettivo di Cavour era quello di creare un forte Stato nel Settentrione sotto la corona dei Savoia, con l'annessione della Lombardia e del Veneto. Questo progetto, d'altra parte, corrispondeva alle tradizionali aspirazioni dei Savoia all'unificazione della pianura Padana interrotta al fiume Ticino dalla presenza austriaca in Lombardia. Il Piemonte non avrebbe potuto conseguire da solo un simile risultato, che avrebbe alterato il quadro politico europeo, senza il consenso e l'aiuto delle maggiori potenze europee.
La guerra di Crimea
La guerra di Crimea scoppiata nel 1854 fu per Cavour l'occasione di presentare la questione italiana all'attenzione dell'opinione pubblica europea, mettendola sull'avviso del pericolo rivoluzionario presente in Italia per le numerose iniziative democratico-repubblicane mazziniane. L'episodio bellico faceva parte della travagliata Questione d'oriente: Francia e Gran Bretagna alleate combattevano contro la Russia, che tentava di espandersi a loro danno nella penisola balcanica. Cavour offrì l'alleanza del Piemonte alle grandi potenze, inviando in Crimea un corpo d'armata di 18.000 uomini al comando del Generale Alfonso La Marmora, che si distinse nella battaglia della Cernaia.
La pace fu firmata nel 1856 al Congresso di Parigi con la presenza del rappresentante dell'Austria. Cavour non chiese alcun compenso per la partecipazione alla guerra, ma ottenne che una seduta fosse dedicata espressamente a discutere il problema italiano: egli poté quindi sostenere pubblicamente che la repressione dei governi reazionari e la politica dell'Austria erano i veri responsabili dell'inquietudine rivoluzionaria che covava nella penisola e che avrebbe potuto costituire una minaccia per i governi di tutta Europa.
Cavour e Napoleone III
Suscitata l'attenzione delle potenze europee sulla questione italiana, per risolverla era necessario l'appoggio militare della Francia, dove forte era però l'opposizione dei cattolici ansiosi per il futuro della Chiesa romana. D'altra parte l'Inghilterra, assecondata dal governo prussiano, si adoperava per una soluzione diplomatica per evitare una guerra che avrebbe alterato a favore della Francia l'equilibrio europeo. Si doveva perciò convincere con ogni mezzo Napoleone III, conservatore all'interno, ma sostenitore di una politica estera di "grandeur" improntata al principio napoleonico della Francia portatrice di libertà ai popoli oppressi protetti e subordinati agli interessi francesi.
Dopo una lunga serie di trattative, fomentate da accordi matrimoniali, da opere di seduzione, e favorite, paradossalmente, persino dall'attentato del repubblicano ex mazziniano Felice Orsini che voleva vendicare l'intervento nel 1849 della Francia contro la Repubblica Romana, si arrivò finalmente nel 1858 agli accordi segreti di Plombières.
Si stipulava un trattato difensivo-offensivo ai danni dell'Impero asburgico (che verrà ratificato l'anno successivo), secondo il quale in caso di attacco militare provocato di questi, la Francia sarebbe intervenuta in difesa del Regno di Sardegna con il compito di liberare dal dominio austriaco le province dal Ticino alle Alpi, ricevendo, come compenso dell'aiuto offerto, i territori di Nizza e della Savoia, la culla della dinastia sabauda, che Cavour, premuto da Vittorio Emanuele II che minacciava di far saltare tutto, cercò invano di evitare che divenisse francese.
Gli accordi di Plombières
La penisola italiana sarebbe stata territorialmente e politicamente divisa in quattro stati, legati in una futura Confederazione presieduta dal pontefice:
+ il Regno dell'Alta Italia, con capitale Torino, da costituirsi tramite l'estensione del Regno di Sardegna, privo della Savoia e probabilmente di Nizza (richieste dalla Francia), alla Lombardia ed alle province venete almeno da Verona all'Istria costiera ed alle coste dalmate da Zara fino alle Bocche di Cattaro;
+ il Regno dell'Italia centrale, con capitale Firenze, retto dal cugino dell'Imperatore Napoleone Gerolamo e composto dalla Toscana, dai ducati di Parma e di Modena e dalle Legazioni, dalle Marche e dall'Umbria sottratti ai domini papalini;
+ lo Stato Pontificio, al quale restava all'incirca l'odierno Lazio, con capitale Roma;
+ il Regno dell'Italia meridionale, con capitale Napoli, che avrebbe continuato ad esser retto dal Borbone oppure sul cui trono sarebbe salito un altro principe francese, presumibilmente Luciano Murat, figlio di Gioacchino già Re di Napoli.
Fatta eccezione per il Nord, governato da Vittorio Emanuele II, che sarebbe stato pur sempre subordinato al suo protettore francese, il resto d'Italia sarebbe stato, direttamente o indirettamente, governato dalla Francia. Una prospettiva questa che allontanava ogni speranza di una futura unità nazionale.
La seconda guerra d'indipendenza e le annessioni
Dopo gli accordi di Plombières, Cavour escogitò un modo per convincere l'Austria a dichiarare guerra al Piemonte: con il pretesto di compiere esercitazioni, portò i soldati piemontesi al Ticino, il fiume che segnava il confine tra Austria e Piemonte. L'Austria, allarmata, diede a Cavour un ultimatum, ma poiché non se ne andò, l'Austria dichiarò guerra al Piemonte, facendo scattare le condizioni degli accordi con la Francia.
Napoleone III, che pretese il comando supremo delle forze alleate, cosa poco gradita a Vittorio Emanuele, iniziò la guerra con una serie di scontri vittoriosi ma con molte perdite specie per i soldati francesi. Questo causò un rinfocolarsi dell'opinione pubblica in Francia che non aveva mai condiviso in pieno i motivi che portavano i giovani francesi a combattere in Italia.
Mentre nel Nord Italia Garibaldi con i suoi cacciatori era arrivato con una serie di vittorie nei pressi del Veneto, nei ducati emiliani, nelle legazioni pontificie, nel Granducato di Toscana grandi manifestazioni popolari cacciavano i governi filoaustriaci e chiedevano l'invio di commissari regi sabaudi.
Ciò mandava in fumo la spartizione dell'Italia prevista dai patti di Plombières; motivo questo, oltre all'opposizione interna, che convinse l'imperatore con atto unilaterale a firmare all'insaputa di Vittorio Emanuele un armistizio con l'Austria a Villafranca l'11 luglio 1859, poi confermato dalla Pace di Zurigo, stipulata l'11 novembre. Le clausole del trattato prevedevano che a Vittorio Emanuele II sarebbe andata la sola Lombardia e che per il resto tutto sarebbe tornato allo status quo ante. Ma i governi provvisori filosabaudi di Firenze, Parma, Modena, Bologna, rifiutavano ogni tentativo di restaurazione. L'Inghilterra era ora favorevole ad una soluzione che estromettesse la Francia da ogni ingerenza in Italia.
A questo punto il genio politico di Cavour ebbe modo di manifestarsi con una soluzione che garantiva gli interessi piemontesi e nello stesso tempo salvava la faccia all'imperatore, che, non avendo rispettato gli accordi di Plombières, se ne sarebbe dovuto tornare in Francia a mani vuote. Cavour, a nome del re, si disse disposto a cedere i non dovuti territori di Nizza e Savoia in cambio del riconoscimento francese delle annessioni, tramite plebisciti, al Piemonte delle regioni liberatesi. Così avvenne nella primavera 1860 (11 e 12 marzo plebisciti in Emilia e Toscana, 15 e 22 aprile plebisciti in Savoia e a Nizza). Da ora nei piani dello statista piemontese cominciava ad essere presa in considerazione l'idea di una completa unificazione italiana, rovesciando la situazione creata dalla Pace di Zurigo.
Cavour e Garibaldi
Con l'incontro-scontro tra lo statista Cavour e il generale Garibaldi, i due progetti, quello sabaudo, politico e diplomatico, e quello rivoluzionario popolare alla fine andarono verso un solo unico fine: l'unità d'Italia.
Era giunta l'ora dell'avventurosa spedizione dei Mille che Cavour aveva avversato senza riuscire a fermarla durante la fase preparatoria. Egli infatti temeva, contrariamente al Re pronto a prendere, senza compromettersi, tutto ciò che di buono poteva venire dall'impresa, la reazione delle potenze europee, in primo luogo della Francia delusa dalla guerra in Italia e ansiosa per le sorti del papa minacciato dal massone Garibaldi e dal repubblicano Mazzini.
Cavour quindi cercò di bloccare l'avanzata vittoriosa dei garibaldini, che in agosto si apprestavano a passare dalla Sicilia al continente, organizzando segretamente con navi piemontesi il trasporto negli Abruzzi e in Calabria di armi destinate alle forze borboniche (cfr. C.Cavour, Lettere edite e inedite, Torino 1883-87).
Tuttavia lo statista pensava di non doversi opporre apertamente né al re e neppure al "dittatore", come si legge in una lettera del 9 agosto 1860 a Costantino Nigra:
« Se domani entrassi in lotta con Garibaldi, potrei avere in mio favore la maggioranza dei vecchi diplomatici, ma l'opinione pubblica europea sarebbe contro di me e l'opinione pubblica avrebbe ragione, poiché Garibaldi ha reso all'Italia il più grande dei servigi che un uomo potesse renderle: ha dato agli Italiani la fiducia in se stessi. » (in C.Cavour, Lettere..., op. cit.)
Ormai di fronte ai fatti compiuti non restava a Cavour che aspettare il momento propizio per sfruttare l'impresa in senso moderato.
Il che compiutamente avvenne quando, appena terminata la decisiva battaglia del Volturno, Cavour pretese che in gran fretta si organizzasse l'annessione immediata di Napoli e della Sicilia (2 ottobre 1860), sancita da un plebiscito (21 ottobre 1860). Egli in effetti temeva, più di Garibaldi, Giuseppe Mazzini, che gli stava alle spalle:
«Facciasi fermamente la rivoluzione a Napoli e a Palermo e in breve tempo l'autorità e l'impero [il governo] trapasseranno dalle mani gloriose di chi scriveva nel proprio vessillo: "Italia e Vittorio Emanuele", in quelle di gente che a tal formula pratica sostituisce il cupo e mistico simbolo dei settari: "Dio e Popolo".»
Anche Garibaldi era convinto di avere in Cavour un nemico, tanto da chiedere al re, di cui conosceva la scarsa simpatia per il suo primo ministro, di sostituirlo al governo, poiché cospirava alle sue spalle:
«Io tacqui sino a questo momento tutte le turpi contrarietà da me sofferte da Cavour, da Farini ecc., oggi però che ci avviciniamo allo sviluppo del gran dramma italiano, io devo implorare dalla M.V., per il bene della Santa Causa che io servo, l'allontanamento di quegli individui.» (in D.Mack Smith, Cavour e Garibaldi nel 1860, Torino, 1972).)
Il re naturalmente fece orecchie da mercante all'accorato appello. La sfida tra i due si risolse con la vittoria di Cavour che, con l'appoggio dello stesso sovrano, che sulla simpatia per Garibaldi faceva prevalere l'interesse dinastico, riuscì a dare una svolta conservatrice al processo unitario italiano.
Le speranze mazziniane furono disperse e quale fosse la considerazione dei garibaldini si capì quando fu loro rifiutato di essere incorporati nell'esercito regio. Il sovrano non presenziò neppure alla loro parata d'addio, il 6 novembre 1860, ed entrò in Napoli il giorno successivo senza di loro.
Morte di Cavour
Nel gennaio 1861 si tennero le elezioni per il primo Parlamento italiano unitario, la cui prima convocazione fu fissata per il 18 febbraio 1861; il 17 marzo il Parlamento proclamò il Regno d'Italia e Vittorio Emanuele suo re, mentre Cavour veniva confermato alla guida del governo. Nei primi mesi di vita del nuovo Parlamento vi furono diverse riunioni burrascose, che impegnarono pesantemente Cavour. Il 29 maggio, dopo una di queste riunioni, lo statista ebbe un malore, attribuito dal suo medico curante, il dottor Rossi, ad una delle crisi malariche che lo colpivano periodicamente da quando -in gioventù- aveva contratto la malaria nelle risaie di famiglia del vercellese. Peraltro, in questa occasione tutte le cure praticate al Cavour non ebbero alcun effetto, tanto che il conte chiese di vedere un sacerdote francescano suo amico, padre Giacomo da Poirino, il quale - dopo un lungo colloquio e senza alcuna ritrattazione per le note vicende che lo avevano contrapposto allo Stato della Chiesa - gli somministrò, nonostante la scomunica, tutti i Sacramenti, poiché Cavour, come egli stesso disse, voleva "morire da buon cristiano". Il fatto costò comunque caro al povero frate che venne sospeso a divinis da Pio IX e dovette attendere il 1878, con l'ascesa al soglio pontificio di Leone XIII, per essere pienamente reintegrato nelle sue funzioni sacerdotali. Il 6 giugno 1861, a meno di tre mesi dalla proclamazione del Regno d'Italia, Cavour moriva a Torino nel palazzo di famiglia; la sua morte suscitò immenso cordoglio, anche perché del tutto inattesa, ed ai funerali vi fu straordinaria partecipazione. Tra le molte frasi attribuitegli nel delirio prima della morte, gli storici sembrano concordare su due: "Libera Chiesa in libero Stato" e "L'Italia è fatta".
L'eredità di Cavour
Alla sua morte Cavour lasciava alla classe politica italiana una pesante eredità. Come se i gravi problemi politici da risolvere fossero una questione morale e pedagogica, Cavour -che aveva ben compreso come l'Unità d'Italia fosse stata in realtà una "forzatura", un fortuito ed insieme calcolato concatenarsi di avvenimenti diplomatici e politici, di guerre dinastiche e di insurrezioni popolari- poneva in gioco le sue preoccupate considerazioni: il suo compito era stato "fare un'Italia unica". Fondere insieme i vari elementi componenti l'Italia stessa, accordare Nord e Sud, risolvere la questione di Roma capitale, tutto ciò presentava in realtà le stesse difficoltà di una guerra con l'Austria. Questo sarebbe stato in definitiva il difficile compito dei suoi eredi politici, gli uomini della Destra storica che avrebbero governato quasi ininterrottamente fino al 1878.
Di lui scrisse Montanelli: "Solo dopo l'unificazione, Cavour scese a visitare Bologna, Firenze e Pisa, ma oltre l'Arno non andò mai. E al ritorno disse al suo segretario: "Meno male che abbiamo fatto l'Italia prima di conoscerla".
A Cavour succedette il fiorentino Bettino Ricasoli come presidente del Consiglio.
Note
1. In questo periodo storico in realtà il protezionismo tutelava gli interessi delle classi privilegiate mentre il socialismo aspirava ad un'economia di stato nell'interesse dell'intera collettività.
2. Fu poi istituito nel 1865 dal nuovo Regno d'Italia.
3. Al Re spettava il "gradimento" della nomina dei vescovi e della relativa assegnazione del beneficio ecclesiastico della sede vescovile.
4. Confronta l'illuminante testo di Mario Isnenghi in L'unità italiana in AA.VV., Tesi, antitesi, romanticismo-futurismo, Messina-Firenze, 1974.
5. Holt, The Making of Italy: 1815-1870, p.195.
6. Il progetto mazziniano prevedeva di spingere l'avanzata garibaldina sino a Roma e qui instaurare una Costituente col compito di stabilire la futura forma istituzionale delle terre liberate.
Bibliografia di riferimento
Rosario Romeo, Vita di Cavour , Bari, Laterza, 2004 .
+ 1960 - Carl Gustav Jung (Kesswil, 26 luglio 1875 – Küsnacht, 6 giugno 1961) è stato uno psichiatra e psicoanalista svizzero. La sua tecnica e teoria di derivazione psicoanalitica è chiamata "psicologia analitica".
Inizialmente vicino alle concezioni di Sigmund Freud se ne allontanò definitivamente nel 1913, dopo un processo di differenziazione concettuale culminato con la pubblicazione, nel 1912, di La libido: simboli e trasformazioni. In questo libro egli esponeva il suo orientamento, ampliando la ricerca analitica dalla storia personale del singolo alla storia della collettività umana. L'inconscio non è più solo quello individuale, prodotto dalla rimozione, ma nell'individuo esiste anche un inconscio collettivo che si esprime negli archetipi.
In Italia l'orientamento junghiano della psicoanalisi è stato introdotto da Ernst Bernhard.
Formazione
Nacque nel 1875 da Paul Achilles Jung (1842-1896), un teologo oltre che pastore protestante, e da Emilie Preiswerk (1848-1923) a Kesswil, nel cantone svizzero di Turgovia dopo pochi mesi la famiglia si trasferisce a Sciaffusa e nel 1879 a Klein Hüningen (un paese ora inglobato nella periferia di Basilea) dove il padre diventa rettore della pieve esercitando in seguito anche la funzione di cappellano nel manicomio della città.
È un bambino solitario, sarà figlio unico per nove anni fino alla nascita della sorella Johanna Gertrud, detta "Trudi" (1884-1935). Il suo amico d'infanzia Albert Oeri (1875-1950) ricorda il primo incontro con Carl, quando entrambi erano molto piccoli: lo descrive come "un mostro di asocialità", concentrato sui propri giochi e tutto il contrario di quello che aveva conosciuto all'asilo del paese, dove i bambini giocavano, si picchiavano e comunque stavano sempre insieme. I due resteranno legati da amicizia per tutta la vita.
Durante il liceo ebbe tra gli insegnanti Jacob Burckhardt che gli parlò di Johann Jakob Bachofen, mentre le sue letture spaziavano da letteratura a filosofia, da teoria della religione allo spiritualismo (Mörike, Goethe, soprattutto il Faust e le conversazioni con Johann Peter Eckermann, Kant, Swedenborg, Schopenhauer ecc.) Il libro che lo colpì di più Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche.
Nel 1895 si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Basilea e nel 1900 si laureò in medicina con la tesi Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti una trattazione sui fenomeni medianici della cugina, Hélène Preiswerk detta "Helly" (1880-1911), che pubblicò nel 1902.
Nel dicembre 1900 cominciò a lavorare all'istituto psichiatrico di Zurigo, il Burghölzli, diretto da Eugen Bleuler. Nell'inverno 1902-3 Jung fu a Parigi per frequentare le lezioni di Pierre Janet. Nel 1903 sposò Emma Rauschenbach (1882-1955), che rimase con lui fino alla morte. Nel 1905 fu promosso ai vertici del Burgholzli e divenne libero docente all'Università di Zurigo, dove rimase fino al 1913. Tra il 1904 e il 1907 pubblicò vari studi sul test di associazione verbale e nel 1907 il libro Psicologia della dementia praecox.
La personalità scientifica di Jung si manifesta con il concetto di "complesso". Esso è un insieme strutturato di rappresentazioni, consce e meno consce, dotate di una forte carica affettiva. La psiche umana è un insieme indeterminato ed indeterminabile di complessi, tra i quali è da considerarsi lo stesso Io, il complesso che ha l'appannaggio della coscienza ed è in relazione con tutti gli altri. Quando questa relazione si indebolisce o si spezza, gli altri complessi si fanno autonomi, inconsci, e si arrogano la possibilità di dirigere l'azione, con un processo di dissociazione che è all'origine del disagio psichico.
L'incontro con Sigmund Freud
Nel 1906 aderì alla psicoanalisi e iniziò la corrispondenza con Freud, che incontrò personalmente per la prima volta a Vienna nel 1907. In seguito lo incontrò nuovamente in Svizzera a Zurigo, dove scrissero un libro assieme.
Nel 1909 Jung, assieme a Freud e Ferenczi, si recò alla Clark University di Worcester, nel Massachusetts, dove ricevette la laurea honoris causa in legge. Nel 1910 fu eletto presidente della Associazione psicoanalitica internazionale e direttore dello "Jahrbuch", la rivista ufficiale della società. In questo periodo, iniziò ad essere descritto come il "delfino" della psicoanalisi, il possibile successore di Freud alla guida del movimento psicoanalitico.
Nel 1909 si ebbero però le prime avvisaglie della separazione che in seguito sarà all'origine dell'articolarsi dei due principali orientamenti storici della psicoanalisi, intesa sia come terapia che come via per la conoscenza della psiche. Nel 1909 infatti la Clark University invitò sia Freud sia il suo più importante collaboratore, Jung, a tenere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti.
Durante il lungo viaggio in nave i due pionieri della psicoanalisi analizzarono reciprocamente i loro rispettivi sogni. In questa psicoanalisi sull'oceano dove i due fungevano entrambi da psicoanalisti e da pazienti, Freud manifestò, a detta di Jung, un atteggiamento di reticenza su alcuni particolari della sua vita privata che invece sarebbero serviti a Jung per una più attenta interpretazione. Ad aggravare questa situazione però fu il fatto che Freud su questo punto fu molto chiaro: il motivo della sua reticenza era che non poteva permettersi la libertà di mettere a repentaglio la sua autorità. Fu proprio in quel momento invece che Jung cominciò a mettere in discussione la propria stima per Freud che sino ad allora aveva avuto.
La separazione da Freud e il nuovo orientamento della psicoanalisi
Nel 1912 Jung pubblicò il suo testo fondamentale Trasformazioni e simboli della libido, dove erano presenti i primi disaccordi teorici con Freud assieme al primo abbozzo di una concezione finalistica della psiche. I disaccordi continuarono nelle conferenze sulla psicoanalisi (Fordham lectures) tenute da Jung lo stesso anno a New York. L'aspetto centrale delle differenze teoriche risiedeva in un diverso modo di concepire la libido: mentre per Freud il "motore primo" dello psichismo risiedeva nella pulsionalità sessuale, Jung proponeva di riarticolare ed estendere il costrutto teorico di Libido, rendendolo così comprensivo anche di altri aspetti pulsionali costitutivi "dell'energia psichica".
La "sessualità" passa così dall'essere costrutto unico e centrale nella metapsicologia freudiana, a costrutto importante ma non esclusivo della vita psichica in quella junghiana. La libido è l'energia psichica in generale, motore di ogni manifestazione umana, compresa la sessualità. Essa va aldilà di una semplice matrice istintuale proprio perché non è interpretabile solo in termini causali. Le sue "trasformazioni", necessarie a spiegare l'infinita varietà di modi in cui si dà l'uomo, sono dovute alla presenza di un particolare apparato di conversione dell'energia, la funzione simbolica.
Il termine "simbolo" è poi inteso secondo una concezione del tutto opposta a quella di Freud, il quale aveva assimilato il concetto di simbolo a quello di segno, sulla base dell'elemento comune del rinvio. Ma mentre il segno compone in modo puramente convenzionale qualcosa con qualcos'altro (aliquid stat pro aliquo), il simbolo è un caso particolare del segno in cui, pur rimanendo l'elemento genericamente semiotico del rinvio, questo rinvio non è diretto ad una realtà determinata da una convenzione, ma alla ricomposizione di un intero, come vuole l'etimologia della parola. Ecco qui un'altra differenza con Freud: se egli interpretava le fantasie inconsce alla stregua di meri segni di pulsioni, inaccettabili per la coscienza, per Jung esse sono, se interpretate adeguatamente dall'io, simboli di nuove realizzazioni psichiche. Solo così si rende conto del carattere costitutivamente aperto al nuovo della psiche, invece di ancorare quest'ultima al passato in un'inarrestabile coazione a ripetere. La funzione trascendente è capace di superare le opposizioni di cui la psiche è costituita proprio attraverso la produzione di simboli. Essa opera affinché possa avere luogo l'individuazione, cioè quel processo sintetico che coinvolge gli opposti che costituiscono l'uomo, e nel quale l'individuo si riconosce nella sua autonomia dagli stereotipi culturali. L'adattamento trova la sua ideale prosecuzione in questo processo, diviso in un momento di distinzione degli opposti (da cui si fa un "passo indietro") e in uno di integrazione di questi ultimi.
Il conflitto tra Freud e Jung crebbe al quarto congresso dell'Associazione Psicoanalitica, svoltosi a Monaco nell'agosto del 1913 contro le posizioni psicoanalitiche espresse da Janet durante la sessione dedicata alla psicoanalisi. Nell'ottobre successivo si ebbe la rottura ufficiale, Jung si dimise dalla carica di direttore dello "Jahrbuch". Ad aprile 1914 si dimise da presidente dell'Associazione e uscì definitivamente dal movimento psicoanalitico.
La psicoanalisi, quale creatura i cui meriti di gestazione erano ascritti al solo Freud, per la cui nascita aveva pagato con l'isolamento e l'ostracismo da parte del mondo accademico ufficiale, questa psicoanalisi quale nuova via della conoscenza, per Jung era divenuta più importante dello stesso padre che l'aveva generata. Era nata dal lavoro di Freud, ma adesso si trattava di farla crescere.
L'aspetto che li differenziava di più era la concezione dell'inconscio. Freud affermava che l'inconscio alla nascita era un contenitore vuoto e durante la vita si riempiva delle cose che la coscienza riteneva "inutili" o dannose per l'Io, attraverso la rimozione. Al contrario, Jung asseriva che la coscienza nasceva dall'inconscio, che aveva quindi già una sua autonomia. Inoltre, secondo Jung, la psicoanalisi di Freud era schematica e teneva poco conto della persona nel suo contesto vitale. Invece Jung dava importanza alla persona ed al suo contesto, così diede via alla sua "psicologia analitica" che voleva essere non solo uno strumento per guarire da patologie psichiche ma anche una concezione del mondo, o ancor meglio uno strumento per adattare la propria anima alla vita e poterne cogliere tutte le potenzialità di espressione e specificità individuale. Egli chiamò questo percorso "individuazione".
Al concetto di individuazione si lega la nozione di archetipo. Jung ipotizza che alla trasformazione della libido e ai suoi simboli sia sottesa una pluralità indeterminata di "immagini primordiali", collettiva e immutabile, intese come una sorta di kantiane "forme a priori" che concorrono, come serbatoio originario dell'immaginazione, alla formazione dei simboli. La funzione trascendente proietta l'individuo al di fuori di sé, sul piano di un pensiero inconscio collettivo. Se la coscienza riesce a sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti dei prodotti di questa facoltà, i simboli, l'individuo può liberarsi del suo disagio riaffrontandolo da un punto di vista diverso, "trascendentale". Inoltre egli, nel differenziarsi da queste matrici collettive di senso e dagli istinti primordiali, può integrare i valori universali custoditi dalla cultura, trovando una modalità personale di attuarli.
Gli inizi di Jung analista in proprio
Alla fine del 1913, Jung, che aveva già quattro figli (Agathe Regina, Anna Margaretha, Franz Karl e Marianne detta "Nannerl") e aspettava da Emma la quinta e ultima figlia (Emma Helene detta "Lil"), incontrò Toni Wolff (1888-1953), che da paziente si trasformò in analista e amante dello stesso in un triangolo emozionale che non escludeva la moglie, la quale reagì secondo quel che si sarebbe aspettato da una rappresentante alto-borghese della dignità familiare: fingendo di ignorare.
Una volta staccatosi da Freud, Jung cominciò ad attrarre attorno a sé un proprio gruppo di pazienti, studenti e analisti, tra i quali vanno ricordati Franz Beda Riklin (1878-1938), Maria Moltzer (1874-1944), Hans Trüb (cognato di Toni Wolff), Emilii Medtner (1872-[[1936])), Linda Fierz-David (1891-1955) e Edith Rockfeller McCormick (1872-1932) che con la sua ricchezza quasi smisurata aiutò il già (per via della moglie) ricco Jung a sviluppare ulteriormente una scuola analitica, fondando il "Psychologischer Club" di Zurigo (nato nel 1913 e ancora attivo).
Altre persone che aiutarono in qualche modo lo sviluppo del pensiero junghiano negli anni 1913-1920 furono il pastore Adolf Keller (la cui moglie Tina rimase amica con Emma anche dopo la rottura tra lui e Jung), Alphons Maeder (1882-1971), Oskar Pfister (1873-1956, che rimase più fedele a Freud) e Hans Schmid-Guisan (1881-1932) che seppure viveva a Basilea fu sempre a stretto contatto con Jung (tanto che la figlia, Marie-Jeanne Schmid, fece poi da segretaria a quest'ultimo dal 1932 al [[1952]).
I tipi psicologici
Un altro concetto fondamentale, il tipo, viene introdotto da Jung con la pubblicazione di Tipi psicologici. L'oggetto dell'opera è una classificazione degli individui secondo "tipologie psicologiche", che prendono le mosse dalle caratteristiche del loro adattamento. Essi si articolano attorno alla fondamentale polarità "Introverso/Estroverso", ed alla conseguente distinzione di due individui tipici fondamentali. Individuati dall'opposto orientamento generale della loro libido primaria (intro-versa o estro-versa) riprendono, in individui diversi, il ritmo sistole/diastole tematizzato da Goethe.
Per spiegare le rilevanti differenze individuali all'interno dei gruppi, Jung incrocia l'iniziale modello bipolare con una ulteriore quadripartizione in "funzioni" psichiche (il pensiero, il sentimento, la sensazione e l'intuizione).
L'appartenenza ad uno di questi quattro sottogruppi è motivata dalla funzione che nel corso dell'adattamento viene privilegiata, e a cui l'individuo, a partire dall'infanzia, affida le sue principali speranze di riuscita. La combinazione tra questi due "assi" (quello Introversione/Estroversione e quello delle 4 funzioni) dà luogo agli otto tipi psicologici individuali. Ciò che preme a Jung non è però presentare un'ennesima classificazione delle personalità, ma relativizzarne l'esperienza fenomenologica. È l'orientamento della coscienza dunque, il suo intenzionarsi, che viene classificato, e non un banale coacervo di caratteristiche individuali.
Questa teoria assume rilievo nel processo di individuazione, nel quale è necessario che l'Io sia consapevole dell'atteggiamento psicologico che si è reso dominante o esclusivo. Solo superando la propria unilaterale adesione ad un modo di rappresentare la realtà e aprendosi agli altri modi, l'individuo può davvero affermare la sua autonomia da modelli collettivi accettati inconsapevolmente (che siano gli archetipi dell'inconscio collettivo o le "modalità di funzionamento" della facoltà di rappresentare, considerata nella sua formalità).
La "scelta" del tipo psicologico a cui l'individuo appartiene corrisponde, infatti, più ad esigenze collettive che individuali. Mostrare il valore delle opzioni trascurate dallo sviluppo è il compito dell'individuazione, allo studio e alla pratica della quale d'ora in poi la psicologia analitica si consacrerà. Diventa così possibile il confronto con le funzioni arrestatesi ad uno stadio arcaico dello sviluppo, integrandole in un'individualità dinamicamente matura.
Il carisma di psicoterapeuta
Benché tra gli studi e i viaggi (non escluso il servizi militare svizzero periodico), Jung non aveva molto tempo per la pratica analitica, ma ciononostante andarono a consultarsi e curarsi presso di lui molte persone, soprattutto donne, tra cui Herbert Oczeret (1884-1948), Aline Valangin (1889-1986), Sabina Spielrein, Hermann Hesse, Ermanno Wolf-Ferrari, Beatrice Moses Hinkle (1874-1953), M. K. Bradby (poi divulgatrice del suo pensiero), Montague David e Edith Eder, Eugen e Erika Schlegel, Constance Long, Mary Bell, Helen Shaw, Adela Wharton, Mary Esther Harding (1888-1971), Kristine Mann (1873-1945) e Helton Godwin Baynes detto "Peter" (1882-1943). Mentre si spargeva il suo carisma, qualcuno era critico e non sopportava quel che ai proprio occhi sembrava un vuoto culto della personalità (tra questi anche James Joyce, al momento in Zurigo).
Comunque, Jung aveva ormai quasi 50 anni e riuscì, come aveva in mente da tempo, a costruire una casa (detta "Turm", torre) nel villaggio di Bollingen, affacciata sul lago. Lo aiutò nei disegni il giovane architetto Walther Niehus, fratello di Kurt, che aveva sposato la figlia Agathe e che a sua volta sposerà la figlia Marianne. Durante la lenta costruzione, Jung organizzò nel 1925 una spedizione in Africa, con George Beckwith (1896-1931), Peter Baynes (marito di Hilda, già paziente di Jung e poi di Baynes, quindi suicida) e Ruth Bailey, una nobildonna inglese incontrata durante il viaggio in nave e che vivrà con Jung dalla morte della moglie Emma (1955, come fu lei a chiederle) in poi (ossia fino al 1961, anno di morte di Jung stesso).
La spedizione "Bugishu", verso il Kenya e l'Uganda attraverso il Monte Elgon, filmata da Baynes con una cinepresa, portò Jung a contatto con riti e miti delle popolazioni indigene, ma soprattutto con il proprio inconscio.
Archetipi
La psiche è composta oltre che dalla parte inconscia, individuale e collettiva, anche dalla parte conscia. La dinamica tra la parte conscia e quella inconscia è considerata da Jung come ciò che permette all'individuo di affrontare un lungo percorso per realizzare la propria personalità in un processo che egli denomina "individuazione". In questo percorso l'individuo incontra e si scontra con delle organizzazione archetipe (inconsce) della propria personalità: solo affrontandole egli potrà dilatare maggiormente la propria coscienza. Esse sono "la Persona", "l'Ombra", "l'Animus o l'Anima" e "il sé".
La Persona (dalla parola latina che indica la maschera teatrale) può essere considerata come l'aspetto pubblico che ogni persona mostra di sé, come un individuo appare nella società, nel rispetto di regole e convenzioni. Rispecchia ciò che ognuno di noi vuol rendere noto agli altri, ma non coincide necessariamente con ciò che realmente si è.
L'Ombra rappresenta la parte della psiche più sgradevole e negativa, coincide con gli impulsi istintuali che l'individuo tende a reprimere. Impersona tutto ciò che l'individuo rifiuta di riconoscere e che nello stesso tempo influisce sul suo comportamento esprimendosi con tratti sgradevoli del carattere o con tendenze incompatibili con la parte conscia del soggetto.
Animus e Anima rappresentano rispettivamente l'immagine maschile presente nella donna e l'immagine femminile presente nell'uomo. Si manifesta in sogni e fantasie ed è proiettata sulle persone del sesso opposto, più frequentemente nell'esperienza dell'innamoramento. L'immagine dell'anima o dell'animus ha una funzione compensatoria con la Persona, è la sua parte inconscia e offre possibilità creative nel percorso di individuazione.
Il Sé è il punto culminante del percorso di realizzazione della propria personalità, nel quale si portano ad un'unificazione tutti gli aspetti consci ed inconsci del soggetto.
La "querelle" su Jung e il nazismo
Nel 1930 Jung fu nominato presidente onorario della Associazione tedesca di psicoterapia. Con l'avvento del nazismo questa Associazione, cui aderivano parecchi psicoterapeuti ebrei, fu sciolta e ne fu creata un'altra, a carattere internazionale, con Jung presidente.
Nel 1934 Jung fu criticato per la sua adesione ad un'organizzazione di origine nazista, oltre che per la sua funzione di redattore capo della rivista Zentralblatt fur Psychotherapie, un periodico di analoga matrice nazista. Jung e i suoi difensori, in questa querelle sulla presunta adesione di Jung al nazismo, replicarono sostenendo che la sua presenza in questi organismi avrebbe permesso di salvaguardare l'attività degli psicoterapeuti tedeschi ebrei.
In questa stessa epoca Hitler prendeva il potere in Germania e, sfortunatamente per Jung, il caso volle che il redattore tedesco della rivista, il cui nome compariva accostato a quello di Jung, risultava essere il professor Göring, cugino del più famoso Hermann Göring, delfino di Adolf Hitler.
In questo periodo di presidenza Jung scrisse l'articolo "Wotan", apparso sulla Neue Schwezer Rundschau, che in seguito diverrà il primo capitolo dell'opera Aspetti del dramma contemporaneo.
I sostenitori di Jung in questa querelle sostennero che Jung non accettò questo incarico a cuor leggero, ma nella speranza di salvare il salvabile, tant'è che, quando si accorse di non poter fare nulla, nel 1939 rassegnò le dimissioni sia dalla carica di presidente della "Società medica internazionale di psicoterapia" sia da redattore della rivista. In questo stesso periodo le autorità hitleriane avevano già preso misure contro Jung: gli era stato negato l'accesso in territorio tedesco, le sue opere vennero bruciate o mandate al macero in tutti i paesi d'Europa nei quali era possibile, ed il suo nome figurò nella famigerata lista "Otto", vicino a quella di Freud e di molti altri (come testimoniato da alcuni conoscenti, Jung temeva di poter essere "liquidato" dalle SS in caso di invasione della Svizzera durante la seconda guerra mondiale, proprio per via delle sue note posizioni critiche antinaziste).
La relazione tra Jung e il nazismo continuò, anche dopo la guerra, ad essere oggetto di polemiche e dibattiti. Sia nella sua autobiografia ("Ricordi, Sogni, Riflessioni") che nella raccolta di testimonianze sulla sua vita "Jung Parla", appaiono numerosi spunti critici rispetto al fenomeno nazista, che in alcuni suoi scritti e passaggi Jung analizzò - con molta preoccupazione - da un punto di vista psicologico-analitico collettivo.
Jung, comunque, consapevole com'era delle falsità di tale accuse, non diede mai troppo peso alla questione. Ma per avere un quadro più ampio è utile riferirsi allo stralcio di un'intervista del 1949:
"Chiunque abbia letto uno qualsiasi dei miei libri non può avere dubbi sul fatto che io non sono mai stato filonazista e tanto meno antisemita; non c'è citazione, traduzione o manipolazione tendenziosa di ciò che ho scritto che possa modificare la sostanza del mio punto di vista, che è lì stampato, per chiunque voglia conoscerlo. Quasi tutti questi brani sono stati in qualche misura manomessi, per malizia o per ignoranza. Prendiamo la falsificazione più importante, quella sul Saturday dell'11 giugno: "L'ebreo, che è una specie di nomade, non ha mai creato una forma propria di civiltà, e probabilmente non lo farà mai. L'inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello ebraico". Guarda caso, se lette nel loro contesto queste frasi acquistano un significato esattamente contrario a quello attribuito a esse da questi "ricercatori". Sono state prese da un articolo intitolato "Situazione attuale della psicoterapia".
Perché si possa giudicare il senso di queste frasi controverse, le leggerò per intero il paragrafo in cui ricorrono: "In virtù della loro civiltà, più del doppio antica della nostra, essi presentano una consapevolezza molto maggiore rispetto alle debolezze umane e ai lati dell'Ombra, e perciò sono sotto questo aspetto molto meno vulnerabili. Grazie all'esperienza ereditata dalla loro antichissima civiltà essi sono capaci di vivere, con piena coscienza, in benevola, amichevole e tollerante prossimità dei loro difetti, mentre noi siamo ancora troppo giovani per non nutrire qualche "illusione" su noi stessi… L'ebreo, quale appartenente a una razza che dispone di una civiltà di circa tremila anni, possiede, come il cinese colto, un più ampio spettro di consapevolezza psichica rispetto a noi. L'ebreo, che è una specie di nomade, non ha mai creato una forma propria di civiltà, e probabilmente non lo farà mai, poiché tutti gli istinti e i suoi talenti presuppongono, per potersi sviluppare, un popolo che li ospiti, dotato di un grado più o meno elevato di civiltà. La razza ebraica nel suo insieme possiede perciò – per l'esperienza che me ne sono fatta – un inconscio che si può paragonare solo con alcune riserve a quello ariano. Eccezion fatta per alcuni individui creativi, possiamo dire che l'ebreo medio è già molto più consapevole e raffinato per covare ancora in sé le tensioni di un futuro non nato. L'inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello ebraico, il che costituisce al tempo stesso il vantaggio e lo svantaggio di una giovane età che non si è ancora completamente distaccata dall'elemento barbaro".
La Torre
Risale al 1923 la costruzione della famosa e per certi aspetti misteriosa Torre di Jung. In quell'anno Jung si avvicinava ai cinquant'anni e trovava non più soddisfacente testimoniare con la sola scrittura l'avventura della psicoanalisi e del processo individuativo che in lui si realizzava, ma voleva cercare un altro modo di simbolizzarlo che gli desse un'impressione più concreta della semplice scrittura. Così dopo la morte di sua madre Jung comprò un terreno a Bollingen, al di là del lago di Zurigo. Qui realizzò il progetto di un'abitazione dove trascorreva le vacanze ed i fine settimana. Complessivamente risiedeva a Bollingen ben sei mesi l'anno. All'inizio era solo un edificio circolare a forma di torre, ma negli anni seguenti vi aggiunse tre nuove sezioni, ampliando così la casa. L'espandersi della torre andò sempre parallelo con la sua crescita psichica nella totalità della sua vicenda. L'edificio originale era basso e nascosto fra le due torri, ma all'età di ottant'anni, dopo la morte della moglie Emma nel 1955, si sentì di aggiungere un altro piano. Da allora la casa di Bollingen, senza elettricità e senza acqua corrente, con il suo silenzio, diventò il ritiro spirituale di Jung.
Da questa residenza prenderà il nome la fondazione che promuoverà la pubblicazione di tutta l'opera junghiana in America.
L'edificio è ben visibile ancora oggi, anche se l'accesso è consentito attraverso il passaggio in una proprietà privata. Nell'ala dell'edificio affacciato sul lago, e protetta dalle mura in sasso che circondano il nucleo centrale della torre, si può ancora vedere la pietra scolpita da Jung. Un'immagine della pietra è visibile all'interno della biografia Ricordi, sogni e riflessioni.
Un viaggio di Jung nell'aldilà
Nel 1944 pubblicò Psicologia e alchimia ma in quello stesso anno ebbe un incidente, una frattura e un successivo infarto. In coma visse un'esperienza di pre-morte che descriverà nel suo testo autobiografico Ricordi, sogni e riflessioni.
Nel 1952 pubblicò gli importanti scritti sulla teoria della sincronicità.
Jung a partire dagli anni quaranta si occupò anche di un fenomeno nuovo, che si intensificava sempre di più, soprattutto dalla fine della seconda guerra mondiale. Si trattava dei cosiddetti "oggetti volanti non identificati", in sigla UFO. Jung, che leggeva tutto ciò che veniva pubblicato in relazione a questi fenomeni, si occupò più volte del tema nei suoi scritti e tre anni prima di morire, nel 1958, pubblicò un saggio dal titolo Un mito moderno. Le cose che si vedono in cielo, che può esser visto come una puntuale interpretazione psicologica del fenomeno, ma anche come una ricapitolazione essenziale delle sue principali idee sulla psiche, e insieme come un messaggio - uno degli ultimi - in cui trovano posto le speranze e i timori che egli nutriva sul futuro dell'umanità.
Per Jung la coscienza del nostro tempo è lacerata, frammentata da un contrasto politico, sociale, filosofico e religioso di eccezionali dimensioni. L'Io si è troppo allontanato dalle sue radici inconsce; le "meraviglie" della scienza e della tecnica sembrano volgersi in forze distruttive. I dischi volanti rappresentano visioni, oggettivazioni fantastiche di un inconscio troppo duramente represso. Tra le varie ipotesi è dunque "un archetipo a provocare una determinata visione".
Jung considera con distacco e una certa ironia l'esistenza degli UFO come fenomeno fisico, sebbene nell'ultima parte del suo saggio egli sembri disposto a dare maggior credito alla loro effettiva realtà, per introdurre cautamente l'ipotesi che esista una sincronicità tra inconscio e fenomeno reale.
Precursori
Fra i vari precursori di Jung figurano soprattutto Platone, ma anche il neoplatonico Plotino e il Trascendentalista Ralph Waldo Emerson, specialmente con l'idea di Oversoul (Oltreanima) e il saggio Demonology.[senza fonte]
Una vita per la psicoanalisi
Morì il 6 giugno 1961, dopo una breve malattia, nella sua casa sul lago.
Citazioni
«L'alchimia è, come il folclore, un grandioso affresco proiettivo di processi di pensiero inconsci. A causa di questa fenomenologia mi sono sottoposto allo sforzo di leggere da cima a fondo l'intera letteratura classica dell'alchimia»
«Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente...Prima o poi, i morti diventeranno un tutt'uno con noi; ma , nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo d'essere. Cosa sapremo di questa terra, dopo la morte+ La dissoluzione della nostra forma temporanea nell'eternità non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un unico corpo »
+ 1978 - Antonio Santoro (Avigliano, 26 aprile 1926 – Udine, 6 giugno 1978) è stato un poliziotto italiano.
Maresciallo Capo dell'allora Corpo degli Agenti di Custodia, oggi Polizia Penitenziaria, assassinato da terroristi appartenenti al gruppo Proletari Armati per il Comunismo.
Santoro era il comandante della Casa Circondariale di Udine; il 6 giugno 1978 cade vittima di un agguato, assassinato per la strada da terroristi del gruppo Proletari Armati per il Comunismo, che rivendica poi l'omicidio.
+ 1985 - Vladimir Jankélévitch (Bourges, 31 agosto 1903 – Parigi, 6 giugno 1985) è stato un filosofo francese. Insegnò all'Istituto francese di Praga e all'Università di Tolosa e di Lilla.
Vladimir Jankélévic nasce in una famiglia di ebrei russi immigrati in Francia. Dal 1938 al 1951 alla Université Lille Nord de France, dal 1951 al 1977 fu titolare della cattedra di Filosofia Morale alla Sorbona.
Oltre che filosofo, era esperto di musica e pianista. Nel 1944 diresse i programmi musicali di Radio-Toulouse Pyrénées. Durante la Seconda guerra mondiale partecipò attivamente alla Resistenza; in seguito si dedicò con passione alla causa di Israele e alla difesa delle minoranze.
Nel '65 sostenne su Le Figaro Littéraire che Heidegger avesse magnificato in un suo discorso l'attacco tedesco alla Russia; contro questa posizione polemizzò François Fédier, professore di filosofia a Neuilly.
Nel maggio 1968 fu tra i pochi professori francesi a partecipare alla contestazione studentesca.
Il pensiero
La sua filosofia si sviluppa attorno ad alcuni nuclei tematici che, refrattari all'elaborazione concettuale, sono centrali nell'esistenza di ognuno: il tempo, l'amore, la morte. Nel divenire irreversibile di derivazione bergsoniana (la sua monografia su Henri Bergson uscita in prima edizione nel 1931 è considerata il testo più geniale su Bergson insieme a quello di Gilles Deleuze), egli innesta un'originale filosofia dell'istante, come cesura radicale di portata rivoluzionaria. Il tempo come istante è occasione di creazione conoscitiva, morale, ed artistica. La morte è nel suo pensiero qualcosa che esclude ogni forma di pensabilità e comprensibilità, e che al contempo è presupposto necessario alla vita stessa ("La morte è un vuoto che si spalanca all'improvviso nella pienezza della continuità. La morte è per eccellenza l'ordine straordinario"). Per quanto riguarda l'amore, esso assume il ruolo di orizzonte di senso dell'intera esistenza umana, che ha il suo significato e la sua orientazione nell'estroversione verso l'altro, centro di un'etica di cui l'amore è il perno fondamentale. Jankélévitch fu anche un raffinato pianista e musicologo. La musica mima l'irreversibilità del tempo, e contemporaneamente ne poetizza lo scorrere attraverso la ripetizione; nell'esprimere se stessa in maniera intraducibile, la musica riproduce i paradossi dei nuclei più importanti della sua riflessione filosofica.
Le sue lezioni alla Sorbona ebbero un notevole successo, dovuto anche al suo carisma e alla sua personalità. I suoi scritti riprendono lo stile di queste lezioni, ricco di divagazioni baroccheggianti, di impennate poetiche e di mutamenti di prospettive e punti di vista. Tale cifra stilistica esprime il rifiuto (ancorché mai teorizzato per non cadere in una nuova teoria) della compattezza teorica e strutturale proprie di tutte le filosofie concettualistiche. Egli si è sforzato in qualche modo di riprodurre attraverso i suoi testi il carattere multiforme e plurivoco della realtà, quello stesso cambiamento continuo che caratterizzava le sue musiche preferite.