Il calendario del 6 Aprile

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

• 648 a.C. - Gli antichi greci registrano la prima eclissi solare

• 402 - Flavio Stilicone sconfigge i Visigoti di Alarico I nella Battaglia di Pollenzo (o Battaglia della piana di Pollentia)

• 1250 - Il re di Francia Luigi IX durante la sesta crociata è sconfitto a Mansura e catturato. Resterà prigioniero fino al 1254, quando sarà pagato il riscatto, in Egitto

* 1252 - A Seveso, nel bosco di Farga, alcuni catari assassinano l'inquisitore generale di Milano, Pietro da Verona

• 1327 - Ad Avignone, Francesco Petrarca vede per la prima volta Laura

• 1652 - L'olandese Jan van Riebeeck istituisce un centro di approvvigionamento a Capo di Buona Speranza, fondando quella che diventerà poi Città del Capo

• 1667 - Ragusa viene rasa al suolo dal devastante terremoto. (vedi la storia di Dubrovnik)

• 1782 - Rama I succede al re Taksin di Thailandia, rovesciato con un colpo di stato

• 1814 - In Francia abdica Napoleone

• 1818 - Al salone di Parigi il barone Karl von Drais de Sauerbrun presenta la "draisina", antenata della bicicletta

• 1830 - A Fayette nello stato di New York (U.S.A.) nasce il mormonismo

• 1830 - Il governo del Messico vieta l'emigrazione nel Texas

* 1832 - Guerre indiane: Black Hawk, capo guerriero della Nazione Sauk entra in guerra con gli Stati Uniti
Guerre indiane è il nome usato dagli storici statunitensi per descrivere una serie di conflitti tra gli Stati Uniti e i popoli nativi ("Indiani") del Nordamerica, nonché per una serie di paralleli atti legislativi ad essi correlati (Atto di rimozione degli indiani). In questi termini si dovrebbero considerare alla stregua di guerra civile.

Le guerre, che spaziarono dalla colonizzazione europea dell'America del XVIII secolo fino al massacro di Wounded Knee e alla chiusura delle frontiere USA nel 1890, si conclusero con la conquista, la decimazione, l'assimilazione delle nazioni indiane, e la deportazione di svariate migliaia di persone nelle riserve indiane. Gli eventi trattati costituiscono una delle basi della discriminazione razziale su base etnica, e del problema del razzismo che affliggerà gli USA fin a tutto il XX secolo. Basandosi sulle stime di un censimento del 1894, lo studioso Russel Thornton ha estrapolato alcuni dati essenziali: in particolare, dal 1775 al 1890 almeno 45.000 indiani e 19.000 bianchi avrebbero perso la vita. La stima include anche donne, vecchi e bambini, poiché i non-combattenti spesso perivano durante gli scontri di frontiera, e la violenza dei combattimenti non permetteva di risparmiare, né da una parte né dall'altra, le vite dei civili[1]. Le analisi contemporanee in ogni caso hanno appurato numeri di tre ordini di grandezza superiori.

A est del Mississippi (1775 - 1842)
Queste guerre furono combattute originariamente dagli appena istituiti Stati Uniti contro i nativi americani e durarono fino a poco dopo la guerra messicano-statunitense.

Guerra d'indipendenza
La rivoluzione americana inglobò in realtà due guerre parallele: mentre dal lato est la ribellione era rivolta contro il dominio britannico, quella ad ovest fu puramente una "guerra indiana". Appena dopo la proclamazione d'indipendenza gli Stati Uniti erano in competizione con i britannici in un gioco di alleanze con le varie tribù di nativi dislocate ad est del fiume Mississippi. L'interesse statunitense verso un'espansione occidentale, il quale si scontrava con l'atteggiamento più pacifico dimostrato dai britannici, non fu comunque la motivazione principale che favorì lo scoppio della guerra. Alcune tribù si unirono alla causa britannica nella speranza di ottenere in cambio un aiuto per arrestare l'espansione americana. La rivoluzione americana risultò essere drammaticamente la guerra tra le più distruttive per i popoli dei nativi nella storia degli Stati Uniti[2].
Vi furono anche casi nei quali la rivoluzione americana risvegliò una vera e propria guerra civile interna alle singole comunità indiane, come per esempio nella confederazione irochese, nella quale i gruppi non condividevano le stesse simpatie riguardo la parte dalla quale schierarsi. La confederazione, chiamata anche con il nome di "Sei Nazioni", vedeva gli Oneida ed i Tuscarora dalla parte americana e gli altri quattro gruppi con gli inglesi. La rivoluzione in conclusione portò gli irochesi ad uno scontro intestino che da tempo si era cercato di evitare. Le parti sconfitte (anche le tribù che avevano supportato gli americani) subirono ampie perdite territoriali. La "Corona inglese" comunque aiutò i nativi rimasti senza terra ricompensandoli con la riserva di Grand River in Canada. Anche i Cherokee, come altre tribù, subirono una scissione interna tra un gruppo neutrale (o pro-americano) ed uno anti-americano, al quale gli statunitensi si riferirono con il nome di Chickamauga.
La situazione al fronte era realmente tragica e numerose atrocità coinvolsero anche i non combattenti da ambo le fazioni. Nel 1779, nel tentativo di fermare le continue incursioni nella zona nord di New York, venne organizzata la spedizione di Sullivan la quale risultò essere la più grande organizzata fino a quel momento e si concluse con la distruzione di più di quaranta villaggi irochesi. L'effetto desiderato però non si verificò: da quel momento infatti l'azione degli indiani divenne ancora più determinata.
I nativi in seguito rimasero alquanto allibiti nell'apprendere che, dopo il trattato di Parigi del 1783, gli "alleati" britannici cedettero una grande parte del territorio indiano agli statunitensi senza nemmeno dargliene avviso. Gli americani inizialmente trattarono i nativi ed il loro territorio come una nazione conquistata ma in seguito questo atteggiamento fu difficile da imporre dato che in realtà l'acquisizione era avvenuta sulla carta e non sul campo di battaglia. Le mire espansionistiche non vennero comunque abbandonate ed il nuovo governo statunitense pensò di raggiungere l'obiettivo con una politica basata sull'acquisizione territoriale tramite trattati. I singoli stati ed i relativi coloni si trovarono spesso in disaccordo con questo tipo di tattica e quelle che seguirono furono nuovamente scene di guerra.

Guerre Chickamauga
Le guerre Chickamauga furono una serie continua di conflitti che iniziarono con il coinvolgimento dei Cherokee nella rivoluzione americana e si prolungarono fino al tardo 1794. Chickamauga era in nome con il quale venivano identificate le tribù che seguriono il capo-condottiero Dragging Canoe verso sud-ovest nell'area dell'attuale Chattanooga, in Tennessee. I primi luoghi ad essere soggetti agli attacchi indiani furono le colonie lungo i fiumi Watauga, Holston e Nolichucky, la vallata di Carter nel nord-est del Tennessee così come altri insediamenti nel Kentucky, in Virginia, in Carolina ed in Georgia. La tipologia degli attacchi spaziava dalle piccole incursioni di qualche gruppo di guerrieri a vere e proprie campagne composte da 500 a oltre 1000 combattenti.
Le campagne condotte da Dragging Canoe e dal suo successore John Watts vennero spesso condotte congiuntamente a quelle del nord-ovest. La risposta armata dei coloni vide la completa distruzione di villaggi Cherokee anche in aree pacifiche, senza riportare comunque un elevato numero di perdite da ambo le parti. Le guerre continuarono fino al Trattato di Tellico Blockhouse nel 1794.

Guerra Indiana di Nord-Ovest
La cosiddetta "Ordinanza del Nord-Ovest" del 1787 riorganizzò ufficialmente il territorio nord-occidentale in relazione agli insediamenti bianchi, i quali avevano già iniziato a riversarsi nella regione. La resistenza indiana provocò violenti scontri e l'amministrazione del presidente George Washington organizzò delle spedizioni armate atte a sedare le insurrezioni dei nativi. L'esito della guerra di nord-ovest fu la vittoria di una confederazione di tribù indiane composte da Shawnee (Giacche Blu), Miami, Lenape ed Ottawa che sconfissero le armate condotte dai generali Josiah Harmar ed Arthur St.Clair. Questa fu la più grande sconfitta mai inflitta dai nativi agli statunitensi.
Si tentò la via della negoziazione, ma i nuovi confini proposti dalla confederazione condotta dagli Shawnee risultarono inaccettabili per gli statunitensi, i quali inviarono una seconda spedizione condotta questa volta dal generale Anthony Wayne. Aspettando un aiuto britannico che non arrivò mai, gli indiani vennero sconfitti nella battaglia di Fallen Timbers nel 1794, e l'anno seguente furono obbligati ad accettare il Trattato di Greenville, cedendo così i territori corrispondenti all'odierno Ohio ed a una parte dell'Indiana agli Stati Uniti.

La guerra Creek e la guerra del 1812
L'"erosione" del territorio indiano da parte statunitense crebbe velocemente dopo il trattato di Greenville, tanto da destare un serio allarme nelle comunità amerinde. Nel 1800 William Henry Harrison divenne governatore dell'Indiana e sotto la direzione di Thomas Jefferson iniziò una politica aggressiva avente come scopo l'ottenimento dei diritti sulle terre indiane. La resistenza all'espansione americana fu affidata a due fratelli Shawnee, Tecumseh e Tenskwatawa, i quali crearono un'unione tra varie tribù con l'intento di arrestare la vendita di terreni da parte dei capi tribù indiani.
Nel 1811, mentre Tecumseh si trovava nel sud cercando di reclutare alleati tra i Creek, i Cherokee ed i Choctaw, Harrison marciò contro la confederazione indiana sconfiggendo Tenskwatawa ed i suoi seguaci a Tippecanoe. La speranza degli statunitensi, i quali credevano che la recente sconfitta avesse posto fine alla resistenza, fu vanificata dal fatto che Tecumseh optò per un'alleanza con i britannici, che a breve, nel 1812, sarebbero entrati in guerra con gli Stati Uniti.
Esattamente come la rivoluzione, sul fronte occidentale la guerra del 1812 fu una guerra contro i nativi. Iniziata da Tecumseh, la guerra Creek (1813-1814) nacque come una guerra civile all'interno della nazione omonima e solo in seguito divenne parte del grande scenario di battaglie relative all'espansione statunitense. Gli americani ebbero un buon successo sul lato ovest e Tecumseh perse la vita per mano dell'esercito di Harrison durante la battaglia del Tamigi, la quale mise fine alla resistenza nel nord-ovest. In seguito, nel 1818, la prima guerra Seminole fu in qualche modo una continuazione della guerra Creek ed ebbe come esito l'annessione della Florida da parte degli Stati Uniti nel 1819.
I britannici abbandonarono i loro alleati in balia degli americani esattamente come fecero dopo la rivoluzione americana e dopo la guerra del 1812. Questo comportamento fu un elemento fondamentale nello sviluppo delle guerre indiane evitando future richieste di aiuto esterne da parte indiana nella loro personale guerre contro gli Stati Uniti.

L'Atto di rimozione
Uno dei risvolti delle precedenti guerre fu l'approvazione del cosiddetto Atto di Rimozione degli indiani nel 1830, firmato dal presidente Andrew Jackson. Questo atto non previde una reale "rimozione" di alcun nativo ma autorizzò la negoziazione di trattati aventi come obiettivo lo scambio delle terre indiane orientali con quelle statunitense occidentali, recentemente acquisite con l'accordo sulla Louisiana. Ciò che spinse primariamente verso una politica di questo tipo fu il fatto che sia i britannici che gli spagnoli stavano reclutando ed armando degli indiani all'interno dei confini statunitensi[3] .
Altri atti similari vennero in seguito firmato e la maggior parte dei nativi, seppur pacifici e riluttanti, dovettero accettare con amara rassegnazione i relativi trattati. Ovviamente altri gruppi preferirono una reazione ed entrarono in guerra proprio per fermare l'incremento di questi trattati territoriali generando così due guerre di breve durata (quella Black Hawk del 1832 e quella Creek del 1836) ed una invece più lunga e dispendiosa quale fu la seconda guerra Seminole (1835-1842).

A ovest del Mississippi (1823 - 1890)
Così come ad oriente, l'espansione dei coloni nelle grandi pianure e nelle alture occidentali creò dei dissidi con le popolazioni di nativi ivi residenti. Molte tribù, dagli Ute del Gran Bacino ai Nez Perce dell'Idaho, combatterono i bianchi, ma coloro che opposero la resistenza più tenace all'espansione colonica furono i Sioux a nord e gli Apache a sud-ovest. Condotti dai dei capi guerrieri risoluti, come Nuvola Rossa (Red Cloud) o Cavallo Pazzo (Tashunka Witko, in lingua dakota Crazy Horse), i Sioux erano particolarmente abili nelle battaglie a cavallo; neofiti della vita nelle pianure, provenendo dalla regione dei Grandi Laghi, impararono a domare ed a montare i cavalli e da quel momento si mossero verso ovest sconfiggendo ogni tribù incontrata sul proprio cammino diventando così temibili ed esperti guerrieri.
Gli Apache invece praticavano l'arte della guerra prevalentemente in zona desertiche ed in presenza di canyons. La loro economia veniva integrata principalmente con delle razzie a scapito dei villaggi vicini.

Il Texas
La Comancheria definita dalla linea rossa
Negli anni 50 del XVIII secolo gli indiani delle grandi pianure arrivarono in Texas e gli scontri con i nuovi arrivati, i coloni europei, non tardarono a svilupparsi. Un gran numero di anglo-americani raggiunsero il Texas intorno al terzo decennio del XIX secolo e da quel momento, per circa cinquant'anni, iniziò una serie di confronti armati che videro opposti principalmente i Texani ed i Comanche.
La prima battaglia degna di nota fu quella del cosiddetto massacro di Fort Parker nel 1836, nella quale un gruppo di Comanche, Kiowa, Wichita e Lenape attaccò i coloni stabilitisi nel forte. Nonostante il relativo basso numero di bianchi che persero la vita l'assalto destò una vampata di rabbia generalizzata contro i nativi principalmente dovuta al rapimento durante l'assalto di Cynthia Ann Parker.
La Repubblica del Texas guadagnò la propria sovranità dopo la guerra messicana ed il governo, sotto la direzione del presidente Sam Houston, iniziò una nuova politica di cooperazione con i Comanche ed i Kiowa. Ironicamente, dato che Houston visse per un periodo con i Cherokee, questi ultimi sembrarono essersi schierati con il Messico per combattere la nuova ed inesperta repubblica texana. Ad ogni modo Houston risolse il conflitto senza ricorrere alle armi, rifiutandosi di credere che i Cherokee avessero potuto attaccare il suo governo[4].
L'amministrazione di Mirabeau Bonaparte Lamar, che seguì quella di Houston, attuò una politica decisamente differente nel rapporto con gli indiani. Sotto Lamar la repubblica texana tentò di trasferire i Cherokee più ad ovest e riuscì alla fine ad avere la meglio. Una serie di battaglie avvenne in seguito al tentativo di deportare i Comanche ed i Kiowa. La prima fu la battaglia di Council House dove, durante un colloquio di pace, vennero sequestrati alcuni capi Comanche, il che portò anche alla Grande Incursione del 1840 ed alla Battaglia di Plum Creek.
L'amministrazione di Lamar rimase famosa per la sua politica costosa e fallimentare: nei quattro anni di gestione i costi per le guerre sostenute superarono le entrate annuali. Seguì un nuovo governo Houston che riprese una politica diplomatica ed assicurò al Texas una serie di trattati con tutte le tribù indiane dell'area, Comanche compresi.
Nel 1846 il Texas si aggregò all'Unione e gli anni che andarono dal 1856 al 1858 furono particolarmente sanguinosi sulla frontiera texana con lo spostamento dei coloni all'interno della terra Comanche, la Comancheria. Gli scontri che posero fine alla vitalità del popolo Comanche furono la Battaglia di Little Robe Creek e la spedizione di Antelope Hills nel 1858, le quali rappresentarono un colpo violento proprio nel cuore della Comancheria.
Le battaglie tra i coloni e gli indiani continuarono e nel 1860, durante la Battaglia di Pease River, le milizie texane distrussero un campo indiano scoprendo in seguito di aver ricatturato Cynthia Ann Parker, la ragazzina che era stata in precedenza, nel 1836, rapita dai Comanche. Cyntha tornò quindi a vivere con la famiglia Parker ma perse i suoi figli, uno dei quali, Quanah Parker, divenne in seguito un capo tribù e dopo la Prima Battaglia di Adobe Walls dovette arrendersi alla schiacciante superiorità bellica del governo federale e, nel 1875, stabilirsi in una riserva nel sud-ovest dell'Oklahoma.

Le Grandi Pianure
Il conflitto tra bianchi ed indiani continuò anche durante la guerra di secessione. La guerra Dakota del 1862 (chiamata anche "Rivolta Sioux del 1862") fu il primo grande scontro tra gli Stati Uniti ed i Sioux. Dopo sei settimane di battaglie nel territorio del Minnesota, condotte per la maggior parte da capo Tʿaoyate Duta (Piccolo Corvo), si potevano registrare più di 500 morti tra soldati e coloni statunitensi.
Il numero di Sioux morti nella rivolta rimane non documentato ma dopo la guerra 303 nativi furono accusati di assassinio e rapina dai tribunali statunitensi e successivamente condannati a morte. Molte di queste condanne vennero commutate ma il 26 dicembre 1862 a Mankato, in Minnesota, si andò a consumare quella che ad oggi rimane la più grande esecuzione di massa nella storia degli Stati Uniti, con l'impiccagione di 38 Sioux[5].
Nel 1864 invece avvenne una delle battaglie indiane maggiormente degne di infamia, denominata non a caso il Massacro di Sand Creek.
Il tutto ebbe inizio quando una milizia locale attaccò un villaggio Cheyenne ed Arapaho situato nel sud-est del Colorado ed uccise e mutilò indistintamente uomini donne e bambini. Gli indiani di Sand Creek erano stati assicurati dal governo degli Stati Uniti che avrebbero vissuto tranquillamente nella loro area ma ciò che causò il massacro fu il crescente odio bianco nei confronti dei nativi. I successivi congressi diffusero un appello pubblico contro altri simili carneficine nei confronti degli indiani, ma esso non fece presa nel popolo.
Nel 1875 l'ultima vera guerra Sioux scoppiò quando la corsa all'oro nel Dakota arrivò alle Black Hills (Colline Nere), territorio sacro per gli indiani. L'esercitò statunitense non precluse ai minatori l'accesso alle zone di caccia Sioux, ed inoltre quando venne chiamato ad attaccare delle bande indiane che stavano cacciando nella prateria, come loro concesso dai precedenti trattati, rispose immediatamente. Nel 1876 dopo vari incontri non conclusivi, il Generale George Armstrong Custer trovò l'accampamento principale dei Lakota (altro nome dei Sioux occidentali) e dei loro alleati vicino al fiume Little Bighorn. Nella battaglia che prende il nome da questo fiume, Custer ed i suoi uomini, i quali erano divisi dal resto della truppa, furono totalmente uccisi dagli indiani che vantavano una netta superiorità numerica nonché un vantaggio tattico dovuto alla precipitazione del generale statunitense.
Più tardì, nel 1890, nella riserva settentrionale dei Lakota, a Wounded Knee nel Dakota del Sud, il rituale della "danza degli spiriti" portò l'esercito a tentare di sottomettere i Lakota. Durante l'assalto vennero uccisi più di 300 indiani, per la maggior parte anziani, donne e bambini. Tuttavia, già molto prima di questo evento erano già state eliminate le basi per la sussistenza sociale delle tribù delle Grandi Pianure, con lo sterminio quasi completo dei bisonti negli anni 80, dovuto ad una caccia indiscriminata.

Il Sud-ovest
I conflitti in quest'area spaziarono dal 1846 al 1895. Essi coinvolsero tutte le tribù indiane, ad eccezione dei Pueblo, e per la maggior parte dei casi furono una continuazione della guerra precedente guerra d'indipendenza messicana. Per vari decenni comunque le tribù indiane rimasero coinvolte sia nei commerci che nelle battaglie con i vari coloni stranieri finché il territorio del sud-ovest, comprendente gli attuali Colorado, California, Utah, Nevada, Wyoming e Nuovo Messico, venne conquistato dagli Stati Uniti a scapito dei messicani tra il 1848 ed i 1850. Sebbene le guerre Navajo ed Apache siano le più conosciute, non furono le uniche. La più grande campagna statunitense nel sud-ovest coinvolse 5000 soldati e costrinse, nel 1886, Geronimo e la sua banda di Apache ad arrendersi.


Note
1. ^ Thornton, American Indian Holocaust, 48–49
2. ^ Raphael, People's History, 244
3. ^ Remini, Jackson and his Indian Wars, 113.
4. ^ Thomas H. Krenek. Sam Houston in Handbook of Texas Online. Texas State Historical Association. URL consultato il 2007-11-11.
5. ^ Kenneth Carley, The Sioux Uprising of 1862, Minnesota Historical Society, 1961. p. 65
«La maggior parte dei 39 vennero battezzati, incluso Tatemima, il quale venne graziato all'ultimo istante.».

Bibliografia
Per approfondire, vedi la voce Bibliografia sulla Storia Pellerossa.

* David E. Stannard, Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo, ed. orig. 1993, trad. dall’inglese di Carla Malerba, pp. 455 Bollati Boringhieri, Torino
* Mauro Pasquinelli, Il libro nero degli Stati Uniti d'America pagine 303 ed Il Nuovo Mondo edizioni
* R. Romano (a c. di), America indiana, Einaudi, Torino 1976
* Vine Deloria Jr., Custer è morto per i vostri peccati, Jaca Book, Milano 1977
* W.E. Wilcomb, Gli indiani d'America, Editori Riuniti, Roma 1981
* H.F. Thompson, A.R. Huseboe, S. Looney, A Common Land, a Diverse People, Nordland Heritage Foundation, South Dakota 1986
* Walter Pedrotti, Le guerre indiane. Little Big Horn, Rosebud, Wounded Knee, Washita, Sand Creek e..., Demetra, Colognola ai Colli (VR) 1998.

• 1874 - Milano, durante un congresso medico viene stabilito di chiedere al Parlamento la possibilità di cremare i defunti

• 1895 - Oscar Wilde viene arrestato dopo aver perso una causa legale contro John Sholto Douglas, nono marchese di Queensberry

• 1896 - Ad Atene, aprono i primi Giochi olimpici dell'era moderna; erano stati vietati 1500 anni prima dall'imperatore Teodosio I

• 1909 - L'esploratore Robert Edwin Peary giunge in prossimità del Polo Nord.

• 1912 - Muore il poeta Giovanni Pascoli, a Bologna

• 1917 - Prima guerra mondiale: gli Stati Uniti dichiarano guerra alla Germania.

• 1924 - Italia: si svolgono le Elezioni Politiche con la nuova legge maggioritaria nota come legge Acerbo che sanciscono la vittoria del "listone fascista" con il 64,9% dei voti (356 seggi) contro il 35,1% (161 seggi) delle opposizioni. Si tratta della 27° legislatura.

• 1941 - Seconda guerra mondiale

  1. - Ha inizio l'Operazione Castigo - la Germania e l'Italia invadono Jugoslavia e Grecia.
  2. - In Africa Orientale Italiana le truppe inglesi entrano ad Addis Abeba, capitale delle Impero coloniale italiano.

• 1942 - Seconda guerra mondiale, con la penisola di Bataan, le Filippine sono interamente conquistate dai Giapponesi

• 1949 - Il capitano Charles Yeager dell'aviazione USA raggiunge i 1770 km/h con l'aereo Bell X-1

• 1968 - Guerra del Vietnam: i marines lasciano la base di Khe Sanh per sfuggire all'assalto nordvietnamita

• 1972 - Guerra del Vietnam: Offensiva di Pasqua - Il primo giorno di cielo limpido induce le forze americane ad un attacco sostenuto da bombardamenti aero-navali

• 1973 - Viene lanciato il velivolo spaziale Pioneer 11

• 1977 - Napoli, sequestrato Guido De Martino, sarà rilasciato il 15 maggio 1977

• 1987 - Sugar Ray Leonard conquista la corona mondiale dei pesi medi di boxe battendo Marvin Hagler

• 1990 - Amsterdam, un olandese di 31 anni spruzza acido solforico su "La ronda di notte" di Rembrandt, danneggiandone gran parte

• 1992 - New York - Muore Isaac Asimov

• 1993 - Incidente nucleare in Russia (Tomsk 7)

• 1994 - Ignoti abbattono l'aereo su cui viaggiano il presidente del Ruanda Juvénal Habyarimana e il presidente del Burundi Cyprien Ntaryamira: è di fatto l'inizio del genocidio del popolo tutsi che farà da qui al 18 luglio 800.000 vittime

• 1994 - Muore Kurt Cobain, chitarrista e cantante dei Nirvana

• 1998 - Il Pakistan effettua test su missili a medio raggio nell'eventualità di un conflitto con l'India.

• 2003 - Guerra in Iraq: un reparto corazzato Usa penetra a Baghdad, giungendo all'aeroporto già in mano alle truppe USA, attraversando l'intero quartiere di Dora

• 2005
  1. - Iraq: viene nominato il curdo Jalal Talabani come nuovo presidente iracheno. Il sunnita Ghazi Yawer e lo sciita Adel Abdul Mahdi saranno suoi vice.
  2. - Principato di Monaco: Il principe Ranieri III muore alle 6.35, sembra per i problemi cardiaci e respiratori che il 7 marzo lo avevano costretto al ricovero. Il principe aveva 81 anni.

• 2009 - Violento terremoto in Abruzzo: devastati L'Aquila e buona parte dei paesi vicini. Avvertito in tutto il centro Italia e anche in altre città ad elevata attività sismica (come Gorizia). La magnitudine della prima scossa è stata di 5.8 sulla scala Richter (ML), seguita poi da più di 1000 scosse di assestamento. 308 morti, 65000 sfollati e 1500 feriti. Scosse avvertite anche a Roma con danneggiamenti alle Terme di Caracalla.

Anniversari

* 1252 - Pietro Rosini, conosciuto come Pietro Martire o Pietro da Verona (Verona, ca. 1205 – Seveso, 6 aprile 1252), fu un predicatore appartenente all'Ordine dei domenicani ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
San Pietro martire noto anche come Fra Pietro da Verona (Verona 1205 circa - Seveso 6 aprile 1252) fu un abile ed intelligente predicatore, appartenente all'Ordine dei domenicani ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
Nacque a Verona da famiglia eretica catara. Fece i suoi studi all'Università di Bologna e decise di entrare a far parte dei frati predicatori al tempo in cui San Domenico di Guzmán era ancora attivo. La sua casa natale fu per molto tempo utilizzata come uno dei principali bordelli veronesi. A seguito delle sue violente battaglie contro l'eresia, dopo la sua morte, il 13 febbraio 1278, 200 catari e valdesi sono arsi vivi nell’arena di Verona per ordine dell’Inquisizione.
È ricordato in particolare per la sua tenace opposizione alle eresie, soprattutto nei confronti dell'eresia catara che spesso viene confusa con la pataria che invece si sviluppò nel 1045 (circa due secoli prima).
Nel 1242 fu inviato da Gregorio IX in Lombardia, dove l'eresia catara era largamente radicata e praticata, con mandato e compito di reprimere l'eresia. Nel 1244 fu inviato a Firenze, dove nell'ambito delle sue iniziative per controbattere l'eresia, avrebbe tradizionalmente fondato quella che oggi è la Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze. A Firenze fondò una "Sacra Milizia" chiamata anche "La società di Santa Maria", nata in seguito alle sue infuocate orazioni dalla chiesa di Santa Maria Novella (dove risiedeva) e che si opposero alle truppe spontanee dei catari. Lo scontro inevitabile si svolse in due giornate del 1244 dette del Trebbio e di Santa Felicita, dal nome dei luoghi dove si svolsero e dove oggi si trovano due colonne celebrative erette alla fine del Trecento, rispettivamente la Colonna della Croce al Trebbio e la Colonna di Santa Felicita. Il vescovo Antonino Pierozzi riportò questi avvenimenti nelle sue "Croniche", ma oggi alcuni storici dubitano dell'effettivo svolgimento di tali battaglie.
Nel 1252 venne assassinato nella foresta di Barlassina con una roncola (falcastro) mentre si recava a piedi da Como a Milano. Le agiografie riportano che intinse un dito nel proprio sangue e con esso scrisse per terra la parola "Credo".
L'arte lo raffigura trafitto da un roncola infilzata nella testa.
Uno degli attentatori, Carino Pietro da Balsamo, l'uccisore effettivo, si pentì del gesto ed in seguito morì in fama di santità presso il convento dei domenicani di Forlì, avendo come padre spirituale il beato Giacomo Salomoni. Anche Carino, il cui corpo è conservato nella cattedrale di Forlì, ha oggi il titolo di beato.
Pietro venne canonizzato da papa Innocenzo VI il 24 marzo 1253 con la bolla Magnis et crebris. Il coltello usato per ucciderlo è conservato a Seveso, presso il Santuario a lui dedicato. È sepolto nella Basilica di Sant'Eustorgio a Milano, nella Cappella Portinari.
La commemorazione liturgica di San Pietro martire fu inizialmente fissata il 29 aprile, poi, per evitare sovrapposizioni con la festa dedicata a santa Caterina da Siena, fu spostata al 4 giugno, giorno della solenne traslazione, avvenuta nel 1340, nel sepolcro attuale, realizzato da Giovanni di Balduccio tra il 1335 e il 1339

• 1478 - La beata Caterina da Pallanza (Pallanza, 1437 circa – Varese, 6 aprile 1478) è stata una religiosa italiana, fondatrice dell'Ordine delle Romite Ambrosiane.
Caterina nacque a Pallanza, sulle rive del Lago Maggiore, da genitori benestanti. Secondo la tradizione apparteneva alla importante famiglia dei Morigi o Moriggia, ma nei documenti quattrocenteschi il suo cognome risulta "de Ruffinis". Persa la famiglia in giovane età a causa di un'epidemia, si trasferì a Milano: attorno al 1450 si unì ad una comunità eremitica femminile attiva presso il santuario mariano di Santa Maria del Monte di Velate, attorno al quale più tardi sarebbe stato costruito il Sacro Monte sopra Varese. Si dedicò attivamente alla cura degli appestati durante un'epidemia che aveva colpito la zona attorno al 1470, a causa della quale perse tutte le sue compagne.
Caterina rimase l'unica religiosa attiva presso il santuario, ma presto si unirono a lei altre donne, tra cui Giuliana Puricelli da Busto Arsizio: il 10 novembre 1474 papa Sisto IV, su richiesta di Galeazzo Maria Sforza, consentì per loro l'erezione di un monastero sottoposto alla regola di sant'Agostino e alle costituzioni dell'Ordine di Sant'Ambrogio ad Nemus. Il 10 agosto del 1476 le religiose emisero i loro voti e ricevettero il velo monacale.
Caterina da Pallanza ne fu la prima badessa: alla sua morte, le succedette Giuliana da Busto.

• 1520 - Raffaello Sanzio (Urbino, 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520) è stato un pittore e architetto italiano, tra i più celebri del Rinascimento italiano.

La formazione artistica (1483 - 1504)
Raffaello nacque a Urbino «l'anno 1483, in venerdì santo, a ore tre di notte, d'un Giovanni de' Santi, riceve la sua formazione nella bottega del padre e, a Perugia, in quella di Pietro Perugino. A Urbino può avere anche una prima conoscenza dell'opera di Melozzo, che avrà notevole influenza su di lui: "Non ci sarebbe stato il Cinquecento di Raffaello e di Michelangelo senza Melozzo", dice Antonio Paolucci.
Nell'autunno del 1504 si trasferisce a Firenze dove operano Leonardo e Michelangelo; qui vive fino al 1508 quando è chiamato a Roma da Papa Giulio II. Giovanni non era un pittore molto eccellente, ma sibbene uomo di buono ingegno ed atto a indirizzare i figliuoli per quella buona via che per mala fortuna sua non era stata mostra nella sua gioventù».
Raffaello (ritratto bambino dal padre nella Cappella Tiranni in Cagli) fu il primo e unico figlio di Giovanni Santi e di Magia di Battista di Nicola Ciarla, la madre che morirà di lì a poco, il 7 ottobre 1491. Il padre, ben noto nella città di Urbino, pittore e autore di una storia della pittura contemporanea in versi, si risposò poco dopo con una certa Bernardino, dalla quale ebbe la figlia Elisabetta.
Raffaello apprese i primi insegnamenti di disegno e pittura nella bottega del padre, In realtà, Raffaello era solo undicenne quando il padre morì il 1º agosto 1494, e non è noto attraverso quali vie il giovanissimo pittore arrivò a far parte della bottega del Perugino: non sembra infatti credibile la notizia del Vasari secondo la quale Raffaello sia stato allievo del Perugino ancora prima della morte del padre e persino di quella della madre.
È tuttavia certo che «studiando Raffaello la maniera di Pietro, la imitò così appunto e in tutte le cose, che i suoi ritratti non si conoscevano dagli originali del maestro, e fra le cose sue e di Pietro non si sapeva certo discernere».
Le ultime tendenze della critica si concentrano proprio sugli anni giovanili, prendendo in esame la prevalenza, nella formazione di Raffaello, del rapporto con il padre, con la sua bottega e soprattutto con la grande cultura che ha come epicentro il Palazzo Ducale con le sue collezioni d'arte.
Si è ritenuto di vedere un suo intervento nella tavola della Natività della Madonna della chiesa di Santa Maria Nuova a Fano, compiuta nel 1497, e negli affreschi del Collegio del Cambio a Perugia, del 1498, ma sembra che la sua prima opera cui possa darsi un reale credito attributivo sia la Madonna del Bambino, affrescata nella stanza in cui si crede sia nato, in casa Santi a Urbino, databile al 1498 (e che fino a pochi anni addietro si riteneva opera del padre, che avrebbe raffigurato nei personaggi lo stesso Raffaello e la prima moglie Magia Ciarla).
Il 10 dicembre 1500 il magister Rafael Johannis Santis de Urbino ed Evangelista da Pian di Meleto ricevettero dalle suore del convento di Sant'Agostino a Città di Castello la commissione della Pala del beato Nicola da Tolentino, terminata il 13 settembre 1501. Danneggiata da un terremoto nel 1789, fu smembrata e dispersa - le due tavole con i miracoli del beato a Detroit e quella dell' Eterno al Museo di Capodimonte sono attribuite a Evangelista - si riconosce senz'altro come parte di quella pala e di sua mano l' ngelo conservato nella Pinacoteca Tosio-Martinengo di Brescia; anche il frammento dell'Angelo del Louvre è attribuito a Raffaello
Manca la documentazione sulle opere datate intorno al 1501: la Madonna Solly (del tipo della Madonna leggente col Bambino) e la Madonna col Bambino e i santi Gerolamo e Francesco di Berlino, e il San Sebastiano dell'Accademia Carrara di Bergamo, tutte di impianto peruginesco, mentre la commissione fattagli in quell'anno dalle clarisse di Monteluce, presso Perugia, di una Incoronazione della Madonna non fu da lui mai portata a compimento e la tavola, infine eseguita da Giulio Romano, fu consegnata alle suore soltanto cinque anni dopo la morte del Maestro.
La Resurrezione di San Paolo del Brasile si trovava nell'Ottocento in una collezione scozzese e fu venduta al Museo brasiliano come opera di Mariano di ser Austerio; la critica, già divisa nell'attribuzione fra Perugino e Raffaello, è attualmente concorde nell'attribuirla all'urbinate, ravvisandovi bensì una chiara ispirazione del maestro di Città della Pieve, uniti tuttavia a riferimenti al Pinturicchio - nel paesaggio, nei particolari della decorazione del sarcofago e nella preziosità delle vesti dei personaggi - secondo l'indicazione del Longhi, sostenitore di un influsso, nei primi anni del secolo, dei modi del raffinato maestro perugino.
Ancora motivi del Perugino sono presenti nella Crocefissione con due angeli, la Madonna e i santi Gerolamo, Maddalena e Giovanni Evangelista, che fu dipinta per la chiesa di San Domenico di Città di Castello ed è conosciuta come "Crocefissione Gavari" dal nome della famiglia committente o anche Crocefissione Mond dal nome del collezionista inglese che la vendette alla National Gallery di Londra nel 1924, reca ai piedi della croce la firma «Raphael Urbinas P.».
L'Incoronazione della Vergine o «Pala Oddi», perché commessa nel 1502 da Maddalena degli Oddi per la chiesa perugina di San Francesco, finì, dopo la requisizione fatta dai francesi nel 1797, alla Pinacoteca Vaticana. Non convince la disposizione a due piani - gli apostoli dal basso guardano all'incoronazione che avviene in cielo - mentre Raffaello si sforza di variare atteggiamenti ed espressioni, testimoniando così una ricerca personale.
Per la chiesa di San Francesco di Città di Castello fu commesso dalla famiglia Albizzini lo Sposalizio della Vergine, dove rimase fino al 1798 per passare all'Accademia di Brera nel 1806; compiuto nel 1504, è firmato nel fregio del portico del tempio «Raphael Urbinas». È debitore di due dipinti del Perugino: della Consegna delle chiavi della cappella Sistina e soprattutto dell'analogo Sposalizio, ora a Caen, che il Maestro umbro aveva appena dipinto per la Cattedrale di Perugia. Raffaello alleggerisce e insieme rende più imponente l'architettura del tempio che, allontanato prospetticamente, assume la funzione di asse di riferimento alla disposizione circolare delle figure in primo piano.

Il periodo fiorentino (1505 - 1508)
Nell'autunno del 1504 Raffaello è a Firenze, forse raccomandato al gonfaloniere Pier Soderini da Giovanna Feltria, figlia di Federico da Montefeltro e moglie di Giovanni della Rovere. Giunto a Firenze e «fatta amicizia con alcuni giovani pittori, tra cui furono Ridolfo Ghirlandaio, Aristotile da San Gallo ed altri, fu nella città molto onorato e particolarmente da Taddeo Taddei, il quale lo volle sempre in casa sua ed alla sua tavola, come quegli che amò sempre tutti gli uomini inclinati alla virtù», per il quale Raffaello fece, nel 1506, la Madonna del prato di Vienna - che il Vasari giudica ancora della maniera del Perugino e, forse l'anno dopo, la Madonna Bridgewater di Londra, «molto migliore», perché nel frattempo Raffaello «studiando apprese».
Raffaello era giunto a Firenze avendo ancora diverse commissioni da completare: nel 1503 aveva ricevuto l'incarico, dalle suore del convento di Sant'Antonio a Perugia, di una pala d'altare, la Pala Colonna, che ebbe una lunga elaborazione, visibile nelle differenze di stile tra la lunetta ancora «umbra» e il gruppo «fiorentino» della tavola centrale. Terminato nel 1506, il complesso della pala comprendeva, oltre all'elemento centrale e alla lunetta - ora al Metropolitan di New York - cinque tavolette che costituivano la predella: il Santo francescano e il Sant'Antonio da Padova, ora a Dulwich, la Pietà ora a Boston, l'Andata al Calvario, ora alla National Gallery di Londra e l'Orazione nell'orto, anch'essa al Metropolitan. Il complesso fu infatti smembrato e venduto dalle suore di Sant'Antonio nel 1677 al perugino Antonio Bigazzini, da cui pervenne alla famiglia romana dalla quale prese il nome, poi ai Borboni di Napoli e di qui in Spagna nel 1861 e infine negli Stati Uniti nel 1901.
Nel Sogno del cavaliere, composizione apparentemente semplice, ma che è il risultato di una ricerca sottile di equilibrio delle masse in primo piano e dei piani che digradano nel fondo, Raffaello affrontò un tema gradito agli ambienti intellettuali fiorentini, impregnati di neo-platonismo: quello dell'esortazione al bene, alla scelta dei piaceri dell'anima piuttosto che di quelli del corpo. Secondo André Chastel l'iconografia del dipinto trae le sue fonti nel poema di Silio Italico Punica, ritrovato dall'umanista Poggio Bracciolini nel 1417, e dal ciceroniano Somnium Scipionis nel commento di Macrobio: nel sogno, Scipione viene esortato da Pallade, a sinistra, a seguire la via della virtù, evitando quella del vizio, indicata da Venere, a destra.
La tavoletta delle Tre Grazie è il pendant del Sogno e rappresenta il seguito dell'esortazione: Castità, Bellezza e Amore ricompensano l'eroe con i pomi delle Esperidi. Le due tavole sarebbero state dedicate al giovanissimo Scipione di Tommaso Borghese e infatti esse appartennero a quella famiglia romana fino alla fine del Settecento, passando poi in Inghilterra dove Il sogno del cavaliere rimase, mentre le Tre Grazie pervennero al Museo di Chantilly nel 1885.
Anche la commissione ricevuta a Perugia nel 1504 per una Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Nicola da collocare nella cappella Ansidei della chiesa di San Fiorenzo, fu completata, secondo quanto sembra leggersi nel dipinto, nel 1505. La pala, che reca sul trono la scritta «SALVE MATER CHRISTI», passò in Inghilterra nel 1764 fino a pervenire nel 1885 alla National Gallery di Londra che conserva anche una parte della predella. Nell'opera ancora di ispirazione umbra, Raffaello apporta una sostanziale semplificazione dell'impianto architettonico, così da dare all'insieme una più efficace e rigorosa monumentalità.
Per Guidobaldo da Montefeltro Raffaello avrebbe dipinto nel 1505 tre tavolette di soggetto simile, San Michele e il drago e due San Giorgio e il drago: il San Michele e uno dei San Giorgio sarebbero presto passati, non si sa come, a uno sconosciuto milanese che li avrebbe venduti al conte piacentino Ascanio Sforza - omonimo del noto cardinale - passando poi al cardinal Mazzarino e da questi a Luigi XIV e quindi al Louvre, il terzo San Giorgio fu donato da Guidobaldo a Enrico VII d'Inghilterra nel 1506, dal quale, dopo lunghi passaggi di proprietà nel corso dei secoli, arrivò all'odierna sede di Washington.
I primi anni del soggiorno fiorentino sono soprattutto quelli di molte importanti Madonne col Bambino: la Madonna col Bambino e san Giovannino, detta Madonna Diotallevi, dal nome del collezionista riminese che la vendette ai Musei berlinesi nel 1842 come opera di Perugino, la Madonna col Bambino o Madonna Connestabile, essendo il Connestabile di Perugia il proprietario che cedetta la tavola nel 1871 alle Collezioni imperiali di San Pietroburgo, la Madonna Cowper di Washington - già appartenuta ai lords Cowper di Panshanger - la Madonna Torrenuova, venduta nel 1854 dal duca di Terranuova ai Musei di Berlino e la Madonna del Granduca di Palazzo Pitti, appartenuta già al pittore Carlo Dolci, che fu acquistata nel 1799 da Ferdinando III di Toscana.
Il Trasporto di Cristo morto (Galleria Borghese, Roma) è il soggetto principale della pala «Baglioni», dipinta nel 1507 per San Francesco di Perugia; vi si trova eccezionalmente uno stile teso, con una ricerca plastica ispirata a Michelangelo. L'affresco con la Trinità e santi, dipinto nella Cappella di San Severo a Perugia, mostra in compenso un'ampiezza tranquilla che annuncia il Trionfo dell'Eucarestia. Al periodo fiorentino appartengono infine alcuni bei ritratti nei quali è manifesta l'influenza di Leonardo: Donna gravida, Agnolo Doni e Maddalena Doni (Palazzo Pitti), sullo sfondo di un paesaggio come la Dama con il liocorno (Galleria Borghese). Del 1508 circa è la Muta (Galleria nazionale, Urbino), capolavoro della ritrattistica di Raffaello, anch'esso caratterizzato dall'adesione a motivi leonardeschi.

Il periodo romano (1509 - 1520)
La fine del 1508 vide il suo trasferimento a Roma dove, appena venticinquenne, prestò servizio per papa Giulio II. La sua prima committenza papale furono le decorazioni delle stanze papali nel Palazzo Vaticano, ed in particolare la Stanza della Segnatura dove fu attivo fin dal 1509, sostituendo artisti di grande prestigio come Perugino, Bramantino e Sodoma che gli dovettero lasciare il passo. In questa prima stanza realizzo La scuola di Atene che rivela, tra l'altro, una profonda conoscenza del progetto per San Pietro del Bramante, a contatto del quale maturerà la sua sensibilità architettonica che si manifesterà in un breve ma intenso periodo di attività tra il 1513 ed il 1520.

Stanze negli appartamenti papali
A Raffaello furono commissionati, in fasi successive, gli affreschi di quattro stanze contigue degli appartamenti papali che l'artista eseguì, secondo un complesso programma iconografico, tra il 1508 e il 1520, con molti allievi come aiuti. Le sale in seguenza temporale sono le seguenti:
• Stanza della Segnatura, che era la biblioteca privata del papa. Gli affresci affontano in forme allegoriche il tema della conoscenza a vari livelli: da quella razionale (filosofia) a quella rivelata (teologia). Qui è conservato il famoso affresco La scuola di Atene, che rappresenta i più celebri filosofi antichi intenti a dialogare tra loro, all'interno di un immaginario edificio classico che riprende alcuni temi del dibattito architettonico di inizio cinquecento.
• Stanza di Eliodoro, che il papa utilizzava per le udienze. Negli affreschi sono rappresentati episodi storici in cui si dimostra la protezione di Dio alla Chiesa. Una di queste rappresentazioni è La liberazione di San Pietro, un'altra è La Messa di Bolsena.
• Stanza dell'Incendio di Borgo, che era destinata ai pranzi di cerimonia. Vi sono rappresentate episodi della vita di papi che condividevano il nome di Leone (in onore del nuovo papa Leone X).
• Stanza di Costantino, per la quale sembra che Raffaello abbia probabilmente fatto in tempo, prima della prematura morte, a fornito soltanto il disegno generale degli affreschi che affrontano il tema della sconfitta del paganesimo.
Lo studio dell'antico e dell'architettura
Pur ingraziandosi altri mecenati presso i quali prestò servizio Raffaello mantenne la posizione di pittore papale, proseguendo il lavoro sotto il papato di papa Leone X, successore di Giulio II che gli affidò l'incarico di custodia e registrazione dei marmi antichi. In questo periodo Raffaello conduce un attento studio dei resti antichi, per esempio esaminando le strutture e gli elementi architettonici del Pantheon, come nessuno aveva fatto fino a quel momento.
In questo periodo all'amicizia con Bramante si contrappose la rivalità di entrambi con Michelangelo e Sebastiano del Piombo. Sotto il pontificato di Giulio II la fama di Raffaello crebbe a tal punto che fu nominato nel 1514 architetto della basilica di San Pietro, sebbene la morte dell'artista, avvenuta il 6 aprile 1520, non abbia permesso ai progetti originali di essere portati a compimento secondo le idee originarie. Era stato lo stesso Bramante a proporre Raffaello come suo successore, grazie alla fama che aveva come pittore.
L'interesse per l'architettura di Raffaello, maturato grazie all'influenza di Bramante ed allo studio delle antichità, si estende agli aspetti teorici: fece fare da Fabio Calvo una traduzione del De architectura di Vitruvio, rimasta inedita, evidentemente per poter studiare direttamente il trattato ed utilizzarlo nello studio sistematico dei minumenti romani. Nella sua breve attività come architetto portò a termine a Roma altri edifici; tra cui il Palazzo Branconio dell'Aquila in Borgo, e la chiesa di S. Eligio degli Orefici vicino via Giulia.

La bottega
Il periodo romano fu per Raffaello un periodo intenso caratterizzato da innumerevoli commissioni, prima esclusivamente per opere di pittura e negli ultimi anni anche per numerosi progetti di architettura. Per far fronte a tale mole di lavoro Raffaello mise su una grande bottega che comprendeva artisti di grande levatura come Giulio Romano, artisti polivalenti come Lorenzo Lotti e Giovan Francesco Penni, specialisti come Giovanni da Udine a cui era assicurata un ruolo autonomo per le decorazioni architettoniche, Tommaso Vincidor spedito nelle Fiandre per sovrintendere all'esecuzione di arazzi su disegno di Raffaello ed altri ancora come Vincenzo Tamagni. Perin del Vaga e Polidoro da Caravaggio possono essere considerati anch'essi allievi di Raffaello, ma ebbero un'attività autonoma dal maestro. Raffaello collaborò anche con numerosi incisori come Marcantonio Raimondi, Agostino Veneziano, Marco Dente e Ugo da Carpi a cui affidò la realizzazione di incisioni tratte da proprie opere pittoriche o disegni, assicurando una grande diffusione alla propria opera figurativa. Il sistema di lavoro della bottega, per un periodo ospitata nella stessa casa di Raffaello (Palazzo Caprini), prevedeva l'esecuzione da parte degli aiuti dei cartoni e dei disegni dell'artista, che interveniva comunque negli affreschi per le parti più importanti. L'integrazione tra le varie figure era tale che risulta difficoltoso anche distinguere la paternità di opere e disegni, tanto più che i vari artisti della sua scuola furono individualmente incaricati di completare le varie opere pittoriche ed architettoniche lasciate incompiute.
La Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo
Tra il 1512 ed il 1514, Raffaello progettò ed iniziò a realizzare una cappella in Santa Maria del Popolo, per la famiglia Chigi, per la quale aveva già lavorato negli affreschi per la villa Farnesina. La cappella Chigi è a pianta quadrata, sormontata da una cupola emisferica secondo un modello che risale al rinascimento fiorentino. La cupola è decorata a cassettoni, con mosaici, eseguiti su disegno dello stesso Raffaello, raffigurantanti immagini religiose insieme a simboli dell'oroscopo, e poggia su un tamburo ampiamente finestrato che illumina la cappella dall'alto. La costruzione fu portata avanti da Lorenzo Lotti detto Lorenzetto, uno degli aiuti dell'affollata bottega di Raffaello. In seguito, nel 1652, Bernini completò il ricco apparato decorativo e scultoreo che caratterizza oggi la cappella. Alla cappella si accede attraverso un arco aperto alla navata laterale della Basilica di Santa Maria del Popolo; l'interno è uno spazio semplice, scandito da tre arcate cieche che completano, con quello dell'ingresso, lo schema quadrato ed arricchito da nicchie destinate ad accogliere sculture e dipinti, oltre che le tombe di Agostino Chigi e di altri membri della famiglia, caratterizzate dalla forma piramidale, desunta forse da architetture funerarie classiche. La sua architettura rientra pienamente nelle ricerche allora in corso a Roma, intorno alla Basilica di San Pietro, tanto che è stata vista nella cappella una riproposizione in piccolo della crociera impostata da Bramante. Come in San Pietro il diametro della cupola è maggiore dell'ampiezza degli archi di sostegno che configurano la pianta quadrata con angoli smussati e che quindi sostengono la cupola su pennacchi trapezoidali, che erano una delle caratteristiche dell'impianto bramantesco. Tuttavia una nuova concezione dello spazio sembra caratterizzare questo che è l'unico edificio religioso di Raffaello, che si sia conservato nella sua forma originaria. Al contrario degli edifici bramanteschi, nella cappella lo spettatore deve guardare da più punti di vista per cogliere tutto lo splendore. Lo spettatore deve stare nello spazio non davanti ad esso.
Sempre per i Chigi, Raffaello progetta una cappella in Santa Maria della Pace
Palazzi
Raffaello progettò (secondo Vasari) il palazzo Branconio dell'Aquila per il protonotario apostolico Giovan Battista Branconio dell'Aquila. Il palazzo fu demolito nel Seicento per fare spazio al colonnato del Bernini di fronte a San Pietro. La facciata aveva cinque campate (riferimento al Palazzo Caprini di Bramante), ma si distacca dal modello del maestro: il pianterreno, che doveva essere affittato a botteghe, non era bugnato ma articolato da un ordine tuscanico che incornicia arcate cieche. Al piano superiore Raffaello abbandona gli ordini classici, rompendo così la tradizione da Palazzo Rucellai a Palazzo Caprini. Se si confronta il Palazzo d'Aquila con quello bramantesco, con la sua chiara distinzione tra elementi portanti e parti di riempimento, la facciata del primo appare inquieta e manierista.

Altri palazzi quasi certamente progettati da Raffaello, con l'aiuto della sua bottega, che comprendeva Giulio Romano, sono il Palazzo Jacopo da Brescia ed il Palazzo Alberini.
Palazzo Vidoni Caffarelli,nonostante sia stato attribuito per molto tempo a Raffaello, non fu progettato personalmente dal mastro, ma sicuramente da un suo allievo, probabilmente Lorenzo Lotti, e rispecchia comunque un modello e uno stile riferibile non solo a Raffaello ma anche a Bramante. In origine la facciata era di sette campate; il prolungamento e l'ultimo piano appartengono a una fase di costruzione più tarda. Il pian terreno è trattato come un basamento bugnato (orizzontale), mentre le colonne binate in rilievo poste al piano nobile richiamano il Palazzo Caprini e come unico elemento verticale assumono una grande importanza visiva.
A Raffaello è attribuito, secondo anche quanto riportato dal Vasari, anche il progetto del Palazzo Pandolfini a Firenze. La costruzione iniziò già dal 1516, ma Raffaello non seguì i lavori affidati a Giovanfrancesco da Sangallo e poi Bastiano da Sangallo, detto Aristotile. Probabile che l'originario progetto di Raffaello sia stato modificato dagli esecutori nell'impostazione di questo palazzo insolitamente a due soli piani, invece dei tre canonici. Non è inoltre chiaro se il palazzo sia un'opera compita a metà, vista la posizione del portale posto tra l'edificio ed un corpo basso ad un solo piano che forse si è rinunciato a rialzare raddoppiando le dimensioni della facciata. Lo stesso Vasari parlava di un progetto incompleto. Inoltre la prima raffigurazione iconografica del palazzo come lo si vede oggi risale solo al 1779, mentre planimetrie più antiche non riportano una pianta come quella attuale. In ogni caso il fabbricato alla destra del portone è un'aggiunta settecentesca.

Villa Madama
Negli ultimi anni della sua vita Raffello lavorò al progetto della villa a Monte Mario. Sovrintendente dei lavori fu nominato Antonio da Sangallo il Giovane, che era assistente di Raffaello a San Pietro. Un disegno mostra lo stato del progetto nel 1520, in cui al centro della villa doveva trovarsi un grande cortile circolare. Oltre alle stanze, la villa avrebbe compreso un teatro, stalle per duecento cavalli, un immenso ippodromo e giardini con giochi d'acqua; una grande scalinata, avrebbe dovuto condurre all'ingresso della villa. La Curia, dopo l'elezione di Clemente VII, difficilmente poteva permettersi di continuare i lavori al Belvedere; così si fermarono anche quelli a Monte Mario. La parte completata venne incendiata durante il Sacco di Roma. Dopo un restauro la villa divenne proprietà di Margherita di Parma (da lì il nome Villa Madama). Le sole parti dell'edificio originario sono, oltre a qualche zona del giardino, sono alcune parti incomplete della rotonda, cinque stanze e una loggia a tre campate. C'era un'idea di fare come nel Cortile del Belvedere (terrazze) ma venne abbandonata. Non esisteva un unico punto dal quale vedere la villa nel suo insieme; l'ippodromo,il teatro, la loggia, le terrazze del giardino e anche il vestibolo erano pensati per essere usati o tutti insieme o anche solo uno alla volta. In Villa Madama troviamo la stessa insistenza sulle visuali interne, come nella Cappella Chigi, e la medesima rinuncia a un sistema strutturale che governi tutto l'insieme, come Palazzo d'Aquila. Nessun edificio precedente aveva riprodotto così esattamente la funzione e le forme degli antichi modelli romani. Il teatro così come appare nel disegno di Sangallo è una precisa ricostruzione del teatro romano. Non esiste niente di più vicino all'epoca romana come la loggia (il modello più vicino era la decorazione della Domus Aurea e delle terme di Tito). Struttura e ornamento si fondono insieme. Erano proprio questi edifici che Raffaello, nella Lettera a Papa Leone X, considerava la massima conquista dell'arte dell'antichità. I giardini e la terrazza, nonostante secoli di abbandono, rendono ancora l'idea della fusione di paesaggio e architettura che caratterizzava la villa.

Basilica di San Pietro
Il lavoro di Raffaello a San Pietro si svolse sotto cattivi auspici, perché Leone X era molto meno interessato del suo predecessore al nuovo edificio. Si concentrava di più sulla facciata della chiesa di famiglia, San Lorenzo a Firenze, sulla ricostruzione di San Giovanni dei Fiorentini, a Roma (nel frattempo il lavoro a San Pietro procedette molto lentamente).
Un solo disegno si può attribuire a Bramante, molti invece a Raffaello; quest'ultimo era solito preparare molti dipinti con disegni metodici e accurati (si rese conto che non era possibile una sola pianta per tutta San Pietro). Era complicato mettere tutto per iscritto, quindi Raffaello utilizzò un nuovo sistema, quello della proiezione ortogonale (dice: l'architetto non ha bisogno di saper disegnare come un pittore, ma di avere disegni che li permettono di vedere l'edificio così come). Abbandonò la configurazione prospettica del Bramante.
Sebastiano Serlio precisa che molte parti del modello bramantesco sono incomplete, e Raffaello disegnando la propria pianta riutilizzò le idee di Bramante. Questa pianta si distingue da tutte le altre per la sua completa chiarezza: una navata di cinque campate, con navate laterali, viene posta davanti allo spazio cupolato bramantesco; la facciata è costituita da un ampio portico a due piani, i pilastri presentano doppie paraste sia verso la navata maggiore sia verso le navate laterali. L'altezza della navata maggiore era fissata dagli archi a crociera bramanteschi. Il sistema delle cupole minori fu ripreso. Le fondazioni dei piloni si mostrano insufficienti; per questa ragione si decise di posizionare i muri (quelli più sollecitati dal carico) più vicini ai piloni della cupola. L'ordine gigante della crociera prosegue sui pilastri del transetto, e le colonne tra i pilastri formano un ordine minore.
Raffaello non aveva alcuna intenzione di modificare la cupola di Bramante: l'aspetto esterno della chiesa sarebbe stato dominato dal sistema trabeato all'antica, composto cioè da sostegni verticali e architravi orizzontali senza l'uso di archi. Sia nei deambulatori che sulla facciata, colonne libere o semicolonne addossate alla muratura sostengono una trabeazione dorica; la facciata come quella di un tempio classico, consiste di colonne e timpano (Sant'Andrea a Mantova).
Con la sua navata, le alte torri e la facciata colossale, questo progetto supera quello della prima fase della fabbrica, sia per dimensione sia per magnificenza. Certamente il progetto di Raffaello presenta un ritorno all'impianto tradizionale a forma di T dell'antica San Pietro.
Durante la direzione di Raffaello la costruzione di San Pietro avanzò molto lentamente. Antonio da Sangallo, successore di Raffaello (1520), espose i difetti del progetto di Raffaello in un famoso memoriale.

Ultimi anni e morte
Gli anni tra il 1517 e il 1520 furono per Raffaello particolarmente fecondi e lo portarono a realizzare alcune tra le sue opere più apprezzate come il Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi ed il ritratto di donna conosciuto come La Fornarina in cui raffigurò -secondo alcune ipotesi- la sua musa-amante Margherita Luti; dello stesso periodo è la Trasfigurazione, grande olio su tavola, dinamico ed innovativo, che risulta essere l'ultima opera dell'artista e che fu completata nella parte inferiore da Giulio Romano il giorno prima della morte del maestro, così da poter essere collocata accanto al suo letto al momento del decesso, come racconta il Vasari. Lo stesso Vasari si sofferma sulle cause della morte, sopraggiunta dopo 15 giorni di malattia, iniziata con una febbre, causata secondo il biografo da "eccessi amorosi",ed infelicemente curata con ripetuti salassi. Raffaello morì, comunque, il 6 aprile 1520, a soli 37 anni, nel giorno di Venerdì Santo; la sua scomparsa fu salutata dal commosso cordoglio dei romani e dell'intera corte pontificia. Il suo corpo fu sepolto nel Pantheon, come egli stesso aveva richiesto. L'epigrafe della tomba di Raffaello, un distico scritto appositamente da Pietro Bembo e situato nel Pantheon, recita:
Questi è quel Raffaello per cui la natura temette di esser vinta,
mentr' era vivo e di morire, una volta morto


• 1528 - Albrecht Dürer, pittore e incisore tedesco (n. 1471)

• 1641 - Domenichino, pittore italiano (n. 1581)

• 1875 - Moses Hess, filosofo e politico tedesco (n. 1812)

* 1910 - Michele Rua (Torino, 9 giugno 1837 – Torino, 6 aprile 1910) è stato un sacerdote e educatore italiano. È il primo successore di Don Bosco. È stato proclamato beato il 29 ottobre 1972 da papa Paolo VI: memoria liturgica il 6 aprile.
Ultimo di nove figli di Giovanni Battista Rua rimane orfano di padre il 2 agosto 1845. Vive con la madre che ha un alloggio nella azienda dove lavora. È in questo momento, forse nel successivo autunno, che incontra don Giovanni Bosco.
Partecipa subito all'oratorio e diventa un entusiasta amico del futuro santo. Spinto sempre da don Bosco prende la strada del sacerdozio e il 3 ottobre 1853 riceve da don Bosco stesso l'abito clericale ai Becchi di Castelnuovo Don Bosco in una cappella fatta costruire dal sacerdote astigiano.
Nel 1859 Pio IX ufficializza la congregazione salesiana, don Bosco e Superiore Generale Rua è direttore spirituale, diventa di fatto il "braccio destro" del santo che già da anni serviva nell'ombra. Un giorno ebbe a dire: "traevo maggior profitto nell'osservare don Bosco, anche nelle sue azioni più umili, che a leggere e meditare un trattato di ascetismo".
Il 28 luglio 1860 viene ordinato sacerdote. nel 1865 è nell'oratorio di Valdocco a Torino, ci sono 700 ragazzi e le vocazioni sono molteplici, ma il lavoro di Rua è devastante e nel luglio 1868 sfiora la morte a causa di una peritonite, i medici gli danno poche ore di vita, ma invece arriva la guarigione, pare per miracolo compiuto per intercessione di Don Bosco. Il peso della congregazione è per metà di nuovo sulle sue spalle, ma la salute di don Bosco peggiora e nel 1884 è il papa stesso a suggerire di pensare al suo successore, non ci sono esitazione deve essere Michele Rua. Il 31 gennaio 1888 muore don Bosco e Rua diventa il superiore generale dei Salesiani.
Nel 1889 riprende prepotente l'espansione della congregazione che ormai ha una dimensione mondiale con case in tutti i continenti.
Michele Rua si trova così a capo di numerose case e migliaia di religiosi. Non è certo tipo da stare con le mani in mano, negli anni insiste sull'attuazione del sistema preventivo di don Bosco visita le opere salesiane percorrendo centinaia di migliaia di chilometri nonostante che con l'avanzare dell'età comincia ad avere seri problemi di salute. Nel 1907 viene inventato di sana pianta uno scandalo in un collegio, l'Italia si scatena contro i salesiani. Ma Rua è in prima fila a lottare e tutto finisce in semplici calunnie.
Dopo avuto la gioia di vedere don Bosco dichiarato "venerabile" (1907) e di aver finito di costruire la chiesa di Maria Liberatrice a Roma (1908) si ammala ed è costretto a letto spirerà due anni più tardi.
Aveva ricevuto dal fondatore 700 religiosi in 64 case disseminate in 6 paesi, ne lascia al suo successore 4000 religiosi in 341 case sparse in 30 nazioni. Il primo successore di don Bosco, rettore maggiore dei salesiani, viene proclamato beato nel 1972 da Paolo VI. Il suo corpo riposa ora a Torino, nella cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice, casa madre della congregazione di don Bosco.

• 1912 - Giovanni Antonio Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) è stato un poeta italiano, una delle figure maggiori della letteratura italiana di fine Ottocento.
Pascoli, insieme a D'Annunzio, rappresenta, malgrado la sua matrice positivistica (ravvisabile nell'ossessiva precisione della nomeclatura botanica e ornitologica nei suoi versi), il maggior poeta decadente italiano. Dai principi letterari del poeta, esposti nel suo Fanciullino (1897), emerge una concezione essenzialmente socialista della società, un socialismo umanitario e utopico che misconosce ogni lotta di classe affidando alla poesia la missione di diffondere amore e fratellanza. Coerentemente al suo pensiero decadente, Pascoli manifesta tendenze spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Gli stessi lutti familiari avranno modo di influenzare pesantemente, fino all'ossessione, il pensiero dell'autore: il matrimonio della sorella Ida nel 1895 verrà considerato un gesto di tradimento che lo porterà a serie reazioni depressive e patologiche.
Per pochi scrittori come per Pascoli le vicende della prima giovinezza furono tanto determinanti nello sviluppo creativo della maturità: sembra quasi impossibile comprendere il vero significato di gran parte - e sicuramente la più importante - della sua produzione poetica, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e psicologici che egli stesso riorganizzò per tutta la vita, in modo ossessivo, come sistema semantico di base del proprio mondo.

Anni giovanili
Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, in una famiglia benestante, quarto dei dieci figli di Ruggero Pascoli (due morti molto piccoli), amministratore di una tenuta della famiglia Torlonia, e di Caterina Allocatelli Vincenzi.
Il 10 agosto 1867, quando Giovanni aveva 12 anni, il padre Ruggero, amministratore di una tenuta dei principi Torlonia, venne assassinato con una fucilata mentre sul proprio calesse tornava a casa da Cesena, e le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse dovute a contrasti di lavoro, e i responsabili rimasero per sempre oscuri, nonostante la famiglia avesse forti sospetti sull'identità dell'assassino, come traspare evidentemente nella poesia La cavallina storna.
Il trauma lasciò segni profondi nella vita del poeta. La famiglia cominciò dapprima a perdere gradualmente il proprio status economico e successivamente a subire una serie impressionante di altri lutti, disgregandosi: costretti a lasciare la tenuta, l'anno successivo morirono la madre e la sorella Margherita, nel 1871 il fratello Luigi e nel 1876 il fratello maggiore Giacomo, che aveva tentato inutilmente di ricostituire il nucleo familiare.
Nella biografia lasciata a noi dalla sorella Mariù, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, il futuro poeta viene presentato come un ragazzo solido e vivace, il cui carattere non è stato alterato dalle disgrazie; per anni, infatti, le sue reazioni parvero essere volitive e tenaci, nell'impegno a terminare il liceo ed a cercare i mezzi per gli studi universitari, nonché nel puntiglio, sempre frustrato, dimostrato nel ricercare e perseguire l'assassino del padre.

I primi studi
Nel 1871, all'età di 16 anni e dopo la morte del fratello Luigi (per meningite il 19 ottobre dello stesso anno), Pascoli dovette lasciare il collegio Raffaello dei padri Scolopi di Urbino, e si trasferì a Rimini, per frequentare il liceo classico Giulio Cesare; giunse a Rimini assieme ai suoi sei fratelli: Giacomo (19 anni), Luigi (17), Raffaele (14), Giuseppe (cioè Alessandro, 12), Ida (8), Maria (6, chiamata affettuosamente Mariù).
«L'appartamento, già scelto da Giacomo ed arredato con lettini di ferro e di legno, e con mobili di casa nostra, era in uno stabile interno di via San Simone, e si componeva del pianterreno e del primo piano», scrive Mariù:
«La vita che si conduceva a Rimini… era di una economia che appena consentiva il puro necessario».
Pascoli terminò infine gli studi liceali a Firenze.

L'università e l'impegno politico
Grazie all'interessamento di un suo ex-professore, che gli fece ottenere una borsa di studio di 600 lire, che poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca, Pascoli si iscrisse all'Università di Bologna, dove ebbe come docente il poeta Giosuè Carducci, e diventò amico del poeta e critico Severino Ferrari.
Conosciuto Andrea Costa ed avvicinatosi a un movimento socialista-anarcoide, cominciò, nel 1877, a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una manifestazione più violenta del solito contro il governo per la condanna all'esponente anarchico Giovanni Passanante, Pascoli viene catturato dalle forze dell'ordine e fu portato nel carcere di Bologna nel 1879.
Dopo poco più di cento giorni, Pascoli esce di galera ed entra in una fase di depressione, nella quale più volte pensa al suicidio, decidendo di non riprendere gli studi. Si sente un fallito e deve essere ospitato dal fratello maggiore. Come poi scriverà in una lirica, in questo periodo sente le voci dei suoi cari defunti che lo incoraggiano e lo incitano a ricomciare gli studi per diventare sostegno per la famiglia.

La docenza
Dopo la laurea, conseguita nel 1882 con una tesi su Alceo, Pascoli intraprese la carriera di insegnante di latino e greco nei licei di Matera e di Massa. Qui volle vicino a sé le due sorelle minori Ida e Maria, con le quali tentò di ricostituire il primitivo nucleo familiare.
Il 22 settembre 1882 fu iniziato alla massoneria, presso la loggia "Rizzoli" di Bologna. Il testamento massonico autografo del Pascoli, a forma di triangolo (il triangolo è un simbolo massonico), è stato rinvenuto nel 2002[1].
Dal 1887 al 1895 insegnò a Livorno al liceo classico Niccolini-Palli. Intanto iniziò la collaborazione con la rivista Vita nuova, su cui uscirono le prime poesie di Myricae, raccolta che continuò a rinnovarsi in cinque edizioni fino al 1900.
Vinse inoltre per ben tredici volte la medaglia d'oro al Concorso di poesia latina di Amsterdam, col poemetto Veianus e coi successivi Carmina.
Nel 1894 fu chiamato a Roma per collaborare con il Ministero della pubblica istruzione. Nella capitale pubblicò la prima versione dei Poemi conviviali (Gog e Magog), ed ebbe modo di conoscere e frequentare Gabriele D'Annunzio.

Il "nido" di Castelvecchio
Costretto dalla sua professione di docente universitario a lavorare in città (Bologna, Firenze e Messina, dove insegnò per alcuni anni all'Università e compose tra le sue più belle poesie, una su tutte: L'Aquilone), egli non si radicò mai in esse, preoccupandosi sempre di garantirsi una "via di fuga" verso il proprio mondo di origine, quello agreste. Tuttavia il punto di arrivo sarebbe stato sul versante appenninico opposto a quello da cui proveniva la sua famiglia.
Nel 1895 infatti si trasferì con la sorella gobba Maria in Garfagnana nel piccolo borgo arroccato di Caprona, presso Castelvecchio nel comune di Barga, in una casa che divenne la sua residenza stabile quando poté acquistarla col ricavato della vendita di alcune medaglie d'oro vinte nei concorsi. Per preservare quello che pareva essere un "nido familiare", Pascoli addirittura annullò l'imminente matrimonio con la cugina Imelde Morri, e mai accettò il matrimonio della sorella Ida, che considerò come tradimento.
Si può addirittura affermare che la vita moderna della città non entrò mai, neppure come antitesi, come contrapposizione polemica, nella poesia pascoliana: egli, in un certo senso, non uscì mai dal suo mondo, che costituì, in tutta la sua produzione letteraria, l'unico grande tema, una specie di microcosmo chiuso su sé stesso, come se il poeta avesse bisogno di difenderlo da un minaccioso disordine esterno che, però, rimase innominato e oscuro, privo di riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di suo padre. Sull'ambiguo e tormentato rapporto con le sorelle - il "nido" familiare che ben presto divenne "tutto il mondo" della poesia di Pascoli - ha scritto parole di estrema chiarezza il poeta Mario Luzi:
«Di fatto si determina nei tre che la disgrazia ha diviso e ricongiunto una sorta di infatuazione e mistificazione infantili, alle quali Ida è connivente solo in parte. Per il Pascoli si tratta in ogni caso di una vera e propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente e troppo presto. Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che meglio gli garantiscono il regresso all'infanzia, escludendo di fatto, talvolta con durezza, gli altri fratelli. In pratica il Pascoli difende il nido con sacrificio, ma anche lo oppone con voluttà a tutto il resto: non è solo il suo ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Garfagnana dove può, oltre tutto, mimetizzarsi con la natura. » ([M. Luzi, Giovanni Pascoli])

Gli ultimi anni
Le trasformazioni politiche e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e preludevano alla catastrofe bellica europea e all'avvento del fascismo gettarono progressivamente Pascoli, già emotivamente provato dall'ulteriore fallimento del suo tentativo di ricostruzione familiare, in una condizione di insicurezza e pessimismo ancora più marcati.
Dal 1897 al 1903 insegna latino all'Università di Messina, ed in seguito a Pisa. In quegli anni pubblicò i volumi di analisi dantesca Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900) e La Mirabile Visione (1902).
Nel 1905 assume la cattedra di letteratura italiana all'Università di Bologna succedendo a Carducci.
Nel novembre 1911, durante la campagna di Libia, presso il teatro di Barga pronuncia il celebre discorso a favore dell'imperialismo La grande Proletaria si è mossa.
Il 6 aprile 1912, già malato di cirrosi epatica (a causa dell'abuso di alcool) muore a causa di un cancro al fegato a Bologna, all'età di cinquantasei anni. Viene sepolto nella cappella annessa alla sua dimora di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l'amata sorella Maria.

Il profilo letterario: la sua rivoluzione poetica
L'esperienza poetica pascoliana si inserisce, con tratti originalissimi, nel panorama del decadentismo europeo e segna in maniera indelebile la poesia italiana: essa affonda le radici in una visione pessimistica della vita in cui si riflette la scomparsa della fiducia, propria del Positivismo, e in una conoscenza in grado di spiegare compiutamente la realtà. Il mondo appare all'autore come un insieme misterioso e indecifrabile tanto che il poeta tende a rappresentare la realtà con una pennellata impressionistica che colga solo un determinato particolare del reale, non essendo possibile per l'autore avere una concreta visione d'insieme. Coerentemente con la visione decadente, il poeta si configura come un "veggente", mediatore di una conoscenza aurorale, in grado di spingere lo sguardo oltre il mondo sensibile: nel Fanciullino Pascoli afferma quanto il poeta fanciullino sappia dare il nome alle cose, scoprendole nella loro freschezza originaria, in maniera immaginosa e alogica.

La formazione letteraria
La fase cruciale della formazione letteraria di Pascoli va fatta risalire ai nove anni trascorsi a Bologna come studente alla Facoltà di Lettere (1873 - 1882). Allievo di Carducci, che si accorse subito delle qualità del giovane Pascoli, nella cerchia ristretta dell'ambiente creatosi attorno al poeta, Pascoli visse gli anni più movimentati della sua vita. Qui, protetto comunque dalla naturale dipendenza tra maestro e allievo, Pascoli non ebbe bisogno di alzare barriere nei confronti della realtà, dovendo limitarsi a seguire gli indirizzi ed i modelli del suo corso di studi: i classici, la filologia, la letteratura italiana. Nel 1875 perse la borsa di studio e con essa l'unico mezzo di sostentamento su cui poteva contare. La frustrazione ed i disagi materiali lo spinsero verso il movimento socialista in quella che fu l'unica breve parentesi politica della sua vita. Nel 1879 venne arrestato e assolto dopo tre mesi di carcere; l'ulteriore senso di ingiustizia e la delusione lo riportarono nell'alveo d'ordine del maestro Carducci e al compimento degli studi con una tesi sul poeta greco Alceo. A margine degli studi veri e propri, egli, comunque, condusse una vasta esplorazione del mondo letterario ed anche scientifico straniero, attraverso le riviste francesi specializzate come la Revue des deux Mondes, che lo misero in contatto con l'avanguardia simbolista, e la lettura dei testi scientifico-naturalistici di Jules Michelet, Jean-Henri Fabre e Maurice Maeterlinck. Tali testi utilizzavano la descrizione naturalistica - la vita degli insetti soprattutto, per quell'attrazione per il microcosmo così caratteristica del Romanticismo decadente di fine Ottocento - in chiave poetica; l'osservazione era aggiornata sulle più recenti acquisizioni scientifiche dovute al perfezionamento del microscopio e della sperimentazione di laboratorio, ma poi veniva filtrata letterariamente attraverso uno stile lirico in cui dominava il senso della meraviglia e della fantasia. Era un atteggiamento positivista "romanticheggiante" che tendeva a vedere nella natura l'aspetto pre-cosciente del mondo umano.
Coerentemente con questi interessi, vi fu anche quello per la cosiddetta "filosofia dell'inconscio" del tedesco Karl Robert Eduard von Hartmann, l'opera che aprì quella linea di interpretazione della psicologia in senso anti-meccanicistico che sfociò nella psicanalisi freudiana. È evidente in queste letture - come in quella successiva dell'opera dell'inglese James Sully sulla "psicologia dei bambini" - un'attrazione di Pascoli verso il "mondo piccolo" dei fenomeni naturali e psicologicamente elementari che tanto fortemente caratterizzò tutta la sua poesia. E non solo la sua. Per tutto l'Ottocento la cultura europea aveva coltivato un particolare culto per il mondo dell'infanzia, dapprima, in un senso pedagogico e culturale più generico, poi, verso la fine del secolo, con un più accentuato intendimento psicologico. I Romantici, sulla scia di Giambattista Vico e di Rousseau, avevano paragonato l'infanzia allo stato primordiale "di natura" dell'umanità, inteso come una sorta di età dell'oro.
Verso gli anni '80 si cominciò, invece, ad analizzare in modo più realistico e scientifico la psicologia dell'infanzia, portando l'attenzione sul bambino come individuo in sé, caratterizzato da una propria realtà di riferimento. La letteratura per l'infanzia aveva prodotto in meno di un secolo una quantità considerevole di libri che costituirono la vera letteratura di massa fino alla fine dell'Ottocento. Parliamo dei libri per i bambini, come le innumerevoli raccolte di fiabe dei fratelli Grimm (1822), di H.C. Andersen (1872), di Ruskin (1851), Wilde (1888), Maurice Maeterlinck (1909); o come il capolavoro di Carroll, Alice nel paese delle meraviglie (1865). Oppure i libri di avventura adatti anche all'infanzia, come i romanzi di Jules Verne, Kipling, Twain, Salgari, London. O libri sull'infanzia, dall'intento moralistico ed educativo, come Senza famiglia di Malot (1878), Il piccolo lord di F.H. Burnett (1886), Piccole donne di Alcott (1869) e i celeberrimi Cuore di De Amicis (1886) e Pinocchio di Collodi (1887). Tutto questo ci serve a ricondurre, naturalmente, la teoria pascoliana della poesia come intuizione pura e ingenua, espressa nella poetica del Fanciullino, ai riflessi di un vasto ambiente culturale europeo che era assolutamente maturo per accogliere la sua proposta. In questo senso non si può parlare di una vera novità, quanto piuttosto della sensibilità con cui egli seppe cogliere un gusto diffuso ed un interesse già educato, traducendoli in quella grande poesia che all'Italia mancava dall'epoca di Leopardi. Per quanto riguarda il linguaggio, Pascoli ricerca una sorta di musicalità evocativa, accentuando l'elemento sonoro del verso, secondo il modello dei poeti maledetti Paul Verlaine e Stéphane Mallarmé.

La poesia come "nido" che protegge dal mondo
Per Pascoli la poesia ha natura irrazionale e con essa si può giungere alla verità di tutte le cose; il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a questa verità mediante l'irrazionalità e l'intuizione. Rifiuta quindi la ragione e, di conseguenza, rifiuta il Positivismo (che era l'esaltazione della ragione stessa e del progresso), approdando, come si è detto, al decadentismo. La poesia diventa così analogica, cioè senza apparente connessione tra due o più realtà che vengono rappresentate; ma, appunto, solo apparentemente: in realtà c'è una connessione (a volte anche un po' forzata) tra i concetti ed il poeta spesso e volentieri è costretto a "voli vertiginosi" per mettere "in comunicazione" questi concetti. La poesia irrazionale o analogica è una poesia di svelamento o di scoperta e non di invenzione. I motivi principali di questa poesia devono essere "umili cose": cose della vita quotidiana, cose modeste o familiari. Nella vita dei letterati italiani degli ultimi due secoli ricorre pressoché costantemente la contrapposizione problematica tra mondo cittadino e mondo agreste, intesi come portatori di valori opposti: mentre la campagna appare sempre più come il "paradiso perduto" dei valori morali e culturali, la città diviene simbolo di una condizione umana maledetta e snaturata, vittima della degradazione morale causata da un ideale di progresso puramente materiale. Questa contrapposizione può essere interpretata sia alla luce dell'arretratezza economica e culturale di gran parte dell'Italia rispetto all'evoluzione industriale delle grandi nazioni europee, sia come conseguenza della divisione politica e della mancanza di una grande metropoli unificante come erano Parigi per la Francia e Londra per l'Inghilterra. I "luoghi" poetici della "terra", del "borgo", dell'"umile popolo" che ricorrono fino agli anni del secondo dopoguerra non fanno che ripetere il sogno di una piccola patria lontana, che l'ideale unitario vagheggiato o realizzato non spegne mai del tutto.
Decisivo nella continuazione di questa tradizione fu proprio Pascoli, anche se i suoi motivi non furono quelli tipicamente ideologici degli altri scrittori, ma nacquero da radici più intimistiche e soggettive. Nel 1899 scrisse al pittore De Witt: «C'è del gran dolore e del gran mistero nel mondo; ma nella vita semplice e familiare e nella contemplazione della natura, specialmente in campagna, c'è gran consolazione, la quale pure non basta a liberarci dall'immutabile destino».[2].
In questa contrapposizione tra l'esteriorità della vita sociale (e cittadina) e l'interiorità dell'esistenza familiare (e agreste) si racchiude l'idea dominante - accanto a quella della morte - della poesia pascoliana.
Dalla casa di Castelvecchio, dolcemente protetta dai boschi della Media Valle del Serchio vicino al borgo medievale di Barga, Pascoli non "uscì" più (psicologicamente parlando) fino alla morte.
Pur continuando in un intenso lavoro di pubblicazioni poetiche e saggistiche, e accettando nel 1905 di succedere a Carducci sulla cattedra dell'Università di Bologna, egli ci ha lasciato del mondo una visione univocamente ristretta attorno ad un "centro", rappresentato dal mistero della natura e dal rapporto tra amore e morte.
Fu come se, sopraffatto da un'angoscia impossibile a dominarsi, il poeta avesse trovato nello strumento intellettuale del componimento poetico l'unico mezzo per costringere le paure ed i fantasmi dell'esistenza in un recinto ben delimitato, al di fuori del quale egli potesse continuare una vita di normali relazioni umane. A questo "recinto" poetico egli lavorò con straordinario impegno creativo, costruendo una raccolta di versi e di forme che la letteratura italiana non vedeva, per complessità e varietà, dai tempi di Chiabrera.[senza fonte] La ricercatezza quasi sofisticata, e artificiosa nella sua eleganza, delle strutture metriche scelte da Pascoli - mescolanza di novenari, quinari e quaternari nello stesso componimento, e così via - è stata interpretata come un paziente e attento lavoro di organizzazione razionale della forma poetica attorno a contenuti psicologici informi e incontrollabili che premevano dall'inconscio. Insomma, esattamente il contrario di quanto i simbolisti francesi e le altre avanguardie artistiche del primo Novecento proclamavano nei confronti della spontaneità espressiva. Anche se l'ultima fase della produzione pascoliana è ricca di tematiche socio-politiche (Odi e inni del 1911, i Poemi italici e i Poemi del Risorgimento, postumi; nonché il celebre discorso La grande Proletaria si è mossa tenuto nel 1911 in occasione di una manifestazione a favore dei feriti della guerra di Libia), non c'è dubbio che la sua opera più significativa è rappresentata dai volumi poetici che comprendono le raccolte di Myricae e dei Canti di Castelvecchio (1903). Il "mondo" di Pascoli è tutto lì: la natura come luogo dell'anima dal quale contemplare la morte come ricordo dei lutti privati.
«Troppa questa morte? Ma la vita, senza il pensiero della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico. D'altra parte queste poesie sono nate quasi tutte in campagna; e non c'è visione che più campeggi o sul bianco della gran nave o sul verde delle selve o sul biondo del grano, che quella dei trasporti o delle comunioni che passano: e non c'è suono che più si distingua sul fragor dei fiumi e dei ruscelli, su lo stormir delle piante, sul canto delle cicale e degli uccelli, che quello delle Avemarie. Crescano e fioriscano intorno all'antica tomba della mia giovane madre queste myricae (diciamo cesti o stipe) autunnali. » (Dalla Prefazione di Pascoli ai Canti di Castelvecchio)

Il poeta e il fanciullino
Uno dei tratti salienti per i quali Pascoli è passato alla storia della letteratura è la cosiddetta poetica del fanciullino, da lui stesso così bene esplicitata nello scritto omonimo apparso sulla rivista Il Marzocco nel 1897. In tale scritto, Pascoli, influenzato dal manuale di psicologia infantile di James Sully e da La filosofia dell'inconscio di Eduard von Hartmann, dà una definizione assolutamente compiuta - almeno secondo il suo punto di vista - della poesia (dichiarazione poetica). Si tratta di un testo di 20 capitoli, in cui si svolge il dialogo fra il poeta e la sua anima di fanciullino, simbolo:
• dei margini di purezza e candore, che sopravvivono nell'uomo adulto;
• della poesia e delle potenzialità latenti di scrittura poetica nel fondo dell'animo umano.

Caratteristiche del fanciullino:
• "Rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce ed egli fa sentire il suo tinnulo squillo come di campanella".
• "Piange e ride senza un perché di cose, che sfuggono ai nostri sensi ed alla nostra ragione".
• Guarda tutte le cose con stupore e con meraviglia, non coglie i rapporti logici di causa- effetto, ma INTUISCE.
• "Scopre nelle cose le relazioni più ingegnose".
• Riempie ogni oggetto della propria immaginazione e dei propri ricordi (soggettivazione), trasformandolo in simbolo.
Il poeta allora mantiene una razionalità di fondo, organizzatrice della metrica poetica, ma:
• Possiede una sensibilità speciale, che gli consente di caricare di significati ulteriori e misteriosi anche gli oggetti più comuni;
• Comunica verità latenti agli uomini: è "Adamo", che mette nome a tutto ciò che vede e sente (secondo il proprio personale modo di sentire, che tuttavia ha portata universale).
• Deve saper combinare il talento della fanciullezza (saper vedere), con quello della vecchiaia (saper dire);
• Coglie l'essenza delle cose e non la loro apparenza fenomenica.

La poesia, quindi, è tale solo quando riesce a parlare con la voce del fanciullo ed è vista come la perenne capacità di stupirsi tipica del mondo infantile, in una disposizione irrazionale che permane nell'uomo anche quando questi si è ormai allontanato, almeno cronologicamente, dall'infanzia propriamente intesa. È una realtà ontologica. Ha scarso rilievo per Pascoli la dimensione storica (egli trova suoi interlocutori in Omero, Virgilio, come se non vi fossero secoli e secoli di mezzo): la poesia vive fuori dal tempo ed esiste in quanto tale. Nel fare poesia una realtà ontologica (il poeta-microcosmo) si interroga su un'altra realtà ontologica (il mondo-macrocosmo); ma per essere poeta è necessario confondersi con la realtà circostante senza che il proprio punto di vista personale e preciso interferisca: il poeta si impone la rinuncia a parlare di se stesso. È vero che la vicenda autobiografica dell'autore caratterizza la sua poesia, ma con connotazioni di portata universale; cioè la morte del padre viene percepita come l'esempio principe della descrizione dell'universo, di conseguenza gli elementi autenticamente autobiografici sono scarsi. Tuttavia, nel passo XI de "Il fanciullino", Pascoli dichiara che un vero poeta è, più che altro, il suo sentimento e la sua visione che cerca di trasmettere agli altri. Per cui il poeta Pascoli rifiuta:
• il Classicismo, che si qualifica per la centralità ed unicità del punto di vista del poeta, che narra la sua opera ed esprime la proprie sensazioni.
• il Romanticismo, dove il poeta fa di se stesso, dei suoi sentimenti e della sua vita, poesia.

La poesia, così definita, è naturalmente buona ed è occasione di consolazione per l'uomo ed il poeta. Pascoli fu anche commentatore e critico dell'opera di Dante e diresse inoltre la collana editoriale "Biblioteca dei Popoli".
Il limite della poesia del Pascoli è costituito dall'ostentata pateticità e dall'eccessiva ricerca dell'effetto commovente. D'altro canto, il merito maggiore attribuibile al Pascoli fu quello di essere riuscito nell'impresa di far uscire la poesia italiana dall'eccessiva aulicità e retoricità non solo del Carducci e del Leopardi, ma anche del suo contemporaneo D'Annunzio. In altre parole, fu in grado di creare finalmente un legame diretto con la poesia d'Oltralpe e di respiro europeo.

• 1957 - Pierina Morosini (Albino, 7 gennaio 1931 – Bergamo, 6 aprile 1957) fu una laica proclamata beata dalla Chiesa cattolica nel 1987.
Primogenita di nove fratelli, visse fino al 1933 nella cascina "Stalle" di Fiobbio, frazione del comune di Albino. Fu battezzata col nome di Pierina Eugenia, nella nuova chiesa parrocchiale di Fiobbio.
Nel 1942 entrò a far parte dell'Azione Cattolica. Il 18 marzo 1946, poco più che quindicenne, fu assunta come aiutante tessitrice nel Cotonificio Honegger di Albino. Nell'aprile dello stesso anno, durante un ricovero ospedaliero dovuto ad un incidente sul lavoro, conobbe padre Luciano Mologni, del Convento dei Frati Minori Cappuccini di Albino, che sarebbe diventato il suo padre spirituale. Nel 1947 professò i voti privati di castità, povertà ed obbedienza. Il Cotonifio Honegger era un'azienda di circa 1300 dipendenti. Qui cominciò a lavorare prima come addetta alle pulizie del reparto e dei telai, poi apprendista e aiutante delle altre operaie, infine divenne operatrice ai telai.
Il 4 aprile 1957, dopo il lavoro, il fratello la trovò esanime a terra con una ferita alla testa. Fu portata all'ospedale di Bergamo, dove morì il 6 aprile senza aver ripreso conoscenza. Sul luogo del ritrovamento fu trovata una pietra sporca di sangue. I medici conclusero che la ragazza era stata aggredita e colpita alla nuca con il sasso, che le aveva frattutato il cranio, probabilmente nel corso di un tentativo di stupro.

Il culto
L'8 dicembre 1975 il vescovo di Bergamo Clemente Gaddi, avviò la causa di beatificazione di Pierina Morosini. Nei giorni 9 e 10 aprile 1983 venne effettuata la ricognizione delle spoglie, prevista dal processo di beatificazione, quindi il corpo della Morosini venne trasferito dal cimitero alla chiesa parrocchiale di Fiobbio, dove è posta in un sarcofago di marmo bianco all'ingresso, sulla destra.
«Pierina Morosini è stata beatificata perché martire della verginità; e così, facile è stato il confronto con Maria Goretti. Ma mentre Maria Goretti è santa perché martire, la nostra Pierina è martire perché santa. Martirizzata a 26 anni, aveva fatto precedere una vita intrecciata di virtù eroiche che, se non hanno meritato il dono del martirio, l'hanno ad esso senza dubbio preparato » (mons. Giulio Oggioni, vescovo di Bergamo in una lettera pastorale alla Diocesi di Bergamo nel 1987)
Il 4 ottobre 1987 Pierina Morosini venne beatificata a Roma da Papa Giovanni Paolo II.

• 1960 - Orio Vergani (Milano, 6 febbraio 1898 – Milano, 6 aprile 1960) è stato un giornalista, fotografo e scrittore italiano, considerato il primo fotogiornalista italiano.
Si considerava "figlio d'arte" in quanto letteratura, il giornalismo, il teatro, erano le professioni della sua famiglia da oltre cento anni.
I fratelli maggiori di sua madre erano Vittorio Podrecca, fondatore del «Teatro dei Piccoli», e Guido Podrecca, deputato socialista e fondatore del settimanale anticlericale L'Asino. Sua sorella, Vera Vergani, è stata prima interprete assoluta dei Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello.
Vergani nacque a Milano. Trascorse la sua adolescenza a Chioggia, a Sansepolcro, a Viterbo e a Colorno. A 15 anni pubblicò la sua prima novella sulla rivista Il secolo XX, diretta da Pio Schinetti.
Interrotti gli studi, si trasferì a Roma, dove conobbe Federico Tozzi, di cui diventò amico. Luigi Pirandello lesse i suoi racconti e lo considerò il più promettente dei suoi discepoli.

Carriera giornalistica
A soli 26 anni Vergani fu chiamato da Ugo Ojetti al Corriere della Sera come inviato speciale della terza pagina. Lavorò nel maggiore quotidiano italiano per 34 anni, coprendo con i suoi articoli la pagina politica, la terza pagina e la pagina sportiva.
Orio Vergani divenne celebre nel giornalismo sportivo come inviato al seguito di ben 25 «Giri d'Italia» e di altrettanti «Tour de France». Con il suo talento letterario portò ai massimi livelli la ritrattistica dei campioni dello sport. Esemplari i pezzi su Alfredo Binda, campione della sua generazione.
È oggi considerato il «maestro del giornalismo sportivo» . Gianni Brera e Bruno Raschi appresero la sua altissima lezione.
Vergani fu considerato anche il primo fotogiornalista europeo.
Attività letteraria
All'attività di giornalista (si calcola che abbia scritto più di 20.000 articoli) Vergani accompagnò sempre quella, più mediata, letteraria. La sua fu una narrativa di assorti ed angosciati sentimenti umani.
A 20 anni Vergani pubblicò il suo primo libro di novelle, Acqua alla gola, mentre già svolgeva un'intensa attività giornalistica al quotidiano romano Tribuna, a Il messaggero della domenica e all' Idea Nazionale.
Dopo aver pubblicato Soste del capogiro e Fantocci del carosello immobile, scrisse, non ancora trentenne, il romanzo Io, povero negro e subito dopo le novelle di Domenica al mare (1931). Nella narrativa rimase fedele al naturalismo, dopo la giovane esperienza nel realismo magico.
Ma Vergani è stato anche tra i primi scrittori italiani a interessarsi di arti "nuove" come il jazz, il cinema, la coreografia.
Ha fondato il premio Bagutta, che, per anzianità, è il primo premio letterario italiano.

* 1968 - Francesco Maria Gerardo Vito (Pignataro Maggiore, 21 ottobre 1902 – Milano, 6 aprile 1968) è stato un economista e rettore italiano.
Francesco Maria Gerardo Vito nasce il 21 ottobre 1902 a Pignataro Maggiore da Federico, proprietario, e da Rosina De Vita, anch'essa proprietaria, in Via De Vita n. 24.
Nel 1925 si laurea in giurisprudenza presso l'Università di Napoli, nel 1926 in Scienze Economiche, Politiche e Sociali e nel 1928 in filosofia. Tra il 1929 e il 1934 perfeziona gli studi presso le scuole ed Università di Monaco di Baviera, Berlino, Londra, New York e Chicago.
Nel 1935 ottiene la cattedra di economia politica presso la facoltà di scienze politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano che manterrà sino alla morte. Nel 1959, dopo la morte di padre Agostino Gemelli diviene Rettore dell'Università Cattolica di Milano, carica che mantiene sino al 1965, e porta a termine l'istituzione della nuova facoltà di medicina di Roma.
Morì a Milano il 6 aprile 1968, durante una riunione del Consiglio d'Amministrazione dell'Università Cattolica.

Scritti
Nella sua quarantennale carriera accademica, il professor Vito produsse un elevato numero di scritti: la bibliografia redatta all'interno del volume "Francesco Vito - Attualità di un economista politico" (Milano, Vita e Pensiero, 2003), curato da Daniela Parisi e Claudia Rotondi, occupa 42 pagine. Le opere ivi elencate non sono numerate, quindi non si ha una immediata contezza sulla quantità dei lavori eseguiti.
Tra il 1925 ed il 1968, si possono comunque contare oltre cinquecento scritti per oltre ventimila pagine. Questi lavori, tutti o quasi dal contenuto economico, sono stati pubblicati in trentacinque libri scritti dal professor Vito stesso, in circa settantacinque libri con autori vari, in diverse riviste italiane, tra le quali la Rivista Internazionale di Scienze Sociali, ed estere. Tra gli scritti particolarmente degni di nota troviamo la "triade" di economia politica con: "Introduzione", "Il prezzo e la distribuzione" e "La moneta, il credito e i sistemi monetari attuali" che hanno avuto, rispettivamente, quindici, sedici e quattordici edizioni.
Francesco Vito dedicò inoltre particolare attenzione alle encicliche, con ben trentacinque lavori, tra le quali "Mater et Magistra", "Rerum Novarum" , "Pacem in Terris", "Populorum Progressio" ed "Ecclesiam Suam". Dedicò oltre venticinque trattazioni ai vari discorsi dei pontefici.
Come conferenziere, i suoi molteplici interventi furono stampati in oltre ottanta occasioni, ove, le più numerose, con circa venti pubblicazioni, furono quelle dedicate alla "Settimana Sociale dei Cattolici d'Italia" della quale fu presidente del Comitato Permanente. La stampa invece ospitò interventi del professore solo a mezzo de il Giornale del Levante di Bari, in due occasioni, e de L'Osservatore Romano.

• 1971 - Igor' Fëdorovič Stravinskij (Lomonosov, 17 giugno 1882 – New York, 6 aprile 1971) è stato un compositore russo naturalizzato francese, e in seguito statunitense. La maggior parte dei suoi lavori rientrano nell'ambito del neoclassicismo e poi della serialità, ma la sua popolarità è affidata a tre balletti composti durante il suo primo periodo (noto come il periodo russo): L'uccello di fuoco (1910), Petrushka (1911) e La sagra della primavera (1913), opere che reinventarono il genere del balletto.
Stravinskij scrisse per ogni tipo di organico, spesso riutilizzando forme classiche. La sua opera omnia include composizioni d'ogni genere, dalle sinfonie alle miniature per pianoforte.
Ottenne grande fama come pianista e direttore d'orchestra, dirigendo spesso le prime delle sue composizioni, e fu anche pubblicista. Scrisse anche due saggi di filosofia musicale, nei quali esponeva le giustificazioni riguardo la sua visione della musica come suprema arte dinamica che non può essere mai rinchiusa in canoni prestabiliti e un libriccino teorico intitolato Poetica della musica, in cui tra le altre cose dichiara che la musica è incapace "di esprimere niente altro che se stessa". In questa luce si può intendere il suo radicale antiwagnerismo. Craft trascrisse inoltre numerose interviste con il compositore, in seguito pubblicate sotto il titolo di Conversazioni con Stravinskij.
Tipico russo cosmopolita, Stravinskij fu uno dei più apprezzati compositori del XX secolo, sia nel mondo occidentale che nel suo paese d'origine.

• 1992 - Isaac Asimov (Petroviči, 2 gennaio 1920 – New York, 6 aprile 1992) è stato un biochimico e scrittore statunitense di origine russa. Le sue opere sono considerate una pietra miliare sia nel campo della fantascienza che della divulgazione scientifica. È autore di una vastissima e variegata produzione, stimata intorno ai 500 volumi pubblicati.
«Ardo dal desiderio di spiegare, e la mia massima soddisfazione è prendere qualcosa di ragionevolmente intricato e renderlo chiaro passo dopo passo. È il modo più facile per chiarire le cose a me stesso.» (Isaac Asimov)

Isaac Asimov nasce il 2 gennaio 1920 a Petroviči, un villaggio nei pressi di Smolensk, in Russia, da una famiglia ebraica, ma all'età di tre anni emigra con la famiglia negli Stati Uniti, stabilendosi nel quartiere di Brooklyn, a New York.
I genitori gestiscono un negozio di giornali e dolciumi e proprio qui il giovane Isaac inizia ad appassionarsi alla fantascienza leggendo le riviste del settore che periodicamente arrivano al padre, Judah Asimov. Isaac, pur non essendo figlio unico (ha un fratello, Stanley, e una sorella, Marcia) è il pupillo della famiglia a causa della sua salute cagionevole, che però non gli impedisce di frequentare la Columbia University, dove si laurea nel 1939 in chimica e biologia.
Nel frattempo ha iniziato a scrivere alcuni racconti. Il suo primo tentativo è a soli undici anni, quando scrive un racconto dal titolo The Greenville Chums at College. Il suo primo racconto ad essere pubblicato è, invece, Little Brothers, nel 1934, mentre frequenta le scuole superiori.
Entrato al college, tra le sue letture preferite, oltre ai romanzi storici e fantascientifici, ci sono Agatha Christie e Wodehouse. Nel 1937 propone Cosmic Corkscrew a John W. Campbell, direttore della rivista Astounding Stories, ma il manoscritto gli viene rispedito.
Nonostante ciò, è lo stesso Campbell ad incoraggiarlo a scrivere altre opere, e così nel 1939 esce su Astounding Stories il racconto Naufragio (Marooned off Vesta). Nel frattempo Asimov ha stretto ottimi rapporti anche con Frederik Pohl, direttore di altre due prestigiose riviste di fantascienza, Astonishing Stories e Super Science Fiction. È su queste testate che vedranno la luce molti dei celebri racconti sui robot positronici (il primo, sempre del 1939, è Robbie), preludio ai fortunati romanzi del Ciclo dei Robot, e le storie che formeranno la prima parte della sua opera più celebre, il Ciclo della Fondazione.
Dopo la laurea, trova molte difficoltà ad entrare nelle scuole mediche di New York, ma finalmente nel 1941 riesce ad ottenere un master presso la Columbia University. Quello stesso anno pubblica il racconto Notturno, osannato dalla critica come il miglior racconto breve di fantascienza mai scritto e contemporaneamente inizia a scrivere i racconti che poi saranno noti come la Trilogia della Fondazione.
Nel frattempo prosegue gli studi di chimica sotto l'ala protettrice del professor Charles Dawson.
Nel 1942 sposa Gertrude Blugerman, di Toronto (Canada), artista. Quello stesso anno, a causa della seconda guerra mondiale, viene impiegato come chimico presso il Naval Air Experimental Station di Filadelfia insieme ai colleghi scrittori Robert A. Heinlein e L. Sprague de Camp.
Nel 1945 Asimov viene arruolato come soldato semplice e inviato prima a Camp Lee (Virginia), poi a Honolulu, dove partecipa al primo esperimento atomico del dopoguerra.
Dopo il congedo torna all'università dove, nel 1948, ottiene il dottorato in biochimica e inizia a lavorare con il professor Robert Elderfield, facendo ricerche su nuovi farmaci contro la malaria. Nel frattempo continuano le sue collaborazioni con le riviste fantascientifiche, alle quali, oltre alle già citate, vanno ad aggiungersi Unknown, IF, Galaxy Science Fiction e The Magazine of Fantasy and Science Fiction. Nel 1949 esce il racconto Madre Terra che anticipa i romanzi dei robot.
Nel 1950 Asimov pubblica il suo primo romanzo, Paria dei cieli (Pebble in the Sky, inizialmente Grown Old with Me). Più tardi esce anche la raccolta Io, robot e il suo primo libro di saggistica, scritto insieme a due colleghi. In quell'anno nasce il figlio David.
Tra il 1951 e il 1953 escono i romanzi Il tiranno dei mondi, Le correnti dello spazio e Abissi d'acciaio, oltre alla fortunata Trilogia della Fondazione. Nel 1952 vede la luce anche Lucky Starr, il vagabondo dello spazio, primo della fortunata serie su Lucky Starr pubblicata con lo pseudonimo di Paul French. Un anno dopo esce l'antologia La Terra è abbastanza grande. È poi di quegli anni il primo incontro con Janet Opal Jeppson, giovane psichiatra.
Nel 1955 nasce Ribyn Joan, sua seconda figlia, e gli viene conferito il titolo di professore associato di biochimica. Tra il 1955 e il 1957 alterna l'attività di docente a quella di romanziere con l'uscita di La fine dell'eternità e Il sole nudo. Nel 1958 esce Lucky Starr e gli anelli di Saturno, il romanzo che chiude il ciclo.
Il suo ultimo contributo letterario per molto tempo risale al 1959 con l'uscita dell'antologia Nine Tomorrows, che presenta racconti scritti negli anni cinquanta. Da questo momento in poi sarà l'attività divulgativa a prendere la maggior parte del suo impegno, rinunciando all'attività didattica: pubblica, così, numerosissimi testi sulla chimica, fisica e astronomia. Unica eccezione di questo periodo è Viaggio allucinante, ispirato all'omonimo film, edito nel 1966. Dello stesso anno è il premio Hugo per la Trilogia della Fondazione. Tra il 1967 e il 1969 escono tre raccolte: Through a Glass, Clearly, Misteri. I racconti gialli di Isaac Asimov e Antologia personale.
Nel 1970 si separa da Gertrude, dalla quale divorzia tre anni più tardi, per poi sposare, nel 1973, Janet Jeppson, nuovamente incontrata ad una convention di letteratura gialla. Lo stesso anno esce Neanche gli dei, il romanzo preferito di Asimov, vincitore di un premio Hugo e di un Nebula. Sono di questo periodo anche numerosissimi testi di divulgazione scientifica, storica e letteraria.
Nel 1974 inizia il ciclo dei Vedovi Neri, un club di amici che si cimentano nell'investigazione, con la raccolta Tales of the Black Widowers. Il ciclo si concluderà postumo con la pubblicazione di The Return of the Black Widowers (2003). Nel 1976 esce l'antologia Antologia del bicentenario (per la ricorrenza del bicentenario della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America) dal cui racconto principale L'uomo bicentenario, è stato tratto l'omonimo film nel 1999, senza però esserne molto fedele.
Nel 1977 viene ricoverato in ospedale a causa di un attacco cardiaco, che ne minerà la salute anche negli anni successivi. Nel 1979 diventa professore ordinario, mentre nello stesso anno escono Isaac Asimov's Treasury of Humour e l'autobiografia Io, Asimov.
Si arriva così agli anni ottanta quando, sotto le insistenze della Doubleday, riprende in mano il Ciclo della Fondazione, pur se, contemporaneamente, continua a scrivere racconti per il suo Ciclo dei Robot: nel 1983 escono L'orlo della Fondazione e I robot dell'alba.
Nel 1984 viene pubblicata l'autobiografia I. Asimov: A Memoir. Tra il 1985 e il 1988 escono I robot e l'Impero, Fondazione e Terra, Preludio alla Fondazione e Nemesis.
Gli ultimi anni della sua vita sono dedicati alla produzione scientifica, con numerosi articoli di divulgazione sui più disparati argomenti. Nel 1992 ottiene l'ultimo dei sei Premi Hugo per il suo racconto Gold. La sua attività si conclude il 6 aprile 1992: era stato infettato dal HIV durante una trasfusione di sangue nel 1983. Che l'AIDS fosse stata la causa della sua morte è stato rivelato dieci anni dopo nella biografia scritta dalla moglie Janet, It's Been a Good Life. Coerentemente al suo ateismo, la salma è stata cremata e le sue ceneri disperse, come aveva chiesto.
In suo onore è stato dato il suo nome all'asteroide 5020 Asimov.

Posizioni intellettuali
Isaac Asimov si riteneva umanista e razionalista. Benché non attaccasse il genuino e positivo sentimento religioso, egli era fortemente critico verso la superstizione e le credenze infondate.
Aveva un quoziente intellettivo molto alto ed è stato membro nonché vicepresidente onorario del Mensa per alcuni anni.
Asimov era un progressista su molti temi politici, e uno strenuo sostenitore del Partito Democratico statunitense. La sua difesa delle applicazioni civili dell'energia nucleare anche dopo lo scampato disastro di Three Mile Island compromisero tuttavia le sue relazioni con alcuni esponenti della sinistra americana. Egli lanciò spesso accorati appelli riguardo la necessità di un controllo delle nascite rifacendosi alle prospettive ipotizzate da uomini come Thomas Malthus e Paul R. Ehrlich. La sua inquietudine riguardo la sovrappopolazione sulla Terra si riflette in molte sue opere (da Abissi d'acciaio in cui immagina il nostro pianeta rinchiuso in gigantesche metropoli di metallo, a Fondazione con la descrizione del pianeta Trantor abitato da 40 miliardi di individui). Egli si considerò sempre un femminista, e riteneva che l'omosessualità dovesse essere considerata un "diritto morale" dell'uomo.
Si dichiarò per esempio favorevole ai programmi di eugenetica, ma solo perché paradossalmente il loro sicuro fallimento avrebbe dimostrato quanto fosse una strada sbagliata. Molto meglio sarebbe stato destinare le energie ad un "raccolto" delle migliori menti cresciute liberamente. Essendo figlio di "bottegai ebrei" Asimov era molto sensibile su temi di possibile discriminazione.
Nella sua ultima opera di divulgazione, Our Angry Earth (1991), scritta in collaborazione con Frederik Pohl, Asimov lanciò allarmi riguardo la crisi ambientale che vedeva delineandosi, descrivendo i fenomeni dell'effetto serra e del buco dell'ozono.

Opere
A tutt'oggi Asimov è considerato uno dei massimi scrittori di fantascienza, ed è stato più volte vicino a vincere il Premio Nobel (mai assegnato ad uno scrittore di fantascienza, considerata ancora da molti critici un genere di serie B). Egli fu innegabilmente il primo a trasformare questo genere da narrativa di consumo priva di contenuti tipica dei cosiddetti pulp magazine a letteratura di livello. Fu inoltre tra i primi a puntare tutto sulla plausibilità scientifica delle sue storie (la cosiddetta hard science fiction, basata su solide fondamenta scientifiche), non mancando tuttavia di inserirvi ampie riflessioni sociologiche e futuristiche. La popolarità di Asimov è addirittura maggiore in molti paesi europei, tra cui Spagna e Italia, nei quali è considerato lo scrittore di fantascienza per antonomasia ed è spesso l'unico ad essere conosciuto tra i suoi colleghi.
La sua prima storia, Naufragio al largo di Vesta, pubblicata nel 1939, venne scritta quando Asimov aveva solo 18 anni. Solo due anni più tardi, nel 1941, egli scrisse quello che ancora oggi è considerato il miglior racconto di fantascienza, Notturno. In esso, Asimov ipotizzava gli effetti che un'eclissi solare produceva su un mondo perennemente illuminato abitato da una società radicalmente religiosa. La metafora della luce e delle tenebre, dell'Illuminismo e del "sonno della ragione", dimostra fin da quest'opera la netta condanna di Asimov riguardo la superstizione e il fideismo (nel 1968 il Congresso degli Scrittori di fantascienza Americani votò Notturno come il miglior racconto di fantascienza).
Con Notturno Asimov introdusse il concetto di social science fiction (fantascienza sociologica), un termine che venne usato per indicare la nuova corrente degli anni quaranta formata tra gli altri da Asimov e Robert Heinlein e che partendo dalla forma classica della space opera giungeva ad ardite speculazioni sul futuro dell'umanità.
Asimov scrisse un enorme numero di racconti, particolarmente nel periodo tra il 1939 e il 1959. In seguito la maggior parte delle sue opere furono libri. Tra di essi, vanno sicuramente ricordati La fine dell'eternità (1955), forse la migliore opera sui viaggi nel tempo, e Neanche gli dei (1972), vincitore del premio Hugo ed opera in cui per la prima volta Asimov descrive compiutamente una civiltà extraterrestre.
Fondazione
Il contributo più esteso alla fantascienza è stato dato da Asimov col suo celebre Ciclo delle Fondazioni, una serie di racconti scritti tra il 1942 e il 1949 e pubblicati in quegli anni sulla rivista di John W. Campbell, Astounding Science Fiction. I racconti, poi raccolti in tre volumi (Cronache della galassia, Il crollo della galassia centrale, L'altra faccia della spirale), narrano della caduta dell'Impero galattico e dei lunghi anni d'interregno e di barbarie che ne seguono.
Basandosi sulla lettura del Declino e caduta dell'Impero romano di Edward Gibbon, Asimov realizzò un geniale affresco del lontano futuro dell'umanità introducendo un concetto, quello della psicostoria, che affascinerà sociologi e psicologi per anni. La psicostoria, elemento sintomatico della coscienza positivista di Asimov, si basa sull'idea della prevedibilità dei comportamenti delle masse mediante formule matematiche. L'idea di Impero galattico sarà ripresa in molte opere successive, si pensi al Dune di Frank Herbert o all'Impero di Guerre Stellari anch'esso con una capitale sovrappopolata e completamente rivestita di metallo, come per la Trantor asimoviana.
Ai primi tre volumi, se ne aggiunsero poi quattro, scritti tra il 1982 e il 1992: L'orlo della Fondazione (1982), Fondazione e Terra (1986), Preludio alla Fondazione (1988) e Fondazione anno zero (1992); i primi due seguono cronologicamente la trilogia iniziale, mentre gli ultimi due sono una sorta di "prequel".
Robot positronici [modifica]
Nello stesso periodo in cui Asimov era impegnato nella stesura della serie della Fondazione, egli scrisse anche i primi dei suoi racconti sui robot positronici. Asimov per primo rinnovò il concetto di robot, trasformandolo da versione futuristica del mostro di Frankenstein tipico della fantascienza precedente a creatura versatile e realizzata su scala industriale per fungere da aiutante dell'uomo. « Mai e poi mai avrei permesso a uno dei miei robot di rivoltarsi stoltamente contro il suo creatore... » (Isaac Asimov)
Tale concetto sarà poi ripreso da altri, si pensi ai film Il pianeta proibito, a Guerre Stellari e soprattutto a Star Trek - The Next Generation in cui uno dei protagonisti principali è un robot umanoide, il tenente comandante Data.
Nelle opere sui robot, raccolte poi nelle antologie: Io robot, Il secondo libro dei robot, Antologia del bicentenario e Tutti i miei robot (che riunisce alcuni racconti delle tre precedenti edizioni), Asimov enunciò le sue celebri tre leggi della robotica che hanno ispirato esperti di robotica, intelligenza artificiale e cibernetica:

Prima Legge
Un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.

Seconda Legge
Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, a meno che questi ordini non contrastino con la Prima Legge.

Terza Legge
Un robot deve salvaguardare la propria esistenza, a meno che questa autodifesa non contrasti con la Prima o la Seconda Legge.
Tali Leggi sono state spesso utilizzate anche in romanzi di altri autori. Asimov, tuttavia le ha sempre considerate le Sue Leggi e non ha mai autorizzato alcuna citazione, sebbene lasciasse gli autori liberi di fare riferimento ad esse.
In alcuni dei suoi ultimi racconti, I Robot e l'Impero e Fondazione e terra, uno l'ultimo della serie dei Robot e l'altro l'ultimo della saga delle Fondazioni, Isaac Asimov postula l'esistenza di una Legge più generale:
Legge Zero
Un robot non può danneggiare l'Umanità, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, l'Umanità riceva danno;
Con l'introduzione di questa nuova legge, le tre precedenti vengono conseguentemente modificate: a tutte le leggi viene aggiunta la postilla "A meno che questo non contrasti con la Legge Zero". Insomma, la Legge Zero si pone come la più importante delle leggi, ed è significativo il fatto che questa legge sia coniata proprio dai robot (più precisamente, viene formulata da R. Daneel Olivaw nel romanzo I Robot e l'Impero.
Nel racconto Che tu te ne prenda cura (...That Thou Art Mindful of Him), è presentato in modo palese il problema della definizione del termine "umano" presente nelle leggi della robotica. L'indistinguibilità tra robot avanzati ed esseri umani è uno dei temi ricorrenti nella produzione di Isaac Asimov.
Dopo la scomparsa di Asimov, il collega ed amico Roger MacBride Allen ha prodotto una trilogia letteraria (Il Calibano di Asimov, L'inferno di Asimov e L'utopia di Asimov) nella quale le leggi della robotica vengono riprese e subiscono una radicale riformulazione.

Divulgazione scientifica
Tra il 1960 e il 1970 Asimov abbandonò quasi completamente la fantascienza e si dedicò attivamente alla divulgazione scientifica. Egli stesso affermò di aver intrapreso quell'attività come risposta al desiderio degli americani di apprendere argomenti di natura scientifica in seguito allo smacco ricevuto dallo Sputnik I, primo mezzo umano lanciato nello spazio dall'Unione sovietica nel 1957. Le sue abilità di divulgatore scientifico destano ancora oggi stupore, se è vero che migliaia di persone proprio in quegli anni furono spinte a studiare scienza dopo aver letto opere di Asimov e che il più noto divulgatore italiano di scienza, Piero Angela, si ispira dichiaratamente alle opere del buon dottore per le sue trasmissioni e i suoi libri.
La serie delle Asimov's Intelligent Man's Guides to Science (Guide alla Scienza per l'Uomo Intelligente) sono state tradotte in italiano in due opere separate, Il libro di fisica e Il libro di biologia entrambe pubblicate dalla Mondadori. Si tratta di volumi estremamente completi che coprono l'intera gamma di conoscenze su questi argomenti. Notevoli le sue opere sul corpo umano (non va infatti dimenticato che Asimov era un biochimico): Il corpo umano, Il cervello umano e Il codice genetico ne sono un esempio. A ciò si aggiungono le sue raccolte di articoli scientifici sull'astrofisica e la cosmologia, pubblicati inizialmente sulle colonne non-narrative del Magazine of Fantasy and Science-Fiction fin dal 1958: Il collasso dell'universo, Frontiere, Grande come l'universo, Domani!, L'universo invisibile.
Asimov pubblicò inoltre varie opere di particolare ingegno, non di divulgazione ma contenenti tesi originali: Civiltà extraterrestri è ancora oggi considerata la migliore ricerca scientifica compiuta sulla possibilità di esistenza di forme di vita aliene, e In principio. Il libro della Genesi interpretato alla luce della scienza è una rilettura della prima parte del libro della Genesi alla luce delle scoperte scientifiche. Pur essendo non credente, Asimov si interessò molto alla Bibbia, e pubblicò su di essa una monumentale Asimov's Guide to the Bible originariamente in due volumi.

• 1994
  1. Juvénal Habyarimana, politico ruandese (n. 1937)-
  2. Cyprien Ntaryamira, politico burundese (n. 1955)

• 2005 - Ranier Louis Henri Maxance Bertrand Grimaldi (Monaco, 31 maggio 1923 – Monaco, 6 aprile 2005) è stato principe di Monaco dal 1949 al 2005.

• 2007 - Luigi Comencini (Salò, 8 giugno 1916 – Roma, 6 aprile 2007) è stato un regista italiano.

«Comencini è un regista serio ma non serioso, divertente ma mai comico, una persona che sa far adattare i propri attori ai propri ruoli con maestria ineguagliabile» (Nino Manfredi)

Ha diretto nella sua carriera i maggiori attori italiani, fra cui Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida in Pane, amore e fantasia, film con il quale ha dato inizio alla corrente cinematografica del Neorealismo Rosa. Sposato con la principessa Giulia Grifeo di Partanna, è padre di Cristina, Francesca, entrambe registe, Paola, scenografa ed Eleonora, direttore di produzione. Francesca ha collaborato nel 1992 alla regia di un remake del celebre film Marcellino pane e vino, suo ultimo film. Comencini era di confessione valdese.
Luigi Comencini è stato sicuramente il padre della commedia all'italiana, insieme a Risi, Monicelli e Scola. Ha lavorato, tra gli altri, con Sordi, Totò, Gassman, Manfredi, Mastroianni, Tognazzi, Koscina, Cardinale e Mangano.
Nato a Salò, a seguito del padre ingegnere trascorre l'infanzia a Parigi. Nella capitale francese si innamora del cinema. Al rientro in Italia studia architettura al Politecnico di Milano (dove fu iscritto ai GUF, vincendo anche un Littoriale della cultura e dell'arte), ma non dimentica l'amore dell'infanzia realizzando alcuni cortometraggi.
Sposata la principessa Giulia Grifeo di Partanna, lavora sia come architetto che come critico cinematografico e, in seguito, come curatore della Cineteca Italiana.
Il suo primo film di successo risale al 1949, quando dirige Totò facendolo scambiare per un imperatore ne L'imperatore di Capri; pochi anni dopo nasce la prima commedia all'italiana con Pane, amore e fantasia (1953) con De Sica e la Lollobrigida, seguito da Pane, amore e gelosia (1954). Abbandonata la saga dirige Alberto Sordi ne La bella di Roma (1955) con una meravigliosa Silvana Pampanini.
Sulla scia di Poveri ma belli realizza Mariti in pericolo (1957) e Mogli pericolose (1958) con la coppia Koscina-Salvatori. Nel 1960 dirige nuovamente Sordi in quello che è generalmente considerato il suo capolavoro, Tutti a casa, tragicommedia sull'Italia del dopo 8 settembre. Sul tema della Resistenza realizza anche La ragazza di Bube (1963), con la Cardinale tratto dall'omonimo romanzo di Carlo Cassola, cui segue il drammatico Incompreso (1966) e Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (1969).
Nel 1971 fu tra i firmatari del documento pubblicato sul settimanale L'espresso contro il commissario Luigi Calabresi.
Grande successo ottiene in televisione il suo sceneggiato televisivo Le avventure di Pinocchio (1972). Nello stesso anno dirige un ruggente Alberto Sordi ne Lo scopone scientifico con Silvana Mangano, Bette Davis e Joseph Cotten, superba commedia dai toni neri. Gira il giallo La donna della domenica (1975) interpretato dall'etereogeneo trio Mastroianni-Bisset-Trintignant e tratto dall'omonimo romanzo di Fruttero & Lucentini, quindi lavora con Nino Manfredi in un episodio di Basta che non si sappia in giro (1976) dove gli affianca Monica Vitti, mentre in uno di Quelle strane occasioni fa chiudere un Sordi prete e una discinta Stefania Sandrelli in un ascensore il 15 agosto.
Chiama il "mostro" Tognazzi ad interpretare un personaggio laido e spregevole ne Il gatto (1977) e inserisce i maggiori attori e attrici del panorama italiano e francese nel confusionario ma godibile L'ingorgo - Una storia impossibile (1979).
Negli anni ottanta, definitivamente uscita di scena la commedia all'italiana, diminuiscono sia i film realizzati che i successi: dirige uno scatenato e irriverente Beppe Grillo in Cercasi Gesù (1982) e un ottimo Bernard Blier in Voltati Eugenio (1980). La RAI, a dodici anni dal grandissimo successo di Pinocchio, lo chiama di nuovo per dirigere Cuore (1984), quindi torna alla commedia con Virna Lisi e Michel Serrault in Buon Natale... buon anno (1989), prima di ritirarsi dalle scene per malattia agli inizi degli anni novanta.
Luigi Comencini muore a Roma il 6 aprile 2007, all'età di 90 anni.

"L'amore in Italia" (inchiesta Rai del 1978)
Luigi Comencini fu ingaggiato dalla Rai nel 1976, per curare un documentario sull'amore negli anni Settanta in Italia, ed il risultato fu "L'amore in Italia", un'inchiesta in cinque puntate, andate in onda nel dicembre 1978 su Rai uno.
Gli autori dell'inchiesta, oltre a Luigi Comencini, sono: Fabio Pellarin e Italo Moscati.
Le interviste sono state girate in tutta Italia tra il febbraio del 1977 e l'aprile del 1978.

Elenco e titoli delle puntate:
1. La donna è mia e ne faccio quello che mi pare
2. La fortuna di avere marito
3. Innamorati
4. Ad occhi aperti
5. A che cosa serve l'educazione sessuale?
A seguito della messa in onda del programma tv, nel 1979 uscì un libro omonimo con tutte le interviste più quelle montate, ma non inserite all'ultimo nell'inchiesta tv. Il libro è stato editato dalla Arnoldo Mondadori Editore.

Filmografia
* La novelletta (1937)
* Bambini in città (1946)
* Proibito rubare (1948)
* L'imperatore di Capri (1949)
* Persiane chiuse (1950)
* L'ospedale del delitto (1950)
* La tratta delle bianche (1952)
* Heidi (1952)
* La valigia dei sogni (1953)
* Pane, amore e fantasia (1953)
* Pane, amore e gelosia (1954)
* La bella di Roma (1955)
* La finestra sul Luna Park (1956)
* Mariti in città (1957)
* Mogli pericolose (1958)
* Le sorprese dell'amore (1959)
* E questo, lunedì mattina (1959)
* Tutti a casa (1960)
* A cavallo della tigre (1961)
* Il commissario (1962)
* La ragazza di Bube (1963)
* Tre notti d'amore (1964) - episodio "Fatebenefratelli"
* La mia signora (1964) - episodio "Eritrea"
* Le bambole (1965) - episodio "Il trattato di eugenetica"
* La bugiarda (1965)
* Il compagno Don Camillo (1965)
* Incompreso (1966)
* Italian Secret Service (1968)
* Senza sapere niente di lei (1969)
* Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (1969)
* Le avventure di Pinocchio (1972) (Miniserie TV)
* Lo scopone scientifico (1972)
* Mio Dio, come sono caduta in basso! (1974)
* Delitto d'amore (1974)
* La donna della domenica (1975)
* Quelle strane occasioni (1976) - episodio "L'ascensore"
* Basta che non si sappia in giro (1976) - episodio "L'equivoco"
* Il gatto (1978)
* Signore e signori, buonanotte (1978)
* L'ingorgo - Una storia impossibile (1978)
* Voltati Eugenio (1980)
* Il matrimonio di Caterina (1982) (TV)
* Cercasi Gesù (1982)
* Cuore (1984) (TV)
* La Storia (1986) (TV)
* Un ragazzo di Calabria (1987)
* Les français vus par (1988) (Miniserie TV)
* La Bohème (1988)
* Buon Natale... buon anno (1989)
* Marcellino (1991)

Bibliografia
* Tullio Masoni, Paolo Vecchi, Luigi Comencini, un autore popolare, Comune di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1982
* Giorgio Gosetti, Luigi Comencini, Il Castoro Cinema, La Nuova Italia, Firenze 1988
* Luigi Comencini, Infanzia, vocazione, esperienze di un regista, Baldini Castoldi Dalai, Milano 1999
* Jean A. Gili, Luigi Comencini, Gremese, Roma 2005
* Adriano Aprà, Luigi Comencini. Il cinema e i film, Marsilio, Venezia 2007
• * Riccardo F. Esposito, "La Rabbia" di Guareschi e l'U.R.S.S. di Comencini, in Don Camillo e Peppone. Cronache cinematografiche dalla Bassa Padana 1951-1965, Le Mani - Microart's, Recco, 2008 (ISBN 9788880124559), pp. 67-74