Il calendario del 6 Agosto
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Eventi
▪ 439 - Licinia Eudossia, figlia dell'imperatore romano d'Oriente Teodosio II e moglie dell'imperatore romano d'Occidente Valentiniano III, è elevata al rango di augusta.
▪ 1003 - L'ammiraglio pisano Carlo Orlandi sconfigge una flotta saracena nelle acque di Civitavecchia
▪ 1005 - Nel corso di una spedizione contro i Saraceni, l'ammiraglio pisano Pandolfo Capronesi conquista le città di Reggio Calabria, Amantea, Tropea e Nicotera
▪ 1063 - La flotta da guerra pisana, forza il porto di Palermo e saccheggia la città
▪ 1087 - Dopo aver espugnato Pantelleria la flotta pisana sbarca in Africa e conquista le città di Zawila e Mahdia
▪ 1119 - La flotta pisana sconfigge quella genovese nelle acque di Porto Venere
▪ 1135 - I pisani conquistano Amalfi
▪ 1282 - Sconfitta genovese ad opera dei Pisani nelle acque di Porto Venere
▪ 1284 - Rovinosa sconfitta pisana ad opera dei Genovesi nella Battaglia della Meloria
▪ 1791 - A Berlino viene aperta al traffico la Porta di Brandeburgo
▪ 1806 - Francesco I, l'ultimo Sacro Romano Imperatore, abdica, ponendo fine al Sacro Romano Impero
▪ 1825 - La Bolivia ottiene l'indipendenza dalla Spagna
▪ 1861 - Annessione britannica di Lagos, Nigeria
▪ 1890 - Nella Prigione di Auburn a New York, viene eseguita la prima esecuzione con la sedia elettrica (il condannato fu l'omicida William Kemmler)
▪ 1915 - Prima guerra mondiale: Inizia la Battaglia di Sari Bair - Gli Alleati eseguono un attacco diversivo in coincidenza con un grosso sbarco alleato nella Baia di Suvla
▪ 1926 - Gertrude Ederle diventa la prima donna ad attraversare a nuoto la Manica
▪ 1945 - Seconda guerra mondiale, bombardamento atomico di Hiroshima: Una bomba atomica chiamata in codice Little Boy viene sganciata dal B-29 statunitense Enola Gay sulla città di Hiroshima in Giappone, alle 8:16 di mattina (ora locale). Esplose ad un'altitudine di 576 metri con una potenza pari a 12.500 tonnellate di TNT uccidendo all'istante 80.000 persone (altre 60.000 moriranno entro la fine dell'anno a causa delle malattie causate dal fallout nucleare) e distruggendo circa l'80% dell' area edificata della città
▪ 1960 - Rivoluzione cubana: In risposta all'embargo degli Stati Uniti, Cuba nazionalizza tutte le proprietà straniere della nazione
▪ 1962 - La Giamaica diventa indipendente
▪ 1964 - Vaticano: papa Paolo VI pubblica l'enciclica Ecclesiam Suam, per quali vie la Chiesa cattolica debba oggi adempire il suo mandato
▪ 1965 - Il presidente statunitense Lyndon B. Johnson tramuta in legge il Voting Rights Act del 1965
▪ 1969 - La NASA annuncia gli equipaggi che prenderanno parte alle missioni lunari Apollo 13 e Apollo 14
▪ 1985 - A Hiroshima, decine di migliaia di persone celebrano il 40° anniversario del bombardamento atomico della città.
* 1985 - Nini Cassarà e Roberto Antiochia, sono barbaramente assassinati a Palermo da un commando di Cosa Nostra.
▪ 1990 - Guerra del Golfo: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ordina un embargo commerciale globale contro l'Iraq, in risposta all'invasione del Kuwait
▪ 1991 - Tim Berners-Lee pubblica il primo sito nella rete internet, dando vita al fenomeno della triplia W: www
▪ 1993 - Vaticano: papa Giovanni Paolo II pubblica l'enciclica Veritatis Splendor indirizzata "a tutti i vescovi della Chiesa cattolica circa alcune questioni fondamentali dell'insegnamento morale della Chiesa"
▪ 1997 - La Microsoft compra una quota di azioni del valore di 150 milioni di dollari della Apple Computer, che si trova in difficoltà finanziarie
▪ 2001 - Il presidente statunitense George W. Bush riceve un rapporto intitolato Bin Ladin Determined To Strike in US (Bin Laden è determinato a colpire gli Stati Uniti)
▪ 2002 - Manindra Agrawal, insieme ad altri dimostrano la congettura dei "Primi in P". Vedi algoritmo AKS
▪ 2005 - Un Atr 72 della Tuninter, la compagnia charter della Tunisair, partito da Bari con destinazione Djerba, dopo un'ora circa dal decollo precipita a 12 miglia dalla costa di Palermo, provocando la morte di 16 persone e il ferimento di altre 23.
▪ 2008 - In Mauritania, un colpo di stato da parte dell'esercito ha portato all'arresto del Capo dello Stato, del Primo Ministro e del Ministro dell'Interno.
Anniversari
▪ 1908 - Antonio Starabba marchese di Rudinì (Palermo, 6 aprile 1839 – Roma, 6 agosto 1908) è stato un politico e prefetto italiano.
Fu più volte ministro e fu presidente del Consiglio dei ministri italiano nei periodi: 6 febbraio 1891 - 15 maggio 1892 e 10 marzo 1896 - 29 giugno 1898.
Dai Garibaldini a Roma
Nel 1859 si unì al comitato rivoluzionario che spianò la strada ai trionfi di Garibaldi nell'anno seguente. Quindi, dopo aver passato un breve periodo a Torino come addetto del ministero degli esteri, venne eletto sindaco di Palermo. Nel 1866 mostrò una considerevole energia e coraggio personale, nel sopprimere una insurrezione di separatisti e reazionari. Il prestigio così acquisito lo portò alla nomina come prefetto di Palermo, e mentre occupava tale incarico, represse il brigantaggio in tutta la provincia. Nel 1868 fu prefetto di Napoli.
Nell'ottobre 1869 divenne ministro dell'Interno nel gabinetto Menabrea, ma cadde assieme a tale governo pochi mesi dopo, e benché eletto membro del parlamento per Canicattì, non ricoprì alcuna posizione importante fino a quando, alla morte di Minghetti nel 1886, divenne il capo della destra. All'inizio del 1891 succede a Francesco Crispi come primo ministro e ministro degli affari esteri, formando un governo di coalizione con una parte della sinistra di Nicotera. La sua amministrazione si rivelò vacillante, ma diede il via alle economie con cui le finanze italiane vennero messe in sesto e rinnovò inoltre la Triplice Alleanza.
Il suo governo cadde nel maggio 1892 per via di un voto alla camera, ed il suo posto venne preso da Giolitti. Al ritorno al potere del suo rivale, Crispi, nel dicembre 1893, egli riprese l'attività politica, alleandosi con il leader radicale Felice Cavallotti. La crisi conseguente al disastro di Adua (1 marzo 1896), permise a Starabba di tornare al potere come primo ministro e ministro dell'Interno, in un governo formato dal veterano conservatore, Generale Ricotti.
Di Rudinì concluse la pace con l'Abissinia ponendo così termine alla campagna d'Africa Orientale, ma mise in pericolo le relazioni con il Regno Unito per colpa della pubblicazione non autorizzata di corrispondenza confidenziale diplomatica, in un libro verde sulla questione abissina. Per soddisfare il partito anti-coloniale, cedette Kassala ai britannici, provocando molta indignazione in Italia.
La sua politica interna fu marcata da un continuo trattenere le pressioni radicali e dalla persecuzione di Crispi. Sciogliendo la camera all'inizio del 1897 e favorendo i candidati radicali nelle elezioni generali, spianò la strada agli scontri del maggio 1898, la soppressione dei quali richiese un notevole spargimento di sangue e lo stato di assedio a Milano, Napoli, Firenze e Livorno. L'indignazione per i risultati della sua politica favorì il suo rovesciamento nel giugno 1898, anche se il vero motivo della caduta fu il suo tentativo di ridurre il numero dei corpi d'armata del regno (che incidevano pesantemente sul bilancio statale), gesto che fece infuriare il sovrano Umberto I, per tradizione e formazione molto vicino all'esercito. Durante il suo secondo mandato modificò il gabinetto per tre volte (luglio 1896, dicembre 1897, giugno 1898) senza rafforzare la sua posizione politica.
Per molti versi di Rudinì, leader della destra e dunque, nominalmente, politico conservatore, si rivelò un elemento dissolutore nelle file dei conservatori italiani. Con la sua alleanza con i liberali di Nicotera nel 1891, con la sua intesa con i radicali di Cavallotti nel 1894; con l'abbandono del suo collega conservatore, Generale Ricotti, al quale doveva la carica di primo ministro nel 1896; e con la sua azione ondivaga dopo aver perso il potere, egli divise e demoralizzò una parte politica che avrebbe potuto costituire, se gestita altrimenti, una solida organizzazione parlamentare. Di Rudinì, inoltre, mal sopportava l'impostazione centralista del regno sabaudo e in più di occasione tentò di trovare in parlamento, senza riuscirci, una maggioranza favorevole a una grande riforma federalista (l'istituzione dei "circoli di Provincia") che in realtà tradiva l'intento di consegnare l'amministrazione del paese ai notabili locali, soprattutto nel meridione.
Fu uno dei più grandi e ricchi proprietari terrieri della Sicilia e gestì le sue proprietà secondo principii liberali, senza mai incorrere in problemi con la manodopera agricola. Non ricoprì più incarichi pubblici dal 1898. Morì il 6 agosto 1908, lasciando un figlio, Carlo, che sposò una figlia di Henry Labouchere e una figlia, Alessandra che, dopo esser stata l'amante di d'Annunzio, si farà monaca carmelitana.
▪ 1916 - Enrico Toti (Roma, 20 agosto 1882 – Monfalcone, 6 agosto 1916) è stato un ciclista, eroe italiano della prima guerra mondiale.
Primi anni
Nel 1897, all'età di quindici anni, Enrico Toti si imbarcò come mozzo sulla nave scuola Ettore Fieramosca, passando poi sulla nave corazzata Emanuele Filiberto e infine sull'incrociatore Coatit. Nel 1904 fu coinvolto in scontri sul Mar Rosso contro i pirati che infestavano il mare antistante la colonia italiana dell'Eritrea. Congedatosi, nel 1905 Toti fu assunto nelle Ferrovie dello Stato come fuochista. Il 27 marzo 1908, mentre lavorava alla lubrificazione di una locomotiva, che si era fermata nella stazione di Colleferro per effettuare l'aggancio a una doppia locomotiva e per fare rifornimento d'acqua, a causa dello spostamento delle locomotive, Toti scivolò rimanendo con la gamba sinistra incastrata e stritolata dagli ingranaggi. Subito portato in ospedale, l'arto gli fu amputato al livello del bacino. Perso il lavoro, si dedicò a innumerevoli attività tra cui la realizzazione di alcune piccole invenzioni custodite a Roma, nel Museo storico dei bersaglieri. Nel 1911, pedalando in bicicletta con una gamba sola, raggiunse dapprima Parigi, quindi attraversò il Belgio, l'Olanda e la Danimarca, fino a raggiungere la Finlandia e la Lapponia. Da lì attraversò la Russia e la Polonia, rientrando in Italia nel giugno 1912. Nel gennaio 1913 partì nuovamente in bicicletta, stavolta diretto verso il sud: da Alessandria d'Egitto raggiunse il confine con il Sudan dove i le autorità inglesi, giudicando troppo pericoloso il percorso, gli imposero di concludere il viaggio e lo rimandarono al Cairo da dove fece ritorno in Italia.
La grande guerra
Allo scoppio della prima guerra mondiale Enrico Toti presentò tre domande di arruolamento che furono respinte. Toti decise nonostante tutto di inforcare la bicicletta e di raggiungere il fronte presso Cervignano del Friuli. Qui fu accolto come civile volontario e adibito ai "servizi non attivi". Quindi fu privo delle stellette militari. Accadde però che una sera, fermato da una pattuglia di carabinieri a Monfalcone, fu fatto ritornare alla vita civile. Nel gennaio 1916, anche grazie all'interessamento del Duca d'Aosta riuscì ad essere destinato al Comando Tappa di Cervignano del Friuli sempre come volontario civile. Inizialmente destinato alla brigata "Acqui" riuscì a farsi trasferire presso i bersaglieri ciclisti del terzo battaglione. In aprile gli stessi bersaglieri, presso cui si era trovato a combattere, lo proclamarono uno di loro e lo stesso comandante, maggiore Rizzini gli consegnò l'elmetto da bersagliere e le stellette.
Nell'agosto 1916 incominciò la Sesta battaglia dell'Isonzo che portò alla presa di Gorizia. Il 6 agosto 1916, Enrico Toti, lanciatosi con il suo reparto all'attacco di Quota 85 a est di Monfalcone, fu ferito più volte dai colpi avversari, e con un gesto eroico, scagliò la gruccia verso il nemico esclamando: "Nun moro io!" (io non muoio!), poco prima di essere colpito a morte e di baciare il piumetto dell'elmetto. Decorato con la Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria "motu proprio" dal Re in persona, dato che non era immatricolato come militare a causa della sua inabilità, "perché ne sia tramandato il ricordo glorioso ed eroico alle generazioni future."
La salma fu trasportata inizialmente a Monfalcone ma il 24 maggio 1922 venne trasportata a Roma dove ricevette solenni funerali. In sua memoria fu eretto un monumento in bronzo nei giardini del Pincio a Roma e un altro a Gorizia. A lui furono intitolati il sommergibile italiano Enrico Toti, varato nel 1928, ed il successivo sottomarino Enrico Toti, varato nel 1968. Molte vie sono state intitolate alla sua memoria. Inoltre, nel giugno 1923, gli fu intitolata la XI - Legione Ferroviaria Enrico Toti di Bari della Milizia ferroviaria.
Onorificenze
Medaglia d'oro al valor militare
«Volontario, quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d'arme dell'aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all'occupazione di quota 85 (est di Monfalcone). Lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell'anima altamente italiana.» — Monfalcone, 6 agosto 1916.
▪ 1969 - Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno (Francoforte sul Meno, 11 settembre 1903 – Visp, 6 agosto 1969) è stato un filosofo e sociologo tedesco.
Esponente della Scuola di Francoforte, si distinse per una critica radicale alla società e al capitalismo avanzato. Oltre alle opere di stampo sociologico, nella sua opera sono presenti scritti inerenti alla morale e all'estetica, nonché studi critici sulla filosofia di Hegel, Husserl e Heidegger. Alla riflessione filosofica affiancò per tutta la sua esistenza un'imponente attività musicologica.
Studente all'Università di Francoforte, l'amicizia personale con Max Horkheimer lo pone in contatto con l'Istituto di Ricerche Sociali di Francoforte sul Meno. L'avvento del nazismo lo costrinse all'esilio, prima ad Oxford e, successivamente, in America, in quelli che egli chiamava gli Statistici Uniti.
Impegnato in progetti sociologici all'avanguardia come il Radio Research Project e soprattutto nell'indagine sulla Personalità autoritaria. Tornato in Germania nei primi anni cinquanta, le sue lezioni, pur difficilissime, all'Università di Francoforte registrarono una crescente partecipazione, mentre diventava un mito per mezza Europa il seminario svolto con Max Horkheimer su tematiche hegeliane. Direttore dell'Istituto per la ricerca sociale ebbe la ventura di dover far intervenire la polizia nei locali dell'Università perché la sgombrasse dall'occupazione di quegli studenti che, ridestati alla critica e alla rivolta anche dalle sue opere e dalle sue lezioni, intendevano «rivoluzionare» università e società.
La critica della società
Come Max Horkheimer e Herbert Marcuse, Adorno ha condotto una rigorosa critica della società borghese su basi hegeliane e marxiste, tenendo ampiamente conto degli apporti forniti dalla psicoanalisi freudiana. A suo avviso, con il passaggio al capitalismo monopolistico (ma anche ai sistemi collettivistici socialisti), le relazioni interumane si riducono a pura apparenza; la vita individuale diviene pura funzione delle forze oggettive che governano la società di massa; la sfera individuale si riduce all'ambito fittizio del consumo. In tale radicale condizione, la produzione dell'alienazione si manifesta in quanto struttura e sovrastruttura risultano intrecciate in una connessione di accecamento sociale. La condizione umana, mediata dall'ideologia in questo sistema sociale diviene quella dell'alienazione individuale e della disumanizzazione dei rapporti sociali.
La cultura si riduce a industria culturale, - una categoria 'inventata' da Adorno e Horkheimer nel libro La dialettica dell'Illuminismo - la scienza è asservita al profitto, diventa cioè strumento di dominio sulle cose e sugli uomini. Di qui la critica condotta al neopositivismo come filosofia dell'asservimento della cultura alla tecnica e all'affermazione della filosofia come pensiero dialettico, che lo conducono a una interpretazione del marxismo in chiave individualista, neoidealistica e antiteleologica.
La musicologia
Pianista provetto, Adorno fu anche compositore e allievo di Alban Berg a Vienna. Oltre alla famosa Filosofia della musica moderna, in cui contrappone dialetticamente Schönberg a Stravinskij, sono presenti nella sua produzione critica monografie su Wagner, Mahler e Alban Berg. Durante gli anni passati in America ebbe la possibilità di collaborare alle sezioni musicali del grande romanzo di Thomas Mann Doctor Faustus, le cui musiche sono per molti versi vere e proprie composizioni adorniane, come interamente tratte da saggi musicologici adorniani sono le lezioni, nel romanzo attribuite al musicologo balbuziente Kretschmar.
La fortuna
Negli anni sessanta del secolo scorso si ebbe una riscoperta di opere di Adorno come Minima Moralia del 1951, Dialettica dell'Illuminismo (1947) o Dialettica negativa (1966) legata soprattutto al fatto che da esse trasse ispirazione buona parte della "nuova sinistra", soprattutto in Germania e negli Stati Uniti; ma opere come Filosofia della Musica Moderna (1949) e La personalità autoritaria (1950) sono da anni tra i capisaldi della musicologia e della sociologia. Studi sulla sua filosofia vengono tuttora pubblicati regolarmente.
Dialettica negativa
« Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie »
(Theodor W. Adorno, 1949)
Introduzione
L'intento di Adorno nella sua Dialettica negativa è di liberare la dialettica dalla sua natura affermativa. Liberare la dialettica da Hegel attraverso una critica al fondamento, e restituire il primato al pensiero legato al contenuto. Il suo antisistema si costruisce grazie a una logica consequenziale che non cerca fondazione ma solo una giustificazione. In risposta all'affermazione di Ludwig Wittgenstein secondo cui "su ciò di cui non si può parlare si deve tacere", Adorno sostiene come compito e sfida della filosofia, proprio l'indagine intorno a ciò di cui non si può parlare, in questo modo egli intende mostrare il carattere antifilosofico della famosa sentenza wittgensteiniana contenuta nel Tractatus Logico-Philosophicus. Occorre allora comprendere il carattere dialettico di questa contraddizione, districare il paradosso di una filosofia che vuole aprire l'aconcettuale attraverso il concetto, senza per questo renderlo simile, senza uguagliarlo a se stesso. La contraddizione, in questo senso, è il non identico rispetto all'identità, ed è l'indice della non-verità dell'identità. Per Adorno il concetto è sempre in rapporto con l'aconcettuale, la realtà, ciò che bisogna estinguere è l'autarchia del concetto. Operare con i concetti ma portarli sempre verso il non-identico.
La consapevolezza del carattere costitutivo del non-concettuale nel concetto scioglie la coazione dell'identità. La conoscenza non possiede mai completamente i suoi oggetti e dunque resta sempre in rapporto con l'eterogeneo. Per questo secondo Adorno bisogna giungere tramite il concetto oltre il concetto stesso. Il pensiero conferma questo movimento in quanto è già in sé, prima di ogni contenuto specifico, una negazione, una resistenza contro ciò che ci viene imposto. La critica non liquida il sistema ma spiega di volta in volta le cose da trattare ricorrendo al modo in cui divennero tali. L'attenzione viene allora rivolta al momento singolo nella sua connessione immanente con gli altri. Si nega così il concetto di limite e si assicura a livello teorico che qualcosa resti sempre fuori, poiché l'essenza dinamica (aconcettuale) e l'essenza statica (concettuale) del sistema sono in conflitto.
A differenza che in Hegel, secondo il quale il fenomeno è semplicemente un esempio del suo concetto, per Adorno se il pensiero si estraniasse realmente nella cosa allora l'oggetto stesso inizierebbe a parlare sotto lo sguardo costante del pensiero. La negazione per Adorno è la forza che fa saltare l'indissolubile identità di pensiero e oggetto. Pensare filosoficamente è dunque pensare per modelli, una enciclopedia razionale, discontinua, che contiene elementi di autocritica del pensiero e di critica del sistema. Occorre dunque una dialettica che non resti incollata all'identità ma che si apra al contenuto temporale della verità. Ciò che intendeva superare i dogmi grazie alla certezza di sé è divenuta una conoscenza in cui non accade più nulla. Adorno ammette come Hegel che il primato del soggetto (Spirito) sull'oggetto sia fuori discussione, ma critica la logica hegeliana in quanto espelle da sé l'essente determinato. Vi è dunque bisogno di più soggetto poiché il soggetto, privato della sua sovranità diventa la forma di riflessione dell'oggettività.
L'oggettivazione elimina la qualità ma Adorno ripete che bisogna distinguere ancora nel concetto ciò che sfugge al concetto. Ciò che sfugge è il momento mimetico della conoscenza, l'affinità segreta tra conoscente e conosciuto e la loro differenziazione. L'individuo diventa soggetto nella misura in cui si oggettiva per mezzo della sua coscienza individuale ma ne sfugge attraverso l'autoriflessione. Il pensiero è capace dunque di riconoscere criticamente il carattere coattivo che gli è immanente. Per Adorno solo i concetti possono realizzare ciò che il concetto impedisce. La dialettica negativa si costruisce dunque nel rapporto critico con sé stessa e con la tradizione filosofica precedente.
Il bisogno ontologico
Il primo avversario è dunque Heidegger. La sua ontologia non si lascia fissare a contenuti determinati e la sua inafferrabilità si trasforma in inattacabilità. L'atteggiamento spirituale permanente di Heidegger, del “ritorno a” pone semplicemente la domanda più in alto della risposta e per Adorno un pensiero che non si afferma come origine non dovrebbe nascondere il fatto che non produce, bensì riproduce solo ciò che già possiede come esperienza.
Per Adorno dunque Heidegger assorbe la filosofia kantiana attribuendole un contenuto ontologico: uomo, tempo e essere diventano fenomeni primari dell'esperienza umana. La dialettica negativa esige che l'oggettività sia sempre mediata soggettivamente ma Heidegger per sfuggire alla gabbia della sua soggettività sacrifica la relazione con il concetto discorsivo, momento imprescindibile del pensiero.
Per guarire il concetto di essere dalla ferita della sua concettualità, la scissione tra pensiero e pensato Heidegger definisce l'essere solo tramite sé stesso, cadendo così nella semplice ripetizione del nome. Evita la contingenza del materiale non rinunciando alla concretezza promessa dalla parola esistenza. Sostituendo la parola pensiero (gedanken) a quella di filosofia la trasforma in un mero gesto rituale, dice Adorno: la sua verità è il suo ammutolirsi.
Il soggetto, che nell'idealismo fonda la conoscenza, viene ora eliminato come un'irritante ornamento. Contro il momento limitante e confondente della soggettività l'ontologia presenta l'assoluta nullità della sua parola suprema come un positivo. L'essere viene compresso a un punto e si trasforma in categoria elevata alla formula suprema.
Occorre invece una ricezione critica dell'essere. La coscienza non dell'identità della cosa con il suo concetto ma della frattura tra essi. Ciò che si spacciava come immediato si scopre dunque come reificato. Mediazione e immediatezza sono solo momenti e dunque non costituiscono totalità. Ma d'altronde nessun progetto ontologico può evitare di assolutizzare singoli momenti isolati dal resto. Adorno sostiene dunque la necessità di una critica della ragione per mezzo della ragione e non la sua bandita o eliminazione. Con il divieto di pensare dunque il pensiero sanziona ciò che meramente è.
La parola essere acquista il suo senso e la sua apparenza di assolutezza grazie al modo della sua espressione e ciò è reso possibile dall'effetto di alone della parola essere. La dottrina dell'essere viene riformulata come dottrina del pensiero che priva l'essere di tutto ciò che sarebbe altro che puro pensiero.
Adorno sostiene che la cogenza transoggettiva viene affidata ad un atto di soggettività ponente ma la coscienza che vi si nega viene squalificata come “dimenticanza dell'essere”. La riduzione dell'oggetto a mero materiale ne succhia via la sua propria dinamica; in quanto squalificato viene bloccato, privato di ciò di cui soltanto si potrebbe predicare il movimento. In Heidegger la vita viene polarizzata in totalmente astratto e in totalmente concreto mentre per Adorno questa sarebbe solo nella tensione tra i due.
Forse il bisogno ontologico esprime solo la necessità di non essere sepolti da una dinamica storica contro cui Heidegger si sente completamente impotente. Il soggetto in Heidegger attende un ordine vincolante dall'esterno, eteronomo che ne fissi il suo fallimento: Incapace di esperire qualcosa che non sia già compreso nel repertorio della uguaglianza costante, scambia l'immodificabilità nell'idea di un eterno, quella del trascendentale.
Dunque occorre una critica immanente, occorre volgere contro l'ontologia la sua propria forza. Il pensiero senza concetto non è, e la filosofia dell'essere fallisce proprio quando quell'essere, che avremmo come vero compito di pensare, si chiude a ogni determinazione di pensiero. L'altra faccia della repressione in atto è la maledizione del soggetto pensante, l'oggettivismo di Heidegger.
La copula è non può essere autonoma e per il suo stesso senso si realizza unicamente nella relazione tra soggetto e oggetto. Ogni tentativo dunque di pensare l'è conduce da un lato all'essente e dall'altra al concetto e solo perché acceca la conoscenza dei momenti appare al di là dei momenti.
Ogni tentativo di pensare l'essere conduce a mediazioni cui l'essere secondo Heidegger dovrebbe essere sottratto, ma contro la sua volontà l'essente si afferma all'interno dell'essere. Heidegger revocando la coscienza tratta l'inesprimibile in modo immediato, anzi ne fa l'assoluto immediato, bloccandolo.
Questa è, per Adorno, la miseria di un pensiero che tenta di porsi al di là del tempo grazie all'assurdità di un oggetto assolutamente astratto.
Heidegger si ferma dunque dopo il primo passo della dialettica della filosofia del linguaggio. Egli vuole ristabilire il potere del nome ma per Adorno sulla scia di Karl Kraus il linguaggio è in continuo divenire nella tensione tra espressione e cosa. Il problema dell'essere si trasforma dunque in divieto di andare oltre sé stesso, oltre quella tautologia in cui l'essere manifestandosi non dice altro che essere. In quanto trascende la coscienza l'essere heideggeriano non può essere né essente né concetto ma per Adorno un fenomeno va oltre sé stesso solo grazie alle sue determinazioni. Ciò che resta indeterminato può essere solo ripetuto in continuazione.
Dopo aver scacciato con la forca l'essente questo si ripresenta nel discorso sulla differenza ontologica. L'essere non può essere determinato, perché ciò lo coinvolgerebbe nella dialettica soggetto-oggetto, e dunque l'unica risposta possibile è quella della ontologizzazione dell'ontico. L'essente diventa essenza e l'essente equivale al modo d'essere dell'essere. Ogni essente viene ricondotto al suo concetto ontico facendo scomparire ciò che ne fa un essente rispetto al concetto.
In Hegel il primato del soggetto si costruisce sul fatto che il non-identico può essere determinato solo come concetto (ridotto all'identità) e in tal modo viene messo dialetticamente da parte come ontologicamente ontico. Non c'è identità senza il non-identico e su questo Hegel non si sofferma. La categoria di esistenza in Heidegger svolge la medesima finzione.
L'esistenza è autoritaria in quanto la verità si da solo nella costellazione di soggetto-oggetto e non può essere ridotta al soggetto o all'essere. Ciò che di vero vi è nel soggetto, sostiene Adorno, si dispiega nella relazione con ciò che esso stesso non è, e non nell'arrogante affermazione del suo essere così o del suo esserci. In questo panorama di guerra permanente l'esistenza viene consacrata senza il consacrante lasciando sul campo una mera affermazione: affermazione di potere.
Concetti e categorie
Ora parliamo di concetti e categorie. Abbiamo visto come il pensiero non può scrollarsi di dosso il contenuto materiale e come il concetto non può essere separato dall'io essente. Kant non notava la dialettica soggetto-oggetto mentre Hegel per assicurarsi il primato del soggetto inizia la logica con l'essere e non con il qualcosa. La critica all'ontologia d'altronde non mira a una nuova ontologia, nemmeno a quella del non-ontologico, ma mette in luce il primato del concetto.
Ma visto che ogni concetto cede di fronte all'essente determinato la filosofia non può più aspirare alla totalità. Mentre in Kant il predominio del concetto voleva restare costante di fronte ai suoi contenuti e quindi si è messo i paraocchi per non vederli in Adorno risulta indispensabile occuparsi dei contenuti materiali, del non-concettuale, in quanto questo modifica il concetto. Non occorre dunque andare oltre il tempo e lo spazio ma bisogna restare nel tempo e nello spazio.
Soggetto e oggetto non si contrappongono rigidamente ma si compenetrano a vicenda. Il sortilegio esercitato dal soggetto (identità) diviene sortilegio sul soggetto (esclusione del non-identico). La filosofia di Kant è vera poiché distrugge l'illusione del sapere immediato dell'assoluto ma non vera in quanto lo descrive come un modello che corrisponde a una coscienza immediata (separazione tra in sé e per sé).
La dimostrazione di questa non verità è la verità dell'idealismo post kantiano, a sua volta non vero perché equipara la verità mediata soggettivamente al soggetto in sé. Ma, sostiene Adorno, il pensiero è in grado di pensare contro sé stesso, contro la sua normatività senza rinunciare a sé stesso. Niente conduce fuori dalla connessione dialettica d'immanenza se non questa stessa. Tale dialettica è negativa e la sua idea esprime la differenza da Hegel, ovvero dalla comprensione del non-identico in una identità assoluta.
Alcuni sotengono la necessità della liquidazione della teoria ma per Adorno occorre pensare le insufficienze teoriche che hanno generato cattiva prassi; e in questo senso si vede come la prassi sia un concetto eminentemente teorico. La dialettica negativa è dunque il confronto pensante tra concetto e cosa; il pensare in contraddizioni in forza della contraddizione esperita nella cosa e contro di essa.
Ciò è inconciliabile con Hegel poiché l'idea della conciliazione vieta la sua posizione positiva nel concetto. La dialettica negativa è falsa nel partire dal principio di identità ma deve correggersi nel suo sviluppo critico. L'identità è dunque la forma originaria dell'ideologia, coincide con la dottrina dell'adattamento e ne occorre dunque una critica che sarà critica della coscienza costituente.
Occorre dunque penetrare il principio di identità, senza tralasciare l'identità poiché ogni determinazione è identificazione, ma il fine non è l'identico bensì il non-identico. La forza che fa saltare l'identità è quella dell'identità stessa, è quella del pensiero stesso. La conoscenza del non-identico è dialettica.
La domanda è cosa è? e non in che categoria sta? La critica all'identità dunque non la fa scomparire ma la muta qualitativamente poiché la non verità di ogni ottenuta identità è la forma rovesciata della verità. Hegel conosce il dissimile facendoselo simile ma così conosce solo sé stesso.
Il singolare è dunque sia più che meno rispetto all'universale e non si può eliminare la contraddizione oggettiva con un investimento concettuale ma sicuramente si può arrivare a comprenderla. Il movimento dialettico diventa in Adorno autocritica della filosofia.
La sintesi come idea suprema e guida viene bandita poiché ipostatizzando il principio di identità il pensiero identificante oggettivizza tramite l'identità logica del concetto. Il suo momento positivo non è dunque nella conciliazione ma nella negazione determinata.
Mentre Hegel metteva in gioco una positività astratta la negazione determinata non scende a sanzionare l'essente, l'idea di conciliazione rifiuta incociliabilmente la sua affermazione nel concetto. In Adorno la dialettica è dunque resistenza dell'altro contro l'identità.
La rassegnazione della teoria rispetto al dato lavora per l'esistente. La singolarità non è per sé ma in sé il suo altro, è legata all'altro; ciò che è, è più di quel che è. Il momento unificante sopravvive per il fatto che non si avanza dai concetti gradualmente fino al concetto supremo ma che questi si presentano in costellazione. La parte più intima dell'oggetto si rivela come esterna ad esso e l'insistenza monadolagica, ovvero coscienza della costellazione in cui è l'oggetto, serve a penetrarne dall'esterno l'interno. Soltanto un sapere che ha presente anche la costellazione storica dell'oggetto nel suo rapporto con altri è in grado di liberare la storia nell'oggetto. Attualizzazione e modifica. La conoscenza dell'oggetto nella sua costellazione è conoscenza del processo accumulato in esso.
Negare l'essenza significa dunque mettersi dalla parte dell'apparenza e l'essenziale è talmente contrario all'universalità dominante, l'inessenza, quanto la supera criticamente. La mediazione non è più un momento della soggettività ma si rivela nell'oggetto stesso. Se si liberasse come soggetto, il soggetto uscirebbe dalla oggettività, la quale, dipende proprio da questa emancipazione.
Lo strapotere dell'oggettivato nei soggetti gli impedisce di diventare tali e gli impedisce la conoscenza dell'oggettivo. Il concetto è immediatamente mediazione e il suo equivoco risale all'astrazione. Soggetto e oggetto sono dunque una struttura non dialettica in cui si svolge ogni dialettica, questi sono espressione unicamente della non-identità ma non sono duali, si costituiscono reciprocamente differenziandosi. Il soggetto non è mai del tutto soggetto e l'oggetto non è mai del tutto oggetto. La contraddizione risponde alla totalità del pensiero identificante.
Non bisogna ricondurre l'oggettività al soggetto come hanno fatto sia Kant che Hegel che per mancanza di autoriflessione hanno dimenticato la mediazione nel mediante, il soggetto. Il momento soggettivo viene avvolto dall'oggettivo, il subjectum si trasforma in objectum, è esso stesso oggettivo, diventa qualcosa di imposto al soggetto in modo limitante. Il pensiero critico intende invece eliminare la gerarchia.
Adorno afferma la preponderanza dell'oggetto. Il soggetto crolla per un minimo poiché la sua pretesa è il tutto. Per Adorno l'oggetto può essere pensato solo dall'oggetto ma è costitutivo del soggetto essere anche oggetto, mentre nell'oggetto non vi è soggetto. Il senso della soggettività è essere anche oggetto mentre l'oggetto viene riferito alla soggettività solo nel momento della sua determinazione.
Primato dell'oggetto significa dunque per Adorno la progressiva differenza qualitativa di un in sé mediato, momento della dialettica, non al di là di essa ma articolantisi in essa. Il primato dell'oggetto è raggiungibile solo per la riflessione soggettiva, e per quella sul soggetto.
Mediazione dell'oggetto significa dunque che non può essere ipostatizzato staticamente e dogmaticamente, ma è conoscibile solo nel suo intreccio con la soggettività. Mediazione del soggetto significa che letteralmente non sarebbe senza il momento della oggettività.
Grazie al primato dell'oggetto la dialettica diviene materialistica. L'oggettivo nell'oggetto è ciò che non è spiritualizzabile e l'oggetto diventa materia.
La dialettica non è sociologia della conoscenza e il materialismo è l'essenza critica all'idealismo. La teoria critica è autocoscienza teoretica e in quanto teoria immanente smentisce la falsa oggettività, la falsa soggettività e il feticismo dei concetti.
La filosofia dell'identità è per Adorno mito sotto forma di pensiero e la violenza implicita in esso strilla al corpo e al dolore, elementi materialistici, di convergere con quello critico per pensare una prassi che possa mutare la società. La conoscenza non possiede uno schedario dei suoi oggetti, come la polizia di stato, piuttosto li pensa nella loro mediazione.
Un pensiero che rispecchia è privo di riflessione, è una contraddizione non dialettica, e senza riflessione dialettica non c'è teoria.
▪ 1978 - Papa Paolo VI, nato Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini (in latino: Paulus VI; Concesio, 26 settembre 1897 – Castel Gandolfo, 6 agosto 1978), è stato il 262° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica a partire dal 21 giugno 1963 fino alla morte.
Infanzia
Giovanni Battista Montini nacque il 26 settembre 1897 a Concesio, un piccolo paese all'imbocco della Valtrompia, a nord di Brescia, dove la famiglia Montini, di estrazione borghese, aveva una casa per le ferie estive.
I genitori, l'avvocato Giorgio Montini e Giuditta Alghisi, si erano sposati nel 1895 ed ebbero tre figli: Ludovico, nato nel 1896, che divenne avvocato, deputato e senatore della Repubblica, morto nel 1990, Giovanni Battista e, nel 1900, Francesco, medico, morto improvvisamente nel 1971. Il padre, al momento della nascita del futuro pontefice, dirigeva il quotidiano cattolico Il Cittadino di Brescia, e fu poi nominato deputato per tre legislature nel Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo; Giorgio Montini e Giuditta Alghisi morirono entrambi nel 1943 a pochi mesi di distanza.
Formazione
Nel 1903 venne iscritto come studente esterno (a causa della cagionevole salute) nel collegio "Cesare Arici" di Brescia, retto dai padri Gesuiti. In questa medesima scuola, frequentò fino al liceo classico, partecipando attivamente ai gruppi giovanili degli oratoriani di Santa Maria della Pace.
Nel 1907 compì il suo primo viaggio con la famiglia a Roma, in occasione di un'udienza privata di papa Pio X. Nel giugno dello stesso anno gli vennero impartiti i sacramenti della prima comunione e della cresima.
Nel 1916 ottenne la licenza presso il liceo statale "Arnaldo da Brescia" e nell'ottobre dello stesso anno entrò, sempre come studente esterno, nel seminario della sua città. Dal 1918 collaborò con il periodico studentesco La Fionda, pubblicando numerosi articoli di notevole spessore. Scrisse, ad esempio, nei primi di novembre del 1918:
«Guai a chi abusa della vita. Quando la creatrice mano di Dio delineava in un ordine meraviglioso i confini della vita, poneva altresì custode di questi confini la morte, vindice di quanti li avrebbero varcati in cerca di vita più ampia, di felicità maggiore.»
Nel 1919 entrò nella FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana).
Ordinazione sacerdotale
Il 29 maggio del 1920 ricevette l'ordinazione sacerdotale nella cattedrale di Brescia; il giorno successivo celebrò la sua prima Messa nel Santuario delle Grazie.
Nel novembre dello stesso anno si trasferì a Roma. Si iscrisse ai corsi di Diritto civile e di Diritto canonico alla Pontificia Università Gregoriana ed a quelli di Lettere e filosofia all'Università statale.
Nel 1923 viene avviato agli studi diplomatici presso la Pontificia accademia ecclesiastica. Iniziò così la sua collaborazione con la Segreteria di stato, per volere di papa Pio XI. Fu inviato a Varsavia per cinque mesi (giugno-ottobre 1923) come addetto alla nunziatura apostolica. Rientrato in Italia, nel 1924 conseguì tre lauree: in Filosofia, Diritto Canonico e Diritto civile.
Nel 1925 venne nominato Assistente ecclesiastico nazionale della FUCI. Collaborò a fianco del Presidente nazionale Igino Righetti, che era stato nominato nello stesso anno.
Collaborazione con Pio XI e Pio XII
Nel 1931 Montini venne incaricato di visitare celermente Germania e Svizzera, per organizzare la diffusione dell'enciclica Non abbiamo bisogno, nella quale Pio XI condannava lo scioglimento delle organizzazioni cattoliche da parte del regime fascista. Nel frattempo Montini continuava anche ad essere assistente nazionale della FUCI, ma nel 1933 lasciò l'incarico, sia per i sempre maggiori impegni in Segreteria di stato che per l'opposizione di correnti clericali contrarie alla sua formazione culturale.
Il 13 dicembre 1937 venne nominato sostituto della Segreteria di Stato; iniziò a lavorare strettamente al fianco del cardinale segretario di stato Eugenio Pacelli. Il 10 febbraio 1939, per un improvviso attacco cardiaco, Pio XI morì. Alle soglie della Seconda guerra mondiale, Eugenio Pacelli venne eletto pontefice con il nome di Pio XII.
Poche settimane dopo, Montini (sempre con il ruolo di sostituto) collaborò alla stesura del radiomessaggio di papa Pacelli del 24 agosto per scongiurare lo scoppio della guerra, ormai imminente; sono sue le storiche parole:
«Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra»
Durante tutto il periodo bellico svolse un'intensa attività nell'Ufficio informazioni del Vaticano per ricercare notizie su soldati e civili. Il 19 luglio 1943 accompagna Pio XII nella visita al quartiere San Lorenzo colpito dai bombardamenti alleati. Nel 1944, alla morte del cardinale Luigi Maglione, il futuro papa assunse la carica di pro-segretario di Stato; insieme a Domenico Tardini (futuro segretario di stato di Giovanni XXIII), Montini si trovò a lavorare ancora più a stretto contatto con Pio XII.
In questo periodo fu l'oscuro organizzatore delle trattative che la principessa Maria José di Savoia, nuora del re Vittorio Emanuele III, in tutta segretezza andava allestendo con gli Americani per giungere ad una pace separata. I Savoia cercavano infatti di sganciarsi da Benito Mussolini, per potersi distinguere dagli autori della prevista disfatta e garantirsi quindi la sopravvivenza politica a guerra conclusa. Il ruolo di Montini era proprio quello del mediatore che ricercò i contatti e condusse gli incontri. Sebbene non vi siano ovviamente molti dati certi, è stato avanzato il sospetto che Montini non abbia operato al massimo delle sue possibilità per la riuscita dell'iniziativa.
Va ricordato inoltre che la guerra fu occasione di violentissime polemiche relative al ruolo della Chiesa, e in particolare di Pio XII. In sostanza il papa fu accusato di aver mantenuto verso i tedeschi, cioè verso il Nazismo, un atteggiamento troppo distaccato, anzi sospetto di collaborazionismo. Montini fu investito appieno dalla tempesta, stante la centralità della sua posizione e la sua strettissima vicinanza al Papa, e si trovò a dover difendere se stesso ed il Pontefice dalle accuse di filo-nazismo. Il sospetto veniva poi accresciuto dalla considerazione degli esiti delle dette trattative di Maria José, il cui eventuale successo sarebbe stato contrario agli interessi di Berlino.
Per contro, va anche menzionato che Montini si occupò più volte e a vario titolo dell'assistenza che la Chiesa forniva ai rifugiati ed agli ebrei (ai quali distribuì ripetute provvidenze economiche a nome di Pio XII), oltre ai 4.000 ebrei romani che la Chiesa di nascosto riuscì a salvare dalle deportazioni, azione che, secondo alcuni studiosi, la Chiesa non avrebbe potuto compiere se si fosse schierata apertamente contro la potenza bellica tedesca.
Al termine della Seconda guerra mondiale, Montini era in piena attività per salvaguardare il mondo cattolico nello scontro con la diffusione delle idee marxiste; ma in modo meno aggressivo rispetto a molti altri esponenti. Nelle elezioni amministrative del 1952 non fece mancare il suo appoggio ad uno dei politici che stimava di più, Alcide De Gasperi.
Il 29 novembre fu nominato pro-segretario di Stato per gli Affari straordinari.
Arcivescovo di Milano
Il 1º novembre 1954, dopo la morte di Alfredo Ildefonso Schuster, Pio XII lo nominò arcivescovo di Milano. A molti questo parve un allontanamento dalla Curia romana, perché improvvisamente egli venne estromesso dalla Segreteria di stato e assegnato all'arcidiocesi ambrosiana per precise disposizioni di papa Pacelli.
Tuttavia non esistono dati storicamente certi per interpretare questa decisione del Pontefice; ci fu chi parlò di “esilio” dalla Santa Sede, dando dunque una connotazione negativa alle disposizioni di papa Pacelli, però questa ipotesi non è l'unica né la più attendibile: il filosofo Jean Guitton ne parla in altri termini: la nuova missione che veniva affidata a Montini doveva essere una sorta di prova per verificare la sua forza e il suo carattere pastorale.
Montini fu ordinato vescovo il 12 dicembre. Come arcivescovo di Milano seppe risollevare le precarie sorti della Chiesa lombarda in un momento storico difficilissimo, in cui emergevano i problemi economici della ricostruzione, l'immigrazione dal sud, il diffondersi dell'ateismo e del marxismo all'interno del mondo del lavoro. Seppe coinvolgere anche le migliori forze economiche nel risollevamento della Chiesa; cercò il dialogo e la conciliazione con tutte le forze sociali e avviò una vera e propria cristianizzazione delle fasce lavoratrici, soprattutto attraverso le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (ACLI); e questo gli garantì notevoli simpatie.
La nomina a cardinale e l'elezione
Alla morte di Pio XII, il conclave elesse papa, il 28 ottobre 1958, l'anziano Patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli, il quale aveva grande stima di Montini, (fra i due vi era una consolidata amicizia fin dal 1925), tanto che lo inviò in molte parti del mondo a rappresentare il papa.
Montini fu il primo cardinale nella lista dei porporati creati da Giovanni XXIII nel Concistoro del 15 dicembre 1958. Del resto avevano avuto stretti rapporti di collaborazione quando erano entrambi arcivescovi, come testimonia una lettera quasi profetica, inviata da Roncalli a Montini nel giorno della sua consacrazione episcopale:
«Compiremo insieme il sacramentum voluntatis Christi di san Paolo (Efesini 1,9-10). Esso impone l'adorazione della croce, ma ci riserba, accanto ad essa, una sorgente di ineffabili consolazioni anche per quaggiù, finché ci durerà la vita e il mandato pastorale. Cara e venerata Eccellenza, non so dire di più. Ma ciò che manca ad un più diffuso eloquio, Ella me lo legga nel cuore» (Lettera di Roncalli a Montini, 12 dicembre 1954)
Il breve ma intenso pontificato di Giovanni XXIII vide Montini attivamente coinvolto, soprattutto nei lavori preparatori del Concilio Vaticano II, aperto con una solenne celebrazione l'11 ottobre 1962. Il concilio però si interruppe il 3 giugno 1963 per la morte di papa Roncalli, malato da qualche mese.
Il Conclave che seguì si concluse con l'elezione di Montini, che assunse il nome di Paolo VI, il 21 giugno 1963. L'incoronazione si svolse in piazza San Pietro la sera di domenica 30 giugno 1963.
Pontificato
1963-1969
Davanti a una realtà sociale che tendeva sempre più a separarsi dalla spiritualità, che andava progressivamente secolarizzandosi, di fronte a un difficile rapporto chiesa-mondo, Paolo VI seppe sempre mostrare con coerenza quali sono le vie della fede e dell'umanità attraverso le quali è possibile avviare una solidale collaborazione verso il bene comune.
Non fu facile mantenere salda la Chiesa cattolica mentre da una parte gli ultratradizionalisti lo attaccavano con accuse di eccessivo modernismo e dall'altra parte i settori ecclesiastici più vicini alle idee socialiste lo accusavano di immobilismo; ma un equilibrato giudizio non può nascondere le grandi doti di guida spirituale dimostrate dal pontefice.
Di grande rilievo fu la sua scelta di rinunciare, nel 1964, all'uso della tiara papale, mettendola in vendita per aiutare, con il ricavato, i più bisognosi. Il cardinale Francis Joseph Spellman, arcivescovo di New York, la acquistò e da allora è conservata nella basilica dell'Immacolata Concezione di Washington. Eletto con un concilio in corso da portare a compimento, e con la non lieve eredità di innovazione comunicativa instaurata dal suo predecessore, Paolo VI vestì la tiara con onerose difficoltà e responsabilità iniziali.
Uomo mite e riservato, dotato di vasta erudizione e, allo stesso tempo, profondamente legato a un'intensa vita spirituale, seppe proseguire il percorso innovativo iniziato da Giovanni XXIII, consentendo una riuscita prosecuzione del Vaticano II.
Portò ottimamente a compimento il Concilio con grande capacità di mediazione, garantendo la solidità dottrinale cattolica in un periodo di rivolgimenti ideologici ed aprendo fortemente verso i temi del Terzo mondo e della pace. Da una parte appoggiò l'"aggiornamento" e la modernizzazione della Chiesa, ma dall'altra custodì i punti fermi della fede, che non dovevano subire in questo processo né ritrattazioni né mimetismi.
Il 27 marzo 1965, Paolo VI in presenza di Sua Ecc.za Mons. Angelo Dell'Acqua, lesse il contenuto di una busta sigillata, che in seguito rinviò all'Archivio del Sant'Uffizio con la decisione di non pubblicare il contenuto. In questa lettera, vi era scritto il Terzo segreto di Fatima.
Durante tutto il suo pontificato, la tensione tra il primato papale e la collegialità episcopale rimase fonte di dissenso. Il 14 settembre 1965, anche per effetto dei risultati conciliari, Paolo VI annunciò la convocazione del Sinodo dei Vescovi, escludendo però dall'ambito di questo nuovo organismo la trattazione di quei problemi riservati al papa, dei quali apprestò una ridefinizione.
Concluso il Concilio l'8 dicembre 1965, si aprì però un periodo difficilissimo per la Chiesa cattolica, attaccata da molte parti in un periodo storico e culturale di forte antagonismo ai valori tradizionali ed ampia diffusione delle idee marxiste anticlericali e fortemente laiciste. La società era attraversata da forti scontri e contrasti politici e sociali.
Celebre la sua frase: "Aspettavamo la primavera, ed è venuta la tempesta".
Nel 1966, Paolo VI abolì, dopo quattro secoli, e non senza contestazioni da parte dei porporati più conservatori, l'indice dei libri proibiti. Nel 1967 annunciò l'istituzione della Giornata mondiale della pace, che si celebrò la prima volta l'1 gennaio 1968.
Il tema del celibato sacerdotale, sottratto al dibattito della quarta sessione del concilio, divenne oggetto di una specifica enciclica, la Sacerdotalis Caelibatus del 24 giugno 1967, nella quale papa Montini riconfermò quanto decretato in merito dal Concilio di Trento.
Molto più complesse furono le questioni del controllo delle nascite e della contraccezione, trattate nella Humanae Vitae del 25 luglio 1968, la sua ultima enciclica.
Il dibattito lacerante che si innestò nella società civile su queste posizioni, in un'epoca in cui il cattolicesimo vedeva sorgere fra i fedeli dei distinguo di laicismo, ha appannato la sua autorevolezza nei rapporti con il mondo laico. In tale frangente si guadagnò il nomignolo di Paolo Mesto. Tuttavia Paolo VI non mancò di smentire quelle posizioni che volevano attribuire al suo operato un tono dubbioso, amletico o malinconico, asserendo che:
«è contrario al genio del cattolicesimo, al regno di Dio, indugiare nel dubbio e nell'incertezza circa la dottrina della fede»
La notte di Natale del 1968 Paolo VI si recò a Taranto e celebrò la messa di mezzanotte nelle acciaierie dell'Italsider. Fu la prima volta in assoluto che la messa di Natale venne celebrata in un impianto industriale. Con questo gesto il pontefice volle rilanciare l'amicizia tra Chiesa e mondo del lavoro in tempi difficili.
1968: l'enciclica Humanae Vitae
Una delle questioni più rilevanti, per la quale papa Montini stesso dichiarò di non aver mai sentito così pesanti gli oneri del suo alto ufficio, fu quella della contraccezione, con la quale si precludeva alla vita coniugale la finalità della procreazione.
Il Pontefice non poté mettere in disparte il problema e per la sua gravità destinò al proprio personale giudizio lo studio di tutte le implicazioni di tipo morale legate a tale argomento. Per avere un quadro completo, decise di avvalersi dell'ausilio di una Commissione di studio, istituita in precedenza da papa Giovanni XXIII, che egli ampliò e perfezionò.
La decisione sul da farsi era molto onerosa, soprattutto perché alcuni misero in dubbio la competenza della Chiesa in argomentazioni non strettamente legate alla dottrina. Tuttavia il Papa non mancò di sottolineare, davanti a queste critiche, che il Magistero ha facoltà d'intervento, oltre che sulla legge morale evangelica, anche su quella naturale: quindi la Chiesa doveva necessariamente prendere una posizione in merito.
Buona parte della Commissione di studio si mostrò a favore della "pillola cattolica" (come venne soprannominata), ma tuttavia è da ricordare che una parte di essa non condivise questa scelta, ritenendo che l'utilizzo degli anticoncezionali andasse a violare la legge morale, poiché, attraverso il loro impiego, la coppia scindeva la dimensione unitiva da quella procreativa. Paolo VI appoggiò quest'idea e, riconfermando quanto aveva già dichiarato papa Pio XI nell'enciclica Casti Connubii, decretò illecito per gli sposi cattolici l'utilizzo degli anticoncezionali di origine chimica o artificiale:
«Richiamando gli uomini all'osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita. [...] In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l'interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l'aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare, come il magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell'uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione.» (Paolo VI, Humanae vitae)
Ma nella stessa, nel paragrafo Paternità responsabile, si dice:
«In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita. Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all'ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete.»
Questa decisione di papa Montini non riscosse grande favore e ci furono molte critiche, soprattutto da parte di laici. Nonostante tutto, Paolo VI non ritrattò mai neppure una parola dell'enciclica, motivando in questi termini a Jean Guitton le proprie ragioni:
«Noi portiamo il peso dell'umanità presente e futura. Bisogna pur comprendere che, se l'uomo accetta di dissociare nell'amore il piacere dalla procreazione (e certamente oggi lo si può dissociare facilmente), se dunque si può prendere a parte il piacere, come si prende una tazza di caffè, se la donna sistemando un apparecchio o prendendo "una medicina" diventa per l'uomo un oggetto, uno strumento, al di fuori della spontaneità, delle tenerezze e delle delicatezze dell'amore, allora non si comprende perché questo modo di procedere (consentito nel matrimonio) sia proibito fuori dal matrimonio. La Chiesa di Cristo, che noi rappresentiamo su questa terra, se cessasse di subordinare il piacere all'amore e l'amore alla procreazione, favorirebbe una snaturazione erotica dell'umanità, che avrebbe per legge soltanto il piacere.» (J. Guitton, Paolo VI segreto)
I viaggi
Paolo VI fu il primo papa a viaggiare in aereo: volò per raggiungere terre lontanissime, come nessuno dei suoi predecessori aveva ancora fatto; è stato il primo papa a visitare tutti i cinque continenti.
Questi i paesi esteri visitati durante il pontificato:
▪ 4 - 6 gennaio 1964: Pellegrinaggio in Terra Santa
▪ 2 - 5 dicembre 1964: Pellegrinaggio in India in occasione del Congresso Eucaristico Internazionale
▪ 4 - 5 ottobre 1965: Visita alle Nazioni Unite di New York
▪ 13 maggio 1967: Pellegrinaggio al Santuario di Nostra Signora di Fatima
▪ 25 - 26 luglio 1967: Viaggio apostolico a Istanbul, Efeso e Smirne. In questa occasione avvenne lo storico incontro con il patriarca Atenagora I
▪ 21 - 25 agosto 1968: Viaggio apostolico a Bogotá
▪ 10 giugno 1969: Visita a Ginevra in occasione del 50º anniversario dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro
▪ 31 luglio - 2 agosto 1969: Pellegrinaggio in Uganda
▪ 25 novembre - 5 dicembre 1970: Pellegrinaggio in Asia Orientale, Oceania e Australia
Questi, invece, i pellegrinaggi in Italia:
▪ 10 giugno 1965: Visita alla città di Pisa in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale
▪ 24 aprile 1970: Pellegrinaggio al Santuario Mariano di Nostra Signora di Bonaria di Cagliari
Durante il viaggio in Estremo Oriente, il pontefice fu fatto bersaglio nelle Filippine di un attentato da parte di uno squilibrato munito di pugnale, dal quale uscì indenne: Paul Marcinkus, incaricato di organizzare i viaggi, deviò il pugnale con cui un uomo aveva tentato di colpirlo.
1970-1978
Il 16 settembre del 1972 Paolo VI fece una breve visita pastorale a Venezia durante la quale incontrò l'allora patriarca Albino Luciani e celebrò la Messa in piazza San Marco; al termine della celebrazione papa Montini si tolse la stola papale, la mostrò alla folla e successivamente la mise sulle spalle del patriarca Luciani davanti alla piazza, facendolo imbarazzare visibilmente. Il gesto del Pontefice, inteso da molti come "profetico", non fu ripreso dalle telecamere, che avevano già chiuso il collegamento, ma fu documentato da numerose fotografie.
Il 24 dicembre 1974 Paolo VI inaugurò l'Anno santo del 1975.
Il 17 settembre 1977 Paolo VI si recò nella città di Pescara in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale. Fu una delle sue ultime visite fuori dal territorio romano, ma rimase impressa nel ricordo dei presenti per un curioso avvenimento. In una intervista rilasciata in occasione del XXX anniversario di quell'evento, Mons. Antonio Iannucci, allora titolare dell'Arcidiocesi di Pescara-Penne, così ricorda l'arrivo del Pontefice sul luogo previsto per le Celebrazioni Eucaristiche (la grande Rotonda in riva al mare):
«Appena Pietro salì sulla barca il vento cessò” - racconta il Vangelo - e così avvenne anche a Pescara. Fino a qualche istante prima il cielo era piovoso, ma con l’arrivo del Papa alla Rotonda la pioggia cessò e apparve un meraviglioso arcobaleno.»
Il giornalista Giuseppe Montebello rimarca più dettagliatamente l'accaduto:
«Il Papa arrivò a Pescara sotto una pioggia battente, ma al Pontefice non mancò l’entusiasmo, l’esultanza e la commozione della gente. Alla Rotonda, poi, ci fu un’autentica esplosione di devozione e di affetto al Vicario di Cristo. Indossati i paramenti per la celebrazione della Messa, mentre il Papa stava per salire sull’altare, la pioggia cessò di cadere e, dietro il palco, gremito di autorità, cardinali, vescovi e sacerdoti, sbucò, nel mezzo del mare Adriatico, uno stupendo arcobaleno nel cielo, all’improvviso, diventato azzurro!»
Durante il Sequestro Moro, il 16 aprile 1978 Paolo VI implorò personalmente e pubblicamente, con una lettera diffusa su tutti i quotidiani nazionali il 21 aprile, la liberazione "senza condizioni" dello statista e caro amico Aldo Moro, rapito dagli "uomini delle Brigate Rosse" alcune settimane prima.
Ma a nulla valsero le sue parole: il cadavere di Aldo Moro venne ritrovato il 9 maggio 1978, nel bagagliaio di una Renault color amaranto, in Via Caetani a Roma, a pochi metri dalle sedi della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista.
La salma di Moro fu portata dalla famiglia a Torrita Tiberina per un funerale riservatissimo; ma il 13 maggio, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, alla presenza di tutte le autorità politiche, si celebrò un rito funebre in suffragio dell'onorevole, al quale prese parte anche il Romano Pontefice. Ci fu chi eccepì, soprattutto nella Curia, che non rientra nella tradizione che un papa partecipi a una messa esequiale, soprattutto se di un uomo politico (si cita, a proposito, il caso di Alessandro VI che non partecipò nemmeno ai funerali del figlio Giovanni), ma Paolo VI non mostrò interesse verso queste critiche. Il Papa, provato dall'evento, recitò un'omelia ritenuta da alcuni una delle più belle nella storia della Chiesa moderna, un testo quasi poetico che rientra nello stile personale, tormentato e colto, di papa Montini:
«Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all'ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il «De profundis», il grido, il pianto dell'ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci!
E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui. Signore, ascoltaci!
Fa', o Dio, Padre di misericordia, che non sia interrotta la comunione che, pur nelle tenebre della morte, ancora intercede tra i Defunti da questa esistenza temporale e noi tuttora viventi in questa giornata di un sole che inesorabilmente tramonta. Non è vano il programma del nostro essere di redenti: la nostra carne risorgerà, la nostra vita sarà eterna! Oh! che la nostra fede pareggi fin d'ora questa promessa realtà. Aldo e tutti i viventi in Cristo, beati nell'infinito Iddio, noi li rivedremo! Signore, ascoltaci!
E intanto, o Signore, fa' che, placato dalla virtù della tua Croce, il nostro cuore sappia perdonare l'oltraggio ingiusto e mortale inflitto a questo Uomo carissimo e a quelli che hanno subito la medesima sorte crudele; fa' che noi tutti raccogliamo nel puro sudario della sua nobile memoria l'eredità superstite della sua diritta coscienza, del suo esempio umano e cordiale, della sua dedizione alla redenzione civile e spirituale della diletta Nazione italiana! Signore, ascoltaci!»(Omelia di Paolo VI durante la messa in suffragio dell'on. Aldo Moro in San Giovanni in Laterano, 13 maggio 1978)
Il suo stato di salute si deteriorò da allora progressivamente e tre mesi dopo, il 6 agosto 1978 alle 21,40 si spense nella residenza di Castel Gandolfo a causa di un edema polmonare.
Lasciò un testamento (reso noto il 10 agosto) nel quale confida le sue paure, la sua esperienza di vita, le sue debolezze, ma anche le proprie gioie per una vita donata al servizio di Cristo e della Chiesa. Chiese un funerale sobrio, senza riti particolari. Lasciò scritto infatti circa i suoi funerali:
«[...] siano pii e semplici [...] La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me.» ( Paolo VI, Testamento)
La sua bara fu semplicissima, senza decori, di legno chiaro, deposta sul sagrato di Piazza San Pietro. Fu la prima volta che un funerale di un Pontefice si svolse con un rito così sobrio. Sarà lo stesso per i suoi due successori, i quali non mancheranno mai di richiamarsi a Paolo VI e citarlo come loro guida spirituale nell'esercizio dell'attività pontificale.
Papa riservato
In rapporto al predecessore Giovanni XXIII, che aveva avuto una popolarità di ampiezza internazionale, Paolo VI ebbe un'immagine pubblica diversa: apparve spesso come un pontefice più distaccato. Se Giovanni XXIII sembrò in molte situazioni gioviale e spontaneo, introverso, a volte austero e controllato, si dimostrò papa Montini alla pubblica opinione.
Schiacciato fatalmente tra i grandi pontefici "della gente" (Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II), i più non compresero mai il suo modo pacato e forse a volte timido di cercare il dialogo con le masse. Nonostante ciò, egli dovette occuparsi di portare avanti le innovazioni volute da papa Roncalli, non senza difficoltà. E certamente avviare una così grande svolta sarebbe stato compito difficile per chiunque. Saranno i suoi successori a raccogliere i frutti di quel difficile ma prolifico lavoro.
Forse Paolo VI non instaurò con molti fedeli quel contatto diretto e caldo che Giovanni XXIII aveva avuto e che caratterizzò almeno in parte gli anni del suo pontificato, ma egli fu di carattere profondamente diverso, maggiormente riflessivo e riservato.
Pesarono su questo, oltre che la propria indole caratteriale, anche la sua intrinseca tendenza all'equidistanza, che inevitabilmente lo portò ad essere poco accetto alle diverse tendenze sociali e culturali.
In realtà, papa Montini aveva forse mutuato dai suoi studi diplomatici un'inclinazione, se non un'attitudine, alla mediazione, all'attesa della fisiologica sedimentazione delle emergenze; sembrò a volte un valente temporeggiatore, secondo una antica tradizione curiale. La sua figura apparve alle opposte fazioni politiche comunque viziata da una sorta di timore della conflittualità e racchiusa in un'altera rarefazione di contatto che impediva lo scontro frontale, per molti inevitabile, con le opposizioni. Opposizioni che, su fronti distinti, presentavano riserve fra loro antagoniste, e nessuna di poco conto.
Da una parte vi erano gli ambienti dell'estremismo liberale, contrari alla dottrina piuttosto tradizionalista espressa relativamente al celibato sacerdotale, al controllo delle nascite e alla posizione intransigente sulla morale; dall'altra i tradizionalisti, di cui fu esponente di punta monsignor Marcel Lefebvre, che rimproverava al Papa di voler tradire secoli di spiritualità cristiana affossando non solo la Messa tridentina ma l'intera Tradizione della Chiesa.
Testimonianze di coloro che lo conobbero più da vicino, lo descrissero come un uomo insospettabilmente brillante, profondamente spirituale, umile e riservato, un uomo di "cortesia infinita".
Principali incontri e udienze
Furono numerose le personalità del mondo politico e religioso che Paolo VI incontrò durante il suo pontificato. Fra questi:
▪ Nel 1963 il Presidente degli Stati Uniti John Kennedy e il segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite U Thant;
▪ Nel 1964 il patriarca ortodosso di Costantinopoli Atenagora (storico incontro dopo quattordici secoli di incomunicabilità) e re Hussein di Giordania
▪ Nel 1966 Michael Ramsey, arcivescovo di Canterbury
▪ Nel 1967 il presidente USA Lyndon Johnson e il presidente francese Charles de Gaulle
▪ Nel 1969 il presidente USA Richard Nixon
▪ Nel 1971 il presidente della Jugoslavia Tito
▪ Nel 1973 il presidente del Vietnam Nguyen Van Thieu, la premier di Israele Golda Meir e il Dalai Lama
▪ Nel 1975 il presidente USA Gerald Ford
▪ Nel 1977 il capo di stato ungherese Janos Kadar, il segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite Kurt Waldheim e il segretario del partito comunista polacco Edward Gierek.
Riforme e innovazioni
Fra le riforme e le innovazioni apportate da Paolo VI nelle strutture e nella vita della Chiesa si possono ricordare l'istituzione dei seguenti organismi:
▪ Nel 1964 della Pontificia Commissione per le comunicazioni sociali e del Segretariato per i non cristiani,
▪ Nel 1965 del Segretariato per i non credenti e del Sinodo dei vescovi
▪ Nel 1967 del Pontificio Consiglio per i laici, della Pontificia Commissione "Iustitia et Pax" e della Prefettura della Casa Pontificia
▪ Nel 1969 della Commissione teologica internazionale
▪ Nel 1971 del Pontificio Consiglio "Cor Unum"
Come già ricordato, a Paolo VI si deve anche la riforma del Sant'Uffizio, che nel 1965 prese il nome di Congregazione per la dottrina della fede, e, nel 1967, l'istituzione della Giornata mondiale della pace.
Paolo VI nel ricordo dei suoi successori
Fino ad oggi, tutti i successori di Paolo VI furono da lui stesso elevati al rango cardinalizio: Albino Luciani (5 marzo 1973), Karol Wojtyła (26 giugno 1967), e Joseph Ratzinger (27 giugno 1977).
Con queste parole hanno ricordato l'illustre predecessore:
«Un mese giusto fa, a Castelgandolfo, moriva Paolo VI, un grande Pontefice, che ha reso alla Chiesa in 15 anni, servizi enormi. Gli effetti si vedono in parte già adesso, ma io credo che si vedranno specialmente nel futuro. Ogni mercoledì, Egli veniva qui, e parlava alla gente. Nel Sinodo 1977 parecchi vescovi hanno detto: I discorsi di papa Paolo del mercoledì, sono una vera catechesi adatta al mondo moderno. Io cercherò di imitarlo, nella speranza di poter anch'io in qualche maniera aiutare la gente a diventare più buona.»( Giovanni Paolo I, Udienza generale, 6 settembre 1978)
«Tutta la vita di Paolo VI fu piena di una adorazione e venerazione verso l'infinito mistero di Dio. Proprio così vediamo la sua figura nella luce di tutto ciò che ha fatto ed insegnato; e la vediamo sempre meglio, a misura che il tempo ci allontana dalla sua vita terrestre e dal suo ministero.» ( Giovanni Paolo II, Angelus 3 agosto 1980)
«Tutta la vita di questo “servo dei servi di Dio” fu un pellegrinaggio, un'aspirazione, nella fede, a ciò che è infinito e invisibile: a Dio, che è invisibile e che si è rivelato a noi in Gesù Cristo, suo Figlio. Fu un'aspirazione alla eternità. Paolo VI seguì la chiamata di Cristo; camminò per la via della fede indicatagli da lui e su questa via guidò gli altri [...]. In questa aspirazione spirituale vigilò con la vigilanza di un servo fedele. Tutta la sua vita ha dato testimonianza di questa aspirazione e di questa vigilanza.» (Giovanni Paolo II, Angelus, 10 agosto 1980)
«Ora, cari amici, vi invito a fare insieme con me memoria devota e filiale del Servo di Dio, il Papa Paolo VI, di cui, fra tre giorni, commemoreremo il XXX anniversario della morte. Era infatti la sera del 6 agosto 1978 quando egli rese lo spirito a Dio; la sera della festa della Trasfigurazione di Gesù, mistero di luce divina che sempre esercitò un fascino singolare sul suo animo.
Quale supremo Pastore della Chiesa, Paolo VI guidò il popolo di Dio alla contemplazione del volto di Cristo, Redentore dell'uomo e Signore della storia. E proprio l'amorevole orientamento della mente e del cuore verso Cristo fu uno dei cardini del Concilio Vaticano II, un atteggiamento fondamentale che il venerato mio predecessore Giovanni Paolo II ereditò e rilanciò nel grande Giubileo del 2000.
Al centro di tutto, sempre Cristo: al centro delle Sacre Scritture e della Tradizione, nel cuore della Chiesa, del mondo e dell'intero universo. La Divina Provvidenza chiamò Giovanni Battista Montini dalla Cattedra di Milano a quella di Roma nel momento più delicato del Concilio – quando l'intuizione del beato Giovanni XXIII rischiava di non prendere forma.
Come non ringraziare il Signore per la sua feconda e coraggiosa azione pastorale? Man mano che il nostro sguardo sul passato si fa più largo e consapevole, appare sempre più grande, direi quasi sovrumano, il merito di Paolo VI nel presiedere l'Assise conciliare, nel condurla felicemente a termine e nel governare la movimentata fase del post-Concilio.
Potremmo veramente dire, con l'apostolo Paolo, che la grazia di Dio in lui “non è stata vana” (cfr 1 Cor 15,10): ha valorizzato le sue spiccate doti di intelligenza e il suo amore appassionato alla Chiesa ed all'uomo. Mentre rendiamo grazie a Dio per il dono di questo grande Papa, ci impegniamo a far tesoro dei suoi insegnamenti.» (Benedetto XVI, Angelus, 3 agosto 2008, in occasione del trentennale delle scomparsa di Papa Montini)
▪ 1981 - Mario Untersteiner (Rovereto, 2 agosto 1899 – 6 agosto 1981) è stato un grecista, filologo classico e storico della filosofia italiano.
Orfano di padre dall'età di quattro anni, iniziò i suoi studi a Rovereto dove, nel 1909, fu ammesso al Ginnasio. Il completamento della scuola secondaria avvenne però a Milano, dove la sua famiglia, di spirito irredentista, si rifugiò il 15 maggio del 1915 e dove, il 1º luglio 1920, concluse gli studi universitari. Fu insegnante al Liceo Ginnasio Giovanni Berchet di Milano fino alla Liberazione, dopo la quale fu temporaneamente preside reggente, in quanto unico professore di quel liceo a non aver aderito al Partito Nazionale Fascista. Poco dopo si dedicò all'insegnamento universitario, presso le Università di Genova e di Milano, con l'insegnamento di Letteratura greca e, dal 1959, di Storia della filosofia antica. Si ritirò dall'insegnamento dopo aver completato l'anno accademico 1968/1969, rinunciando volontariamente a prolungare la sua permanenza fino ai 75 anni, una possibilità che gli era offerta dal suo status di docente mai iscritto al Fascismo.
Opere
Fu autore di numerosi saggi sulla filosofia antica, la sofistica, la spiritualità e la religione greca, di scritti sull'origine e la natura della commedia e della tragedia greca, di commenti e interpretazioni sofoclee, di edizioni critiche e commenti di opere filosofiche di Parmenide, Zenone di Elea, Senofane, Platone, Aristotele, di edizioni critiche di tragedie di Eschilo e Sofocle e delle Storie di Erodoto.
Sulla tragedia e la commedia
▪ I frammenti dei tragici greci, Milano, 1924
▪ SOFOCLE.
▪ Edipo a Colono. Introduzione e commento, Torino, 1929
▪ Elettra. Introduzione e commento, Milano, 1932
▪ Aiace. Introduzione e commento, Milano, 1934
▪ Antigone. Introduzione e commento, Modena, 1937
▪ ESCHILO. Le Supplici, Introduzione e commento, Napoli, 1935
▪ Le Coefore, Introduzione, testo critico e traduzione, Como, 1946
▪ Le tragedie. Edizione critica con introduzione e traduzione a fronte, 2 volumi e un'appendice metrica, Milano, 1947
▪ Guida bibliografica a Eschilo, Arona, 1947
▪ Commedia e mimo in Grecia. Aristofane - Menandro - Eronda - Teocrito, Napoli, 1930
▪ Le origini della tragedia e del tragico. Dalla preistoria a Eschilo. Torino 1955
▪ Ristampa riveduta e corretta dell'edizione 1955, Milano, 1984
▪ Sofocle. Studio critico. II edizione riveduta, con un saggio introduttivo dell'autore e un aggiornamento bibliografico a cura di Dario Del Corno, Milano, 1974
Edizioni erodotee
▪ ERODOTO.
▪ Le Storie, Libro VIII. Introduzione e commento. Napoli, 1937
▪ Le Storie, Libro IX. Introduzione e commento. Milano, 1937
Filosofi
▪ SENOFANE. Testimonianze e frammenti. Firenze, 1956
▪ Parmenide, Torino, 1925
▪ PARMENIDE. Testimonianze e frammenti. Firenze, 1958
▪ ZENONE. Testimonianze e frammenti. Firenze, 1963
▪ ARISTOTELE. Della filosofia. Introduzione, testo, traduzione e commento esegetico. Roma, 1963
▪ PLATONE. Repubblica. Libro X. Studio introduttivo, testo e commento. Napoli, 1966
▪ I SOFISTI, Milano, 1996
▪ 1985
- Roberto Antiochia (Terni, 7 giugno 1962 – Palermo, 6 agosto 1985) è stato un poliziotto italiano.
Agente della Polizia di Stato, nato a Terni e trasferitosi a otto anni a Torino, presso la squadra Mobile di Palermo lavorò con Beppe Montana in delicate indagini sull'associazione mafiosa Cosa Nostra. Dopo l'omicidio di Montana, in ferie ma già trasferito a Roma, decise di partecipare alle indagini a fianco di Ninni Cassarà.
Il 6 agosto 1985, mentre accompagnava il Vice Questore Cassarà presso l'abitazione in via Croce Rossa a Palermo, circa 10 uomini armati di Kalashnikov appostati nei piani del palazzo di fronte a quello del vice questore cominciarono a sparare sull'Alfetta di scorta. Antiochia, cercando di fare scudo con il suo corpo a Cassarà che era sceso dall'auto per riaggiungere il portone di casa, rimarrà ucciso dagli spari. Cassarà, rimasto ferito dagli innumerevoli spari dei mitra, riuscirà a raggiungere le scale del portone ma morirà mentre le sta salendo.
Il 17 febbraio 1995, la terza sezione della Corte d'Assise di Palermo ha condannato all'ergastolo cinque componenti della Cupola mafiosa (Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Bernardo Brusca e Francesco Madonia) come mandanti del delitto.
A lui sono dedicati la via antistante la Questura di Terni e il commissariato di Orvieto (in Provincia di Terni), vista la sua nascita e la sua infanzia nella città umbra.
Onorificenze
Medaglia d'oro al valor civile
«Agente della Polizia di Stato, in servizio a Roma, mentre era in ferie, spontaneamente partecipava in Palermo alle delicate e difficili indagini sull'omicidio di un funzionario di polizia, con il quale aveva in passato collaborato, consapevole del pericolo cui si esponeva nella lotta contro la feroce organizzazione mafiosa. Nel corso di un servizio di scorta, rimaneva vittima di proditorio agguato ad opera di spietati assassini. Esempio di attaccamento al dovere spinto all'estremo sacrificio della vita.» — Palermo, 6 agosto 1985
- Antonino Cassarà, detto Ninni (Palermo, 1948 – Palermo, 6 agosto 1985), è stato un agente di Polizia italiano, vittima della mafia.
Fu un Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato in forza presso la questura di Palermo e il vice dirigente della squadra mobile. Fu ucciso dalla mafia nel 1985, all'età di 37 anni.
Nel 1982 andava in giro per Palermo insieme all'agente Calogero Zucchetto per indagare sui clan di Cosa nostra. In quest'occasione lui e Zucchetto riconobbero i due killer latitanti Pino Greco e Mario Prestifilippo ma non riuscirono ad arrestarli perché scapparono. Tra le numerose operazioni cui prese parte, molte delle quali insieme al commissario Giuseppe Montana, la nota operazione "Pizza Connection", in collaborazione con forze di polizia degli Stati Uniti.
Cassarà fu uno stretto collaboratore di Giovanni Falcone e del c.d. "pool antimafia" della procura di Palermo e le sue indagini contribuirono all'istruzione del primo maxiprocesso alle cosche mafiose. Era sposato e padre di tre figli.
L'assassinio
Il 6 agosto 1985, rientrando dalla questura nella sua abitazione a via Croce Rossa (al civico 81) a Palermo a bordo di un'Alfetta e scortato da 2 agenti, scese dall'auto per arrivare al portone della sua abitazione quando un gruppo di nove uomini armati di fucile AK-47, appostati sulle finestre e sui piani dell'edificio in costruzione di fronte alla sua palazzina (al civico 77), sparò sull'alfetta. L'agente Roberto Antiochia, che era uscito dall'auto per aprire lo sportello a Cassarà, venne violentemente colpito dagli spari e morì, e Natale Mondo restò illeso (ma sarebbe stato ucciso anch'egli il 14 gennaio 1988). Cassarà, che era stato colpito dai killer quasi contemporaneamente ad Antiochia, spirò sulle scale di casa tra le braccia della moglie Laura, accorsa in lacrime dopo aver visto l'accaduto insieme alla figlia dal balcone della sua abitazione. È seppellito nel Cimitero di Sant'Orsola a Palermo.
Il 17 febbraio 1995, la terza sezione della Corte d'Assise di Palermo ha condannato all'ergastolo cinque componenti della Cupola mafiosa (Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Bernardo Brusca e Francesco Madonia) come mandanti del delitto.
Onorificenze
Medaglia d'oro al valor civile
«Con la piena consapevolezza dei pericoli cui si esponeva, nella lotta contro la feroce organizzazione mafiosa, ispirava, conduceva e sviluppava in prima persona e con eccezionale capacità investigativa una serie di delicate operazioni di polizia giudiziaria che portavano all'identificazione e all'arresto di numerosi fuorilegge. In un proditorio agguato teso davanti alla propria abitazione, veniva colpito da assassini armati di fucili mitragliatori, trovando tragica morte. Alto esempio di attaccamento al dovere spinto fino all'estremo sacrificio della vita.» — Palermo, 6 agosto 1985
▪ 1994 - Domenico Modugno (Polignano a Mare, 9 gennaio 1928 – Lampedusa, 6 agosto 1994) è stato un cantautore, compositore, chitarrista, attore e regista italiano. Fu anche deputato e dirigente del Partito Radicale.
«In una stazione radio del Michigan o dell'Indiana, chi si ricorda, arrivò un signore con il disco mio e lo mandò in onda: il giorno dopo si ebbero duemila telefonate di gente che voleva risentirlo. Lo rimandò in onda: il giorno appresso altre duemila telefonate. L'exploit di Volare nacque così.»(Domenico Modugno intervistato da Vincenzo Mollica, dal libro Domenico Modugno, 1981)
È considerato il padre dei cantautori italiani e uno dei più prolifici artisti in generale, avendo scritto e inciso circa 230 canzoni, interpretato 38 film per il cinema e 7 per la televisione, recitato in 13 spettacoli teatrali, condotto alcuni programmi televisivi, ed essendo apparso numerose volte, sia in televisione che dal vivo, davanti alle platee. È molto noto al grande pubblico per le sue quattro vittorie al Festival di Sanremo, in particolar modo per quella del 1958 con la canzone Nel blu dipinto di blu, scritta con Franco Migliacci e universalmente nota come Volare, destinata a diventare una delle più conosciute canzoni italiane nel mondo.
E così un trentenne pugliese, che fino ad allora aveva avuto un modesto successo in Italia come cantante ed attore, diventa, con la vittoria al Festival di Sanremo, il più noto cantante italiano nel mondo, e la sua Nel blu dipinto di blu diventa la canzone italiana più conosciuta dopo 'O sole mio, unico disco nella storia della musica italiana ad arrivare al primo posto (ed a restarci per ben tredici settimane) nell'hit parade americana, record tuttora ineguagliato per una canzone italiana, tanto che L'espresso nell'agosto del 1958 può così scrivere nei titoli in copertina: Modugno ha conquistato l'America, ed a fine anno i dati di vendita sono esaltanti, battendo ogni record per un disco italiano fino a quel momento: ben 800.000 copie in Italia e oltre 22 milioni nel mondo. Secondo i dati riportati dalla Siae. Nel blu dipinto di blu è stata la canzone italiana più eseguita al mondo dal 1958 ad oggi, ed ha avuto innumerevoli versioni in moltissime lingue
Oggi come allora è considerato uno dei padri dei cantautori italiani (è stato il primo che si è affermato nel dopoguerra, essendo Odoardo Spadaro e Armando Gill di epoca precedente), e come autore e interprete è tra i più grandi d'Europa, uno dei pochi europei a vincere nello stesso anno (il 1958) tre Premi Grammy (fu inoltre per molti anni l'unico italiano ad aver vinto): uno come disco dell'anno, uno come canzone dell'anno ed uno come miglior interprete del 1958.
L'infanzia e la giovinezza
Domenico Modugno nasce il 9 gennaio 1928 a Polignano a Mare (dove ora gli è stata dedicato un Lungomare con annesso bassorilievo in memoria), in provincia di Bari, a piazza Minerva 5 (oggi piazza Caduti di via Fani), da Vito Cosimo Modugno, comandante del Corpo delle Guardie Municipali, e Pasqua Lorusso; ha due fratelli maggiori, Vito Antonio detto Tonino e Giovanni detto Giannino, ed una sorella maggiore, Teresa, e sin da piccolo in famiglia viene chiamato Mimì.
Nel 1935 il padre viene trasferito a San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi (dove saranno sepolti i genitori di Modugno): Mimmo a 7 anni inizia ad andare a scuola e si ambienta nella sua nuova residenza, impara il dialetto vernacolo sanpietrano (facente parte dell'area del dialetto salentino), che può ricordare il siciliano; in questo dialetto scrive le sue prime canzoni.
Nell'adolescenza impara a suonare la chitarra sotto gli insegnamenti del padre Vito Cosimo e la fisarmonica, mentre nel 1945 compone le sue due prime canzoni, che tuttavia non inciderà mai: E la luna fra le nubi che sorride al mio dolore e Il treno che fischia. Scrive anche alcune poesie, che fa stampare dal padre del suo amico Guglielmo Centonze, che è tipografo. Successivamente le sue canzoni saranno scritte tutte nel dialetto del suo paese cioè San Pietro.
Nel frattempo frequenta l'Istituto di Ragioneria a Lecce. Nel 1947 si trasferisce (all'insaputa del padre) a Torino per cercare fortuna, e lavora prima come cameriere e poi come apprendista gommista alloggiando in una baracca in affitto. Gli rimase nell'anima il freddo patito a Torino, che all'epoca era la capitale del cinema italiano.
Nel 1949, dopo il servizio militare effettuato a Bologna ritorna a San Pietro Vernotico e si lascia crescere i baffi. In questo periodo inizia ad esibirsi come suonatore di fisarmonica nei festini di paese, improvvisando serenate alle giovani ragazze con il suo gruppo storico di amici conquistandosi la fama di fimminaru sciupafemmine per via del suo aspetto fisico e delle sue doti artistiche straordinarie.
Prime esperienze da cantante
Modugno coinvolge la Gandolfi e così, all'inizio del 1953, conduce Amuri...amuri..., trasmesso dal secondo canale radiofonico alle 22, in cui esegue una canzone in ogni puntata, proponendo brani che inciderà in seguito, come La cicoria o La barchetta dell'amore.
Nasce in quei giorni la leggenda del Modugno siciliano: infatti molti scambiano il dialetto salentino di questa e di altre canzoni come siculo-calabrese, ed il cantautore, almeno in quel periodo, non smentisce, attirandosi l'astio dei compaesani di San Pietro per aver sentito lo stesso Modugno dichiarare di essere siciliano (lui affermò d'averlo fatto perché costretto dai dirigenti Rai e dai Discografici).
Nel maggio 1953 Frank Sinatra è ospite di una puntata di Radioscrigno, programma radiofonico condotto da Guido Notari, durante il quale Modugno esegue Ninna nanna, canzone che venne molto apprezzata da Sinatra, che chiese una registrazione della canzone.
Sinatra poi non incise quella canzone, ma a Modugno servì per raccogliere l'interesse dei dirigenti radiofonici della TV di Stato. L'ultima apparizione cinematografica prima del successo nel mondo della musica fu nel 1955 ne Il Mantello Rosso di Giuseppe Maria Scotese; continua tuttavia a recitare anche successivamente.
Alla fine del 1953 Modugno ottiene un contratto discografico con l'RCA Italiana, per cui inizia a pubblicare i primi dischi a 78 e a 45 giri, con canzoni composte in dialetto salentino e siciliano.
Per questi primi brani si ispira al folklore di queste due regioni, evidenziando un particolare amore per gli animali: minatori,personaggi pittoreschi di San Pietro come nella canzone 'Lu Frasulinu', pescatori, storie d'amore di pesci spada innamorati, fedeli fino alla morte nel massacro della tonnara, di cavalli diventati ciechi e spinti a morire nel gran sole rovente dopo il buio delle miniere.
Il primo disco pubblicato nel 1954 è un 78 giri: La cicoria/Ninna nanna (la prima cantata con la Gandolfi); entrambi i brani erano stati presentati nella trasmissione condotta da Walter Chiari Controcorrente.
I genitori si separano in quello stesso anno, poiché il padre era da tempo di fatto legato ad un'altra persona: la madre abbandona la Puglia e viene a Roma con il fratello Vito Antonio, il quale inizia a fargli da manager; l'altro fratello Giannino resta a San Pietro Vernotico aprendo il primo autosalone del paese (morirà nel 2000); a San Pietro risiedono ancora i nipoti del cantautore e il fratello maggiore Tonino, mentre il padre morì suicida nel 1960, sparandosi quando gli viene diagnosticato un male incurabile.
In questo periodo Domenico Modugno pubblica altri dischi per la RCA con brani che verranno riscoperti in seguito, come La donna riccia, La sveglietta, Lu pisci spada e Vecchio frack, una delle due canzoni in italiano di questo periodo e forse la sua canzone più riuscita (anche se quando venne incisa nel 1955 passò inosservata). Vecchio frack gli procura il primo problema con la censura: infatti il verso «Ad un attimo d'amore, che mai più ritornerà» gli venne fatto cambiare in «Ad un abito da sposa, primo ed ultimo suo amor» in quanto all'epoca parole che alludevano a contatti fisici erano considerate immorali.
Come lo stesso Modugno ha raccontato più volte, questa canzone è ispirata alla vicenda del principe Raimondo Lanza di Trabia (marito dell'attrice Olga Villi), che si era suicidato nel novembre del 1954, all'età di trent'anni, gettandosi dalla finestra del suo palazzo in via Sistina a Roma.
Racconta peraltro un amico fraterno di Modugno, il poeta e scrittore Giovanni Bruno, che la canzone ebbe anche una seconda fonte di ispirazione in un racconto di spettri che la madre fece al cantante quando era bambino: la leggenda di un fantasma che usciva di notte dagli spalti del Castello di Conversano (BA) e vagava per la città.
In quel periodo vengono pubblicati i primi LP: l'album di debutto è I successi di Domenico Modugno I uscito nel 1955, che include alcuni brani già editi come 78 giri, seguito da I successi di Domenico Modugno II.
Spesso le canzoni di questo periodo si rifanno alla tradizione popolare e dei cantastorie, che furono del resto la sua prima esperienza musicale, come egli stesso ha dichiarato: «Una notte, quando avevo tre anni, a Polignano a mare, fui svegliato da un suono bellissimo, che solo in seguito decifrai come il canto di un carrettiere: fu la mia prima esperienza musicale, quella per me fu la "musica" per molto tempo. Per questo ho iniziato a cantare con quelle canzoni: il cantastorie stava dentro di me, non era una scelta precisa».
Alcune di queste prime canzoni sono depositate alla Siae avendo altri autori come cofirmatari della musica (ad esempio Romagnoli per La donna riccia o Franco Nebbia per La sveglietta), ed il motivo lo ha spiegato lo stesso Modugno in seguito: «Per le mie primissime composizioni dovevo ricorrere alla firma di persone già iscritte alla Siae come trascrittori, non potevo farlo io per via dei requisiti della legge vigente: io non sapevo scrivere la musica e suonavo vari strumenti ad orecchio. Ero insomma un "melodista", come venivano definiti coloro che si trovavano nelle mie condizioni. Per depositare "La donna riccia" alla Siae, quindi, dovetti appoggiarmi a Romagnoli, che pur non avendo scritto nemmeno una nota incominciò in questa maniera ad intascare i diritti d'autore. Molto presto riuscii a modificare la situazione: si riunì appositamente per me una commissione che, dopo aver esaminato il caso, decise che il signor Modugno poteva tranquillamente depositare le sue opere pur non sapendo scrivere la musica.»
I primi successi
Nel 1956, con il cambio di casa discografica ed il passaggio alla Fonit Cetra, riesce a debuttare come autore al Festival di Sanremo, la sua Musetto, già incisa in precedenza dall'autore, viene infatti presentata alla manifestazione da Gianni Marzocchi e si classifica all'ottavo posto. Dello stesso anno è Io, mammeta e tu, che contribuisce a far circolare il nome del cantautore. Sempre in quello stesso anno decide di fare alcune tournèè in Francia traducendo alcune sue canzoni come Vecchio Frack o Io, mammeta e tu in francese, anche se i francesi non le apprezzarono molto.
Nello stesso tempo escono altri 33 giri come Domenico Modugno e la sua chitarra - Un poeta un pittore un musicista e Domenico Modugno e la sua chitarra n° 2 - Un poeta un pittore un musicista che raccolgono anche reincisioni di vecchie canzoni. Sempre in quel periodo comincia a scrivere canzoni in napoletano con testi scritti da un amico conosciuto al Centro Sperimentale di Cinematografia: Riccardo Pazzaglia.
Nel 1957 partecipa al Festival di Napoli in coppia con Aurelio Fierro, con Lazzarella, scritta insieme a Pazzaglia, che riscuote un buon successo come del resto la canzone inserita sul retro del disco, Strada 'nfosa, che gli viene ispirata da un venditore ambulante parigino in una giornata di pioggia; mentre il brano sul lato A è spensierato ed allegro, quest'ultima canzone (che racconta la fine di un amore) ha una melodia triste ed accorata.
Alla fine dell'anno Modugno ha un altro problema con la censura: infatti alcuni versi del testo della sua Resta cu' mme vengono giudicati scandalosi, ed il cantautore deve così cambiare «Nu' me 'mporta dô passato, nu' me 'mporta 'e chi t'ha avuto» in «Nu' me 'mporta si 'o passato, sulo lagreme m'ha dato» ma, a parte questa disavventura, l'anno è stato positivo, ed ha preparato il terreno per l'esplosione del 1958.
Nel blu dipinto di blu
Diviene uno dei protagonisti della musica leggera italiana ed internazionale quando, con Volare, trionfa al Festival di Sanremo del 1958 insieme a Johnny Dorelli.
Il testo di questa canzone fu scritto insieme a Franco Migliacci, con il quale cooperò in molti momenti della carriera, giungendo ad altri risultati di successo come Addio... addio....
I racconti sulla nascita del testo da parte degli autori sono contrastanti e variano a seconda della ricostruzione del momento: Gianni Borgna li ha raccolti, e così si scopre che i primi tempi Modugno sosteneva che l'idea del ritornello Volare, oh oh gli era venuta una mattina osservando il cielo azzurro dalla finestra della sua casa di piazza Consalvo a Roma, mentre Migliacci invece affermava che l'idea era venuta a lui, osservando il quadro Le coq rouge di Marc Chagall, e che solo in seguito ne aveva parlato al cantautore pugliese.
In seguito, poi, Modugno affermò che, trovandosi a passeggiare nei pressi di Ponte Milvio, uno dei due avrebbe pronunciato il verso «Di blu m'ero dipinto» e da lì si sarebbe poi sviluppato il resto del testo.
Ultimamente, però, Migliacci ha cambiato versione, sostenendo che la canzone sia nata dopo un incubo notturno. La storia era questa: Migliacci una giornata sarebbe dovuto andare al mare con Modugno, ma quest'ultimo non veniva a prenderlo; allora Migliacci disse addio alla giornata del mare, si richiude in casa, un po' per il caldo si addormenta, sognando lui che vola nel cielo e si dipinge di blu. È evidente che è quasi impossibile capire quale sia la verità sulla nascita del testo, ma sulla musica, scritta dal solo Modugno, tutti sono d'accordo nel riconoscerne la carica innovativa e di novità, almeno col senno di poi, visto che, subito dopo l'esibizione sanremese alcuni musicisti non esitarono a criticarne la melodia (Gorni Kramer, ad esempio, affermò: «Ma che pazzia è questa canzone? Non ha stile, non esiste!»).
In generale, però i pareri dei critici musicali sono unanimi: «Quella di Modugno è senza dubbio la canzone più nuova, più originale e più estrosa di questo Festival: estrosa nella musica, dove la caratteristica vera e propria è data dalla frase iniziale del refrain, ed estrosa nel soggetto»; «La vittoria di Modugno può significare finalmente una rottura di quel clima di artificio nel quale naviga, grazie agli interessi delle case discografiche ed editrici, ed alla scarsa preparazione di buona parte di autori e cantanti, la canzone italiana: Modugno ha dimostrato che una bella canzone, cantata bene, può essere apprezzata dal pubblico, ed ha dimostrato che due cantanti seri e preparati come lui e il giovane Johnny Dorelli hanno la possibilità di imporsi sui "divi" costruiti e artificiosi, dai milioni in banca e dalle lacrime nel fazzoletto».
La fortuna della canzone è dovuta, comunque, anche ad altri aspetti, non solo al testo o alla melodia: in particolare è da citare l'arrangiamento, opera di Alberto Semprini, e l'interpretazione di Modugno che, durante l'esibizione a Sanremo, accompagna con la mimica la sua voce per arrivare, nel celebre ritornello, ad una liberatoria apertura delle braccia.
Dopo Sanremo, la canzone arrivò terza all'Eurofestival e vinse nel 1958 tre Premi Grammy (fu per molti anni l'unico a vincere un tal premio per una canzone italiana), uno come disco dell'anno, uno come canzone dell'anno ed uno come miglior interprete del 1958.
Anche il Cash Box Bilboard gli conferì l'Oscar per la migliore canzone dell'anno e ricevette in dono dalle industrie musicali tre dischi d'oro, uno per il migliore cantante, uno per la migliore canzone e uno per il disco più venduto.
Ecco come il cantante racconta la nascita del suo successo negli Stati Uniti:
«In una stazione radio del Michigan o dell'Indiana, chi si ricorda, arrivò un signore con il disco mio e lo mandò in onda: il giorno dopo si ebbero duemila telefonate di gente che voleva risentirlo. Lo rimandò in onda: il giorno appresso altre duemila telefonate. L'exploit di Volare nacque così.»
Si esibisce all'Ed Sullivan Show, il programma televisivo più popolare degli Stati Uniti, e poi comincia un lungo tour che tocca, tra le tante città, Boston, Buffalo, Los Angeles e New York dove, il 18 settembre, suona alla Carnegie Hall: è proprio durante la tournée che la moglie dà alla luce con qualche settimana di anticipo il suo primogenito, ma Modugno non può ritornare in Italia a causa delle forti penali previste nel contratto (ben 100.000 dollari di danni).
È in questo periodo che gli americani lo soprannominano Mr. Volare, ed anche la sua canzone diventa nota con questo titolo, il 45 giri rimane primo nell'hit parade americana per ben tredici settimane consecutive, record tuttora ineguagliato per un disco italiano.
L'eco di questi successi arriva anche in Italia: L'espresso nell'agosto del 1958 può così scrivere nei titoli in copertina: Modugno ha conquistato l'America; ed a fine anno i dati di vendita sono esaltanti, battendo ogni record per un disco italiano fino a quel momento: ben 800.000 copie in Italia e oltre 22 milioni nel mondo.
Secondo i dati riportati dalla Siae, Nel blu dipinto di blu è stata la canzone italiana più eseguita al mondo dal 1958 ad oggi.
Modugno ha attraversato l'atlantico circa 60 volte, tutti gli stati del nord e sud America lo hanno sentito dalla viva voce, a Caracas durante uno spettacolo si tenne la massima presenza di 121.000 persone.
Nel 2008, a cinquant'anni dalla presentazione di Volare, gli è stato dedicato un francobollo celebrativo presentato dal Comune di Sanremo e dal Comune di Polignano a mare. Il Comune di Polignano a mare ha prodotto le "Celebrazioni Ufficiali per i 50 anni di Volare" : numerosi artisti hanno reso omaggio a Mr. Volare, tra questi L'Orchestra di Piazza Vittorio, Bungaro, Rocco Zifarelli, Cristiana Pegoraro, Magoni e Spinetti, Vince Abbracciante, Opa Cupa, Elio e le Storie Tese, Bruno De Filippi, Peppe Voltarelli, Maria Cristina Zoppa e Dario Salvatori, Tatti Sanguineti, Rudi Assuntino. Ha aperto i festeggiamenti Gilberto Gil, ministro della Cultura del Brasile, cantando una inedita versione di Volare. La grande manifestazione si è svolta per tutto il 2008 con la direzione artistica del regista Gianni Torres ed in partnership con Rai RadioScrigno, Rai Teche, Cineteca Nazionale, Centro Sperimentale di Cinematografia. Tra le iniziative delle Celebrazioni è da menzionare l'apertura del Festival Cinematografico di Venezia dedicato a Mr. Volare con la proiezione del film diretto e prodotto da D. Modugno intitolato "Tutto è musica". L' apertura del festival è avvenuta alla presenza del Direttore Muller, della signora Gandolfi, di Franco Migliacci, di Gianni Torres, di Rudi Assuntino, del sindaco di Polignano a Mare Angelo Bovino. In seguito è stata realizzata a Polignano a mare, sul Lungomare D.Modugno, una statua in bronzo di 3 metri, realizzata dallo scultore argentino Hermann Mejer, con Mr. Volare nel celebre gesto delle braccia aperte che lo ha reso famoso nel mondo.
Modugno e la poesia
Collaborò anche con i poeti Salvatore Quasimodo, che dopo averlo conosciuto gli diede l'autorizzazione per mettere in musica le sue due poesie Ora che sale il giorno e Le morte chitarre, e Pierpaolo Pasolini, che scrisse il testo della canzone Che cosa sono le nuvole.
Ecco come Modugno racconta l'esperienza con Quasimodo:
«Quando gli chiesero il permesso per questa operazione, lui rispose che non lo aveva mai concesso a nessuno, ma che per Modugno non ci sarebbero stati problemi. Poi ci siamo incontrati e conosciuti a casa sua: era una persona molto strana, chiusa, vulnerabile, che ispirava tenerezza»
Con Pasolini Modugno ebbe anche altri rapporti professionali, in quanto il cantautore venne chiamato nel 1966 dal poeta e regista per cantare i titoli di testa del film Uccellacci e uccellini, su musica di Ennio Morricone; l'anno successivo reciterà nel film Capriccio all'italiana (nell'episodio Che cosa sono le nuvole), con Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, interpretando la canzone omonima (il film uscirà nelle sale nel 1968, dopo la scomparsa del grande attore napoletano):
«Il mio incontro con Pasolini fu bello. In un primo tempo voleva utilizzarmi per un'opera che doveva rappresentare alla Piccola Scala di Milano, cosa che poi non fece. Recitai invece nell'episodio Cosa sono le nuvole, e dal titolo del film nacque anche una canzone, che scrivemmo insieme. È una canzone strana: mi ricordo che Pasolini realizzò il testo estrapolando una serie di parole o piccole frasi dell'Otello di Shakespeare e poi unificando il tutto»
Modugno infine fu molto amico di Eugenio Montale, con cui però non ebbe collaborazioni professionali.
[...]
La fine della carriera artistica e la politica
Domenico Modugno fu colpito da un ictus il 12 giugno 1984 durante le prove della trasmissione di Canale 5 La Luna del Pozzo, che veniva registrata a Roma negli studi televisivi De Paolis sulla via Tiburtina.
Il medico di servizio non si accorse della gravità delle sue condizioni, e gli disse di prendere un'aspirina e tornare a casa. Nella notte le sue condizioni si aggravarono e venne ricoverato d'urgenza in ospedale, dove nonostante le cure a cui fu sottoposto rimase con un lato del corpo paralizzato e con difficoltà ad articolare la parola, cosa che lo costrinse a lasciare l'attività artistica. Fu costretto ad una lunga riabilitazione di tre mesi e solo attorno al settembre di quello stesso anno cominciò a migliorare.
Già molto tempo prima di questo incidente Domenico Modugno aveva dato prova del suo impegno sociale, simpatizzando apertamente per le campagne progressiste del Partito Socialista Italiano, al quale aveva donato i diritti d'autore della canzone L'anniversario, composta nel 1973 in occasione della campagna per il referendum sull'abrogazione della legge Fortuna - Baslini che nel 1971 aveva introdotto il divorzio nella legislazione italiana.
Nel 1986, impressionato dall'attività a favore dei disabili del Fronte Radicale Invalidi iniziò ad interessarsi alle iniziative del Partito Radicale, per il quale fu candidato alle elezioni politiche del 1987, venendo eletto alla Camera tra i deputati della X legislatura, dalla quale si dimise il 18 aprile del 1990 in ossequio allo statuto del partito. In seguito alle dimissioni dal Senato di Gianfranco Spadaccia gli subentra nel suo seggio a Palazzo Madama, dove siederà fino al termine della legislatura. Durante la sua permanenza in Parlamento, Modugno si impegnò a fondo sui temi dei diritti delle persone disabili e sulle norme a tutela degli artisti.
Domenico Modugno fece poi una vera e propria battaglia per l'ospedale psichiatrico di Agrigento, in cui i malati vivevano in condizioni disumane, riuscendo nel 1988 a far chiudere l'ospedale, e dedicando ai ricoverati un concerto che fu il primo tenuto dopo la malattia. È stato più volte ospite del Centro Culturale Pier Paolo Pasolini, accolto con grande simpatia ed affetto, e che ha lasciato un ricordo indimenticabile di grande stima per il Centro Culturale.
Nel 1990 fu eletto, sempre ad Agrigento, consigliere comunale.
Il ritorno
Nel luglio 1991 tenne un concerto alle Terme di Caracalla e, appoggiandosi ad un bastone, cantò le sue canzoni più famose: sul palcoscenico i segni della malattia scomparvero. Tuttavia nell'ottobre dello stesso anno ebbe un attacco cardiaco, ma non fu nulla di particolarmente rilevante.
Nel maggio 1992 cantò a Torino, in un concerto gratuito in piazza San Carlo, gremita di persone, restando seduto per buona parte dell'esibizione ed alzandosi in piedi nei bis: la voce era comunque ritornata ferma e convincente, e l'appoggio del pubblico gli fece capire di essere ancora molto amato, al punto che il cantante si commosse per l'accoglienza ricevuta.
Sempre nello stesso anno ritornò per l'ultima volta negli Stati Uniti dove fece una tourneè di sette concerti conclusasi il 14 dicembre.
Il 26 agosto 1993 tenne a Polignano a Mare, sua città d'origine, l'ultimo grande concerto della carriera, alla presenza di 70.000 persone in occasione della "riappacificazione con i polignanesi" per essersi sempre dichiarato siciliano.
La manifestazione dei tre giorni chiamata Modugno torna a casa, ideata e diretta dal regista Gianni Torres, vide Mr. Volare sfilare lungo la costa di Polignano a bordo di una barca (come si fa il 15 giugno di ogni anno per San Vito, patrono locale), alla testa di tante altre piccole barchette, attraversare il paese baciando bambini e stringendo mani a bordo della famosa Lancia Aurelia del film "Il sorpasso" di Dino Risi, e per terminare, il concerto nel quale dichiarò davanti a tutti: «Chiedo scusa, ma per la fame avrei anche detto di essere giapponese!». Si trattò del più importante evento nazional-popolare del 1993 e Domenico Modugno, un po' appartatosi per via della malattia, tornò sulla scena da leone, proprio ripartendo dal suo paese natale come accadde tanti anni prima. Nel 1993 incise la sua ultima canzone, arrangiata dal M° Stefano Borzi, intitolata Delfini (Sai che c'è) con suo figlio Massimo Modugno, anch'esso divenuto cantante.
Morì il 6 agosto 1994 nella sua casa di Lampedusa situata davanti l'isola dei conigli stroncato da un infarto. Oggi riposa al Cimitero Flaminio di Roma.
Un critico disse: «Modugno ha voluto morire da vero meridionale, sotto il sole d'estate, vicino al mare, di blu in blu, dopo aver beffato la morte per un decennio».
Modugno negli anni 2000: la riscoperta
«Domenico Modugno è come la Gioconda o come la Torre di Pisa: un monumento che ormai appartiene all’umanità intera, un brivido di bellezza senza più nazionalità.» (Lino Patruno, al quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno, il 27 agosto 1993)
Delle sue canzoni più celebri vengono di continuo eseguite delle cover e tante raccolte si trovano sul mercato, sia in Italia che all'estero.
Nell'estate del 1995, a Polignano a Mare, si è tenuto il primo grande omaggio ad un anno dalla scomparsa. La manifestazione, ideata e diretta da Gianni Torres, aveva per titolo "VOLARE INSIEME - Napoli rende omaggio a Modugno" e si caratterizzava perché per la prima volta nella storia, una folta rappresentanza di artisti napoletani si spostava altrove per rendere omaggio ad un artista. Partecipò Riccardo Pazzaglia, Roberto Murolo, Nuova Compagnia di Canto Popolare, Enzo Gragnaniello, James Senese, Irene Fargo ed altri.
Il Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro inviò all'organizzazione un pubblico telegramma per esprimere soddisfazione e rallegramenti per l'iniziativa.
Da ricordare infine la citazione che nel 1990 Fabrizio De André ha fatto del brano di Modugno O ccafè nella canzone Don Raffaè (contenuta nell'album Le nuvole), in cui nel ritornello Ah che bellu ccafè, sulo a Napule 'o sanno fà del cantautore pugliese diventa Ah che bellu ccafè, pure 'n carcere 'o sanno fà
Negli anni 2000 si assiste ad una vera e propria riscoperta dell'attualità dell'artista Modugno.
Spiccano Mina e Roberto Murolo: Mina ha pubblicato nel 2001 un album di nome Sconcerto, contenente cover di 11 canzoni di successo di Domenico Modugno con nuovi arrangiamenti propri.
Roberto Murolo ha pubblicato nell'anno 2002 altresì un album interamente dedicato all'artista defunto. È intitolato Tu si' 'na cosa grande: Tributo e contiene 11 brani tutti in napoletano.
Questi due album comunque non sono stati i primi tributi a lui dedicati: già nel 1963 l'amico-nemico Claudio Villa aveva inciso l'album Claudio Villa canta Modugno, con sue interpretazioni di alcuni classici del cantautore pugliese (tra cui Libero, Strada 'nfosa, Lazzarella, Piove, Resta 'cu "mme, Stasera pago io e Vecchio frack).
Nel 2004, Polignano a Mare lo ricorda a 10 anni dalla scomparsa. La manifestazione, sotto la direzione artistica di Rudi Assuntino e Gianni Torres, vide sfilare tanti amici e collaboratori di Mr. Volare: Franco Migliacci, Riccardo Pazzaglia, Gigliola Cinquetti, Maria Pia Fusco. Una mostra celebrativa, a cura di M. Carta, rievocò i grandi momenti artistici dell'artista pugliese. Gennaro Cannavacciuolo tenne uno spettacolo in una piazza gremita. Partners della manifestazione, la Cineteca Nazionale, Il Centro Sperimentale di Cinematografia, Rai Teche.
Nel 2006 i Radiodervish, cogliendone il respiro mediterraneo, impostano un suggestivo spettacolo con l'attore Giuseppe Battiston affrontando i temi delle migrazioni fisiche e spirituali. Lo spettacolo è raccolto in Amara Terra Mia (2006 - RadioFandango, distribuito Edel) e contiene due versioni inedite di 2 classici di Modugno, la registrazione live dello spettacolo con Giuseppe Battiston ed il video di "Amara Terra Mia" di Franco Battiato.
Nello stesso anno la Warner Music Italia pubblica un cd che raccoglie dodici versioni di Nel blu dipinto di blu, a partire dalle incisioni di Modugno e Dorelli per proseguire con Fred Buscaglione, Claudio Villa, Alberto Semprini, Natalino Otto ed altri artisti.
Sempre nel 2006 Ginevra Di Marco incide due canzoni di Modugno, Amara terra mia e Malarazza; quest'ultima viene anche incisa da Roy Paci.
Mercoledì 14 novembre 2007 a Moncalieri debutta lo spettacolo Uomini in frac, in cui gli Avion Travel (in quest'occasione accompagnati da altri musicisti: Danilo Rea, Javier Girotto, Furio Di Castri, Gianluca Petrella e Cristiano Carcagnile) eseguono alcune canzoni del cantautore; lo spettacolo continuerà anche nel 2008 ed è stato allestito per festeggiare i cinquant'anni di Nel blu dipinto di blu.
Dando uno sguardo all'estero: il francese Karl Zéro ha incluso nel 2001 una sua versione di Io, mammeta e tu nel suo album Songs for cabriolets and otros tipos de vehiculos (cantata in napoletano ma con un esilarante accento francese).
Negli Stati Uniti questa versione di Io, mammeta e tu è stata inserita nella serie televisiva X Files, nell'episodio della nona stagione (2001- 2002) intitolato Improbable, su idea dello stesso Chris Carter.
Nel 2005, all'interno del programma dedicato all'Eurofestival Congratulations, Volare conquista il secondo posto tra le 10 più belle della competizione.
Nel 2008 il gruppo Negramaro propone una versione di Meraviglioso nel loro disco dal vivo Negramaro San Siro Live divenuta nel 2009 la colonna sonora del film di Giovanni Veronesi Italians.
Durante il Concerto del Primo Maggio del 2009 Peppe Voltarelli propone una sua versione di Malarazza.
Il 31 maggio 2009 è stata inaugurata a Polignano a Mare sul lungomare dedicato a lui una statua, ideata dallo scultore Herman Majer; hanno partecipato alla manifestazione Carlo Giuffrè e Franca Gandolfi.
▪ 2009 - Riccardo Cassin (San Vito al Tagliamento, 2 gennaio 1909 – Lecco, 6 agosto 2009) è stato un alpinista italiano.
Riccardo Cassin nasce in una famiglia umile: il padre Valentino, costretto ad emigrare in Canada, trova la morte a soli 29 anni in un incidente in miniera nel novembre 1913. Rimasto orfano e senza il fondamentale sostegno finanziario del padre, Cassin trascorre la sua infanzia con la madre vedova e la sorella minore nella casa del nonno materno di Savorgnano nei pressi del fiume Tagliamento, proprio nei luoghi dove imperversa la prima guerra mondiale.
Dal 1926 vive a Lecco e, dopo una iniziale esperienza come pugile, si forma come alpinista intorno al 1930 sulle guglie delle Grigne.
Fu certamente una delle figure più importanti dell'alpinismo dell'epoca del sesto grado, prima della Seconda guerra mondiale. Probabilmente la lista delle sue prime ascensioni non ha eguali, avendo risolto, grazie alla sua tenacia e decisione, i maggiori problemi alpinistici dell'epoca, sia sulle Dolomiti che sulle Alpi Occidentali. Il 1934 e il 1935 sono gli anni del grande alpinismo dolomitico di Cassin. Nel 1934 compie la prima ascensione delle Piccolissima delle Cime di Lavaredo. Nel 1935, dopo aver ripetuto la grande via di Emilio Comici sulla parete nord-ovest della Civetta, scala il fantastico spigolo sud-est della torre Trieste e, con Vittorio Ratti, apre una via di estremo ardimento sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo, impresa ambitissima dopo che nel 1933 i cortinesi Angelo e Giuseppe Dimai e il triestino Emilio Comici avevano salito la Nord della Grande.
Nel 1937 Cassin sposta la sua attenzione al granito delle Alpi Centrali. In tre giorni, funestati dal maltempo, compie la prima salita dell'enorme parete nord-est del Pizzo Badile assieme a Ratti ed Esposito ed alla cordata dei comaschi Molteni e Valsecchi, che moriranno di sfinimento lungo la discesa. Anche questa via oggi è famosissima e frequentemente percorsa. Per tale impresa il C.O.N.I. assegnò a Cassin nel 1938 la medaglia d'oro al valore atletico.
Probabilmente la sua impresa più importante, e pietra miliare dell'alpinismo, avviene tra il 4 e il 6 agosto 1938 nel massiccio del Monte Bianco. Con Tizzoni ed Esposito, compie la prima salita dello sperone Walker della parete nord delle Grandes Jorasses. Per Cassin, prima della guerra, vi sarà ancora il tempo per aprire un altro importante itinerario nell'area del Monte Bianco, nel 1939 sulla parete settentrionale dell'Aiguille de Leschaux.
Il dopoguerra vede Cassin impegnato soprattutto come organizzatore e capo-spedizione. Dopo l'inspiegabile esclusione dalla spedizione nazionale al K2 capitanata da Ardito Desio («Cassin in realtà fu lasciato a casa in seguito a discussi esami medici, favorendo così la maggior gloria del professor Desio»), nel 1958 guida la spedizione che porta sulla vetta del Gasherbrum IV Walter Bonatti e Carlo Mauri. Nel 1961 capeggia una spedizione al monte McKinley che porta alla apertura dell'immensa parete sud della montagna e all'arrivo in vetta di tutti i membri della spedizione. Nel 1975 guida la spedizione alla parete sud del Lhotse, a cui partecipa anche Reinhold Messner e che viene respinta dal maltempo.
Nel 1987, a 78 anni di età, Cassin ripeté la salita al Pizzo Badile di mezzo secolo prima, impresa che lo aveva consacrato tra i più forti alpinisti del Novecento.
Riccardo Cassin è anche stato imprenditore nel campo della produzione di chiodi da scalata.
È autore dei libri Dove la parete strapiomba (1958), e Capocordata, la mia vita di alpinista (2001).
È scomparso il 6 agosto 2009 nella sua casa ai Piani Resinelli, nei pressi di Lecco dove, per il raggiungimento del centesimo anno di età, la città aveva dedicato all'inizio dell'anno una serie di iniziative in suo onore.
Onorificenze
Cavaliere di Gran Croce Ordine al merito della Repubblica Italiana
— Roma, 9 febbraio 1999.[5]
Grand'Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana
— 5 gennaio 1980. Di iniziativa del Presidente della Repubblica.