Il calendario del 5 Marzo

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 1770 - Massacro di Boston: cinque americani, compreso Crispus Attucks, vengono uccisi da truppe britanniche in un episodio che aiuterà a dare il via alla Guerra d'indipendenza americana cinque anni dopo.

▪ 1821 - James Monroe viene insediato per il suo secondo termine come presidente degli Stati Uniti.

▪ 1824 - Prima guerra birmana: I britannici dichiarano ufficialmente guerra alla Birmania.

▪ 1836 - Samuel Colt fabbrica il primo modello di revolver destinato alla produzione.

▪ 1842 - Oltre 500 soldati messicani guidati da Rafael Vasquez invadono il Texas, occupando brevemente San Antonio e tornando quindi verso il Río Grande. Questa è la prima di queste invasioni dalla Rivoluzione Texana.

▪ 1860 - Parma, Toscana, Modena e Romagna votano in un referendum per unirsi al Regno di Sardegna.

▪ 1868 - Una corte per l'impeachment viene organizzata nel Senato degli Stati Uniti per ascoltare le accuse contro il presidente Andrew Johnson.

▪ 1872 - George Westinghouse brevetta il freno ad aria.

▪ 1876 - Esce il primo numero del quotidiano Corriere della Sera.

▪ 1904 - Nikola Tesla, in Electrical World and Engineer, descrive il processo di formazione del fulmine globulare.

▪ 1905 - Le truppe russe iniziano la ritirata da Mukden, in Manciuria, dopo aver perso 100.000 uomini in tre giorni.

▪ 1912 - L'esercito italiano è il primo ad usare i dirigibili per scopi militari, utilizzandoli per ricognizione ad ovest di Tripoli, dietro le linee turche, durante la Guerra Italo-Turca.

▪ 1915 - Prima guerra mondiale: L'LZ 33, uno Zeppelin, viene danneggiato dal fuoco nemico durante una missione di pattugliamento, atterrerà a sud di Ostenda.

▪ 1918 - L'Unione Sovietica sposta la capitale da Pietrogrado a Mosca.

▪ 1933 - Grande Depressione: il presidente statunitense Franklin D. Roosevelt dichiara la bank holiday, chiudendo tutte le banche degli Stati Uniti e congelando tutte le transazioni finanziarie.

▪ 1933 - In Germania, i nazisti ottengono il 44% dei voti alle elezioni parlamentari.

▪ 1936 - Primo volo del caccia Spitfire Type 300.

▪ 1940 - Membri del politbiuro sovietico firmano l'ordine per l'esecuzione di 25.700 polacchi, tra cui 14.700 prigionieri di guerra. L'episodio è noto come il Massacro di Katyn.

▪ 1943 - Scioperi antifascisti: Torino h 10: inizia nell'officina 19 lo sciopero degli operai della Fiat Mirafiori. In pochi giorni 100mila lavoratori incrociano le braccia: è la prima grande ribellione operaia che si estenderà presto in tutte le fabbriche del Nord.
Passata alla storia come gli "Scioperi del marzo 1943", segna l'inizio del crollo del regime fascista e rappresenta il primo, vero e corale, episodio della Resistenza antifascista. Una canzone degli Stormy Six ricorda quell'avvenimento: La Fabbrica

▪ 1946 - Winston Churchill nomina per la prima volta la Cortina di Ferro nel suo discorso al Westminster College di Fulton (Missouri). Questo episodio è spesso considerato come l'inizio della Guerra Fredda.

▪ 1953 - Josif Vissarionovič Džugašvili Stalin muore a Mosca a seguito di un attacco cerebrale.

▪ 1955 - Il presidente lituano, Antanas Merkys muore, dopo essere stato imprigionato e deportato a Saratov, in Unione Sovietica.

▪ 1958 - Fallisce il lancio della sonda spaziale Explorer 2, parte del Programma Explorer.

▪ 1970 - Entra in vigore un trattato di non proliferazione nucleare, ratificato da 43 nazioni.

▪ 1974 - Guerra del Kippur: le truppe israeliane si ritirano dalla riva ovest del Canale di Suez.

▪ 1976 - Seymour Cray presenta il primo supercomputer Cray: il Cray-1

▪ 1978 - Viene lanciato il satellite Landsat 3.

▪ 1979 - Strumenti di rilevazione captano una esplosione di raggi gamma originatasi dalla Grande Nube di Magellano, portando alla scoperta dei soft gamma repeater.

▪ 1982 - Venera 14, un satellite artificiale sovietico, arriva sul pianeta Venere.

▪ 1991 - L'Iraq rilascia tutti i prigionieri della Guerra del Golfo.

▪ 1993 - Il velocista canadese Ben Johnson viene squalificato a vita dalle competizioni internazionali dopo essere risultato positivo al doping per la seconda volta.

▪ 1994 - Nella Basilica di San Pietro vengono battezzati dal Papa Giovanni Paolo II sette neonati, tutti di 3 mesi, di origine aristocratica, appartenenti alle famiglie di nobiltà nera degli antichi marchesi di baldacchino: Orsini (Roberto), Borghese (Alessandra), Cusano (Fabio), Torlonia (Michelangela), Saluzzo (Andrea), de' Medici (Filippo) e Doria (Simeone). In questa occasione, fu inaugurata una mostra sulle famiglie principesche romane nella Basilica di San Pietro in Vincoli.

▪ 1998 - La NASA annuncia che la sonda Clementine in orbita attorno alla Luna, ha trovato abbastanza acqua nei crateri polari da poter sostenere una colonia umana e una stazione di rifornimento per i razzi. Annuncia inoltre la scelta del Tenente Colonnello Eileen Collins come prima donna comandante di una missione dello Space Shuttle.

▪ 2001 - 35 pellegrini musulmani restano uccisi schiacciati dalla calca durante l'annuale pellegrinaggio dell'Hajj.

▪ 2003 - Nature ritira diversi lavori come conseguenza dello Scandalo Jan Hendrik Schön.

* 2008 - Il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I visita il monastero ortodosso di Montaner (TV).

Anniversari

▪ 1534 - Antonio Allegri detto il Correggio (Correggio, agosto 1489 – Correggio, 5 marzo 1534) è stato un pittore italiano.
Uno degli elementi fondamentali dei suoi dipinti è la luce, declinata secondo un chiaroscuro morbido e delicato considerato uno dei punti di non ritorno della pittura, capace di influenzare movimenti artistici tra loro diversissimi come il barocco di Giovanni Lanfranco e Baciccio e il neoclassicismo di Anton Raphael Mengs.

▪ 1535 - Lorenzo Costa, detto anche il Vecchio (Ferrara, 1460 – Mantova, 5 marzo 1535), è stato un pittore italiano. È uno dei più importanti artisti della Scuola ferrarese. Fu il padre del pittore Ippolito Costa (1506 - 1561) e nonno di Lorenzo Costa il Giovane (1537-1583).

▪ 1827
- Pierre-Simon Laplace, marchese di Laplace (Beaumont-en-Auge, 23 marzo 1749 – Parigi, 5 marzo 1827), è stato un matematico, fisico e astronomo francese. Fu uno dei principali scienziati nel periodo napoleonico.
Ha dato fondamentali contribuiti a vari campi della matematica, dell'astronomia e della teoria della probabilità ed è stato uno degli scienziati più influenti al suo tempo, anche per il suo contributo all'affermazione del determinismo. Laplace, infatti, diede la svolta finale all'astronomia matematica riassumendo ed estendendo il lavoro dei suoi predecessori nella sua opera in cinque volumi Mécanique Céleste (Meccanica celeste) (1799-1825). Questo capolavoro ha trasformato lo studio geometrico della meccanica sviluppato da Newton in quello basato sull'analisi matematica.
Nel 1799 fu nominato ministro degli interni da Napoleone che nel 1806 gli conferì il titolo di conte dell'Impero. Fu nominato marchese nel 1817, dopo la restaurazione dei Borbone.

Simon Laplace nacque a Beaumont-en-Auge in Normandia il 23 marzo del 1749. Figlio di un contadino piccolo proprietario o forse di un bracciante, dovette la sua educazione all'interesse suscitato in alcuni ricchi vicini dalle sue capacità e dalla sua bella presenza. Si sa veramente poco dei suoi primi anni dal momento che quando divenne illustre tagliò i ponti sia con i suoi parenti che con i suoi benefattori. Sembrerebbe che da ragazzo egli fosse diventato un assistente nella scuola di Beaumont; ma poi, essendosi procurato una lettera di presentazione da D'Alembert, andò a Parigi per tentare la fortuna. Dietro la raccomandazione del matematico, gli fu offerto un posto nella scuola militare dove iniziò la sua carriera come docente.
Sicuro delle sue capacità, Laplace a questo punto si dedicò ad una ricerca originale e per i successivi diciassette anni, dal 1771 al 1787, produsse gran parte del suo originale lavoro sull'astronomia. Tale lavoro iniziò con una memoria, letta davanti all'Académie française nel 1773, nella quale mostrò che i moti planetari sarebbero rimasti vicini a quelli previsti dalla teoria newtoniana per lunghi intervalli di tempo e riportava la verifica fino ai cubi dell'eccentricità e dell'inclinazione delle orbite. Seguivano poi diversi articoli su alcuni punti essenziali del calcolo integrale, delle differenze finite, delle equazioni differenziali e dell'astronomia. Occorre però specificare che alcune importanti scoperte di questi articoli, come le corrispondenti delle armoniche sferiche nello spazio bidimensionale, erano già state pubblicate precedentemente da Legendre in un articolo inviato all'Académie nel 1783.
Nel 1785 diventò membro dell'Académie des sciences e nel 1816 venne eletto all'Académie française. Inoltre diventò membro di tutte le maggiori accademie scientifiche europee. Grazie alla sua intensa attività accademica esercitò una grande influenza sugli scienziati del suo tempo, in particolare su Lambert-Adolphe-Jacques Quételet e Siméon-Denis Poisson. Egli viene ricordato talvolta come il Newton francese per la sua naturale e straordinaria capacità matematica che nessuno dei suoi contemporanei possedeva. Sembra che Laplace non fosse modesto riguardo alle sue capacità e ai suoi risultati e probabilmente non riuscì a realizzare il reale effetto del suo comportamento sui suoi colleghi. Anders Johan Lexell visitò l'Académie des Sciences di Parigi nel 1780-1781 e riferì che:
«Laplace lascia trasparire del tutto il fatto di considerarsi il migliore matematico della Francia del tempo. L'effetto sui suoi colleghi è solo lievemente alleviato dal fatto che Laplace abbia ragione!» (John O'Connor et al, Pierre Simon Laplace, 2007.)
Dopo i suoi lavori sulla meccanica celeste, Laplace si prefisse di scrivere un lavoro che avrebbe dovuto "offrire una soluzione completa del grande problema della meccanica rappresentato dal sistema solare e portare la teoria a coincidere così strettamente con l'osservazione che le equazioni empiriche non avrebbero più dovuto trovare posto nelle tavole astronomiche". Il risultato è racchiuso nell'Exposition du système du monde e nella Mécanique céleste.
La Mécanique céleste venne pubblicata in cinque volumi. I primi due, pubblicati nel 1799, contengono metodi per calcolare i moti dei pianeti, per determinare le loro forme e per risolvere problemi legati alle maree. Il terzo ed il quarto volume, pubblicati rispettivamente nel 1802 e nel 1805, contengono applicazioni di questi metodi e diverse tavole astronomiche. Il quinto volume, pubblicato nel 1825, è principalmente storico, ma fornisce in appendice i risultati delle ultime ricerche di Laplace.[5] Le stesse ricerche di Laplace in esso racchiuse sono molto numerose e rilevanti ma egli si appropriò di molti risultati di altri scienziati con nessuno o scarso riconoscimento e le conclusioni - che sono il risultato organizzato di un secolo di paziente fatica - sono spesso menzionate come se fossero dovute a Laplace.
L'argomento della Mécanique céleste è eccellente, ma non è per niente di facile lettura. Biot, che aiutò Laplace nella sua revisione per la stampa, disse che lo stesso Laplace era frequentemente incapace di ritrovare i dettagli nel ragionamento dimostrativo e, se era soddisfatto del fatto che le conclusioni fossero corrette, era lieto di inserire l'espressione costantemente ricorrente, Il est aisé à voir... (è lasciato al lettore...). In realtà, la comprensione di queste dimostrazioni avrebbe richiesto una perspicace capacità mentale, come la sua. Questa sua abitudine gli avrebbe creato spesso la necessità di rielaborare successivamente molti dei suoi risultati richiedendo a volte qualche giorno per completarli.
La Mécanique céleste non è solo la traduzione dei Principia nel linguaggio del calcolo differenziale, ma completa alcune parti di cui Newton non era stato in grado di dettagliare.
In quest'opera Laplace esponeva l'ipotesi della nebulosa secondo la quale il sistema solare si sarebbe formato in seguito alla condensazione di una nebulosa. L'idea della nebulosa era già stata enunciata da Kant nel 1755, ma è probabile che Laplace non ne fosse al corrente.
Nel 1812 Laplace pubblicò la sua Théorie analytique des probabilités. Si ritiene che tale teoria sia solo senso comune espresso in linguaggio matematico. In questo volume Laplace dava determinanti contributi alla teoria della probabilità di cui è oggi considerato uno dei padri. Nel 1819 Laplace pubblicò un semplice resoconto del suo lavoro sulla probabilità.

La carriera politica
La capacità e la rapidità con cui Laplace riusciva a cambiare opinione politica era sorprendente. Quando il potere di Napoleone aumentò, Laplace abbandonò i suoi principi repubblicani (che avevano fedelmente riflesso le opinioni del partito al potere) ed implorò il primo console di dargli il posto di ministro degli interni. Napoleone, che desiderava il supporto di uomini di scienza, accettò la proposta, ma in poco meno di sei settimane la carriera politica di Laplace vide la fine. La comunicazione di Napoleone alle sue dimissioni fu la seguente: Geometra di prima categoria, Laplace non ha tardato a dimostrarsi un amministratore più che mediocre; dal suo primo lavoro noi abbiamo subito compreso che ci eravamo sbagliati. Laplace non coglieva alcuna questione sotto il suo giusto punto di vista: cercava delle sottigliezze ovunque, aveva solo idee problematiche, e infine portava lo spirito dell'"infinitamente piccolo" perfino nell'amministrazione.
Sebbene Laplace fosse stato sollevato dall'incarico, mantenne la sua fedeltà. Salì al senato e al terzo volume della Mécanique céleste fece precedere una nota in cui dichiarava che fra tutte le verità in esso contenute la più cara all'autore era la dichiarazione che aveva fatto riguardo alla sua devozione nei confronti del paciere d'Europa. Nelle copie vendute dopo la restaurazione, essa fu cancellata. Nel 1814 fu evidente che l'Impero stava fallendo e Laplace si affrettò ad offrire i suoi servigi ai Borbone. Durante la restaurazione fu ricompensato con il titolo di marchese. Il disprezzo che i suoi colleghi sentivano per la sua condotta in quell'occasione può essere letto nelle pagine di Paul Louis Courier. La conoscenza di Laplace era utile per le numerose commissioni scientifiche di cui faceva parte e probabilmente giustifica il modo in cui si chiuse un occhio sulla sua falsità politica.
Che Laplace fosse presuntuoso ed egoista non viene negato dai suoi più appassionati ammiratori; la sua condotta nei confronti dei suoi benefattori di gioventù e delle sue amicizie politiche fu ingrata ed è palese la sua appropriazione dei risultati di coloro che erano relativamente sconosciuti. Fra coloro che aveva trattato in tal modo, tre in seguito diventarono famosi: (Legendre e Fourier in Francia e Young in Inghilterra). Essi non dimenticarono mai l'ingiustizia di cui furono vittime. D'altra parte bisognerebbe dire che su alcune questioni mostrò di avere un carattere indipendente e non nascose mai i suoi modi di vedere riguardo alla religione, alla filosofia o alla scienza per quanto potessero essere non graditi alle autorità al potere; bisognerebbe anche aggiungere che verso la fine della sua vita, e specialmente nei confronti del lavoro dei suoi allievi, Laplace fu generoso e in un caso omise un suo articolo in modo tale che un allievo potesse avere il merito esclusivo della ricerca .

Convinzioni filosofiche
A differenza di molti altri grandi matematici Laplace non vedeva la matematica come una disciplina dal valore particolare, ma come uno strumento utile per la ricerca scientifica e per problemi pratici. Laplace sembra aver considerato l'analisi semplicemente come uno strumento per affrontare problemi fisici, sebbene l'abilità con cui aveva inventato l'analisi necessaria a tale scopo sia quasi straordinaria. Fino a quando i suoi risultati erano veri egli non si preoccupava molto di spiegare i passaggi dimostrativi; egli non aveva mai curato l'eleganza o la simmetria nei suoi procedimenti, e per lui era sufficiente riuscire con qualche mezzo a risolvere il problema particolare che stava affrontando.
Credeva fermamente nel determinismo causale, che è ben espresso nella seguente citazione tratta dall'introduzione all'Essai:
«Possiamo considerare lo stato attuale dell'universo come l'effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un intelletto che ad un determinato istante dovesse conoscere tutte le forze che mettono in moto la natura, e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la natura è composta, se questo intelletto fosse inoltre sufficientemente ampio da sottoporre questi dati ad analisi, esso racchiuderebbe in un'unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell'universo e quelli degli atomi più piccoli; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto ed il futuro proprio come il passato sarebbe evidente davanti ai suoi occhi» (Essai philosophique sur les probabilités, Laplace)
Si fa spesso riferimento a questo intelletto come al demone di Laplace (in modo analogo a quello che fa parlare del diavoletto di Maxwell). La descrizione dell'ipotetico intelletto descritto sopra da Laplace come un diavoletto non viene però da Laplace, ma da biografi successivi: Laplace sperava che l'umanità avrebbe migliorato la sua comprensione scientifica del mondo e credeva che, anche se essa fosse stata completata, essa avrebbe ancora avuto bisogno di una straordinaria capacità di calcolo per determinarla completamente in ogni singolo istante. Ma mentre Laplace vedeva in primo luogo i problemi concreti dell'umanità per raggiungere questo ultimo stadio di conoscenza e di calcolo, le successive teorie della meccanica quantistica, che furono adottate dai filosofi e che difendevano l'esistenza del libero arbitrio, contestarono anche solo la possibilità teorica dell'esistenza di un tale "intelletto".
È stato recentemente proposto un limite sull'efficacia di calcolo dell'universo, cioè sull'abilità del diavoletto di Laplace di trattare una quantità grandissima di informazioni. Il limite fa riferimento alla massima entropia dell'universo, alla velocità della luce e alla quantità minima di tempo necessaria per trasportare informazioni su una lunghezza pari alla lunghezza di Planck; esso risulta essere 2130 bit". Di conseguenza, qualsiasi cosa richieda più di questa quantità di dati non può essere calcolata nella quantità di tempo che è trascorsa finora nell'universo.
Anche se Laplace pensò a un intelletto superiore egli intendeva ciò solo come un esperimento mentale, una supposizione. Non credeva veramente nell'esistenza di un tale intelletto: era infatti ateo o quantomeno agnostico come dimostra il seguente aneddoto, probabilmente vero:
Infatti Laplace si trovò nella condizione di implorare Napoleone di accettare una copia del suo lavoro Exposition du système du monde. Avevano riferito all'Imperatore che il libro non conteneva alcun cenno al nome di Dio e Napoleone, a cui piaceva porre domande imbarazzanti, ricevette Laplace facendogli l'osservazione
«Citoyen, j'ai lu votre livre et je ne comprends pas que vous ne fassiez pas de place à l'action du Créateur»
«Cittadino, ho letto il vostro libro e non capisco come mai non abbiate lasciato spazio all'azione del Creatore»

Laplace, che, sebbene fosse il più arrendevole degli uomini politici, era fermamente convinto di questo punto della sua filosofia, si fermò e rispose senza mezzi termini,
«Citoyen Premier Consul, je n'ai pas eu besoin de cette hypothèse »
«Cittadino Primo Console, non ho avuto bisogno di questa ipotesi»

Napoleone, molto divertito, raccontò questa risposta a Lagrange, il quale esclamò, "Ah! Questa è una bellissima ipotesi; essa spiega molte cose".
In realtà non è chiaro, stando anche ai commentatori dell'epoca, se la risposta di Laplace a Napoleone sia da intendersi come un proclama di ateismo oppure semplicemente come il rifiuto di introdurre nella filosofia della natura un Essere Supremo che intervenendo in continuazione nell'universo fosse garante dell'ordine cosmico, come era ritenuto necessario ad esempio da Newton.
Di fatto Laplace non rese mai note pubblicamente, con le sue opere, le proprie opinioni religiose, anche se comunque nell'Essai philosophique des probabilités deride Gottfried Leibniz, Guido Grandi e John Craig, i quali sostenevano che la matematica potesse essere utilizzata per supportare l'idea di un ruolo di Dio nella natura. L'amico astronomo Jérôme Lalande inserì Laplace nel dizionario degli atei di Sylvain Maréchal, ma quest'opera non è particolarmente attendibile dal momento che, tra gli altri, elenca lo stesso Gesù Cristo.
Ad ogni modo, quali che fossero le convinzioni di Laplace sull'esistenza di Dio, è comunque certo che egli fu convintamente anti cristiano. Si è infatti conservato fino ai nostri giorni un manoscritto, risalente al periodo di preparazione dell'Essai philosophique des probabilités, in cui Laplace spiega di considerare soltanto come una mitologia il Cristianesimo, e come assurde superstizioni i suoi dogmi ed i miracoli.

- Il Conte Alessandro Giuseppe Antonio Anastasio Gerolamo Umberto Volta (Como, 18 febbraio 1745 – Camnago Volta, 5 marzo 1827) è stato un fisico e inventore italiano, conosciuto soprattutto per l'invenzione della pila elettrica.

Nato a Como, nel palazzo avito situato nella attuale Via Volta, da don Filippo e donna Maddalena dei Conti Inzaghi, Alessandro venne educato nel Collegio gesuita di Como.
La sua passione fu sempre lo studio dell'elettricità e, ancora giovane studente, nel 1763 scrisse i primi saggi di elettrologia. Tra di essi, scrisse addirittura un poema in latino su questo affascinante, nuovo fenomeno. De vi attractiva ignis electrici ac phaenomenis inde pendentibus (il suo primo scritto scientifico).
Nel 1775, anno in cui divenne professore di fisica sperimentale presso il Liceo Ginnasio Statale Scuola Reale di Como, creò l'elettroforo, un dispositivo costituito da una base in resina (o legno o marmo) che veniva caricata per sfregamento, e da un disco conduttore sostenuto da un manico isolante che si caricava per induzione e consentiva il trasferimento della carica elettrostatica in modo quasi perpetuo. L'elettroforo gli diede notorietà e gli consentì di divenire membro delle maggiori società scientifiche europee. Nel 1776-1777 studiò la chimica dei gas, scoprì il metano, e condusse esperimenti come la combustione del gas tramite una scintilla elettrica in un recipiente chiuso. Sulla base di questi principi costruì la pistola a gas. Di questo periodo sono anche l'invenzione del condensatore di elettricità ed il perfezionamento dell'eudiometro.
Nel 1778 fu nominato professore di fisica sperimentale a Pavia, dove risiederà per ventidue anni e presso la cui università l'imperatrice Maria Teresa d'Austria fece costruire in suo onore l'Aula Volta.
Nel 1794 Volta sposò Teresa Peregrini, figlia del nobile Ludovico Peregrini. La coppia ebbe tre figli: Zanino (1795-1869), Flaminio (1796–1814) e Luigi (nato nel 1798).
Nel 1809 divenne senatore del Regno d'Italia e nel 1810 conte del Regno d'Italia (Lettere patenti del 11 ottobre 1810). Dopo la restaurazione dell'impero asburgico, nel 1815 l'imperatore d'Austria lo nominò professore di filosofia a Pavia e gli conferì il titolo di Cavaliere dell'Ordine Imperiale Austriaco della Corona Ferrea. Nel 1819 si ritirò a vita privata nella sua casa di campagna a Camnago, località nei pressi di Como, divenuta in seguito una frazione del comune di Como e denominata attualmente Camnago Volta in suo onore.

La Pila di Volta
Nel 1792 Volta avviò estese indagini sull'elettricità animale, al cui riguardo la teoria più moderna era quella proposta da Luigi Galvani e che Volta stesso definì galvanismo. Fu proprio il disaccordo con lo stesso Galvani a portare Volta a sviluppare, nel 1800, la cosiddetta pila voltaica, un predecessore della batteria elettrica, che produceva una corrente elettrica costante.
Inizialmente condusse esperimenti con celle individuali collegate in serie. Ogni cella era un calice da vino riempito di salamoia, nel quale erano immersi due elettrodi dissimili. Nella pila elettrica i calici erano sostituiti da cartone imbevuto di salamoia, e le dimensioni erano limitate dal peso che la cella inferiore poteva sopportare senza che tutta la salamoia venisse strizzata fuori dal cartone. Volta determinò che la coppia più efficace di metalli dissimili producenti elettricità era composta da zinco e rame.
Il fenomeno alla base del funzionamento della pila voltaica, per cui tra due conduttori metallici diversi posti a contatto si stabilisce una piccola differenza di potenziale, prende appunto il nome di effetto Volta. Dai suoi lunghi esperimenti Volta ricavò tre leggi per descrivere il fenomeno.
L'annuncio dell'invenzione della pila, avvenuto nel 1801 presso la Royal Society, accrebbe ulteriormente il consenso della comunità scientifica internazionale per Volta.)

▪ 1893 - Hippolyte Adolphe Taine (Vouziers, 21 aprile 1828 – Parigi, 5 marzo 1893) è stato un filosofo, storico e letterato francese. È considerato il maggior teorico del naturalismo. Egli è stato il principale teorico del naturalismo francese, uno dei principali fautori del positivismo sociologico, e uno dei primi operatori di Critica storicistica.
Egli diede quindi origine al movimento dello storicismo letterario. Taine è ricordato soprattutto per il suo triplice approccio allo studio contestuale di un'opera d'arte, basata sugli aspetti di ciò che egli chiama la razza, l'ambiente e momento.
Taine ha avuto un profondo impatto sulla letteratura francese; l'Encyclopedia Britannica ha affermato nel 1911 che "il tono che pervade le opere di Zola, Bourget e Maupassant possono essere attribuite all'influenza che chiamiamo Taine's.".
Egli elaborò una nuova estetica, secondo la quale l'opera d'arte è determinata da fattori puramente naturali: un'arte vista come prodotto della natura e rappresentata con la precisione della scienza sono i punti base di questa concezione.
«si può considerare l'uomo come un animale di specie superiore che produce filosofie e poemi press'a poco come i bachi da seta fanno i loro bozzoli e le api i loro alveari» (Hippolyte Taine)
Così scriveva Taine nel 1853. Perciò i sentimenti stessi dell'uomo vanno descritti come il risultato di un processo meccanico, chimico o fisico: "il vizio e la virtù sono prodotti come il vetriolo e lo zucchero". L'opera d'arte, come ogni espressione umana, è il risultato di tre fattori: quello ereditario (race), l'ambiente sociale (milieu) e il momento storico (moment).
È evidente il concetto di determinismo: il comportamento non è legato alla libera scelta dell'uomo, ma è condizionato da fattori a lui esterni, come l'educazione, l'ambiente sociale, le malattie, i bisogni economici.
Il metodo da lui usato venne pertanto definito determinismo perché, come scrive Alberto Asor Rosa "... tendeva a stabilire un rapporto quasi necessario fra le condizioni esterne della creazione (soprattutto l'ambiente sociale e politico) e la creazione medesima. Influenzò fortemente la genesi del naturalismo francese ed europeo".
La psicologia è ridotta a semplice fisiologia: i rapporti psicologici dell'uomo dipendono dalla sua condizione fisica.
▪ I racconti devono quindi essere costruiti con distacco, come se si trattasse di casi clinici: l'artista deve raccogliere i documenti umani, studiarli e descriverli con la stessa freddezza dei medici di fronte alla malattia.

▪ 1906
- Jessie Jane Meriton White, spesso chiamata Jessie White Mario o Jessie Mario dal cognome del coniuge (Portsmouth, 9 maggio 1832 – Firenze, 5 marzo 1906), è stata una patriota, scrittrice e filantropa inglese naturalizzata italiana.
Jessie White Mario è stata un importante personaggio del Risorgimento italiano. Fu soprannominata "Miss Uragano" o la Giovanna d'Arco della causa italiana (quest'ultimo appellativo le fu dato da Giuseppe Mazzini). Fu infermiera in quattro campagne con Garibaldi; fece ricerche sulle condizioni di vita nei quartieri più poveri di Napoli e dei minatori delle solfatare siciliani. Scrisse copiosamente sia come giornalista che come biografa.

- Pasquale Binazzi (La Spezia, 12 giugno 1873 – La Spezia, 5 marzo 1944) è stato un pubblicista e anarchico italiano.
Pasquale Binazzi fu un agitatore, pubblicista e propagandista anarchico tra i più eminenti della sua epoca. Figura di primo piano del movimento sindacale spezzino, fu il fondatore della locale Camera del Lavoro nel 1901 e del settimanale Il Libertario nel 1903, il più diffuso e longevo periodico anarchico del periodo giolittiano. La formazione politica di Binazzi avvenne nel fertile ambiente operaio ligure. Le prime azioni sovversive di Binazzi si concretizzarono nell'attività di proselitismo tra i compagni operai e nella partecipazione ai moti di Lunigiana del 1894, che gli costarono una condanna al domicilio coatto alle isole Tremiti nel 1895. Dopo un breve periodo di permanenza a Genova, Binazzi raggiunse quella maturità politica che all'alba del nuovo secolo gli permise di essere il principale artefice della nascita della Camera del lavoro di La Spezia che diresse dal 1901 al 1904. Nel 1903 fondò il periodico settimanale anarchico Il Libertario, grazie al quale ebbero ampia diffusione nella Penisola i temi più cari al movimento anarchico dell'epoca: l'antimilitarismo, l'anticlericalismo, la critica al riformismo socialista, al capitalismo e al giolittismo. Il periodico fu pubblicato con picchi di tiratura anche di 10.000 copie fino al 1922, anno in cui la sede del giornale fu devastata dalle squadre fasciste. L'attività di Pasquale Binazzi durante il ventennio fu molto limitata perché, insieme alla moglie Zelmira Peroni, fu costretto a risiedere a Caprigliola, piccolo centro della Lunigiana. Inoltre, in seguito all'approvazione delle "leggi fascistissime" fu confinato a Lipari. All'indomani della caduta del fascismo la morte sorprese il vecchio agitatore spezzino mentre era impegnato nella riorganizzazione delle bande partigiane anarchiche in Liguria e nell'alta Toscana nel 1944.

▪ 1953
- Josif Vissarionovič Džugašvili -; in georgiano, Ioseb Besarionis Dze Jughašvili - (Gori, 21 dicembre 1878 [1] – Mosca, 5 marzo 1953) fu un rivoluzionario e politico sovietico bolscevico conosciuto come Stalin (rus. Сталин, "d'acciaio"), Segretario Generale del Partito Comunista dell'URSS e leader di tale Paese dal 1924 al 1953.
Accanto a Lenin, Trockij e altri, fu uno dei principali artefici del primo Stato socialista del mondo, l'Unione Sovietica. Sotto il suo governo l'URSS venne trasformata da Paese prevalentemente agricolo in un Paese industrializzato, nonostante le numerose carestie che provocarono milioni di morti.
Isolata politicamente dal resto del mondo agli inizi della ascesa al potere di Stalin, alla sua morte l'Unione Sovietica era una delle due superpotenze mondiali, dotata di armi nucleari e leader dell'alleanza dei paesi socialisti dell'Europa orientale. Stalin fu anche un teorico del marxismo; la versione del marxismo-leninismo realizzatasi in via di fatto nei trent'anni del suo governo è nota come stalinismo con caratteristiche in parte marcatamente divergenti rispetto alla formulazione leninista del marxismo.
Nonostante i gravi errori di condotta politica e di strategia militare nella fase iniziale della guerra contro la Germania, seppe riorganizzare il paese e l'esercito fino a ottenere (pur a costo di spaventose perdite militari civili) la vittoria totale nella Grande Guerra Patriottica. Ha rivestito il ruolo principale nella distruzione del Nazismo e nella sconfitta e la morte di Hitler; le sue truppe conquistarono Berlino, costringendo il Führer al suicidio, dopo aver liberato l'Europa Orientale dall'occupazione tedesca.
È responsabile di avere ordinato la deportazione ed avere causato la morte di milioni di persone. In Ucraina vi è un giorno dell'anno, il 25 novembre, dedicato al genocidio ucraino che causò molti milioni di morti durante la grande carestia degli anni Trenta (oltre 14 milioni secondo il presidente della Repubblica ucraino), nota col nome di Holodomor o Golodomor (Голодомор), causata da Stalin e dai suoi collaboratori più stretti.

Cenni storici: l'era staliniana
Con il 1928 iniziò la cosiddetta "era di Stalin". Da quell'anno infatti la vicenda della sua persona si identificò con la storia dell'URSS, di cui fu l'onnipotente artefice fino alla morte. Dopo aver posto bruscamente termine alla NEP con la collettivizzazione forzata e la meccanizzazione dell'agricoltura e soppresso il commercio privato (i kulaki arricchiti furono declassati a semplici contadini dei kolchoz o avviati a campi di lavoro), fu dato avvio al primo piano quinquennale (1928-32) che dava la precedenza all'industria pesante. Circa la metà del reddito nazionale fu dedicata all'opera di trasformazione di un Paese povero e arretrato in una grande potenza industriale. Furono fatte massicce importazioni di macchinari e chiamate alcune decine di migliaia di tecnici stranieri. Sorsero nuove città per ospitare gli operai (che in pochi anni passarono dal 17 al 33% della popolazione), mentre una fittissima rete di scuole debellava l'analfabetismo e preparava i nuovi tecnici.
Anche il secondo piano quinquennale (1933-37) diede la precedenza all'industria che compì un nuovo grande balzo in avanti; ma non altrettanto brillante fu il rendimento agricolo per cui, in concomitanza con l'entrata in vigore di una nuova Costituzione (1936), ne fu modificata la troppo rigida struttura. A quest'opera indubbiamente gigantesca corrisposero tuttavia un ferreo autoritarismo e un'implacabile intransigenza: ogni dissenso ideologico fu condannato come "complotto".
Furono le terribili "purghe" degli anni Trenta (successive al misterioso assassinio di S. Kirov) che videro la condanna a morte o a lunghi anni di carcere di quasi tutta la vecchia guardia bolscevica, da Kamenev a Zinov'ev a Radek a Sokolnikov a J. Pjatakov; da Bucharin e Rykov a G. Jagoda e a M. Tuchačevskij (1893 - 1938), in totale 35.000 ufficiali su 144.000 che componevano l'Armata Rossa.
Secondo le stime del KGB (1960, rese note dopo la caduta dell'URSS) 681.692 persone vennero condannate a morte nel 1937-38 (353.074 nel 1937 e 328.018 nel 1938), 1.118 nel 1936 e 2.552 nel 1939 per reati politici. Il totale di condanne a morte politiche tra il 1930 e il 1953 è, sempre secondo queste stime, di 786.098, anche se molti storici le considerano sottostimate per diversi motivi.
Certo all'origine del bagno di sangue che spazzò via dal PCUS ogni residuo frazionismo (operazione che privò fra l'altro l'Armata Rossa di oltre la metà dei suoi comandanti più prestigiosi) ci fu anche l'effettivo timore di complotti e di moti reazionari, nonché la presenza di una "quinta colonna" nei vertici dell'esercito.
Ammessa alla Società delle Nazioni nel 1934, l'URSS avanzò proposte di disarmo generale e cercò di favorire una stretta collaborazione antifascista sia fra i vari Paesi sia al loro interno (politica dei "fronti popolari"). Nel 1935 concluse patti di amicizia e reciproca assistenza con la Francia e la Cecoslovacchia; l'anno successivo appoggiò con aiuti militari la Spagna repubblicana contro Franco. Ma il Patto di Monaco (1938) costituì un duro colpo per la politica "collaborazionista" di Stalin che a Litvinov sostituì Vjačeslav Molotov (1939) e alla linea possibilista alternò una politica puramente realistica.
Così, di fronte alle tergiversazioni occidentali, Stalin preferì la "concretezza" tedesca (Patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939) che, secondo lui, se non era più in condizione di salvare la pace europea, poteva almeno assicurare la pace all'URSS. Una diversa interpretazione storiografica è, tuttavia, quella che vede il Patto Molotov-Ribbentrop come un tentativo di Stalin di far uscire l'URSS dall'isolamento internazionale in cui si trovava da almeno un biennio, reso palese dalla Conferenza di Monaco del 29-30 settembre 1938 cui l'Unione Sovietica non era stata invitata. Una ulteriore interpretazione storiografica (ad esempio, quella dello storico russo marxista-leninista Roy Medvedev, che ha scritto diverse opere su Stalin) vede un Stalin in attesa degli eventi, pronto a schierarsi dalla parte del vincitore appena si fosse palesato come tale. La spartizione della Polonia (1939) e l'annessione di Estonia, Lettonia e Lituania e la guerra alla Finlandia (1940) rientrarono nella stessa concezione: garantire al massimo le frontiere sovietiche "calde". In seguito al patto di non aggressione con la Germania, il Comintern strettamente controllato da Stalin, riesumò il vecchio slogan leniniano della guerra tra opposti imperialismi, attribuendo le maggiori responsabilità a Francia e Inghilterra. Tale linea provocò non poco scompiglio e disorientamento tra le file dei comunisti molti dei quali erano approdati alle idee del comunismo proprio in funzione dell'anti-nazismo e dell'antifascismo.

La Grande Guerra Patriottica
«Quando volgo indietro lo sguardo, mi permetto di dire che nessun'altra direzione politico-militare di qualsiasi paese avrebbe retto a simili prove, nè avrebbe trovato una via d'uscita dalla situazione eccezionalmente grave che si era creata...»
La successiva guerra contro i paesi dell'Asse nazifascista (1941-1945) costituì una pagina importantissima e decisiva della vita di Stalin. Dopo un crollo psicologico iniziale, di fronte alla sorpresa dell'attacco tedesco, seppe organizzare e guidare l'Armata Rossa e l'Unione Sovietica nella tremenda lotta mortale contro la Germania nazista, che metteva in pericolo la sopravvivenza stessa dello stato bolscevico ma anche delle popolazioni sovietiche (destinate allo sterminio, alla schiavitù e alla deportazione secondo i piani di Hitler). Durante la seconda guerra mondiale, l'URSS subì enormi perdite (quantificabili in circa 9.000.000 di militari e 12.000.000 di civili) in parte a causa delle catastrofiche sconfitte iniziali e in parte a causa dei dispendiosi metodi operativi adottati (di fronte alle potenti forze tedesche) e delle straordinarie dimensioni delle battaglie e delle campagne di guerra del fronte orientale (le più grandi della storia). La Germania impiegò sempre il grosso delle sue forze armate in Russia e subì anch'essa perdite enormi (quasi 4 milioni di militari: oltre 80% del suo totale su tutti i fronti). Stalin, usando spesso i suoi metodi violenti e brutali, specie contro collaborazionisti e etnie, a suo parere infide, diresse la lotta con ferrea determinazione e grande energia, anche se non senza alcuni momenti di disperazione (specie a Mosca nel 1941 e a Stalingrado nell'estate 1942). Col tempo si costruì anche una notevole competenza militare strategica (per ammissione degli stessi esperti occidentali che lo conobbero) e coordinò nel complesso con abilità le grandi operazioni strategiche ideate e pianificate da alcuni suoi competenti generali, a cui col tempo diede fiducia (come Žukov, Rokossovskij, Čujkov, Konev e Vatutin). Stalin e l'Armata Rossa svolsero un ruolo decisivo nella sconfitta di Hitler e del Nazismo, prima respingendo l'attacco nazista, con la battaglia di Mosca del dicembre 1941; poi con la decisiva vittoria di Stalingrado dell'inverno 1942-43 e il gigantesco scontro di mezzi corazzati a Kursk; infine con le grandi offensive degli anni 1943-45 (i famosi dieci colpi di maglio, secondo la terminologia staliniana dell'epoca), che frantumarono la potenza della Wehrmacht , fino alla conquista finale della capitale tedesca a seguito della battaglia di Berlino e il suicidio di Hitler. Durante la guerra il nome in codice di Stalin nelle direttive segrete e nelle comunicazioni con i vari comandi era Vasilev.
Oltre al suo apporto - notevole e decisivo - alla conduzione della guerra, fu comunque estremamente significativo anche il ruolo di Stalin come grande diplomatico, evidenziato dalle conferenze al vertice: un negoziatore rigoroso, logico, tenace, non privo di ragionevolezza. Fu assai stimato da Franklin Delano Roosevelt, meno da Winston Churchill, cui fece velo la vecchia ruggine anticomunista.

Il dopoguerra e la morte
Si sostiene che stimasse Chiang Kai-shek più di Mao Zedong[senza fonte] (che tra l'altro aveva di lui un'ottima opinione, come testimonia la visita che fece allo statista sovietico il 21 dicembre 1949, in occasione del suo compleanno nonché gli onori che gli tributò nei giorni successivi alla sua scomparsa) e solo con riluttanza smise di pensare che la Cina poteva essere governata dal Kuomintang con l'adesione dei comunisti. Ad ogni modo, durante la guerra civile cinese l'URSS fornì al Partito Comunista Cinese un contributo in materiale bellico e un certo numero di consiglieri; fin dall'agosto del 1945 inoltre, dopo la sua dichiarazione di guerra al Giappone, appoggiò i maoisti conquistando la Manciuria e lasciando al PCC il bottino ottenuto.
Per ciò che concerneva la Germania, Stalin fu un assertore della divisione in due Stati: Repubblica Federale Tedesca capitalista e Repubblica Democratica Tedesca comunista. Quando le potenze occidentali decisero unilateralmente la politica monetaria da far adottare ai tedeschi, il leader georgiano rispose con il blocco della città: il 24 giugno 1948 l'URSS impedì gli accessi ai tre settori occupati da americani, inglesi e francesi di Berlino, tagliando tutti i collegamenti stradali e ferroviari che attraversavano la parte di Germania sotto controllo sovietico. Gli americani risposero con il celebre ponte aereo che convinse l'Unione Sovietica a togliere il blocco il 12 maggio 1949 (ma le incurisoni aeree USA perdurarono fino al 30 settembre).
Il dopoguerra trovò l'URSS impegnata nuovamente su un doppio fronte: la ricostruzione all'interno e l'ostilità occidentale all'esterno, resa questa volta assai più drammatica dalla presenza della bomba atomica che l'Unione Sovietica sperimentò nel 1949. Furono gli anni della Guerra Fredda, che videro Stalin irrigidire ancor più il monolitismo del Partito comunista fuori e dentro i confini, di cui è espressione evidente la creazione del Cominform e la "scomunica" della deviazionista Iugoslavia.
In occasione della guerra di Corea Stalin offrì all'alleato Kim Il Sung l'appoggio di 26.000 soldati sovietici (un apporto molto moderato, se confrontato con quello concesso invece da Mao pari a 780.000 militi) e regalò delle forniture alimentari ai nordcoreani, ma fu sempre restio a un'internazionalizzazione del conflitto. Durante la guerra civile greca rispettò i patti firmati con le potenze alleate e non supportò i comunisti ellenici, a differenza di Gran Bretagna e USA che, sempre nel rispetto dei patti che dividevano l'Europa in aree d'influenza, a rotazione diedero aiuti determinanti al governo di Atene nella repressione della reistenza comunista. In sostanza Stalin lasciava mano libera agli occidentali in Grecia ed in Italia, ma pretendeva i medesimi diritti su tutta l'Europa orientale.
Stalin, ormai in età avanzata, subì un colpo apoplettico nella sua villa suburbana di Kuntsevo la notte tra l'1 e 2 marzo 1953, ma le guardie di ronda davanti alla sua camera da letto non osarono forzarne la porta blindata fino alla mattina dopo, quando Stalin era già in condizioni disperate: metà del corpo era paralizzata, ed aveva perso l'uso della parola. Morì all'alba del 5 marzo, dopo aver dato per diverse volte segnali di miglioramento. Drammatico è il racconto dell'ultimo istante di vita del dittatore fatto dalla figlia Svetlana.
Il suo funerale fu imponente, con una partecipazione stimata in un milione di persone: il corpo, dopo essere stato imbalsamato e vestito in uniforme, fu solennemente esposto al pubblico nella Sala delle Colonne del Cremlino (dove era già stato esposto Lenin). Almeno 500 persone morirono schiacciate nel tentativo di rendergli omaggio. Fu sepolto accanto a Lenin nel mausoleo sulla Piazza Rossa.
Quando Stalin morì, la sua popolarità come capo del movimento di emancipazione delle masse oppresse di tutto il mondo era ancora intatta: ma bastarono tre anni perché al XX Congresso del PCUS (1956) il suo successore, Nikita Chruščёv, denunciasse i crimini da lui commessi contro gli altri membri del partito dando il via al processo di "destalinizzazione". Primo provvedimento di tale nuova politica fu la rimozione della salma di Stalin dal Mausoleo di Lenin, accanto al quale il dittatore era stato deposto subito dopo la morte. Da allora egli riposa in una tomba poco distante, sotto le mura del Cremlino.
Tra le opere di Stalin hanno notevole importanza ideologica e politica: La questione nazionale (1912); Materialismo dialettico e materialismo storico (1938); Questioni del leninismo (1941); Il marxismo e la linguistica (1950); Problemi del socialismo in URSS (1952).

La commemorazione su L'Unità
« Stalin è morto. Gloria eterna all'uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell'umanità. Il Capo dei lavoratori di tutto il mondo si è spento ieri sera a Mosca alle 21:50 » (L'Unità, 6 marzo 1953, prima pagina)

Il tributo di sangue
La maggioranza degli storici concorda che, tenendo in considerazione oltre al terrorismo di stato (deportazioni e purghe politiche), le carestie (tra cui la grande tragedia dell'Holodomor) e la mortalità in prigione e nei campi di lavoro, Stalin e i suoi accoliti furono direttamente o indirettamente responsabili della morte di un numero di persone compreso tra 20 e 60 milioni. Secondo Aleksandr Jakovlev, che dirige la Commissione per la riabilitazione delle vittime delle repressioni (creata dal presidente Eltsin nel 1992 ed ex braccio destro di Stalin, i morti causati dal suo regime furono oltre 20 milioni.
Sulla cifra esiste però un ampio dibattito. Gli archivi sovietici, del tutto incompleti ed approssimativi, riferiscono che molte delle vittime vennero condannate a morte tra il 1930 e il 1953 per motivi politici. Tra questi 681,692 nel 1937 e 1938, durante le "grandi purghe"; tuttavia non tutte le condanne a morte sentenziate durante questo periodo vennero eseguite. Infatti, gli arrestati furono oltre 42 milioni e buona parte di essi morirono nei gulag. Inoltre risulta che tra il 1921 e il 1954 ulteriori 2,400,000 persone furono deportate nei gulag per reati politici (uno dei capi di imputazione più frequenti era l'incitamento a sovvertire od indebolire lo Stato). Vi furono anche circa 40 milioni di arrestati per reati comuni, parte dei quali arrestati per motivi ideologici o solo in quanto sospettati, spesso senza alcuna prova o riscontro nella realtà, di attività sovversive o di apologia di capitalismo.
Molti ritengono le cifre fornite dagli archivi sovietici sottostimate. Lo storico e demografo russo John Ehrlichman ha stimato 1.500.000 persone giustiziate (ove gli archivi riportano solo 786,098 persone ), 4.300.000 morti nei campi di concentramento amministrati dal Gulag ed in prigione (agli 1.900.000 ufficiali riportati nell'archivio ne ha aggiunti 2.400.000; tale cifra sale a 5 milioni considerando i 700.000 morti nei campi di lavoro tra il 1922 e il 1929), 1.700.000 morti nelle deportazioni (su un totale di 7.500.000 deportati) ed un milione di civili e prigionieri stranieri morti a causa dell'Armata Rossa, per un totale di 8.500.000 morti causati da Stalin. In Georgia circa 80.000 persone vennero giustiziate nel 1921, 1923–24, 1935–38, 1942 e 1945-50, e più di 100.000 vennero deportate nei campi di lavoro.
I condannati ai gulag per "reati controrivoluzionari" ai sensi dell'articolo 58 (codice penale della RSFSR) furono, secondo gli archivi, dal 1921 al 1954, 2,400,000 ed i condannati totali (anche per altri reati) nello stesso periodo non superarono i 9 milioni.
Vi è chi adduce analisi demografiche per contenere il numero delle vittime staliniane. I confronti tra il censimento del 1926 e quello del 37 suggeriscono un numero di 5-10 milioni di morti in eccesso rispetto a quanto sarebbe stato normale per quel periodo, dovuti principalmente alla carestia del 1931–34 (Holodomor). Il censimento del 1926 fissa la popolazione dell'Unione Sovietica a 147 milioni, mentre quello del 1937 registra una popolazione compresa tra i 162 e i 163 milioni. Quest'ultima cifra è di 14 milioni inferiore a quanto atteso dalle proiezioni. Il censimento del 1937 venne invalidato come "censimento disfattista" e i responsabili vennero puniti severamente. Un nuovo censimento venne eseguito nel 1939, ma la cifra pubblicata di 170 milioni viene in genere attribuita direttamente ad una decisione di Stalin. Si noti che la cifra di 14 milioni non implica 14 milioni di morti in più, poiché fino a 3 milioni possono essere ricondotti a nascite mai avvenute a causa di una riduzione della fertilità o per scelta.
Il 5 marzo 1940 Stalin e altri alti funzionari sovietici firmarono l'ordine di esecuzione di 25.700 cittadini polacchi, tra cui 14.700 prigionieri di guerra. Questo episodio è noto come Massacro di Katyn. Il 20 agosto dello stesso anno un agente dell'NKVD assassinò l'antico avversario di Stalin Lev Trockij, su suo personale ordine, esiliato in Messico.
Oltre alla morte nei lager Stalin provocò in Ucraina la morte di diversi milioni di persone per fame (Holodomor): le stime oscillano tra circa 1,54 (morti in eccessi registrate dagli archivi sovietici) e 10 milioni. Occorre precisare che Stalin è considerato da molte nazioni direttamente responsabile di questi decessi, poiché negli archivi sovietici sono numerosi i documenti che confermano la pianificazione della carestia per parte staliniana. Nella vigilia della 61esima sessione dell'Assemblea generale dell'ONU nell'estate 2006 il ministro degli esteri ucraino Boris Tarasiuk dichiarò: « lo sterminio di massa pianificato appositamente dal regime totalitario comunista dell'epoca ha causato la morte di una cifra oscillante tra i 7 e 10 milioni di uomini, donne e bambini innocenti, cioè di circa un quarto della popolazione ucraina dell'epoca »
Le missive scritte dai contadini agonizzanti dalla fame ai propri parenti arruolati nell'Armata Rossa non giungevano mai ai rispettivi destinatari, in quanto venivano regolarmente intercettate dalla censura militare affinché le voci relative a ciò che stava effettivamente accadendo nelle zone colpite dalla carestia non si diffondessero per tutto il paese.
Tra le testimonianze dell'epoca:
▪ Lettera scritta ad un artigliere dalla sorella residente a Krylovskaja, provincia di Rostov. «Non ti puoi nemmeno immaginare l'orrore che stiamo vivendo al paese. La gente sta morendo di fame e quando qualcuno entra in casa per chiedere un pezzo di pane se non glielo dai rischi che ti taglino il collo. Se vedessi quante persone affamate, ammalate e gonfie dalla fame ci sono adesso...è una cosa spaventosa. La gente è affamata sino al punto che mangia carne di cavallo putrefatta.»
▪ Lettera scritta dai genitori al soldato dell'Armata Rossa Jurčenko da Novo-Derevjanovskaja, Caucaso del Nord. «Quanta gente muore di fame; i cadaveri giacciono fino a 5 giorni lungo le strade senza che nessuno si preoccupi di sotterrarli. La gente ha fame, le forze per scavare le fosse non le ha più. Fa paura persino a guardare chi è ancora vivo...le facce stravolte, gli occhi piccoli e prima della morte il gonfiore diminuisce, diventando di un colore giallastro. Non sappiano che ne sarà di noi, ci attende la morte per fame...»

Per i villaggi, che ogni anno dovevano consegnare una parte del raccolto allo Stato, furono fissate quote altissime, proprio in un periodo di raccolti magri. Di fronte al mancato rispetto delle quote, Stalin inviò la polizia politica a requisire l'intero raccolto. «Arrivavano, cercavano dappertutto e si portavano via anche il cibo cotto nelle pentole», racconta Dmytro Kalenyk, 88 anni, uno dei due sopravvissuti in una famiglia di 14 persone. I contadini, ai quali era vietato lasciare i villaggi, erano condannati. «Per una spiga di grano si veniva fucilati sul posto», racconta ancora il vecchio agricoltore). Interi villaggi vennero cancellati. Quando anche l'ultimo abitante era morto, issavano una bandiera nera e qualcuno arrivava a seppellire i morti. Chi ci riusciva, abbandonava i figli alle stazioni, sperando che le autorità li avrebbero portati in orfanotrofio. «Uccidemmo i gatti, cucinammo i cani; poi le persone iniziarono a mangiarsi fra di loro», racconta Anna Vasilieva, 85 anni. Tale tragedia provocata dal dittatore Stalin non riguardò solo l'Ucraina. L'Izvestija ha pubblicato la lettera inviata dalla figlia che abitava a Rostov sul Don a un certo Rostenko: «Ero andata a cercare pane e ho visto che tutti correvano in vicolo Nikolaevskij. C'era un mucchio di gambe e braccia buttate nel catrame. Poi ho saputo che una donna è stata arrestata al mercato perché vendeva salame di carne umana».
Riportiamo ora uno dei tanti documenti di Stalin che la dice lunga sulle effettive cause di quella strage collettiva, più esattamente la direttiva da parte del Comitato Centrale del partito comunista sovietico, datata 22 gennaio 1933, che proibì l'esodo di massa dei contadini affamati dalle loro terre, condannandoli di conseguenza alla morte per fame.
«Il Comitato centrale del partito comunista sovietico ed il Soviet dei commissari del popolo sono stati informati in merito ad un esodo di massa in corso nelle zone del Kuban e dell'Ucraina da parte di contadini alla ricerca "di pane" che si dirigono nelle zone del Volga, della provincia di Mosca, nel Caucaso ed in Bielorussia. Sia il Comitato centrale del partito comunista sovietico che il Soviet dei commissari del popolo non dubitano minimamente che si tratti di un atto simile a quello dell'anno scorso avvenuto in Ucraina e pianificato da nemici del potere sovietico ed agenti polacchi allo scopo di organizzare agitazioni "attraverso i contadini" nelle zone settentrionali dell'Unione Sovietica contro i kolchoz e soprattutto contro il potere sovietico. L'anno scorso sia gli organi di partito che quelli della polizia militare ucraina non si sono rivelati in grado di opporsi a questo atto contro-rivoluzionario organizzato nei confronti del potere sovietico. Quest'anno non verranno in nessun modo tollerati errori del genere.
Per tanto il Comitato centrale del partito comunista sovietico ed il Soviet dei commissari del popolo dell'Unione Sovietica ordinano alle autorità di polizia militare del Caucaso del Nord e dell'Ucraina di contrapporsi all'esodo di massa dei contadini locali in altre zone. Il Comitato centrale del partito comunista sovietico ed il Soviet dei commissari del popolo dell'Unione Sovietica ordinano altresì alle autorità di polizia militare della provincia di Mosca, della Bielorussia e del Volga innanzitutto di arrestare sul posto i contadini ucraini e caucasici che in qualche modo siano già riusciti a penetrare nei territori soprindicati e, in secondo luogo, una volta che gli elementi controrivoluzionari siano stati individuati, provvedere al rientro di tutti gli altri nei rispettivi luoghi di residenza.
Il presidente del Soviet dei commissari del popolo dell'Unione Sovietica,
V.M. Molotov
Il segretario generale del Comitato centrale del partito comunista dell'Unione Sovietica,
I.V. Stalin» (Direttiva da parte del Comitato centrale del Partito Comunista Sovietico, 22 gennaio 1933)

Coloro che negano che le vittime del periodo staliniano siano statisticamente rilevanti si basano anche sul confronto tra i censimenti della popolazione. Infatti se si confronta la popolazione dell'Unione Sovietica nel gennaio del 1959 che è di 208.827.000 mentre nel 1913, negli stessi confini, era di 159.153.000, si può stabilire che l'incremento annuale della popolazione è dello 0,60%. Se confrontiamo questi dati con altri paesi otteniamo:
Crescita della popolazione, in migliaia

Regno Unito 43718 (1920) 52559 (1960) + 0,46%
Francia 38.750 (1920) 45.684 (1960) + 0,41%
Germania 61.794 (1920) 72.664 (1960) + 0,41%
URSS 159.153 (1920) 208.827 (1960) + 0,60%

Come si vede, la popolazione dell'Unione Sovietica, nonostante nel calcolo, a differenza degli altri stati, sia compreso il periodo della prima guerra mondiale e della guerra civile, e nonostante i 26 milioni di morti nella seconda guerra mondiale, ma annettendosi vasti territori a spese di Finlandia, Germania, Polonia, Cecoslovacchia, Romania e Giappone e ingoiando le tre repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) ha registrato un incremento demografico corrispondente ad un tasso medio di aumento annuale del 50% superiore agli altri stati menzionati nell tabella. Inoltre molti sostenitori di Stalin considerano i morti ucraini per fame vittime della crisi alimentare provocata non dal regime dai contadini che si rifiutarono di coltivare la terra pur di non conferire parte del raccolto ai commissari politici e allo Stato.
Una frase erroneamente attribuita a Stalin è "La morte di un uomo è una tragedia, la morte di milioni è statistica" che si ritiene riportata da Churchill alla Conferenza di Potsdam del 1945. In realtà la frase, che Stalin non ha mai pronunciato, è tratta da un romanzo di Erich Maria Remarque L'obelisco nero (1956). IL 2 marzo del 2003 il partito marxista-leninista italiano ha organizzato una commemorazione pubblica in occasione del cinquantesimo anniversario della sua morte.

- Sergej Prokof'ev (in russo: Сергей Сергеевич Прокофьев[?]; Soncovka, 23 aprile 1891 – Mosca, 5 marzo 1953) è stato un musicista e compositore sovietico.
Sergej Sergeevič Prokof'ev nacque a Soncovka (cittadina oggi conosciuta come Krasnoe, nell'Oblast' di Donec'k) il 23 aprile (o per il calendario gregoriano 11 aprile) 1891 da una famiglia relativamente benestante che lo introdusse fin da bambino allo studio della musica, in particolare del pianoforte. Sua madre era essa stessa pianista.
Sergej mostrò un precoce talento per la musica già a cinque anni ed a sette anni aveva imparato a giocare agli scacchi. Questi - più che la musica - diventeranno la sua passione per la vita, coltivata al punto da riuscire a confrontarsi con diversi campioni del suo tempo.
Iniziò a prendere lezioni di composizione nel 1902; uno dei suoi primi lavori fu una composizione per piano in fa maggiore, ma scritta senza includervi il si bemolle. Appena fu in possesso delle basi teoriche, iniziò a sperimentare, gettando le basi del proprio stile musicale. Le sue prime opere risalgono al 1908, quando aveva soli 17 anni.
Benché la famiglia non fosse troppo propensa ad avviarlo alla carriera musicale in così giovane età, nel 1904 Prokofiev si iscrisse al Conservatorio di San Pietroburgo, superando i test di ammissione e iscrivendosi alla classe di composizione pur essendo di diversi anni più giovane dei suoi compagni di corso. Fu visto come eccentrico e arrogante, fu spesso insofferente verso l'istituzione scolastica, ritenuta noiosa. Divenne amico di Boris Asafiev e di Nikolaj Mjaskovskij, suo condiscepolo e sostenitore che in futuro lo definirà «fenomeno luminoso e sano» sulla rivista "Musika".
Al conservatorio studiò sotto la guida, tra gli altri, del maestro Nikolaj Rimskij-Korsakov, guadagnandosi la fama di enfant terrible e diplomandosi in composizione nel 1909. Studiò anche con A.K. Liadov e orchestrazione con N.N. Cherepnin. A.N. Essipova fu un eccellente insegnante di pianoforte che getterà le basi per la messa in pratica del suo stile aggressivo e opposto alla tradizione, che suscitava particolare tedio nel compositore. In questo periodo, prima del celebre Primo concerto per Pianoforte e Orchestra Op. 10, scrisse importanti pagine per pianoforte come la Toccata Op. 11, Quattro pezzi Op. 3 e 4 oltre alla Sinfonia in Mi minore. È con queste prime composizioni che si delinea il suo stile, in cui la tonalità diventa un elemento tirato al massimo con modulazioni repentine e frequenti che tuttavia non alterano la plasticità e la nettezza dei piani sonori. Il ritorno alla tonalità d'impianto in Prokofiev è sempre un passaggio carico di violenza e di interessanti e vivaci trovate timbriche (nel caso dell'orchestra).
Nel 1910 muore suo padre e viene meno il suo sostegno economico; fortunatamente il giovane compositore è già noto ed apprezzato a sufficienza per potersi mantenere con la propria arte. I suoi primi due concerti per pianoforte vengono composti in questo periodo: il primo nel 1912 (che suonerà due anni dopo per il Premio Rubinstein) e il difficilissimo e virtuosistico secondo nel 1913, con il quale intendeva affermarsi come pianista-compositore.
Nel 1914 Prokof'ev lascia il conservatorio con i migliori voti della propria classe e vince il premio Anton Rubinstein come miglior studente di pianoforte. Poco dopo parte per un viaggio a Londra, dove incontra Claude Debussy, Maurice Ravel, Richard Strauss, Sergej Djaghilev e Igor Stravinskij. Fu proprio con Djaghilev che a Londra iniziò a comporre il suo primo balletto (Ala e Lollij) poi rielaborato nel 1916 nella Suite Scitica, composizione carica di ritmi selvaggi con forti punti di contatto con Stravinskij.
Durante gli anni della prima guerra mondiale Prokof'ev ritorna al conservatorio per studiare organo. Scrive un'opera basata sul romanzo "Il giocatore" di Fëdor Dostoevskij, ma le prove sono funestate da continui problemi e la prima, nel 1917, viene cancellata per il verificarsi degli avvenimenti della Rivoluzione di febbraio, che fu salutata con gioia dal compositore. Nell'estate dello stesso anno compone la sua prima sinfonia, detta "la Classica", composta in uno stile ispirato al neoclassicismo e a Joseph Haydn. Prokof'ev disse che se Haydn fosse stato ancora vivo l'avrebbe composta nello stesso modo, con poche variazioni al suo stile. Dopo un breve soggiorno con sua madre a Kislovodsk, nelle montagne del Caucaso e un'esecuzione del 1915 a Roma al Teatro Augusteo del suo Secondo concerto per pianoforte e orchestra, torna nel 1918 a San Pietroburgo, ribattezzata Pietrogrado dopo lo scoppio della guerra, deciso a lasciare almeno temporaneamente la Russia. Nel 1918, all'età di 27 anni, lascia quindi la sua terra natale e comincia a viaggiare in Europa e in America.
Parigi, Londra e Chicago sono state per lui tappe fondamentali, che hanno fortemente influenzato la sua maturazione artistica. Il suo ritorno nell'Unione Sovietica risale al 1923, quando volle partecipare alla trasformazione sociale e culturale. Venne anche accusato dall'apparato burocratico di Stalin di formalismo.
Nonostante questo inconveniente Sergej, continuando ad elaborare la sua prodigiosa tecnica, divenne uno dei massimi artisti che la scuola russa avesse prodotto in quel periodo. La sua musica piaceva perché ironica, talvolta sarcastica, ma soprattutto istintiva e ritmicamente travolgente.

Vita all'estero
Arrivato a San Francisco, fu immediatamente comparato ad altri illustri esiliati russi (come Sergej Rachmaninov); si esibì con successo in un concerto solista a New York che portò a diverse successive scritture. Siglò inoltre un contratto per la produzione della sua nuova opera L'amore delle tre melarance su testo di Carlo Gozzi, ma la prima fu cancellata per la malattia e successiva morte del direttore d'orchestra. L'annullamento dell'opera costò a Prokof'ev la sua carriera negli Stati Uniti; trovatosi presto in difficoltà finanziarie, nell'aprile del 1920 rientrò in Europa, a Parigi.
Parigi era meglio preparata ad accogliere lo stile musicale di Prokof'ev; lì riannodò i contatti con la compagnia Balletti russi di Djaghilev e con Stravinskij, oltre a riprendere alcuni lavori incompiuti come il suo Terzo concerto per pianoforte e orchestra, che tra i cinque è considerato il suo vertice creativo. L'amore delle tre melarance alla fine debuttò nel 1921 a Chicago, ma il pubblico fu piuttosto freddo e Prokof'ev lasciò nuovamente gli Stati Uniti.
Si trasferì quindi, insieme alla madre, sulle Alpi bavaresi per oltre un anno, ove si concentrò principalmente sul lavoro di composizione, dedicandosi in special modo all'opera L'angelo di fuoco, interessantissima dal punto di vista sia estetico, sia musicale: Prokofiev infatti contrappone i principi del bene, rappresentati da un tema diatonico, a quelli del male, rappresentati dal tema ottotonico, usato per esempio anche da Stravinskij in Petrushka. I suoi ultimi lavori vengono sentiti anche in Russia e Prokof'ev riceve i primi inviti a tornare in patria, tuttavia preferisce investire ancora sulla sua carriera europea. Nel 1923 sposa la cantante spagnola Lina Llubera e si trasferisce nuovamente a Parigi.
Nella capitale francese vengono eseguiti altri suoi lavori (ad esempio la sua seconda sinfonia) ma la critica è piuttosto tiepida, anche perché il compositore russo non rappresenta più una novità. Nel 1927 le cose cominciano invece a rimettersi al meglio; produce alcuni lavori su commissione per Djaghilev ed inizia una serie di concerti in giro per la Russia, salutati da un'esecuzione trionfale di L'amore delle tre melarance a Leningrado (Ex Pietroburgo). Bisogna notare che pur essendo un'opera lungimirante con i suoi echi timbrici orientali è ancora lontana dalle vette raggiunte per esempio dalle opere Wozzeck e Lulù di Alban Berg, composte rispettivamente nel 1925 e nel 1935.
Altre sue due vecchie opere (una di esse è "Il giocatore") vengono eseguite in Europa e nel 1928 viene prodotta la terza sinfonia, basata sull'inedita L'angelo di fuoco. Negli anni 1931 e 1932 invece vengono completati il quarto ed il quinto concerto per pianoforte (il quarto è ricordato perché è stato scritto per la mano sinistra, dedicandolo al pianista Paul Wittgenstein, mutilato in guerra).
Un incidente d'auto nel 1929 gli danneggia leggermente le mani, impedendogli di tenere una serie di concerti a Mosca, ciò non gli impedisce comunque di seguire i lavori di musicisti russi a lui contemporanei. A guarigione avvenuta, inizia un nuovo tour negli Stati Uniti, stavolta accolto calorosamente sull'onda dei suoi successi europei. Al tour statunitense ne segue un altro attraverso l'Europa.
Nei primi anni trenta Prokof'ev torna a desiderare il rientro in Russia, dove sposta il più possibile dei suoi debutti e dei suoi lavori su commissione. Altro lavoro di questo periodo è il balletto Romeo e Giulietta, creato su commissione per il teatro Kirov di Leningrado ed oggi uno dei suoi lavori più famosi.
Sono del periodo dei viaggi anche i balletti Chout (La favola dei buffoni, 1915-1920), Le pas d'arcier (Il passo d'acciaio, 1925), L'enfant prodigue (Il figliol prodigo, 1928) e Sur le Borysthène (Sul Dnepr, 1930) e altre composizioni come l'Ouverture su temi ebraici, il Primo concerto per violino e orchestra, la Quarta sinfonia, con elementi derivanti dalla Suite Scitica e il Concerto per violoncello e orchestra, Op.58 più i principali lavori da camera e per pianoforte.

Ritorno in URSS
Nel 1936 Prokof'ev e famiglia tornano definitivamente in Unione Sovietica. In quel periodo la politica ufficiale dell'Unione Sovietica verso la musica era regolamentata dall'"unione dei compositori", che stabiliva quali fossero i generi di musica accettabili. L'esclusione delle influenze straniere porterà nei decenni all'isolamento della comunità artistica sovietica dal resto del mondo. In questo clima Prokof'ev si dedica alla composizione di musica per bambini (Tre canzoni per bambini, Pierino e il lupo tra le altre) nonché alla monumentale Cantata per il ventennale della Rivoluzione d'Ottobre, che tuttavia non verrà mai eseguita pubblicamente. Anche il debutto dell'opera Semën Kotko verrà posposto perché il suo produttore Vsevolod Mejerchol'd viene arrestato e condannato a morte.
Nel 1941 Prokof'ev subisce il suo primo attacco cardiaco. Ne seguiranno altri, che produrranno un graduale declino delle sue condizioni di salute. A causa della guerra, diverse volte venne trasferito al sud insieme a molti altri artisti; il disagio subito dalla famiglia, unito alla relazione con la venticinquenne Mira Mendelson lo porterà al divorzio dalla moglie Lina, che avverrà sette anni dopo. È tuttavia da menzionare che in quegli anni il matrimonio con cittadini non sovietici era considerato illegale, ed è possibile che la rottura del matrimonio sia stata in qualche modo forzata.
La guerra ispirò a Prokof'ev l'opera Guerra e pace, a cui lavorerà per due anni, alternandolo alle musiche per i film di Sergej Eizenstejn (Ivan il Terribile, Aleksandr Nevskij, di cui raccoglierà i brani nell'omonima cantata, e Luogotenente Kije). L'opera tuttavia subì numerose revisioni imposte dall'"unione dei compositori" e non debuttò mai.
Nel 1944 si trasferisce in una tenuta fuori Mosca e compone la sua quinta sinfonia Op. 100, che risulterà essere la sua opera più apprezzata dal pubblico. Poco dopo, subisce una brutta caduta, dai cui postumi non si riprenderà mai completamente e che ridurrà drasticamente la sua produttività negli ultimi anni. Il periodo della guerra è segnato anche dalla composizione delle tre "sonate di guerra", per pianoforte, la 6, la 7 e la 8, in cui appaiono ruggire gli echi di un nuovo corso storico che lascia attonita e ammutolita un'intera generazione. Specialmente la settima sonata, nel suo celebre e travolgente finale in tempo irregolare (7/8) e la lunga e tormentosa ottava sono i cavalli di battaglia delle nuove generazioni di virtuosi interpreti.
Prokof'ev ebbe il tempo di scrivere la sua sesta sinfonia e la sua nona sonata per pianoforte, per Sviatoslav Richter, prima che il partito cambiasse opinione riguardo alla sua musica. Con la fine della guerra l'attenzione del partito tornò a rivolgersi all'interno del paese, stringendo ulteriormente il controllo sulle produzioni degli artisti locali. Improvvisamente, la musica di Prokof'ev viene vista come un grave esempio di formalismo e inadatta, se non pericolosa, per il popolo sovietico . La deliberazione del comitato centrale del partito comunista del 10 febbraio 1948 affermava che la sua musica "peccava di intellettualismo e di perversioni formalistiche, era complicata ed astratta, avulsa dalla realtà e contenente gravi errori formalistici e naturalistici".
Il 20 febbraio 1948 la moglie Lina viene arrestata con l'accusa di spionaggio - lei si difese dicendo che stava solo cercando di inviare denaro alla madre in Spagna attraverso l'ambasciata - e condannata a vent'anni di detenzione; la pena verrà tuttavia interrotta alla morte di Stalin e Lina lascerà l'Unione Sovietica. Sempre nel 1948 Prokof'ev sposa Mira.
I suoi ultimi progetti di opera vengono cancellati dai programmi del teatro Kirov e questo, in combinazione con la declinante salute, causa il graduale ritiro di Prokof'ev dalle scene. La sua ultima opera è la settima sinfonia, presentata al pubblico nel 1952, un'opera dal sapore dolceamaro per la quale fu chiesto all'autore di introdurre un lieto fine.
Morì il 5 marzo per una emorragia cerebrale. Lo stesso giorno, 50 minuti dopo, morì anche Stalin. La notizia della sua morte passò pressoché inosservata perché le autorità sovietiche, per focalizzare meglio l'attenzione sulla morte di Stalin, imposero alla stampa di dare la notizia solo una settimana dopo. Al suo funerale, organizzato il giorno seguente a quello dello statista, parteciparono solamente 40 persone. È sepolto al cimitero di Novodevičij, a Mosca.
Lina Prokof'eva sopravvisse al marito fino al 1989, quando si spense a Londra.
Prima del suo ritiro causato dalla debilitazione a cui la sua salute fu soggetta Prokofiev continuò a lavorare da professionista scrivendo altre opere, oltre alla già citata Guerra e Pace: Matrimonio al convento (1940-46) e La storia di un vero uomo (1947-48). Scrisse anche il balletto Cenerentola (1940-45), le musiche di scena per Le notti egiziane (1933-34), le già citate musiche per film e il balletto La favola del fiore di pietra (1948-50), su musiche di Mendelssohn.
Per il suo eclettismo qualcuno lo definì un "musicista al quadrato". È ricordato anche perché fu uno dei primi artisti a lavorare nella settima arte, cioè il cinema come compositore di colonne sonore. Per queste sue caratteristiche uniche Sergej Prokof'ev viene definito uno dei più eclettici compositori del ‘900.

▪ 1975 - Emilio Lussu (Armungia, 4 dicembre 1890 – Roma, 5 marzo 1975) è stato un politico, scrittore e militare italiano.

Armungia, luogo della sua prima formazione democratica
La famiglia di Emilio apparteneva al ceto benestante di Armungia (piccolo centro situato nel Gerrei e confinante con l'estrema punta meridionale della Barbagia), ma grazie all'esempio paterno egli visse in un clima sostanzialmente egualitario. Il paese di Armungia è stato spesso presentato da Lussu sotto un'aura mitologica, come luogo di formazione dei suoi valori più profondi (rispetto dell'uomo e del lavoro, partecipazione democratica) e in definitiva della sua identità sarda (la lingua natale, le tradizioni, l'orgoglio delle radici e la loro difesa contro la sopraffazione coloniale). Questo patrimonio iniziale si rafforzò in una prospettiva più consapevolmente politica nel rapporto con le correnti repubblicane e socialiste del Novecento a Cagliari, Roma e Parigi. Ad Armungia, il 7 agosto 2009, è stato inaugurato il museo Emilio e Joyce Lussu, dove vi sono molte foto, scritti e video.

Lussu e la Grande Guerra
A Cagliari si laureò in giurisprudenza nel 1914. Nel periodo universitario Lussu si schierò con gli interventisti democratici (repubblicani, salveminiani), perché l'Italia entrasse nella Prima guerra mondiale contro gli Imperi centrali (Impero tedesco e Austria). Vi prese parte direttamente, come ufficiale di complemento e si congedò con il grado di capitano nella 151°fanteria Brigata Sassari, costituita su base regionale per la maggior parte da contadini e pastori sardi.
Nel 1916 la Brigata fu inviata sulle montagne intorno ad Asiago per creare un fronte che resistesse a qualunque costo alla discesa degli austriaci verso Vicenza e Verona; le vittorie dei sardi nei primi scontri furono seguite da un potente contrattacco che li vide impegnati sino al luglio dell'anno successivo, sul Monte Zebio e nei pressi di Monte Castelgomberto, in una sfiancante e sanguinosa lotta che, più che per avanzare, si conduceva per la tenuta delle posizioni. Era del resto questa la vera guerra di trincea, ed era la guerra di una truppa gestita dai suoi distanti generali con modi ed intenzioni che oggi apparirebbero intollerabili.
Questa esperienza ispirò a Lussu il capolavoro per il quale è principalmente noto, Un anno sull'Altipiano, scritto nel 1937 (di questo romanzo è stata fatta un riduzione cinematografica ad opera di Francesco Rosi dal titolo Uomini contro del 1970); si tratta di un'importantissima memoria, di un prezioso documento sulla vita dei soldati italiani in trincea che, per la prima volta nella letteratura italiana, descrive l'irrazionalità e il non-senso della guerra, della gerarchia e dell'esasperata disciplina militare in uso al tempo.
Dotato di un algido razionalismo, l'autore poté lucidamente dimostrare nel suo scritto la profonda differenza fra ciò che davvero accadeva ai soldati e quanto invece ne conosceva l'opinione pubblica; dipinse in tutti i suoi drammatici aspetti quanto fosse inutilmente crudele la disciplina militare applicata a poveri contadini analfabeti e quanto infondato fosse il rispetto dovuto ai generali ed agli ufficiali superiori, i quali avevano ed applicavano eccesso di arbitrio. In un brano di notevole efficacia, descrisse il silenzioso terrore dei momenti che precedevano l'attacco, il drammatico abbandono della "sicura" trincea per proiettarsi verso un ignoto, rischioso, indefinito mondo esterno: «... tutte le mitragliatrici ci stanno aspettando».
Si è detto che l'opera stia costantemente guadagnando modernità, se non proprio attualità, e che il suo contenuto stia con pari costanza guadagnando comprensibilità e condivisibilità man mano che la comune considerazione della guerra evolve nel senso di generale riprovazione. Effettivamente, molti dei concetti espressi nel libro hanno trovato postumo suffragio in noti movimenti culturali, ideologie politiche e sentimenti popolari di epoche successive, specialmente dopo la Seconda guerra mondiale ed altri conflitti minori.
Al libro sono stati attribuiti molti significati politici, talora per meri fini strumentali, ma essenzialmente è scritto in forma di reportage, a mezza via fra il resoconto giornalistico ed un racconto in termini familiari; le riflessioni contenute o suggerite sono piuttosto ad un livello morale o filosofico.
Essendo stato prima della stesura dell'opera un interventista ed un rivoluzionario (fece parte del movimento clandestino antifascista Giustizia e libertà), Lussu sembrò in qualche modo compiere un'inversione di marcia rispetto ai convincimenti precedenti, descrivendo con sobrietà che cosa davvero sia, nei suoi momenti più crudeli, quella guerra dapprima cercata come conflitto dell'istituzione e poi come conflitto contro l'istituzione.
Non rimase fuori dalla narrazione il tema sociale riguardante il modo in cui le classi inferiori venivano "usate" a fini bellici. La partecipazione delle masse contadine sarde alla Grande Guerra fu in effetti un momento di passaggio fondamentale che pose in termini completamente nuovi la "questione sarda". Alla luce delle lotte condotte dal movimento socialista dell'epoca (la rivoluzione russa fu essenzialmente una rivoluzione contadina) essa divenne infatti il leitmotiv di un imponente moto di popolo che, nell'immediato dopoguerra, coinvolse ampi strati delle classi lavoratrici sarde. Fra i suoi organizzatori, Lussu fu uno dei più attivi ed amati.

L'antifascista e il politico
Alla fine della guerra (1919), insieme a Camillo Bellieni ed altri reduci, Lussu fondò il Partito Sardo d'Azione, da subito connotato come movimento autonomista e federalista, che pose al centro della sua azione politica la "questione nazionale sarda". Fu un movimento di massa che coinvolse i contadini e pastori sardi in nome della distribuzione delle terre e dei pascoli, contro i ricchi possidenti agrari e i partiti politici da loro sostenuti e prese linfa soprattutto dall'Associazione Nazionale Reduci e Combattenti di cui praticamente tutti gli aderenti sardi vennero iscritti d'ufficio al nuovo partito. Il partito fu munito di personalità giuridica e venne formalmente costituito nel 1921, con l'obiettivo non certo accessorio di contrastare la crescita del movimento dei Fasci. Inizialmente Lussu fu incaricato di trattare una eventuale fusione tra il Partito Sardo d'Azione e il Partito Fascista, ma nel corso delle trattative, per motivi che la storiografia non è riuscita a chiarire con esattezza, si ritirò dall'incarico (il prefetto fascista Asclepia Gandolfo scrisse a Mussolini che Lussu si era ritirato poiché non gli era stata garantita una funzione di rilievo nel fascismo sardo). La fusione tra Partito Sardo d'Azione e Partito Fascista fu portata avanti da altri esponenti come Paolo Pili, ed ebbe parzialmente successo, ma non ebbe l'appoggio di altri intellettuali e dirigenti del partito come Camillo Bellieni, Francesco Fancello e lo stesso Lussu. Nello stesso anno Lussu fu eletto alla Camera dei deputati e fu in seguito tra i deputati della "secessione aventiniana", famosa forma di protesta dopo il delitto Matteotti.
Nonostante una prima sottovalutazione del fenomeno fascista, la sua posizione fu in seguito tra le più radicali e nette.
«In quest'ultimo caso, fu consapevole che la vittoria sarebbe stata raggiunta (come in effetti fu) soltanto militarmente: da qui l'organizzazione degli Arditi del popolo contro gli squadristi fascisti; la progettazione di un'insurrezione antifascista e repubblicana in Sardegna; l'intervento nella guerra di Spagna con le Brigate internazionali e la partecipazione alla lotta di liberazione nel Partito d'azione..»
Fu più volte personalmente e fisicamente colpito (e ferito) da aggressori rimasti ignoti. Nel 1926, durante uno di questi attacchi (per combinazione subíto lo stesso giorno dell'attentato a Mussolini, a Bologna[6]), Lussu sparò ad uno degli aggressori che cercavano di introdursi nella sua casa di Cagliari, lo squadrista morì in seguito alla ferita, e Lussu venne perciò arrestato e processato. Gli fu riconosciuta la innegabile circostanza di legittima difesa, ma poco tempo dopo fu condannato a 5 anni di confino a Lipari dal Tribunale Speciale.
Dal confino Lussu evase nel 1929 insieme a Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti grazie all'aiuto del socialista Italo Oxilia, che con un motoscafo li portò a Tunisi. In seguito narrerà l'avventurosa evasione nel libro Le nostre prigioni e la nostra evasione pubblicato in edizione italiana solo nel 1946 (del 1929 è la prima edizione in inglese col titolo di Escape) per raggiungere Parigi, dove scrisse un libro sugli avvenimenti di quel decennio (La catena). Insieme a Gaetano Salvemini e allo stesso Rosselli diede vita al movimento antifascista "Giustizia e Libertà", ideologicamente orientato in senso socialista liberale, che proponeva metodi rivoluzionari per abbattere il regime e sradicare dalla società italiana le sue cause (culturali, economiche, politiche); compì le sue attività clandestine con il nome in codice di "Mister Mills". Nel 1936 fu in Svizzera per curare la tubercolosi contratta in prigionia, e qui scrisse un libro di stile manualistico sulla teoria dell'insurrezione. Sempre a Parigi, pubblicò "Marcia su Roma e dintorni", che racconta l'affermarsi del fascismo in Sardegna, dal 1919 al 1929, con le sue violenze e i suoi piccoli uomini di regime. Prese parte alla guerra civile spagnola nel fronte antifranchista (anche se soltanto brevemente, a causa delle sue cattive condizioni di salute). Il suo ritorno in Italia (e in Sardegna) avvenne solo dopo l'armistizio del 1943, in un paese ben presto occupato dai nazisti. Dopo la fusione di Giustizia e Libertà e Partito d'Azione, diventato uno dei leader della nuova formazione politica, partecipò alla Resistenza a Roma, mantenendo comunque stretti rapporti con il Partito Sardo d'Azione. Come esponente di punta dell'ala socialista del partito guidò lo scontro contro la corrente liberaldemocratica di Ugo La Malfa[8], un conflitto che fu la causa scatenante della scomparsa del Partito d'Azione. Il tormentato rapporto di Lussu con la dirigenza moderata e conservatrice del partito sardo post-bellico sfociò nel '48 in una rottura: la corrente lussiana fondò un nuovo partito (il Partito Sardo d'Azione Socialista), che confluì di lì a poco nel PSI.
Nel 1945 fu ministro all'assistenza postbellica nel primo governo di unità nazionale dell'Italia libera, quello presieduto per breve tempo dall'azionista Parri e nel successivo governo del democristiano De Gasperi, come ministro senza portafoglio per i rapporti con la Consulta.
Nella seduta alla Camera del 13 dicembre 1947, i deputati Alberto Cianca e Lussu avevano mosso delle accuse nei confronti di Francesco Chieffi: il primo l'aveva nominato "collaboratore dei tedeschi", ed il secondo aveva dichiarato che Chieffi era stato "fornitore di donne ai tedeschi".
Il 22 dicembre 1947 un'apposita Commissione di inchiesta parlamentare, presieduta da Luigi Gasparotto, concluse che le accuse erano senza fondamento sotto ogni profilo.
Nel 1964 partecipò alla scissione del PSI da cui nacque il PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) contro la politica di intese con la Democrazia Cristiana avviata da Nenni. Tuttavia guardò con crescente distacco a questa nuova esperienza mano a mano che il PSIUP entrò sempre più nell'orbita del PCI.
La sua vecchiaia operosa lo vide scrivere importanti pagine di storia (fra le quali quelle dedicate alla vicenda del Partito d'Azione), e fu sempre in contatto con la sua terra, dei cui problemi discusse fino all'ultimo. Morì a Roma nel 1975.

La complessità dell'uomo
Il cambiamento di posizione concettuale rispetto alla guerra fu oggetto di intensa discussione nel mondo politico, più che in quello letterario: prima giovanissimo interventista, poi esponente di punta delle trattative che dovevano condurre il Partito sardo d'Azione alla fusione con il Partito Fascista, poi ancora, nell'esilio imposto dai fascisti, autore di un manuale sull'insurrezione contro la tirannide (Teoria dell'insurrezione), e poco tempo appresso autore di un testo che sarebbe difficile non definire come pacifista; poi ancora volontario in Spagna, Lussu consegnava ai critici un'impostazione ideologica ed etica originale, anche se non priva di aspetti problematici. Su di essi gli avversari politici (dai fascisti agli indipendentisti sardi reazionari; dai clericali agli stalinisti) tentarono di speculare per mettere in ombra il suo percorso politico e umano, improntato ad uno schietto ed intransigente socialismo libertario, sardista e federalista.
Fu interventista democratico (e non nazionalista, come molti di coloro che poi confluirono nel movimento fascista nel primo dopoguerra) all'età di 23-24 anni: l'esperienza drammatica della guerra gli fece capire l'assurdità di questa grande carneficina e ne trasse una serie di insegnamenti che poi ispirarono molta parte delle sue successive scelte politiche. Lottò infatti al fianco dei contadini e pastori sardi per il loro riscatto e si oppose alle dittature fasciste e naziste in nome dei principi di giustizia sociale, libertà, autonomia. In quest'ultimo caso, fu consapevole che la vittoria sarebbe stata raggiunta (come in effetti fu) soltanto militarmente: da qui l'organizzazione armata delle "camicie grigie sardiste" contro gli squadristi fascisti; la progettazione di un'insurrezione antifascista e repubblicana in Sardegna; l'intervento nella guerra di Spagna con le Brigate internazionali e la partecipazione alla lotta di liberazione nelle file del Partito d'Azione.
Affermare, come alcuni fanno ancora oggi, "il repentino abbandono della "causa sarda", unito alla singolare "rinnegazione della sua terra" nel caso di Lussu è un falso storico. Non solo non rinnegò mai le sue radici sarde ma disprezzò sempre chi lo fece; Lussu tuttavia non fu mai un indipendentista e la sua azione politica non può essere mai accostata a questa opzione; restò in contatto sia personale che epistolare con numerosi esponenti del mondo politico sardo (compresi quei sardisti dai quali si era allontanato al momento della scissione); visitò, anche in qualità di uomo politico, numerose volte l'isola, ed il paese natale di Armungia; in parlamento difese le pur deboli prerogative concesse dallo statuto autonomista sardo (consapevole che si trattava di ben poca cosa rispetto all'autogoverno derivante dalla trasformazione federalista dello Stato, obiettivo per cui lottò una vita) e richiamò l'attenzione del governo e delle altre forze politiche sulla necessità di migliorare le condizioni economiche e sociali del popolo sardo e, in particolare, delle sue classi lavoratrici e proletarie (si vedano i due volumi dei suoi Discorsi parlamentari e la raccolta postuma di interventi Essere a sinistra).
Il libro Un anno sull'altipiano resta un capolavoro ed è usualmente letto come opera letteraria in sé, ma di fatto è un manifesto politico.

Vita privata
Lussu sposò Joyce Salvadori, poetessa fiorentina di origine marchigiana, partigiana ed intellettuale di notevole talento, i cui primi lavori furono apprezzati da Benedetto Croce (di Joyce si vedano i libri autobiografici L'olivastro e l'innesto, Fronti e frontiere; molto belle sono anche le sue traduzioni del poeta turco Hikmet).
Ebbero un figlio, Giovanni, che oggi è un affermato grafico editoriale.
Emilio Lussu fu amico di Silvio Mastio, di Emilio Cuccu e dell'eroe tempiese tenente Alfredo Graziani già "Tenente Grisoni" nel libro "Un anno sull' altipiano".

* 1976 - Enrico Bartoletti (San Donato di Calenzano, 1916 – 5 marzo 1976) è stato un arcivescovo cattolico italiano.
Nel 1958 fu nominato vescovo ausiliare di Lucca.
Chiamato a ricoprire l’incarico di Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana nel 1972, sotto il pontificato di Paolo VI, dimessosi da arcivescovo di Lucca nel 1973, si trasferì a Roma ove rimase fino alla sua improvvisa morte per malattia.
Mons. Bartoletti propose di far leva sulla Parola di Dio. Il primo piano pastorale della CEI fu battezzato "linea Bartoletti" tanto era dominato dal suo orientamento pastorale. I documenti figli si muoveranno nell’ottica bartolettiana centrata sull’annuncio. Egli si prodigò affinché le indicazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II venissero recepite ed attuate dalle diocesi e dalle parrocchie.
Nel novembre del 2007 è stata aperta a Lucca la fase diocesana della causa per la sua beatificazione.

▪ 1982 - John Adam Belushi (Chicago, 24 gennaio 1949 – Los Angeles, 5 marzo 1982) è stato un attore e comico statunitense di origine albanese, fratello maggiore di Jim Belushi.

Considerato all'epoca del suo debutto al Saturday Night Live come uno dei maggiori talenti comici statunitensi, è rimasto celebre soprattutto per i due film (ne girò in totale solamente sette prima della prematura scomparsa) diretti da John Landis, Animal House (1978) e soprattutto The Blues Brothers (1980), nel quale recita accanto al grande amico Dan Aykroyd.