Il calendario del 5 Gennaio
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Eventi
• 1463 - Il poeta François Villon viene bandito da Parigi
• 1477 - Battaglia di Nancy, Carlo il Temerario viene ucciso, la Borgogna diventa parte della Francia
• 1484 - Il Papa Innocenzo VIII emana la bolla pontificia Summis desiderantes affectibus, atto di condanna dell'astrologia
• 1500 - Il duca Ludovico Sforza conquista Milano
• 1527 - Martirio di Felix Manz, un anabattista svizzero
• 1554 - Grande incendio di Eindhoven (Paesi Bassi)
• 1781 - Guerra d'indipendenza americana: Richmond (Virginia) viene incendiata dalle forze navali britanniche guidate da Benedict Arnold
• 1846 - La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti vota per cessare la condivisione del Territorio dell'Oregon con il Regno Unito
• 1895 - Affare Dreyfus: l'ufficiale francese Alfred Dreyfus viene ingiustamente degradato e condannato all'ergastolo sull'Isola del diavolo nella Guyana, per presunto spionaggio a favore della Germania. Verrà scagionato solo nel 1906
• 1896 - Un giornale austriaco riporta la notizia della scoperta, fatta da Wilhelm Roentgen, di un tipo di radiazione in seguito nota come raggi X
• 1909 - La Colombia riconosce l'indipendenza di Panama
• 1911 - Inaugurazione del Bioparco a Roma
• 1914 - La Ford Motor Company annuncia una giornata lavorativa di 8 ore e uno stipendio minimo di 5 dollari al giorno
• 1919 - Viene fondato in Germania il nazionalsocialismo. Adolf Hitler vi aderisce nel 1921
• 1933 - A San Francisco (USA) inizia la costruzione del Golden Gate Bridge
• 1940 - Negli Stati Uniti la radio FM viene dimostrata per la prima volta alla FCC
• 1944 - Il Daily Mail diventa il primo quotidiano transoceanico
• 1945 - L'Unione Sovietica riconosce il nuovo governo filo-sovietico della Polonia
• 1946 - A Norimberga comincia il processo contro 23 ex-medici che operarono nei campi di concentramento accusati di crimini contro l'umanità
• 1960 - Il diretto Sondrio-Milano deraglia presso Arcore a causa della nebbia e di lavori sulla linea. Il bilancio è di 17 morti e 139 feriti
• 1964 - Papa Paolo VI incontra il Patriarca greco Atenagora I a Gerusalemme, è il primo incontro tra i capi della chiesa Cattolica e di quella Ortodossa dal 1439
• 1968 - Alexander Dubček sale al potere, in Cecoslovacchia comincia la Primavera di Praga
• 1972 - Il presidente statunitense Richard Nixon ordina lo sviluppo del programma Space Shuttle
• 1973 - I Paesi Bassi riconoscono la Germania Est
• 1976 - La Cambogia viene ribattezzata Campuchea Democratica
• 1980 - La Hewlett-Packard annuncia la messa in vendita del suo primo personal computer
• 1984 - Lo scrittore e saggista Giuseppe Fava viene assassinato da Cosa Nostra
• 1993
- - La petroliera MV Braer si incaglia sulla costa delle Isole Shetland, versando in mare 84.700 tonnellate di petrolio
- - Lo stato di Washington giustizia Westley Allan Dodd per impiccagione (e la prima impiccagione legale negli USA dal 1965)
• 1996 - Il militante di Hamas Yahya Ayyash viene ucciso da una trappola esplosiva inserita da agenti israeliani in un telefono cellulare
• 1997 - Le forze russe si ritirano dalla Cecenia
• 2008 - Esce in Italia l'ultimo libro della serie Harry Potter.
Anniversari
* 1066 - Edoardo, detto il Confessore (Islip Oxfordshire, 1002 – Westminster, 5 gennaio 1066), figlio di Etelredo l'Impreparato (968–1016) e della sua seconda moglie, Emma di Normandia, fu il penultimo re d'Inghilterra della dinastia anglosassone e regnò dall'8 giugno 1042 fino alla morte.
Edoardo è santo della Chiesa cattolica ed è stato canonizzato nel 1161 da Papa Alessandro III. È il patrono dei re, dei matrimoni difficili, degli sposi separati e, dal regno di Enrico II fino al 1348, è stato considerato anche il santo patrono dell'Inghilterra, dopo è rimasto il patrono della famiglia reale.
* 1589 - Caterina Maria Romula di Lorenzo de' Medici, meglio nota come Caterina de' Medici (Firenze, 13 aprile 1519 – Castello di Blois, 5 gennaio 1589), fu regina consorte di Francia dal 1547 al 1559 come sposa di Enrico II di Francia.
Figlia di Lorenzo II de' Medici, duca d'Urbino, e di Madeleine de la Tour d'Auvergne, nelle sue vene scorreva sangue francese e italiano. Sembra che il nome Caterina le sia stato dato in memoria di Caterina Sforza, la madre di Giovanni dalle Bande Nere, il quale aveva sposato Maria Salviati, riunendo così i due rami della famiglia Medici. Il suo bisnonno paterno era Lorenzo il Magnifico e il papa Leone X, quindi, era suo prozio.
All'età di quattordci anni venne data in sposa al futuro Enrico II di Francia. Fu madre dei re Francesco II, Carlo IX, Enrico III e delle regine Elisabetta (regina di Spagna) e Margherita (regina di Navarra e di Francia). Prima regina poi Reggente di Francia, Caterina de' Medici è una figura emblematica del XVI secolo. Il suo nome è legato alle guerre di religione contro le quali ha lottato tutta la sua vita. Sostenitrice della tolleranza civile, tentò numerose volte di seguire una politica di conciliazione con l'aiuto dei propri consiglieri, fra cui il celebre Michel de l'Hôspital.
Una leggenda nera che la perseguita da tempo immemorabile ne ha fatto una persona austera, attaccata al potere e persino malvagia. Caterina de' Medici è stata poco a poco rivalutata dagli storici che oggi riconoscono in lei una delle più grandi regine di Francia. Il suo ruolo nel massacro della notte di San Bartolomeo tuttavia contribuisce ancora oggi a farne una figura controversa.
«Era lei che faceva tutto, e il re non muoveva paglia senza che lei lo sapesse.»
(Pierre de L'Estoile)
* 1762 - Elisabetta di Russia, Elizaveta Petrovna (Kolomenskoe, 29 dicembre 1709 – San Pietroburgo, 5 gennaio 1762), fu Imperatrice di Russia dal 1741 al 1762.
Elisabetta si dimostrò degna erede di suo padre. E nondimeno lo dimostrò nel campo delle scelte della politica interna. Proseguendo la linea riformatrice che si era attenuata sotto i precedenti regni, Elisabetta continuò la colonizzazione della Siberia, cercando di estendere il più possibile l'influenza russa su quelle regioni. Risanò con sagge riforme amministrative l'erario dello stato che era allo sbando e incrementò i commerci all'interno dell'impero, rivitalizzando così la giovane industria russa.
Ottenne nuovi sbocchi commerciali ed industriali non solo grazie ai ricchi giacimenti degli Urali, ma anche alle vastissime risorse di legname presenti nella Finlandia meridionale e nella Siberia. Ma ad Elisabetta va principalmente il merito di aver ristabilito l'ordine interno dopo tanti colpi di stato e di aver ripulito la corte dagli intriganti principi stranieri presenti a San Pietroburgo, soprattutto il malvagio ed intrigante Bhuren, amante di Anna Ivanovna. Sul piano culturale, Elisabetta modernizzò l'università di Mosca e aprì quella di San Pietroburgo, facendo attirare intellettuali e artisti da tutta Europa.
Quest'ultima scelta fu voluta però fortemente più dal circolo illuminista presente a corte, che dalla Zarina, donna di scarsa cultura sebbene fosse grandissima ammiratrice della cultura francese. Comunque la sua figura carismatica, amata dal popolo e dalla aristocrazia, riuscì a tenere insieme la Russia e a rifarne una grande potenza nella guerra dei sette anni, qui esposta.
* 1821 - Carlo Porta (Milano, 15 giugno 1775 – 5 gennaio 1821) è stato un poeta italiano. È considerato il maggior poeta in milanese, variante della Lingua lombarda.
«È manifesto che la eccezionale personalità portiana ha finito con lo schiacciare sotto di sé, degradandolo a un ruolo più o meno passivo, di allievo o imitatore, chi, dietro il suo esempio, [...], si è messo per la strada dello scrivere versi in milanese.» (Dante Isella, Carlo Porta, in Storia della Letteratura Italiana, a cura di E. Cecchi e N. Sapegno, vol. VII, L'Ottocento, Garzanti, Milano 1969, pag.466)
Annoverato tra le così dette "quattro coroncine", con Giovanni Meli, Carlo Goldoni, Giuseppe Gioachino Belli (da affiancare alle "tre corone" di Dante, Petrarca e Boccaccio), Carlo Porta era figlio di Giuseppe e Violante Gottieri, studiò dai Barnabiti a Monza e nel loro Collegio estivo di Muggiò (Edificio scomparso nel 1890 per lasciare posto alla Parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo) fino al 1792 e poi al Seminario di Milano. Nel 1796 l'arrivo dei Francesi fece perdere il posto al padre e per Carlo venne trovato un lavoro a Venezia, dove abitava un fratello e dove restò fino al 1799. Dal 1804 alla morte, il Porta ebbe un lavoro di impiegato statale che mantenne sotto i Francesi e sotto gli Austriaci. Nel 1806 sposò Vincenza Prevosti.
Benché sia probabile che la sua produzione poetica cominciasse già nel 1792, fino al 1810 pochi lavori vennero pubblicati ufficialmente da lui. Nel 1804-05 lavorò a una traduzione in milanese della Divina Commedia, di cui completò solo qualche canto e che è l'ultima delle sue opere "minori".
Nel 1810, invece e seppure in forma anonima, esce il Brindes de Meneghin all'Ostaria scritto per il matrimonio di Napoleone con Maria Luisa d'Asburgo-Lorena. Nel Brindes il Porta si augura soprattutto un buon governo per Milano e la Lombardia.
La grande stagione della poesia portiana comincia però nel 1812 con le Desgrazzi de Giovannin Bongee. Da questo momento e fino alla morte la produzione fu costante e di altissima qualità.
Le sue opere si possono dividere in tre filoni:
il primo contro le superstizioni e l'ipocrisia religiosa del tempo;
il secondo descrittivo di vivissime figure di popolani milanesi,
il terzo infine più propriamente e strettamente politico.
In quest'ultimo filone, Porta ha sempre tenuto a dichiararsi "apolitico", anche se le sue satire dimostrano che aveva le proprie idee e non esitava a mostrarle mediante sferzanti critiche alle classi dominanti che, durante la sua vita, si sono succedute. Un episodio è comunque tipico del suo essere parte integrante del sistema pur essendone critico impietoso: quando uscì, per vie non ufficiali, la Prineide (1815), una specie di apologo al linciaggio dei politici corrotti, tutti a Milano dissero che l'autore era il Porta. Il che fece davvero imbestialire il Nostro. In realtà l'autore era Tommaso Grossi, un giovane promettente poeta che divenne poi uno dei migliori amici del Porta.
Del primo filone fanno parte, fra le altre: Fraa Zenever (1813), On Miracol (1813), Fraa Diodatt (1814), La mia povera nonna la gh'aveva (1810).
Al secondo filone appartengono quelle che sono forse le più grandi opere del Porta: dopo le già citate Desgrazzi de Giovannin Bongee (1812), seguono Olter desgrazzi de Giovannin Bongee (1814), El lament del Marchionn di gamb'avert (1816) e quello che molti critici considerano il suo capolavoro, La Ninetta del Verzee (1815), la struggente confessione di una prostituta.
Al filone politico appartengono soprattutto i sonetti: come Paracar che scappee de Lombardia (1814), E daj con sto chez-nous, ma sanguanon (1811), Marcanagg i politegh secca ball (1815), Quand vedessev on pubblegh funzionari (1812).
Fra le poesie che non appartengono a uno dei tre filoni sopraddetti ricordiamo soprattutto i sonetti in difesa della scelta del milanese o in difesa di Milano. Celeberrimi I paroll d'on lenguagg, car sur Gorell (1812) in difesa dei dialetti (o, meglio, delle lingue locali) e El sarà vera fors quell ch'el dis lu (1817) in difesa di Milano.
Fra le poesie più propriamente umoristiche ricordiamo Dormiven dò tosann tutt dò attaccaa (1810) e la brevissima Epitaffi per on can d'ona sciora marchesa (1810).
La restaurazione Austriaca del 1815 deluse profondamente il Porta che aveva sperato in un'indipendenza della Lombardia.
Certamente però non rimpianse l'occupazione francese, come è chiaramente espresso in molti sonetti e nella chiusa di Paracar che scappée de Lombardia:
«:de podè nanca vess indifferent
sulla scerna del boja che ne scanna.»
Nella poesia degli ultimi anni si accentuano i caratteri antinobiliari contro la classe che inaspettatamente era tornata a dominare.
Testimoni di questa fase "alla Parini" sono La nomina del Cappellan (1819), una rielaborazione ancora più comico-satirica dell'episodio della "vergine cuccia" di pariniana memoria, Offerta a Dio (1820) e Meneghin biroeu di ex monegh (1820).
Nel 1816 il Porta aveva aderito al neonato movimento romantico (Sonettin col covon), ovviamente a modo suo.
Importante critico ed esperto di Carlo Porta era il professore Dante Isella.
A soli quarantacinque anni e nel pieno della fama, morì a Milano il 5 gennaio 1821 per un attacco di gotta. Fu sepolto a San Gregorio fuori Porta Orientale, ma la sua tomba andò dispersa.
Nella Cripta della Chiesa di San Gregorio Magno (Milano) in Milano (attuale Porta Venezia) è custodita la lapide funebre (insieme a quella di altri personaggi illustri) che era posta sul muro di cinta del cimitero di San Gregorio.
In sua memoria l'amico Tommaso Grossi compose in milanese la poesia In morte di Carlo Porta.
* 1858 - Giovanni Giuseppe Venceslao Antonio Francesco Carlo conte Radetzky di Radetz (Sedlčany, 2 novembre 1766 – Milano, 5 gennaio 1858) è stato un militare austriaco. Anche noto come Johann Josef Wenzel Anton Franz Karl Graf Radetzky von Radetz (in tedesco) o Jan Josef Václav hrabě Radecký z Radče (in ceco), nobile boemo, fu feldmaresciallo dell'esercito austriaco, a lungo governatore del Lombardo-Veneto. Nell’esercito austriaco per oltre settant’anni, per le sue vittorie militari contro Napoleone e, soprattutto, contro Carlo Alberto e i patrioti italiani, è ricordato in Austria come eroe nazionale, in Italia come il simbolo stesso dell'occupazione austriaca.
Radetzky morì a Milano il 5 gennaio del 1858 a novantuno anni, a seguito di una caduta. Gli Asburgo furono, naturalmente, assai prodighi di riconoscimenti: venne proclamato un lutto di quattordici giorni e il 5° reggimento ussari portò il suo nome sino alla fine dell’Impero. Dopo un primo servizio funebre in Duomo a Milano, la salma venne trasportata a Venezia, imbarcata per Trieste sino a Vienna ove ricevette uno splendido funerale. Il successivo 19 gennaio 1858 i suoi resti vennero tumulati nel mausoleo militare di Klein-Wetzdorf in Bassa Austria.
L’anno che venne, la sua armata, affidata al conte Francesco Gyulai, affrontò una nuova guerra contro il Regno di Sardegna, assistito, questa volta, da un nuovo e grande alleato, la Francia di Napoleone III. Venne sconfitta. L’Impero perdette la Lombardia e Francesco Giuseppe non poté opporsi alla successiva conquista di Parma, Modena, Toscana, Bologna e, l’anno dopo, di Marche e Umbria, e nemmeno alla spedizione dei mille. Con la scomparsa di Radetzky, in effetti, aveva avuto fine la egemonia austriaca in Italia.
Nell’esercito austriaco il feldmaresciallo ha il posto che merita uno dei suoi più grandi generali, al pari degli ‘italiani’ Montecuccoli e Eugenio di Savoia e viene ricordato come il buon e franco Vater Radetzky (papà Radetzky). In Austria, in generale, è ricordato come l’ultimo schwarzgelber (nero-oro, dai colori della bandiera imperiale) e kaisertreu (fedele all’imperatore).
Celeberrimo è il motto del drammaturgo Franz Grillparzer (un protetto di Metternich): In deinem Lager ist Österreich (Nel tuo accampamento sta [il destino dell’]Austria).
Grande popolarità ha, ancor oggi, la Marcia di Radetzky, composta in suo onore dal grande musicista viennese Johann Baptist Strauß, dopo la vittoria di Custoza. Questo pezzo famosissimo chiude tradizionalmente il concerto di Capodanno che si tiene ogni anno a Vienna, al Musikverein.
Il punto di vista italiano, con gli anni ed il radicale mutamento della situazione internazionale, tende ormai a coincidere con quello austriaco: si sottolineano, di solito, le indubbie qualità militari e la integrità personale. Ma, paradossalmente, fu proprio il tragico e sanguinoso fallimento della sua politica di ‘pacificazione’ del periodo 1848-56 che pose le basi del successo del Cavour e del trionfo finale del Risorgimento italiano.
* 1878 - Alfonso Ferrero marchese della Marmora (Torino, 17 novembre 1804 – Firenze, 5 gennaio 1878) è stato un generale e politico italiano.
Diplomato presso l'Accademia militare di Torino nel 1822, dopo alcuni viaggi di studio compiuti per tutta l'Europa, nel 1823 fu incaricato dal Re di Sardegna Carlo Alberto di dirigere il rammodernamento dell'artiglieria sarda. Nel 1848 ottenne il grado di colonnello e la medaglia d'argento durante l'assedio di Peschiera. Il 5 agosto 1848 liberò Carlo Alberto dai rivoluzionari milanesi. Nel mese di ottobre dello stesso anno, venne promosso generale e successivamente divenne ministro della guerra con il gabinetto Perrone, carica riottenuta nel 1849 con Vincenzo Gioberti.
Dopo la sconfitta di Novara fu inviato a Genova che era insorta contro la monarchia sabauda, rivendicando l'indipendenza ligure. La Marmora sedò la ribellione al prezzo di una repressione:
"A mezzogiorno del 5 aprile ‘49 le batterie dei piemontesi cominciarono a sparare sulla città. Il bombardamento durò 36 ore, provocando incendi, crolli, devastazioni sui quartieri più poveri e una moltitudine di vittime e feriti. Poi entrarono in azione i bersaglieri e furono saccheggi, stupri e violenze d'ogni genere contro gli insorti ."
Al termine della rivolta e della risposta militare si contarono più di 450 morti. Dopo questa azione, La Marmora fu promosso tenente generale.
Con Massimo d'Azeglio e Camillo Cavour fu nominato nuovamente ministro delle guerra e riorganizzò l'esercito rendendolo forte e flessibile, nonostante il ridotto numero degli effettivi.
Nel 1855 fu al comando della spedizione di Crimea, distinguendosi nel combattimento della Cernaia.
Una volta firmata la pace venne promosso generale di corpo d'armata. Combatté a San Martino nel 1859 contro l'esercito austriaco. Dopo l'armistizio di Villafranca fu per sei mesi Presidente del Consiglio, in sostituzione di Cavour, che si era dimesso.
Nel 1860 fu inviato a Berlino e San Pietroburgo con il compito di ufficializzare il riconoscimento del Regno d'Italia presso gli altri paesi europei. Successivamente ottenne la carica di governatore di Milano. Nel 1861 venne nominato prefetto di Napoli e comandante della città, dove combatté il brigantaggio.
Il 15 settembre 1864 il capo del governo Marco Minghetti sottoscrisse una convenzione franco-italiana, in forza della quale otteneva da Napoleone III il ritiro della guarnigione francese da Roma, ma accettava di trasferire la capitale da Torino a Firenze. Il Re licenziò Minghetti con un telegramma e, il 28 settembre 1864, lo sostituì con il La Marmora. Nel corso del suo governo egli trasferì la capitale in tempo record (3 febbraio 1865) ed ottenne dalla Spagna il riconoscimento del Regno d'Italia.
Nel 1865 rassegnò le dimissioni, ma subito dopo per ordine del Re si ritrovò a dover formare un nuovo ministero: come primo ministro stipulò un trattato d'alleanza con la Prussia (1866) e, pur di rimanere coerente ad esso, rifiutò l'offerta austriaca del Veneto in cambio della neutralità italiana nella guerra del 1866.
Il 20 giugno 1866 lasciò il governo per entrare in guerra con la carica di comandante dell'esercito, ma, a causa della perdita della guerra culminata nella sconfitta di Custoza del 23 giugno 1866, ne fu esonerato durante l'armistizio di Cormons (12 agosto 1866). Fu ancora a capo, per un breve periodo, del corpo d'armata di Firenze, dove nel frattempo era stata trasferita la capitale.
Dopo la presa di Roma fu primo luogotenente del Re d'Italia nei territori ex-pontifici. Infine si ritirò a vita privata. Morì a Firenze il 5 gennaio 1878. Venne sepolto nella città avita di Biella, nella chiesa di San Sebastiano.
* 1910 - Marie Esprit Léon Walras (Évreux, 16 dicembre 1834 – Clarens-Montreux, 5 gennaio 1910) è stato un economista francese.
Considerato da Joseph Schumpeter come "il più grande di tutti gli economisti". Fu il "padre" della prima formulazione completa della teoria di equilibrio economico generale.
Walras si iscrive alla École des mines, ma abbandona presto l'ingegneria per dedicarsi a letteratura e giornalismo. Collabora al "Journal des Économistes" e a "La Presse". Dopo vari tentativi ottiene la cattedra di Professore di Economia Politica all'università di Losanna, in Svizzera, e dovrà ritirarsi per concentrare gli sforzi nell'attività di ricerca.
Suo successore nella cattedra di Economia Politica sarà il celebre economista italiano Vilfredo Pareto che darà fama alla "Scuola economica di Losanna" fondata dallo stesso Walras. Nelle sue pubblicazioni Walras distingue tre diversi oggetti di studio: le "leggi dello scambio" (oggetto dell'economia pura, e maggiormente legate alle scienze naturali), la produzione della ricchezza (oggetto dell'economia applicata) e i problemi della distribuzione, che coinvolgono anche aspetti etici (oggetto dell'economia sociale).
Walras è stato uno dei tre capostipiti del marginalismo, in contrapposizione alla scuola classica dei primi economisti, anche se il suo scritto più importante: Éléments d’économie politique pure, ou théorie de la richesse sociale, (1874), fu pubblicato tre anni dopo la dissertazione delle idee marginaliste di William Stanley Jevons e Carl Menger.
Walras edifica una teoria del valore secondo la quale il principio per la determinazione dei valori di scambio (prezzi) è fondato sul concetto di utilità marginale (“rareté”), che Walras esprime in termini di unità fisica di uno di essi (“numéraire”).
Il modello viene arricchito recependo da Antoine Augustin Cournot il calcolo infinitesimale ed applicandolo all’economia pura. In tal modo Walras arrivò a dimostrare come, in condizioni di concorrenza perfetta, è possibile determinare un sistema di prezzi d’equilibrio che comporta l’eguaglianza tra domanda ed offerta in tutti i mercati, nonché l’eguaglianza tra costo di produzione e prezzo di vendita per ciascun bene e per ciascun imprenditore.
In tal modo, viene eliminato il mistero della “mano invisibile” in quanto non ce n’è più esigenza: mentre in Smith e nei classici, l’equilibrio era determinabile in due stadi - il primo era costituito dalla dimostrazione dell’esistenza logica dell’equilibrio, il secondo dalla dimostrazione del modo per arrivarvi - con Walras i due stadi sono diventati uno solo: dato che la dimostrazione dell’esistenza logica dell’equilibrio incorpora anche come arrivarvi, la “mano invisibile” non è più necessaria.
* 1920 - Cristoforo Benigno Crespi(Busto Arsizio, 18 ottobre 1833 – Milano, 5 gennaio 1920) è stato un imprenditore italiano nel settore tessile.
Era figlio di Antonio Crespi, discendente di una famiglia di imprenditori tessili di Busto Arsizio (VA).
Dopo aver brevemente seguito gli studi classici, si diplomò in ragioneria. Successivamente, aiutato dal padre, diede vita agli opifici di Vaprio, Vigevano e Ghemme.
Nel 1878 fondò lo stabilimento e il villaggio operaio di Crespi d'Adda, introducendo i più moderni sistemi di filatura dell'epoca.
Nel 1884 trasferì il suo domicilio a Milano, nella casa di via Borgonuovo, dove edde sede l'azienda. Nel 1904 costruì la centrale idroelettrica di Trezzo sull'Adda.
Era un grande appassionato d'arte e raccolse una delle più apprezzate e ricche collezioni di quadri, tra i quali dipinti di Tiziano, Canaletto e Rubens
Sposò Pia Travelli ed ebbe quattro figli, tra cui Silvio Benigno Crespi.
* 1929 - Nikolaj Nikolaevič Romanov (6 novembre 1856 – 5 gennaio 1929) era il primogenito del granduca Nicola il Vecchio e di Alessandra di Oldenburg; fu comandante in capo delle truppe russe durante il primo anno della Prima Guerra Mondiale ed in seguito viceré e vittorioso generale sul fronte del Caucaso.
Suo padre era il terzo figlio maschio dell'imperatore Nicola I di Russia e dell'imperatrice Aleksandra Fëdorovna, figlia di Federico Guglielmo III di Prussia e di Luisa di Meclemburgo-Strelitz. Sua madre era prima cugina del marito, in quanto figlia di Teresa di Nassau e del duca Pietro di Oldenburg, figlio del duca Giorgio e di Caterina Pavlovna Romanova, sorella di Nicola I. Cugino di secondo grado dell'imperatore Nicola II, era chiamato in famiglia Nikolaša oppure, per distinguerlo dallo zar, "Nicola l'alto" in contrapposizione a "Nicola il basso".
* 1947 - Guido Dorso (Avellino, 30 maggio 1892 – Avellino, 5 gennaio 1947) è stato un politico, meridionalista ed antifascista italiano.
«No, il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia; non chiede aiuto, ma libertà. Se il mezzoggiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l'esempio dei suoi figli migliori, tutto sarà inutile...» (La Rivoluzione Meridionale)
A partire dal 1925, in seguito alla promulgazione delle "leggi eccezionali", Dorso si ritira dalla vita pubblica, cercando il più possibile di non essere coinvolto in problemi a carattere politico, così come era avvenuto ad altri noti intellettuali dell'epoca avversi al regime. Si dedica quindi alla professione di avvocato civilista, senza mai tralasciare però gli studi politici. Nel 1938 si impegna per una ricerca sistematica per un'ampia biografia di Mussolini, di cui vedono la luce però solo i primi capitoli. Con la caduta del regime fascista nel 1943, Dorso torna all'attivismo politico intervenendo con una quindicina di articoli su diversi giornali.
Successivamente si iscrive al Partito d'Azione, riprendendo con nuovo vigore l'idea della necessità della formazione della nuova classe dirigente meridionale, in grado di sostituirsi ad uno Stato burocratico accentratore temporaneamente in crisi. L'adesione al partito fu comunque caratterizzata da alti e bassi. Di questi anni è la memorabile "Relazione sulla questione meridionale", pronunciata a Cosenza il 6 agosto 1944, durante il primo Congresso del Partito d'Azione.
Nel dicembre dello stesso anno per iniziativa di Dorso e del Partito d'Azione, si tiene a Bari il primo "Convegno di studi sui problemi del Mezzogiorno", cui Dorso partecipa con un saggio sulla classe dirigente meridionale. Dal luglio al dicembre 1945 dirige il quotidiano l'Azione, pubblicando alcuni importanti articoli che più tardi vengono da lui stesso raccolti col titolo L'occasione storica, e nei quali Dorso afferma la necessità di cogliere al volo l'opportunità fornita dalla storia di far nascere la nazione, completando il risorgimento, dopo quello della conquista regia.
Nel dicembre del 1945 si dimette dal Partito d'Azione in seguito alla constatazione del venir meno dell'impegno meridionalistico. Alle prime elezioni della neonata Repubblica Italiana, il 2 giugno 1946, si presenta a capo di una lista di Alleanza Repubblicana, la quale include molti dei meridionalisti campani e pugliesi, ma che non ottiene un numero sufficiente di voti l'ingresso in parlamento. Gli viene offerta la direzione de "La Nazione" di Firenze, ma Dorso è costretto a rinunciarvi a causa del peggiorare delle sue condizioni di salute. Muore a causa di uno scompenso cardiaco.
* 1970 - Max Born (Breslau, 11 dicembre 1882 – Göttingen, 5 gennaio 1970) è stato un fisico e matematico tedesco.
Nasce in una famiglia di origini ebraiche, figlio unico di Gustav Born (professore di anatomia e embriologia all'Università di Breslavia) e di Margarete Kauffmann. Educato inizialmente al König-Wilhelm-Gymnasium, Born proseguì gli studi all'Università di Breslavia e quindi all'Università di Heidelberg e in quella di Zurigo. Durante questo periodo entrò in contatto con diversi scienziati e matematici preminenti, tra cui Klein, Hilbert, Minkowski, Runge, Schwarzschild, e Voigt.
Nel 1909 venne nominato docente all'Università di Gottinga, dove rimase fino al 1912, quando si spostò per lavorare all'Università di Chicago. Nel 1919 dopo un periodo passato nell'esercito tedesco, divenne professore alla Johann Wolfgang Goethe-Universität di Francoforte sul Meno e successivamente, professore a Gottinga, 1921. Durante questo periodo, formulò l'interpretazione oggigiorno standard della densità di probabilità per ψ2 nell'Equazione di Schrödinger della meccanica quantistica, per la quale si aggiudicò il Premio Nobel per la fisica, circa tre decenni dopo. Nel 1933, a causa dell'attività anti-semita del governo tedesco, andò a insegnare all'Università di Cambridge, fino al 1936 e all'Università di Edimburgo, fino al 1953.
Dopo la seconda guerra mondiale, Max e Hedwig Born rientrarono dall'Inghilterra in Germania, ma i loro figli rimasero nel Commonwealth.
Tra i lavori pubblicati troviamo Dynamics of Crystal Lattices, Optics, Natural Philosophy of Cause and Chance e Zur Quantummechanik. Fu premiato nel 1954 con il Premio Nobel per la fisica, la Medaglia Stokes e nel 1950 con la Medaglia Hughes. In Natural Philosophy of Cause and Chance, Born risolse il rompicapo di Kant del Ding an Sich, la cosa in sé.
* 1981 - Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto (San Vito dei Normanni, 29 settembre 1901 – Elche de la Sierra, 5 gennaio 1981) è stato un filosofo, poeta e scrittore italiano.
Esponente della nobile famiglia siciliana dei Lanza di Trabia. Il suo vero nome è infatti Giuseppe Giovanni Luigi Enrico Lanza di Trabia-Branciforte. La sua personalità eccezionale riunisce caratteristiche disparate: poeta, scrittore, filosofo, pensatore religioso con una forte vena mistica, ma anche patriarca fondatore di comunità rurali sul modello di quelle gandhiane e attivista nonviolento contro la guerra d'Algeria o gli armamenti nucleari.
Così Lanza del Vasto ricorda la sua decisione di partire per l’India nell’autunno del 1936, autofinanziandosi con la vendita a un’amica facoltosa del manoscritto della sua prima opera, Giuda. Lanza non partiva alla ricerca di spiritualità, tanto più che la conversione al cristianesimo gli impegnava pienamente l’animo:
«Ma mi ero, non senza pena, convertito alla mia propria religione, e avevo il mio da fare per meditare le Scritture ed applicarne i comandamenti. E se mi si chiedeva “siete cristiano?”, rispondevo: “Sarebbe ben prezioso dire di sì. Tento di esserlo".» (L’Arca aveva una vigna per vela, p.11)
In India, Lanza conobbe il Mahatma Gandhi, con il quale stette qualche mese, per poi recarsi in Himalaya. Durante il viaggio «conobbi le inquietudini sociali dell’India ed il suo metodo di liberazione, la non violenza, che era molto contraria al mio carattere (come del resto credo sia contraria al carattere di tutti). Nessuno è non violento per natura: siamo violenti e non proviamo vergogna a dirlo, anzi lo diciamo con un certo orgoglio. Ma ciò che non diciamo è che la vigliaccheria e la violenza fanno la forza delle nazioni e degli eserciti e la non violenza consiste nel superare questi due grandi motivi della storia umana» (Pagni, cit., p.51). In India trova «un’umanità simile alla nostra quanto opposta: qualche cosa come un altro sesso» (Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle sorgenti, p.82).
Tornato dall’India dopo ulteriori peregrinazioni in Terra Santa, Lanza comprende che la sua vocazione è di fondare una comunità rurale nonviolenta, sul modello del gandhiano ashram, la comunità autarchica ed egualitaria che per il Mahatma doveva essere la cellula della società. Gli ci volle del tempo prima di riuscire a concretizzarla attraverso la fondazione della comunità dell’Arca.
Tra le poche persone a cui gli riesce di esporre il suo progetto c’è Simone Weil, che incontra a Marsiglia, nel 1941. Nonostante il suo pacifismo, la Weil non nutriva molta fiducia nella nonviolenza gandhiana. Lanza gliene parlò e lei sembrò comprendere meglio.
Poi parlarono della visione dell’Arca, che allora non si chiamava ancora così, ed era la prima volta che Lanza ne parlava con qualcuno: «Lei capì subito! “È un diamante bellissimo”, disse. “Sì,” risposi “è vero. Ha solo un minuscolo difetto: che non esiste”. E lei: “Ma esisterà, esisterà, perché Dio lo vuole”» (Pagni, cit., p.58-59).
Simone aveva ragione. L’ultima sede della comunità fu la Borie Noble, con circa centocinquanta persone che vivono nel modo più frugale e gioiosamente comunitario. Il nome venne quando si cominciò a parlare di “lanzismo”:
«Si cominciava a parlare di Lanzisti e Lanzismo, cosa che mi fece rizzare il pelo. “Amici miei”, annunciai, “noi ci chiameremeo l’Arca, quella di Noé beninteso. E noi gli animali dell’Arca.» (L’Arca aveva una vigna per vela, p.48).
Negli anni successivi numerosissime iniziative nonviolente videro protagonista Lanza e i suoi compagni, che seppero attirare l’attenzione dell’opinione pubblica francese e non solo.
La prima azione pubblica nonviolenta è del 1957, contro le torture e i massacri compiuti dai francesi in Algeria, e si svolge a Clichy in una casa dove aveva vissuto San Vincenzo de Paoli. L’azione fu guardata con relativo favore dalla stampa, e giunse la solidarietà di personalità come Mauriac o l’Abbé Pierre. Poi vennero le lotte contro il nucleare, la prima delle quali nel 1958: Lanza con i suoi compagni penetrano nel cancello di una centrale nucleare e vengono poi trascinati via dai poliziotti.
Poi ancora la campagna contro i “campi di assegnazione per residenza”, sorta di campi di concentramento per gli algerini “sospetti”, e quella in favore degli obiettori di coscienza. Durante la Quaresima del 1963, tra due sessioni del Concilio Vaticano II Lanza fece un digiuno di quaranta giorni compiuto nell’attesa di una parola forte sulla pace da parte della Chiesa. Poco dopo il trentesimo giorno, il Segretario di Stato consegnò a Chanterelle, la moglie di Lanza, il testo dell’enciclica Pacem in Terris: «Dentro ci sono cose che non sono mai state dette, pagine che potrebbero essere firmate da suo marito!» (ivi, p.99).
* 1984 - Giuseppe Fava detto Pippo (Palazzolo Acreide, 15 settembre 1925 – Catania, 5 gennaio 1984) è stato uno scrittore, giornalista e drammaturgo italiano, oltre che saggista e sceneggiatore.
Fu un personaggio carismatico, apprezzato dai propri collaboratori per la professionalità e il modo di vivere semplice. È stato direttore responsabile del Giornale del Sud e fondatore de I Siciliani, secondo giornale antimafia in Sicilia. Il film Palermo or Wolfsburg, di cui ha curato la sceneggiatura, ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino nel 1980. È stato ucciso nel gennaio 1984 e per quel delitto sono stati condannati alcuni membri del clan mafioso dei Santapaola. È stato il secondo intellettuale ad essere ucciso da Cosa nostra dopo Giuseppe Impastato (9 maggio 1978). È il padre del giornalista e politico Claudio Fava.
Alle ore 22 del 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava si trovava in via dello Stadio e stava andando a prendere la nipote che recitava in Pensaci, Giacomino! al Teatro Verga. Aveva appena lasciato la redazione del suo giornale. Non ebbe il tempo di scendere dalla sua Renault 5 che fu freddato da cinque proiettili calibro 7,65 alla nuca. Inizialmente, l'omicidio venne etichettato come delitto passionale, sia dalla stampa che dalla polizia. Si disse che la pistola utilizzata non fosse tra quelle solitamente impiegate in delitti a stampo mafioso. Si iniziò anche a frugare tra le carte de I Siciliani, in cerca di prove: un'altra ipotesi era il movente economico, per le difficoltà in cui versava la rivista.
Anche le istituzioni, in primis il sindaco Angelo Munzone, diedero peso a questa tesi, tanto da evitare di organizzare una cerimonia pubblica alla presenza delle più alte cariche cittadine. Le prime dichiarazioni ufficiali furono clamorose. L'onorevole Nino Drago chiese una chiusura rapida delle indagini perché «altrimenti i cavalieri potrebbero decidere di trasferire le loro fabbriche al Nord».
Il sindaco ribadì che la mafia a Catania non esisteva. A ciò ribatté l'alto commissario Emanuele De Francesco, che confermò che «la mafia è arrivata a Catania, ne sono certo», e il questore Agostino Conigliaro, sostenitore della pista del delitto di mafia.
Il funerale si tenne nella piccola chiesa di Santa Maria della Guardia in Ognina e poche persone diedero l'ultimo saluto al giornalista: furono soprattutto giovani ed operai quelli che accompagnarono la bara. Inoltre, ci fu chi fece notare che spesso Fava scriveva dei funerali di stato organizzati per altre vittime della mafia, a cui erano presenti ministri e alte cariche pubbliche: il suo, invece, fu disertato da molti, gli unici presenti erano il questore, alcuni membri del PCI e il presidente della regione Santi Nicita.
Successivamente, l'evidenza delle accuse lanciate da Fava sulle collusioni tra Cosa nostra e i cavalieri del lavoro catanesi viene rivalutata dalla magistratura, che avvia vari procedimenti giudiziari. L'attacco frontale che la mafia aveva messo in atto nei confronti delle istituzioni non poté passare inosservato. Dopo un primo stop nel 1985, per la sostituzione del sostituto procuratore aggiunto per "incompatibilità ambientale", il processo riprese a pieno ritmo solo nel 1994.
Nel 1998 si è concluso a Catania il processo denominato "Orsa Maggiore 3" dove per l'omicidio di Giuseppe Fava sono stati condannati all'ergastolo il boss mafioso Nitto Santapaola, ritenuto il mandante, Marcello D'Agata e Francesco Giammuso come organizzatori, e Aldo Ercolano come esecutore assieme al reo confesso Maurizio Avola. Nel 2001 le condanne all'ergastolo sono state confermate dalla Corte d'appello di Catania per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, accusati di essere stati i mandanti dell'omicidio. Assolti Marcello D'Agata e Franco Giammuso che in primo grado erano stati condannati all'ergastolo come esecutori dell'omicidio. L'ultimo processo si è concluso nel 2003 con la sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato Santapaola ed Ercolano all'ergastolo e Avola a sette anni patteggiati.
Sono stati due i pentiti protagonisti del processo: Luciano Grasso e Maurizio Avola. Entrambi sono stati presi di mira da La Sicilia, che ha annunciato il pentimento di Grasso prima ancora che avesse potuto testimoniare contro gli assassini di Fava (poi effettivamente l'avrebbe fatto, ma ad un altro inquirente) e che ha cercato più volte di screditare Avola tramite Tony Zermo. Avola, in particolare, spiegò che Santapaola organizzò l'omicidio per conto di alcuni «imprenditori catanesi» e di Luciano Liggio: nessuno di questi però è stato condannato come mandante.
«Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell'ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo.» (Pippo Fava. Lo spirito di un giornale. 11 ottobre 1981)
Giuseppe Fava era uno strenuo sostenitore della verità. L'articolo Lo spirito di un giornale fu il suo manifesto programmatico, in cui sottolineò l'importanza di denunciare attraverso la stampa per sminuire il potere della criminalità e per «realizzare giustizia e difendere la libertà». Il giornalista si dedicò soprattutto alla denuncia della mafia, il male che attanagliava la sua terra, e delle sue collusioni con la politica. Fu anche accostato a Pier Paolo Pasolini per le sue critiche alla classe dirigente. D'altro canto, l'intellettuale palazzolese fu anche apprezzato per i suoi lavori riguardanti lo sport e la cultura, a cui si dedicò per tutto l'arco della sua carriera. Per approfondire vedi il bel servizio a lui dedicato da "La storia siamo noi"
* 2001 - Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe, conosciuta anche come G.E.M. Anscombe o Elizabeth Anscombe (Limerick, 19 marzo 1919 – Cambridge, 5 gennaio 2001), è stata una filosofa britannica.
Allieva di Ludwig Wittgenstein, è diventata un'autorità nel campo di studio di questo filosofo, di cui ha pubblicato e tradotto gran parte della opere, in particolare le Ricerche filosofiche.
Nei suoi scritti ha trattato di filosofia della mente, filosofia dell'azione, logica filosofica, filosofia della lingua e etica.
Il suo articolo del 1958 Modern Moral Philosophy ha introdotto il concetto di consequenzialismo nel linguaggio della filosofia analitica e, insieme ad altri articoli successivi, ha avuto un'influenza fondamentale nel dibattito contemporaneo sulla concezione etica della virtù.
Il suo testo monografico Intenzione viene generalmente considerato come il suo lavoro più importante e influente, tanto da potersi affermare che è da questo lavoro che ha preso slancio il continuato interesse filosofico sui concetti di intenzione, azione e ragionamento pratico.
Fu maestra di Philippa Ruth Foot.
* 2002 - Ruggiero Romano (Fermo, 23 novembre 1923 – Parigi, 5 gennaio 2002) è stato uno storico e scrittore italiano.
Formatosi alla scuola di Federico Chabod e Delio Cantimori, nel 1947 si trasferì in Francia, dove insegnò alla Sorbona. Titolare poi della cattedra di problemi e metodi di storia economica presso l'Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi, fu lo studioso italiano che ha vissuto più da vicino l'esperienza dell'"École des Annales", la prestigiosa corrente francese nata attorno all'omonima rivista, cui la storiografia di questo secolo deve a fondamentali acquisizioni.
Con l'occhio fisso alle strutture economiche, Romano è andato accumulando negli anni una produzione ricchissima, priva di specializzazione cronologica o spaziale; dall'Italia del Rinascimento all'America indiana, dal Regno di Napoli al Cile del XVII secolo e all'industria moderna. Per l'editore Einaudi ha guidato due tra le maggiori iniziative editoriali del dopoguerra coordinando dapprima, con Corrado Vivanti, una "Storia d'Italia" in sei volumi (1972-1976) in cui si tratta di regni, di guerre, di scioperi, ma anche di cucina, di moda, di canzone popolare, di suolo; in seguito, più intento alle nuove strade del sapere che alla storia economica, dirigendo l'"Enciclopedia" (1977-1982).
Tra i suoi lavori si ricordano anche "Tra due crisi: l'Italia del Rinascimento" (1971), "L’Europa tra due crisi" (1980), "Storia dell’economia italiana" (1991), Opposte congiunture." La crisi del Seicento in Europa e in America" (1992) e "Braudel e noi" (1995), dedicato al grande storico francese.
È anche da ricordare l'ottima conduzione, gestione e moderazione, nel 1985, della breve ma assai approfondita serie televisiva RAI dedicata alla Guerra di Spagna del 1936/39. Versione italiana di una realizzazione della BBC, la serie citata ospitò, alternando la realizzazione britannica, un interessantissimo 'salotto' di discussione nel quale il Prof. Romano ebbe come ospiti grandi colleghi specializzati sul tema trattato quali Ignazio Delogu, Giorgio Rovida e Dario Puccini, solo per citarne alcuni.
La trasmissione suddetta resta a tutt'oggi (2009) una delle migliori realizzazioni RAI-BBC sulla Guerra Spagnola.