Il calendario del 5 Febbraio

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 62 - Terremoto a Pompei - danneggia le città romane di Pompei ed Ercolano e diversi monumenti di Neapolis fra cui il teatro romano.

▪ 251 - Sant'Agata muore martirizzata a Catania per non abiurare la sua fede.

▪ 1576 - Enrico di Navarra si converte al Cattolicesimo allo scopo di potersi assicurare i diritti al trono di Francia.

▪ 1597 - Un gruppo di cristiani giapponesi è condannato alla crocifissione dal nuovo governatore del Giappone per aver minacciato la società locale.

▪ 1631 - Roger Williams emigra a Boston.

▪ 1782 - Gli spagnoli sconfiggono i britannici e catturano Minorca.

▪ 1783 - Un violento terremoto colpisce la Calabria e la Sicilia. Lo descrivono Carlo Botta e Lazzaro Spallanzani.

▪ 1846 - Il The Oregon Spectator diventa il primo quotidiano sulla costa pacifica degli Stati Uniti.

▪ 1848 - Karl Marx e Friedrich Engels vengono processati per attività sovversiva: verranno assolti.

▪ 1885

  1. - Le truppe italiane occupano Massaua, in Eritrea
  2. . Re Leopoldo II del Belgio fonda lo Stato Libero del Congo come possedimento personale

▪ 1887 - Al Teatro La Scala di Milano prima dell'Otello di Giuseppe Verdi

▪ 1917 - Il Messico adotta la sua costituzione

▪ 1919 - Charlie Chaplin, Mary Pickford, Douglas Fairbanks, e D.W. Griffith lanciano la United Artists

▪ 1922 - DeWitt e Lila Wallace pubblicano il primo numero del Reader's Digest

▪ 1924
  1. - Il segnale orario dell'Osservatorio Reale di Greenwich viene trasmesso per la prima volta
  2. - Termina la prima Olimpiade invernale tenutasi a Chamonix

▪ 1936 - Al teatro Rivoli di New York, prima mondiale del film Tempi moderni di Charlie Chaplin

▪ 1937 - Il presidente statunitense Franklin D. Roosevelt propone un piano per allargare la Corte Suprema degli Stati Uniti

▪ 1939 - Guerra civile spagnola: Girona cade nelle mani dei golpisti

▪ 1945 - Seconda guerra mondiale: il generale statunitense Douglas MacArthur ritorna a Manila

▪ 1949 - Negli USA il rapporto Hoffman avanza critiche durissime circa l'utilizzo dei fondi del Piano Marshall da parte dell'Italia. In effetti, parte cospicua delle risorse (circa 15 miliardi di lire in 7 anni) viene stanziata, col celebre "Piano Fanfani", per la costruzione di case popolari per i lavoratori. L'indirizzo sociale delle risorse non è gradito agli Stati Uniti, che preferirebbero una destinazione tesa all'aumento del potere d'acquisto della popolazione, a favore dei prodotti industriali americani

▪ 1956 - Terminano i VII Giochi olimpici invernali tenutasi a Cortina d'Ampezzo

▪ 1958
  1. - Una bomba atomica viene persa dall'aviazione statunitense al largo della costa di Savannah (Georgia), non verrà mai recuperata
  2. - Gamal Abd el-Nasser viene nominato come primo presidente della Repubblica Araba Unita

▪ 1961 - Il Sunday Telegraph pubblica il suo primo numero

▪ 1962 - Il presidente francese Charles De Gaulle richiede che all'Algeria venga permesso di diventare una nazione indipendente

▪ 1971 - La navetta Apollo 14 sbarca sulla Luna

▪ 1988 - Manuel Noriega viene indiziato per traffico di droga e riciclaggio di denaro sporco

▪ 1991 - Una corte del Michigan mette alla sbarra il Dottor Jack Kevorkian per aver assistito dei suicidi

▪ 1994 - Byron De La Beckwith viene condannato per l'omicidio del 1963 del leader dei diritti civili Medgar Evers

▪ 1994 - Si consuma la strage del mercato coperto di mula Mustafe Bašeskije nella Sarajevo assediata ormai da due anni. Morirono 69 persone e almeno 200 rimasero ferite.

▪ 1997
  1. - Le banche di investimento Morgan Stanley e Dean Witter annunciano una fusione da 10 miliardi di dollari
  2. - Le cosiddette "Tre Grandi" banche della Svizzera annunciano la creazione di un fondo di 71 milioni di dollari per aiutare i sopravvissuti dell'Olocausto e le loro famiglie
  3. - Il programmatore italiano Nicola Salmoria, mettendo insieme alcuni emulatori di coin-op da lui stesso scritti poco più di un mese prima, rilascia la prima versione (0.1) del MAME

▪ 1999 - Mike Tyson viene condannato a un anno di carcere per aver aggredito due persone il 31 agosto 1998

▪ 2003 - Seconda guerra del golfo: Colin Powell tiene una relazione sull'Iraq al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

▪ 2004 - Haiti: il Fronte di resistenza rivoluzionaria dell'Artibonite, contrario al presidente Jean Bertrand Aristide, conquista Les Gonaives, quarta città del paese

Anniversari

* 251 - Sant'Agata, dal greco "buona, nobile di spirito" (Catania, 230 – Catania, 5 febbraio 251), patrona di Catania e di San Marino è, secondo la tradizione cristiana, una giovane santa vissuta tra il III e il IV secolo, durante il proconsolato di Quinziano.
Dalla Chiesa cattolica viene venerata come santa, vergine e martire. Il suo nome compare nel Martirologio da tempi antichissimi.
«Non valser spine e triboli,
non valsero catene;
né il minacciar d'un Preside
a trarla dal suo Bene,
a cui dall'età eterna
fu sacro il vergin fior » (Mario Rapisardi, Ode, per il 5 febbraio 1859)
«Tu che splendi in Paradiso,
coronata di vittoria,
Oh Sant'Agata la gloria,
per noi prega, prega di lassù » (Canto a Sant'Agata)


La Festa di Sant'Agata
Dal 3 al 5 febbraio, Catania dedica alla Santa una grande festa, misto di fede e di folklore. Secondo la tradizione alla notizia del rientro delle reliquie della santa il vescovo uscì in processione per la città a piedi scalzi, con le vesti da notte seguito dal clero, dai nobili e dal popolo. Controversa è l'origine del tradizionale abito che i devoti indossano nei giorni dei festeggiamenti: camici e guanti bianchi con in testa una papalina nera. Una radicata leggenda popolare vuole siano legati al fatto che, i cittadini catanesi, svegliati in piena notte dal suono delle campane al rientro delle reliquie in città, si riversarono nelle strade in camicia da notte; la leggenda risulta essere priva di fondamento poiché l'uso della camicia da notte risale al 1300 mentre la traslazione delle reliquie avvenne nel 1126. Un'altra leggenda afferma che l'abito bianco sia legato al precedente culto della dea Iside. Ma la tradizione storica più affermata indica che l'abito votivo altro non è che un saio penitenziale o cilicio, si afferma inoltre, che sia una tunica, bianca per purezza, indossata il 17 agosto, quando due soldati riportarono le reliquie a Catania da Costantinopoli.
Altri elementi caratteristici della festa sono il fercolo d'argento con i resti della Santa posto su un carro o Vara, anche questo in argento. Legati al veicolo due cordoni di oltre 100 metri a cui si aggrappano centinaia di “Devoti” (con il Sacco agatino - tunica bianca stretta da un cordone -, cuffia nera, fazzoletto e guanti bianchi) che fino al 6 febbraio tirano instancabilmente il carro. La Vara viene portata in processione insieme ad undici candelore o cannalori appartenenti ciascuna alle corporazioni degli artigiani cittadini. Tutto avviene fra ali di folla che agita bianchi fazzoletti e grida Cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti . È considerata tra le tre principali feste cattoliche a livello mondiale per affluenza.

* 1515 - Aldo Manuzio (in latino Aldus Manutius; Sermoneta o Bassiano, 1449 – Venezia, 5 febbraio 1515) è stato un editore e tipografo italiano. È ritenuto il maggiore tipografo del suo tempo e il primo editore in senso moderno. Introdusse numerose innovazioni destinate a segnare la storia della tipografia fino ai nostri giorni.
Le origini della famiglia e l'esatto luogo di nascita sono oscure. Nelle sue prime edizioni si firma "Aldus Manucius", dal 1497 "Manutius", che dai posteri è stato poi re-italianizzato in "Manuzio". Che il vero nome potesse essere Teobaldo Mannucci è notizia priva di fondamento, asserita dall'edizione di libero dominio della Enciclopedia Britannica, ma non confermata dalla letteratura scientifica.
Aldo studiò il latino a Roma con Gasparino da Verona e Domizio Calderini, e il greco a Ferrara con Guarino da Verona. Nel 1482 fu a Mirandola assieme al suo amico e compagno di studi Giovanni Pico.
Quando questi si trasferì a Firenze, procurò ad Aldo il posto di tutore dei suoi due nipoti Alberto III Pio e Lionello Pio, principi di Carpi. Alberto Pio, molto probabilmente, divenne poi il finanziatore delle prime stampe di Aldo (forse i 5 volumi delle opere di Aristotele), al quale donò anche delle terre nei pressi di Carpi. Il legame con Alberto Pio si mantenne tutta la vita.
In questo periodo devono essere maturati in Aldo dei piani molto precisi su quello che sarebbe diventato il suo progetto editoriale. La sua ambizione principale era quella di preservare la letteratura e la filosofia greca da ulteriore oblio, nonché il grande patrimonio della letteratura latina, diffondendone i capolavori in edizioni stampate. Scelse infine Venezia, la Serenissima, nel momento del suo massimo fulgore, come sede più idonea per la sua tipografia e vi si insediò attorno al 1490. I manoscritti e codici greci della Biblioteca Marciana (istituita con il lascito da parte del Cardinale Bessarione dell'intera sua collezione di libri), proprio in questo periodo, stavano rendendo la città lagunare il centro più importante per lo studio dei classici. Lì allacciò rapporti di collaborazione e di amicizia con letterati ed artisti del tempo e con molti studiosi greci fuggiti da Bisanzio e rifugiatisi a Venezia dopo la caduta dell'Impero Romano d'Oriente (1453).
Questi intensi rapporti intellettuali portarono infine (1502) alla fondazione dell'Accademia Aldina, dedicata agli studi ellenistici, che poteva annoverare alcuni dei più grandi studiosi dell'epoca (come Erasmo da Rotterdam, Pietro Bembo e Thomas Linacre) tra i suoi membri. L'Accademia, di cui conosciamo lo statuto, si prefiggeva di dare impulso allo studio dei classici greci in Italia ed in Europa. I suoi membri si impegnavano a parlare fra di loro soltanto in greco, e a versare una piccola multa, in caso di trasgressioni o errori, a un fondo comune che sarebbe poi servito a festosi banchetti.
Nel 1494 aprì la tipografia nella contrada di Sant'Agostin. Il suo motto, festina lente ovvero "affrettati con calma", apparve per la prima volta nel 1498 nella dedica delle opere di Poliziano. Era rappresentato da un simbolo raffigurante un'ancora con un delfino; questa immagine era incisa su una antica moneta romana donatagli da Pietro Bembo: l'ancora stava ad indicare la solidità, il delfino la velocità. Rapidamente, in tutt'Europa, i suoi volumi furono conosciuti come "Aldine".
Nel 1505 Aldo sposerà Maria, la figlia di Andrea Torresani (o Torresano) da Asola, che aveva rilevato la tipografia fondata a Venezia da Nicholas Jenson e che dal 1495 era in società con Aldo, assieme a Pierfrancesco Barbarigo, figlio del doge in carica Agostino Barbarigo. Vennero così a fondersi due tra gli editori più importanti della città.
La diffusione della lingua e della filosofia greca sembra essere stata l'ambizione prioritaria rispetto al profitto economico nell'operato di Aldo. La sua principale preoccupazione fu di mantenere altissima la qualità delle sue edizioni (che sono infatti considerate degli autentici tesori dai bibliofili), e non quella di renderle accessibili economicamente ad una cerchia più vasta possibile di lettori.
La commercializzazione delle sue opere era affidata a greci, e il greco era la lingua usata nelle conversazioni a casa sua nonché nelle istruzioni a tipografi e legatori. Impiegò non meno di trenta greci come correttori di bozze, ricercatori di manoscritti e calligrafi, sui cui modelli ricalcò i suoi caratteri.
Fra il 1495 ed 1498 pubblicò l'opera di Aristotele in 5 volumi. Nel 1499 pubblica, in volgare, un libro tanto eccentrico rispetto alla sua produzione quanto celeberrimo: la Hypnerotomachia Poliphili (ossia: La battaglia amorosa di Polifilo in sogno), romanzo attribuibile al domenicano Francesco Colonna (l'attribuzione è tuttora incerta ), con un apparato formidabile di xilografie splendide, uno dei volumi più pregiati (non solo per le illustrazioni) dell'umanesimo italiano.
Nel 1500 dette l'avvio ad una collana di libri (di dimensioni e prezzo ridotti) in cui per la prima volta venne utilizzato il carattere corsivo. I caratteri utilizzati erano detti aldini e assomigliavano alle lettere dei manoscritti greci da cui i libri a stampa erano copiati. Dai caratteri trasse il nome l'Accademia Aldina, che Manuzio fondò per accogliere numerosi artisti e studiosi fuggiti da Bisanzio e rifugiatisi a Venezia.
Nel 1501 compare la sua edizione di Virgilio in quel carattere corsivo che aveva fatto incidere dal bolognese Francesco Griffo (o Griffi) e che diventò tanto celebre da essere d'allora in poi imitato da tutti. Non solo: ma il volume era "in ottavo", e quindi in un formato molto più ridotto rispetto ai grandi e maestosi volumi "in folio" (cioè un foglio piegato in due, ossia quattro pagine) o a quelli "in quarto" (cioè di otto pagine): la enchiridion forma rese il libro, per la prima volta, maneggevole, leggero e quindi facilmente trasportabile.
Lo stesso Erasmo da Rotterdam, come tantissimi altri celebri eruditi dell'epoca, fece il primo passo per avvicinare Aldo, con cui nascerà una grande amicizia e una proficua collaborazione. Nel 1508 Aldo pubblicherà i suoi Adagia.
Aldo morì il 6 febbraio 1515, dopo aver stampato circa 130 edizioni, in greco, in latino e in volgare, fra le quali anche opere di contemporanei quali Erasmo, Angelo Poliziano o Pietro Bembo, ma soprattutto i grandi classici, da Aristotele a Tucidide, da Erodoto a Cicerone, da Sofocle a Luciano, a Catullo, a Virgilio, a Ovidio, a Omero e molti altri.
Dopo la sua morte, il suocero ed i due cognati continuarono la sua attività fino alla maggiore età dei suoi figli (fra i quali l'umanista Paolo Manuzio). La tipografia Aldina cessò l'attività dopo la terza generazione, con Aldo Manuzio il giovane. Oggi porta il suo nome il Progetto Manuzio, archivio elettronico di testi in lingua italiana.

Anche la Aldus Corporation (ora incorporata in Adobe), che nel 1985 pose le basi del Desktop Publishing professionale con il suo programma PageMaker, nel suo nome si riferiva a questo grande editore.

Opere
Le opere di Aldo Manuzio ancora oggi, a quasi cinque secoli di distanza, suscitano interesse e meraviglia. Le circa 130 edizioni in greco, latino e volgare da lui pubblicate in 20 anni di attività sono tuttora studiate in tutto il mondo. Il suo catalogo costituì una specie di enciclopedia del sapere umanistico.
I primi volumi uscirono nel 1494. Furono quelli che Aldo stesso definì i "Precursori della Biblioteca Greca": Ero e Leandro di Museo, la Galeomyomachia e i Salmi. Tra il 1495 ed il 1498 per la prima volta al mondo fu data alle stampe l'edizione completa di Aristotele. Seguirono le opere di Aristofane, Tucidide, Sofocle, Erodoto, Senofonte, Euripide, Demostene ed infine Platone. Dal 1501 Aldo si concentrò sui classici latini ed italiani che pubblicò per la prima volta in formato in ottavo e nel carattere corsivo, fatto appositamente disegnare all'incisore Francesco Griffo da Bologna.
L'impatto rivoluzionario delle edizioni di Aldo Manuzio appare particolarmente evidente paragonando l'elegante volume in formato ottavo del 1502 contenente la Divina Commedia, stampato in corsivo senza alcun commento, agli ingombranti incunabuli del decennio precedente, che seppellivano il testo di Dante sotto una mole insostenibile di commentari esegetici. Questa edizione, che sarebbe diventata la base di tutte le ristampe per i successivi tre secoli, fu curata da uno dei più eminenti letterati dell'alto Rinascimento, il veneziano Pietro Bembo (1470-1547), che fu uno dei principali consulenti di Aldo.
La II edizione della Commedia, uscita dal torchio a mano del grande stampatore nell'agosto del 1515 a Venezia, risulta essere la prima edizione illustrata in assoluto della famosa opera e, anche per questo, in genere è addirittura più ricercata dell'edizione del 1502.


Innovazioni
Il contributo forse più significativo di Aldo Manuzio alla moderna cultura della scrittura fu la definitiva sistemazione della punteggiatura: il punto come chiusura di periodo, la virgola, il punto e virgola, l'apostrofo e l'accento impiegati per la prima volta nella loro forma odierna. È scomparso invece il "punto mobile", usato da Aldo per chiudere le frasi interne al periodo.
Per i suoi volumi, Aldo introdusse, nell'editoria di cultura, il cosiddetto formato ottavo (fino ad allora usato solo in talune operette a carattere religioso), diverso dal manoscritto e dagli incunaboli dell'epoca per la sua maneggevolezza, portabilità e per le sue piccole dimensioni. Le Aldine erano quasi un precursore dei libri tascabili odierni. Il nuovo formato fu presto adottato in tutta Europa.
Manuzio è considerato anche l'inventore del carattere corsivo (corsivo italico o aldino), che aveva pensato come riproduzione della calligrafia cancelleresca rinascimentale e usato per la prima volta nel 1501 per la sua edizione di Virgilio e poi nel 1502 nella sua edizione di Dante (il corsivo si chiama italique in francese e italics in inglese proprio a causa della sua origine nella tipografia veneziana di Manuzio). Esecutore di questo primo corsivo fu l'incisore dell'officina di Aldo, Francesco Griffo.
Spetta ancora ad Aldo Manuzio il merito di aver pubblicato il primo catalogo delle proprie edizioni greche (1498) poi aggiornato con le successive opere latine e volgari (1503-13). Nei cataloghi si trova notizia degli argomenti trattati nei libri, trascrivendone i capitoli e fornendo apprezzamenti elogiativi circa la validità dell'opera.
Manuzio editò il primo libro con le pagine numerate su entrambi il lati (recto e verso).

* 1578/79 - Giovan Battista Moroni (Albino, 1522 – 5 febbraio 1578/1579) è stato un pittore italiano.
«Tuttavia quel Moron, quel Bergamasco
per esser gran pittor bravo e valente,
El vogio nominar seguramente
che de bona nomea l'ha pieno el tasco;
Ghè dei ritrat, ma in particolar
quel d'un sarto sì belo, e sì ben fato
che 'l parla più de qual si sa Avocato,
l'ha in man la forfe, e vu 'l vede' a tagiar
O in pitura Pitor, che carne impasta
o Bergamasco pien d'alto giudizio
più di così ti non puol far l'offitio:
Ti è Batista Moron, tanto me basta.
Marco Boschini, La carta del navegar pitoresco, Venezia, 1660 »


Il Moroni, formatosi presso il Moretto, da cui riprende l'intonazione severamente devozionale nei dipinti di soggetto religioso, è famoso soprattutto per la sua attività di ritrattista, con dipinti che possono essere definiti «ritratti in azione», presentando personaggi nell'attimo in cui stanno compiendo un gesto, in modo da evitare l'aridà fissità del ritratto ufficiale.
"La pittura grigia del Moroni, i suoi fondi segati dalla diagonale dell'ombra, la sua secchezza pur sempre dipinta, i suoi bianchi tra gessosi e cinerei, sono tutt'altro che in contrasto col Caravaggio, massime coi suoi esordi.
La Maddalena Doria siede nello stesso ambiente, ridotto ma traslucido e schietto, su cui già fondavano parecchi dei ritratti femminili del Moroni. D'altronde, anche nelle sue composizioni sacre - lasciando stare i molti casi in cui si limitò a plagiare il Moretto - ebbe il Moroni talvolta di mira una semplicità che non è soltanto arcaismo o impoverimento bigotto. Brani eccellenti e nuovi sono nella Cena ultima di Romano; nella pala di Parre, il San Paolo, in quello stupendo profilo perduto, va, oltre il Moretto, verso il Caravaggio..." (Longhi, 1929)

"Come nel periodo romantico avvenne che un artista, per la via del ritratto lasciasse a poco a poco le lindure accademiche, ogni giorno rinnovandosi all'osservazione continua di uomini e cose, così nel furoreggiar manieristico il Moroni, osservando e penetrando i suoi svariati clienti del castello, della piazza e del monastero, lasciò le trame abusate del Moretto, i giochi coloristici e i cangiantismi dei manieristi, per guardare con occhi limpidi la verità della vita" (Venturi, 1929)
"La rappresentazione religiosa ...è nel Moroni caratterizzata dalla più assoluta assenza di problematicità: è...un'enunciazione tematica della massima semplicità e ortodossia. Il termine realismo religioso a proposito del Moroni non è stato usato, ma esso si presenta con immediatezza alla mente...l'assenza stessa della tensione problmatica, che per contro nella pittura religiosa del tempo costituisce l'essenza del manierismo, fornisce queste opere di uno speciale carattere" (Spina, 1966)
"Non c'è dubbio che nei confronti del Buonvicino e degli altri maestri della generazione precedente interessati al fenomeno liministico, la qualità e la funzione della luce sono nel Moroni notevolmente diverse, nel senso che essa è ormai un'entità di cui lo sguardo del pittore, con un rigore intellettuale e selettivo che si esplica anche nell'indagine della realtà, scopre la presenza, ponendola in evidenza nel contesto. Tali risultati rappresentano un passaggio obbligato che si approssima stringentemente...alla visione del Caravaggio" (Gregori, 1979)
Il Savoldo "...studiò degli scorci che, quasi come le coeve anamorfosi (anche se ottenute per via empirica e con una pratica che è all'opposto dell'artificio manieristico) richiedono...uno sforzo di lettura ma che alla fine son ben decifrabili...indica la ricerca di un nuovo metodo trasgressivo di rappresentazione scorciata sulla base di un'indagine diretta ed empirica, quale si addiceva all'approccio al naturale dipingendo senza disegno" (Gregori, 1991)

▪ 1590 - Bernardino de Sahagún (al secolo Bernardino de Rivera, Ribera o Ribeira) (Sahagún, 1499 – Città del Messico, 5 febbraio 1590) è stato un missionario spagnolo, svolse la sua opera in Messico tra il popolo azteco (Náhua).
Studiò all'Universita di Salamanca ed entrò nell'ordine francescano probabilmente nel 1527. Nel 1529 si imbarcò per la Nuova Spagna. Trascorse i primi anni nel convento di Tlamanalco. Dal 1536 insegna grammatica latina nel Colegio de la Santa Cruz di Tlatelolco, dove i frati francescani insegnano ai figli dell'antica nobiltà messicana. Nel periodo compreso tra il 1540 ed il 1545 svolge inoltre alcuni ruoli ecclesiastici a Puebla e nella regione dei Vulcani. Nel 1558 viene inviato a Tepepolco dove rimane per due anni, prima di tornare a Tlatelolco. Nel 1585 si trasferisce nel Convento di San Francesco in Messico dove muore nel 1590 all'età di novant'anni.
A differenza di molti missionari del periodo, studiò la cultura Náhua e la lingua náhuatl compilando anche un lavoro (non in parallelo) in Spagnolo e in Náhuatl. Miguel León-Portilla ha rivendicato per Sahagún il titolo di "primo antropologo", perché il suo metodo di lavoro era insolitamente avanzato per i tempi.
Fin dal 1547 egli iniziò a raccogliere gli huehuetlatolli ("Parole degli anziani"), un insieme di modi di dire che costituivano una sorta di filosofia morale degli Aztechi. Dal 1950 iniziò anche a registrare i racconti indigeni della conquista. Nel 1558 iniziò a lavorare al suo lavoro più corposo, uno studio sulla religione azteca che col tempo diventerà un'enciclopedia in dodici volumi del sapere atzeco, in cui confluiranno anche i suoi studi precedenti.
Egli classificò tre gruppi di Náhualt "tlatimines" provenienti da differenti città. Fece domande, confrontò le risposte dei tre gruppi indipendenti e chiese numerosi chiarimenti riguardo alle varie differenze. Tutto questo fu fatto in Náhuatl.
Il lavoro di Sahagún è conosciuto grazie ad un manoscritto chiamato Codice fiorentino. Dopo una richiesta delle autorità spagnole ne scrisse una versione in castigliano, la Historia general de las cosas de Nueva España.
Per le sue critiche al disordine sociale introdotto dalla conquista spagnola nella Nuova Spagna, nel 1577 Filippo II promulgò un'ordinanza regia in cui vietò a chiunque di prenderne conoscenza e di contribuire alla sua diffusione. L'opera sarà pubblicata soltanto nel XIX secolo. Fortunatamente il frate ne conservò una copia, visto che l'originale è andato perduto.
Solo recentemente la parte in Náhuatl è stata completamente tradotta.

* 1597 - Paolo Miki (Pauro Miki; Tsunokuni, 1556 c.ca – Nagasaki, 5 febbraio 1597) è stato un missionario giapponese della Compagnia di Gesù.
Morì crocifisso durante una persecuzione anticristiana nel suo paese: è stato proclamato santo da papa Pio IX insieme ai 25 compagni di martirio.
Nato nei pressi di Kyōto da una nobile famiglia giapponese, ricevette il battesimo a 5 anni e a 22 entrò nei gesuiti come novizio: studiò presso i collegi dell'ordine di Azuchi e Takatsuki e divenne un missionario: non poté essere ordinato sacerdote a causa dell'assenza di un vescovo in Giappone.
La diffusione del cristianesimo fu inizialmente tollerata dalle autorità locali, ma nel 1587 lo shogun, Toyotomi Hideyoshi, mutò il suo atteggiamento nei confronti degli occidentali ed emanò un decreto di espulsione dei missionari stranieri.
L'ostilità antieuropea raggiunse il suo culmine nel 1596, quando si scatenò una persecuzione contro gli occidentali, quasi tutti religiosi, e i cristiani, considerati traditori. Nel dicembre di quell'anno, Paolo Miki venne arrestato insieme a due altri due compagni giapponesi del suo ordine, sei frati missionari spagnoli e i loro diciassette discepoli locali, terziari francescani.
Vennero crocifissi sulla collina di Tateyama, nei pressi di Nagasaki. Secondo la passio, Paolo continuò a predicare anche sulla croce, fino alla morte.
È stato beatificato, insieme ai compagni martiri, da papa Urbano VIII il 14 settembre 1627: l'8 giugno 1862 il gruppo è stato canonizzato da papa Pio IX.
La sua memoria liturgica si celebra il 6 febbraio.

* 1642 - Joan Anello Oliva (Napoli, 1574 – Lima, 5 febbraio 1642) è stato un gesuita e scrittore italiano che operò in Perù dal 1597 fino alla morte.
Oliva nacque in Napoli nel 1574 secondo i documenti conservati dai Gesuiti e riprodotti, di recente, nella raccolta intitolata "Monumenta Peruana" (Vol. VI, pag. 250). Tuttavia molti altri storiografi, anche eminenti, fanno risalire la sua nascita al 1572, ma si ritiene che la data indicata negli archivi del suo Ordine sia quella esatta.
Nel 1593 iniziò il suo noviziato presso i Gesuiti della sua città natale e fu ricevuto dal futuro Generale dell'Ordine, Muzio Vitelleschi.
Nel 1597, quando era ancora studente, venne inviato in Perù con un gruppo di sette sacerdoti, due altri studenti e due fratelli minori ("coadjutores") che assieme a lui formavano il numero simbolico di dodici.
Il giovane novizio completò i suoi studi in Lima presso il "Colegio Maximo de San Pablo" e, nel 1601, fu finalmente ordinato sacerdote.
Un ritratto dell'epoca, sempre conservato nei "Monumenta Peruana" (Vol. VI, Pag. 250) lo riconosce provvisto di "buoni principi di teologia", ma lo definisce anche "sanguigno e collerico" pur tuttavia provvisto di attitudini per l'organizzazione e le opere.
Successivamente fu destinato alle alte Ande, esattamente alla missione di Juli, nella regione di Chuquito per praticarvi il delicato impiego di evangelizzare gli indigeni locali. Nel 1625 si trovava nel "Colegio" gesuita di Chuquisaca e nel 1628 in Misque e a Cochabamba, ma aveva anche soggiornato a La Paz, Potosì, Oruro e ad Arequipa, sempre esercitando il suo apostolato a favore dei nativi.
Nel 1630, infine, ritornò a Lima per rimanervi per il resto della sua vita. Nel 1636 venne chiamato a dirigere il "Colegio" dei gesuiti ed occupò tale carica fino alla sua morte sopravvenuta il 5 febbraio del 1642. Dobbiamo inoltre ricordare che l'oliva era un grande appassionato di motori a vapore, che lui stesso costruiva e modificava, trasformandoli in motori da pista, da poi montare su i suoi carri da corsa. poco dopo tempo però un grave incidente lo portò via nel regno delle olive taggiasche.

Produzione letteraria
Oliva è l'autore di un'opera intitolata "Historia del Reyno y provincias del Perú y varones insignes en santidad de la Compañia de Jesus" pervenutaci tramite un manoscritto conservato nel British Museum Library di Londra (Ms. Aditional. 25327)
Oliva, probabilmente concepì il disegno della sua opera già durante i primi anni di studi in Lima, ma solamente dopo il suo primo soggiorno sulle Ande diede inizio alla stesura del manoscritto. Si stima che il suo inizio sia da datarsi al 1608 o, al più tardi, al 1609. Inizialmente intendeva ripercorrere la storia della Compagnia di Guesù nel Perù, ma volendo collocarne la venuta in un contesto storico si preoccupò di analizzare, per prima cosa, la storia della civiltà inca dalle origini fino all'ingresso dei Gesuiti nella colonia, passando per la conquista spagnola.
Ne sortì una descrizione della storia incaica originale e ricchissima di racconti leggendari, talvolta in contrapposizione con quanto riportato da altri cronisti. Egli è l'unico, per esempio, a sostenere che gli inca erano arrivati sulle Ande partendo da una emigrazione centroamericana di cui ha raccolto una significativa leggenda che si presume essere il ricordo di un antico cantare andato perduto.

Fonti usate
Oliva ebbe a disposizione diverse fonti di primaria importanza che, in buona parte, cita esplicitamente.
La sua favorita è, per sua ammissione, quella che attribuì ad un certo "Catari", un anziano "quipocamayo" che sosteneva di essere l'ultimo discendente di una stirpe di lettori di quipu, risalente addirittura al suo inventore, il famoso "Illa". Da questo antico saggio Oliva avrebbe attinto molte delle leggende che tramanda e che gli sarebbero state lette direttamente dalle cordicelle annodate ancora in possesso del suo informatore.
Un'altra importantissima fonte che Oliva poté adoperare è quella di alcuni scritti di Blas Valera che purtroppo non ci sono pervenuti. Il gesuita italiano cita un suo vocabolario storico, commentato, che sarebbe stato depositato presso la biblioteca della sua congregazione, ma, probabilmente, ebbe anche accesso alla storia degli inca scritta, in latino, dal gesuita meticcio, anch'essa andata perduta.
Ebbe poi accesso a svariate carte antiche che gli furono mostrate da Bartolomé Çervantes, un curato di Charcas e che egli definisce importantissime, ma che non cita in dettaglio. Sicuramente consultò Garcilaso de la Vega, Agústin de Zarate, Lopez de Gomara, Antonio de Herrera e Cieza de Léon oltre a tutta una serie di pubblicazioni religiose conservate dal suo Ordine.

Mancata pubblicazione
L'opera di Oliva venne accolta con giudizi elogiativi dai suoi conteporanei e ottenne l'approvazione della Congragazione provinciale di Lima, ma inaspettatamente ne fu negata la pubblicazione proprio dal Generale dell'Ordine, quel Muzio Vitelleschi, che pure aveva sempre appoggiato il gesuita italiano.
Le motivazioni addotte furono assai vaghe e il Generale dei Gesuiti rivendicò solamente la volontà di esaminare primariamente il libro in Roma per verificare se contenesse alcune delle cose che il Papa aveva espressamente vietato di riprodurre.
Si pensò, allora, che si trattasse di riferimenti positivi al riguardo del Padre Bartolomeo de Las Casas che non era, in quel tempo, gradito alla Corona di Spagna, ma la vera ragione del diniego rimase e lo è tutt'ora, avvolta nel mistero.
Successivi interventi di illustri gesuiti non riuscirono a far modificare la decisione e il manoscritto dovette attendere il 1895 per avere l'onore delle stampe.

Dispute attuali
Il nome di Oliva avrebbe, probabilmente, continuato ad essere ricordato soltanto dagli specialisti di storia peruviana se il ritrovamento di alcuni manoscritti dell'epoca non lo avesse portato all'ettenzione dei "mass media" infiammando, nel contempo, il mondo accademico.
Recentemente, infatti, sono apparsi degli antichi documenti di cui, uno in particolare, riferito al gesuita napoletano.
Si tratta del manoscritto a titolo "Historia et rudimenta linguae piruanorum", scritto da due religiosi dell'Ordine di Sant'Ignazio di Loyola.
Il testo è redatto in un linguaggio cifrato, composto da numeri, ma grazie ad un codice dell'epoca, riservato ai gesuiti, è stato possibile decifrarlo. I suoi autori si firmano con dei pseudonimi "JAC" e JAO", ma sono stati ugualmente individuati. Si tratta dei religiosi Joan Antonio Cumis di Catanzaro e di Joan Anello Oliva di Napoli.
Il documento redatto da Oliva è quello più interessante. Innanzitutto cita una fonte di informazione diversa da quella di "Catari". Si tratterebbe di un altro "quipucamaioc" di nome Chauarurac che gli avrebbe trasmesso una leggenda sulle origini delle genti peruviane che perverrebbero dalla Tartaria, previa fusione con un'altra razza bianca anch'essa attestata sulle Ande.
Introduce poi un riassunto su una relazione di un antico "conquistador" di nome Francisco de Chavez. In essa si sosterrebbe che l'attacco alle armate di Atahuallpa in Cajamarca fu favorito dall'uso di vino avvelenato, copiosamente distribuito ai capitani inca da due frati domenicani al seguito degli Spagnoli.
Le rivelazioni non sono però finite perché Oliva dichiara di aver personalmente conosciuto Blas Valera che, fintosi morto nel 1596, avrebbe riguadagnato il Perù per continuare la sua opera di apostolato, daccordo con la dirigenza dell'Ordine dell'epoca.
Durante questa sua seconda permanenza nel paese degli Inca, Blas Valera avrebbe addirittura scritto personalmente l'opera "Nueva Corónica y Buen Gobierno" attribuita da sempre a Guaman Poma de Ayala, che figurerebbe invece come un misero prestanome pagato allo scopo.
Sulla figura di Blas Valera, Oliva si profonde, poi, in ammirati giudizi elogiandone la sapienza e la lungimiranza per aver riconosciuto una natura precristiana nelle popolazioni andine e per aver, per questo, subito ogni sorta di angherie e tribolazioni.
Un altro aspetto del manoscritto di primaria importanza è quello riferito alla natura e al significato dei quipu, le cordicelle annodate che servivano agli inca di supporto mnemonico. Gli antichi storici hanno sempre adombrato una loro possibile funzione di scrittura, ma non hanno mai saputo individuarne le caratteristiche. Oliva, invece, dichiara di averne scoperto le basi di lettura e traccia le basi per una possibile decifrazione, per la verità, assai complessa.
È doveroso segnalare che l'autenticità dei documenti in questione è attualmente al centro di dispute tra gli esperti del settore, per cui è prematuro riconoscere la paternità di Oliva in queste sconvolgenti rivelazioni che, se confermate, obbligherebbero a rivedere buona parte delle attuali tesi sulla civiltà inca.

▪ 1881 - Thomas Carlyle (Ecclefechan, 4 dicembre 1795 – Londra, 5 febbraio 1881) è stato uno storico, saggista e filosofo scozzese, uno dei più famosi critici del primo periodo vittoriano.
Proveniva da una famiglia strettamente calvinista, convinta che Carlyle sarebbe divenuto un predicatore. Durante i suoi studi all'Università di Edimburgo, egli ebbe però una grave crisi spirituale che gli fece riconsiderare i limiti della sua fede istituzionale. Del resto, i valori del calvinismo rimasero assai influenti sulla sua vita e sulla sua opera. Questa combinazione di temperamento religioso e di smarrimento della fede cristiana tradizionale fece in modo di attrarre l'attenzione di molti vittoriani sulla sua opera. Tutto il XIX secolo fu infatti attraversato da importanti rivoluzioni tecnologiche e da sconvolgimenti politici che favorirono la crisi dell'ordine sociale tradizionale. Un riflesso di questa situazione è ravvisabile nella stessa vita di Carlyle, il quale, in tarda età, prenderà posizione a favore dello schiavismo, vittima forse di un irrigidirsi del proprio pensiero, ormai distante tanto dal passato che egli stesso aveva contribuito a mettere in discussione, quanto dal futuro, altrettanto dimentico delle pulsioni spirituali a lui care.
Carlyle ricevette la prima educazione all'Accademia di Annan. Dopo l'università, divenne un insegnante di matematica, prima ad Annan, poi a Kirkcaldy. Qui egli divenne intimo amico del mistico Edward Irving. Tra il 1819 e il 1821, Carlyle ritornò all'Università di Edimburgo. Fu qui che incappò in un'intensa crisi spirituale, esperienza che egli elaborò nel materiale biografico concernente il Diogenes Teufelsdröckh di Sartor Resartus. Fu sempre qui che iniziò a interessarsi di letteratura tedesca: in particolare, è il trascendentalismo tedesco (soprattutto Fichte) che lo interessò. Nel 1826, Carlyle sposò Jane Welsh (1801-1866), la quale vantava, peraltro, una discendenza dal predicatore John Welsh.
I suoi scritti riflettono la disillusione con gli amari conflitti sociali che si affacciavano nel periodo della rivoluzione industriale. Criticò i suoi contemporanei attaccando il loro materialismo e il loro ottimismo nel progresso e proponendo il concetto di eroe (come i grandi uomini, quali Lutero, Dante, Shakespeare, Cromwell, Federico II di Prussia, ecc.) come il solo arbitro della bontà e della giustizia umana. In questo senso, la sua opera manifesta apertamente la sua affinità con il romanticismo tedesco in campo sia letterario che filosofico.
La sua ricerca culturale fu ripresa con essenziali cambiamenti da Ralph Waldo Emerson, che introdusse l'idea, radicalmente diversa e intimamente democratica, di 'uomini rappresentativi'.
Carlyle appartiene al tardo illuminismo scozzese, ma i suoi pamphlet, saggi e discorsi raggiungono una dimensione internazionale. D'altra parte, internazionale è anche la sua formazione: egli conosce a tal punto il pensiero tedesco moderno da potersi permettere una Life of Schiller e una traduzione del Wilhelm Meister di Goethe. Si stabilisce a Londra, ormai divenuta la capitale del mondo moderno, in cerca di un più vasto pubblico.
Il saggio Chartism del 1839 (l'anno prima del People's Charter) mette in guardia dalla crescente minaccia della lotta di classe affermando che "These Chartism, Radicalism, Reform Bill... are our French Revolution" e inquadrando "The condition of England Question" (il problema della condizione inglese). Past and present (1843) ribadisce l'idea vittoriana, d'origine medievale, di un passato stratificato e meno conflittuale e ammette che la rivoluzione industriale ha completamente stravolto società ed istituzioni.
Il grande trattato storico The french revolution del 1837 inizia con la morte di Luigi XV e con la descrizione delle carenze dell'ancien régime per arrivare fino a Napoleone e alla successiva perdita di controllo della situazione. L'autore utilizza anche documenti storici fino ad allora considerati marginali come lettere, articoli di giornale e pamphlet. Ancora una volta (come in Chartism) l'Inghilterra viene messa in guardia dagli sconvolgimenti sociali. Nello stile di Carlyle si sentono il ritmo biblico e il peso che hanno valori quali la sottomissione a Dio e l'impegno nel lavoro.
Nel saggio Gli eroi del 1841 definisce la storia come quella rappresentata dalle grandi personalità e si sofferma sullo studio delle manifestazioni di eroismo umano.
In seguito riafferma una dura critica nei confronti della società meccanica, alla quale ne contrappone, invece, una spirituale impregnata di volontà e valori morali. L'universo non è un bazar ma il tempio dello spirito. La scienza non è in grado di spiegare i fondamentali quesiti del mondo e nemmeno di porsi come chiave di accesso alle conoscenze e ai misteri. La materia esiste solo per lo spirito, e rappresenta la parte esteriore delle idee. Gli eroi sono gli strumenti della provvidenza divina che governa la storia, e grazie alla loro azione l'umanità lascia una traccia di sé ai posteri.

Fortuna
Per quanto si riconosca che Carlyle è stato uno dei maggiori pensatori del XIX secolo, a oscurare la sua fortuna postuma hanno concorso due fattori fondamentali: innanzitutto, le posizioni razziste da lui assunte nelle ultime opere e, in secondo luogo, la passione che Adolf Hitler nutriva per la biografia scritta da Carlyle su Federico II di Prussia. È stato dunque facile legare il suo nome ad un pensiero severo e intollerante (si veda anche la riflessione sugli eroi, che tanto influenzerà Emerson, non a sproposito associata al superomismo successivo), per quanto sia vero che le posizioni espresse, ad esempio, nel Sartor Resartus lasciano intendere, piuttosto, una sensibilità solipsistica dell'uomo superiore di fronte alla legge. Non è un caso, quindi, che nel film Confessioni di una mente pericolosa di George Clooney, i due protagonisti (due spie senza troppe remore) dichiarino che Carlyle è il loro filosofo preferito. Decisamente privo di contenuto appare invece il riferimento che a Carlyle si fa nella serie televisiva Lost, in cui i nomi di diversi personaggi riprendono più o meno fedelmente quello di famosi filosofi (a Carlyle deve il nome Boone Carlyle).

▪ 1905 - Antoine Alphonse Chassepot (Mutzig, 4 marzo 1833 – Gagny, 5 febbraio 1905) è stato un inventore francese.

Figlio di un armaiolo, seguì le orme paterne ed entrò nel 1851 nella fabbrica d'armi di Châtellerault (Manufacture d'armes de Châtellerault) e successivamente a Saint-Étienne (Manufacture Nationale d'Armes de Saint-Étienne) con la qualifica di ispettore (contrôleurs d'armes).
Si interessò molto al fucile ad ago Dreyse, con cui era armato l'esercito prussiano. Nel anni '60 brevettò il fucile a retrocarica, che da lui prese il nome. Il fucile venne adottato dall'esercito francese dopo la battaglia di Sadowa, quando si rese evidente la superiorità delle armi a retrocarica.
Come riconoscimento, le autorità francesi gli conferirono la Legione d'onore ed una gratifica di 30.000 franchi.

▪ 1908 - Ferdinando Bocconi (Milano, 11 novembre 1836 – Milano, 5 febbraio 1908) è stato un imprenditore e senatore italiano.
Intorno alla metà dell'Ottocento Ferdinando Bocconi inizia a lavorare con il padre come ambulante di stoffe e vestiti usati a Lodi.
Nel 1865 apre, insieme al fratello Luigi, un piccolo negozio in Via Santa Radegonda a Milano, i Magazzini Fratelli Bocconi, primo emporio italiano di abiti confezionati maschili.
Visto il successo, il negozio si trasforma nel primo grande magazzino italiano per la vendita di stoffe, abbigliamento ed arredi (1877), e apre filiali in varie città italiane. Il centro commerciale si chiama "Aux villes d'Italie" con sede in via Tommaso Grossi a Milano, poi ribattezzato "Alle città d'Italia". Verso il 1880 i grandi magazzini iniziano ad avvalersi anche della vendita per corrispondenza, attraverso cataloghi stagionali (gli "Album delle Novità"). Nel 1889 è inaugurata la nuova sede milanese in Piazza Duomo, che occupa 132 persone.
Ferdinando Bocconi manda i figli a studiare in Svizzera e Stati Uniti e quando, nel 1896, il figlio Luigi scompare tra i dispersi della battaglia di Abba Garima (nei pressi di Adua), fonda in sua memoria l'Università Commerciale Luigi Bocconi (1902). Nel 1906 è nominato senatore; due anni dopo, l'imprenditore si spegne a Milano.
Alla sua morte, il figlio Ettore prosegue l'attività del padre, ma gli affari non vanno ugualmente bene. I Magazzini Bocconi diventano una società per azioni, e nel 1917 vengono rilevati dal Senatore Borletti, imprenditore milanese dell'industria meccanica e tessile, grazie al sostegno di una cordata di imprenditori. L'inaugurazione è l'anno seguente, e per l'occasione il nome cambia con quello coniato da Gabriele D'Annunzio: "La Rinascente".

▪ 1937 - Lou von Salomé, anche nota come Lou Andreas-Salomé (San Pietroburgo, 12 febbraio 1861 – Gottinga, 5 febbraio 1937), è stata una scrittrice e psicoanalista tedesca di origine russa. Fu la giovane e affascinante russa, che Friedrich Nietzsche conobbe nel 1882 e che probabilmente lo ispirò a creare le prime due parti della sua opera più importante: Così parlò Zarathustra.
Lou von Salomé nacque il 12 febbraio 1861 a S.Pietroburgo nella famiglia di un generale russo, d'origine tedesca, ma gran patriota. Lou, unica femmina di sei figli, imparò presto in casa francese e tedesco e già a diciassette anni aveva ricevuto una formazione in filosofia, teologia e storia della religione. Conosceva piuttosto bene la letteratura francese e tedesca. Dopo la morte di Nietzsche due donne pubblicarono le loro memorie: Elisabeth Förster-Nietzsche e Lou Andreas von Salomé.
Alcuni chiamarono Lou La Grande Rivoluzione Russa nella vita di Nietzsche. Di lei era innamorato anche il poeta Rilke. Lei elogiava particolarmente il padre della psicoanalisi Sigmund Freud ed era una profonda conoscitrice di Ibsen, Tolstoj, Turgenev, Wagner, ecc. Lei, che fu vergine fino all'età di trent'anni, dopo aver avuto finalmente la prima esperienza intima, scrisse un libro che divenne un vero bestseller nei paesi europei: Erotica.
Si interessò a lungo di psicoanalisi, e rimase a lungo in contatto con i circoli psicoanalitici ed alcuni dei più noti psicoanalisti dell'epoca (tra cui Sandor Ferenczi e Viktor Tausk, con cui ebbe una relazione sentimentale).
Nel 1882, Friedrich Nietzsche, trentottenne, conobbe Lou Andreas Salomé, che all'epoca aveva solo 21 anni. Lou Andreas Salomé voleva costruire una piccola comune intellettuale, una specie di "trinità" filosofica tra lei, Nietzsche e l'amico Paul Rée, di 32 anni. Nietzsche, innamorato della "giovane e affascinante russa", volle sposarla, ma ottenne solo il rifiuto. Deluso nelle sue aspettative, in una grande depressione Nietzsche scrisse la prima parte del libro Così parlò Zarathustra.

▪ 1944 - Leone Ginzburg (Odessa, 4 aprile 1909 – Roma, 5 febbraio 1944) è stato un letterato e antifascista italiano, uno dei principali animatori della cultura italiana negli anni trenta.
Di famiglia ebraica, e di origine ucraina, frequentò in un primo momento il liceo classico "Massimo d'Azeglio", a Torino, dove conobbe Vittorio Foa.
Dopo la maturità al Liceo Classico Vincenzo Gioberti di Torino, fu studioso e docente di letteratura russa, partecipò allo storico gruppo di intellettuali di area socialista e radical-liberale (tra gli altri, Norberto Bobbio, Vittorio Foa, Cesare Pavese, Carlo Levi, Elio Vittorini, Massimo Mila, Luigi Salvatorelli) che collaborarono alla nascita a Torino della casa editrice Einaudi.
In campo politico fu un federalista convinto, attivo antifascista, tra i fondatori del movimento "Giustizia e Libertà". Fu per questo arrestato nel 1934 e condannato a quattro anni di carcere. Rilasciato nel 1936 in seguito a un'amnistia, proseguì la sua attività letteraria e di antifascista.
Nel 1938 sposò Natalia Ginzburg, dalla quale ebbe tre figli: Carlo, poi divenuto noto storico, Andrea, economista, e Alessandra, psicanalista.
Nel 1940 fu condannato al confino politico in Abruzzo.
Liberato nel 1943 alla caduta nel fascismo, si spostò a Roma dove fu uno degli animatori della Resistenza nella capitale. Nuovamente catturato e incarcerato a Regina Coeli, dove fu torturato dai tedeschi perché si rifiutò di collaborare. Morì in carcere, in conseguenza delle torture subite, nel febbraio 1944.
Saranno pubblicati postumi la raccolta di saggi Scrittori russi nel 1948 e il volume di Scritti nel 1964.

▪ 1966 - Ludwig Binswanger (Kreuzlingen, 13 aprile 1881 – Kreuzlingen, 5 febbraio 1966) è stato uno psichiatra e psicologo svizzero.
Massimo esponente dell'analisi esistenziale e della psichiatria fenomenologica, fu profondo oppositore della nosografia psichiatrica di Kraepelin. Così facendo traspose la fenomenologia di Husserl e, ancor di più, il pensiero di Heidegger nel campo della salute mentale; in particolare oggetto del suo studio fu la schizofrenia.
Suo nonno, anche lui di nome Ludwig, fondò il "Bellevue Sanatorium" situato a Kreuzlingen, mentre suo zio Otto fu un professore di psichiatria alla Università di Jena.
Dal 1907 in poi, ebbe la fortuna, lui giovane medico agli esordi, di lavorare con alcuni dei più importanti psicologi del suo tempo, come per esempio Carl Jung, Eugen Bleuler, e Sigmund Freud, con il quale mantenne un rapporto di amicizia fino alla morte del padre della psicoanalisi.
Per Binswanger la malattia mentale è uno dei modi di porsi dell'essere umano, una modalità del suo essere-nel-mondo, una peculiare disposizione soggettiva nei confronti della realtà e della vita interpersonale.
Rispetto a Freud, B. non condivide che l'intero meccanismo psichico dell'individuo sia messo in modo esclusivamente dall'ES e dalle pulsioni. Definisce l'uomo freudiano come "uomo natura" ridotto ad oggetto di ricerca naturalistica, chiuso tra pulsione ed illusione. Per B. deve esserci qualcosa di più, una dinamica diversa che provoca piacere.
Sente quindi l'esigenza di effettuare un'analisi epistemologica approfondita prendendo in considerazione il SE', il piacere e gli oggetti

L'uomo nel suo significato dell'esser-ci
A Binswanger interessa analizzare la persona e come essa si declina corporalmente nel mondo; come viva nel mondo in quanto corpo; come esprima la sua dimensione corporea. Non esiste una storia di vita senza un organismo umano e viceversa. Gli interessa "il corpo che sono" (LEIB), non solo il "corpo che ho" (KÖRPER): la vera psicologia studia il LEIB perciò diventa antropoanalisi.
Ed è quanto mai necessario che i medici prendano in considerazione anche il LEIB e non solo il KÖRPER.
Pertanto lo studio di B. si rivolge alla persona nel suo esser-ci PER e CON l'altro. La persona si realizza attraverso la sua possibilità di declinarsi in modo di essere nell'amore.
Esisenza autentica ed inautentica
B. considera autentica un'esistenza legata ad un progetto di trascendenza; inautentica quanto l'essere è confinato nelle limitazione dell'autonomia (mancanza di libertà)--> essere costretto ad essere. Non essere capaci di affermare la propria indipendenza dal mondo.

Concetto di maturazione
Quando l'essere umano raggiunge un rapporto autentico con il mondo e la relazione non è fine a sè stessa ma SERVE ad un FINE che trascende ed OLTREPASSA la persona stessa.

Quando nasce la malattia?
Per B. la malattia nasce quando la persona non riesce a trascendere ed autodeterminare il proprio modo di essere. L'amore costituisce il modo di trascendere il mondo in cui la persona si annulla e si abbandona (per causa nostra); prendersi cura invece è il modo di trascendere il mondo "per causa mia".
E' chiaro quindi che B. studia la persona vista come PLURALE (il noi) e concepisce l'autorealizzazione come progetto da realizzare, persona da amare

* 1967 - Violeta del Carmen Parra Sandoval (San Carlos, 4 ottobre 1917 – Santiago del Cile, 5 febbraio 1967) è stata una cantante, poetessa e pittrice cilena. A Violeta Parra si deve un'importante opera di recupero e diffusione della tradizione popolare del Cile, opera proseguita poi dal movimento della Nueva Canción Chilena. Nelle sue canzoni sono sempre presenti la denuncia e la protesta per le ingiustizie sociali.
Sorella di Nicanor Parra, Violeta vive un'infanzia difficile a causa delle ristrettezze economiche in cui versa una famiglia numerosa composta da dieci fratelli. Proprio questi problemi la spingono a cercare di guadagnare qualcosa cantando e suonando insieme ai fratelli per le strade, nei circhi e persino nei bordelli.
Nel 1937, si trasferisce a Santiago del Cile dove conosce e sposa Luis Cereceda. Da questo matrimonio, finito nel 1948, nascono i figli Ángel e Isabel, che in seguito seguiranno le orme delle madre diventando anch'essi cantanti.
Violeta lavora suonando nelle sale da ballo e talvolta per piccole stazioni radio. Incomincia intanto ad interessarsi alla ricerca delle tradizioni popolari del suo paese.
Nel 1949 si sposa nuovamente e da questo nuovo legame nascono le figlie Luisa e Rosita Clara.
Nel 1953, dopo un recital a casa di Pablo Neruda viene chiamata da Radio Cile per un programma sul folclore locale. Nel 1954 riceve il premio Caupolicán ed inizia una serie di tournée che la porteranno in Europa, in occasione del Festival della Gioventù di Varsavia, ed in Unione Sovietica. Soggiorna poi a Parigi per quasi due anni, tornando in Cile nel 1956 dove inizia ad unire all'attività musicale (recital e ricerca) quella di pittrice.
Nel 1960 incontra il musicologo e antropologo svizzero Gilbert Favre, che diventerà l'amore della sua vita e al quale dedicherà centinaia di canzoni d'amore, tra cui le più conosciute sono Corazón maldito, El Gavilán, Gavilán, Qué he sacado con quererte, Run Run se fue pa'l Norte.
Nel 1961 torna in Europa, accompagnata dai figli Isabel e Ángel, per una lunga tournée che la porta anche in Italia. Nel 1964 è la prima donna latinoamerica ad esporre le proprie opere in una personale al Museo del Louvre (sezione Arti decorative). Nel 1965 ritorna in Cile. Qui installa un grande tendone (la carpa de la Reina) alle porte della capitale Santiago, che nelle intenzioni della Parra deve essere un centro culturale concentrato nella ricerca sul folclore cileno (Centro delle Arti). È sostenuta dai suoi figli e da altri artisti come Patricio Manns, Rolando Alarcón e Víctor Jara, ma non riesce ad interessare il grande pubblico.
Nel 1966 registra dei nuovi dischi, viaggia in Bolivia, dà una serie di concerti nel sud del Cile e poi torna a Santiago per continuare il suo lavoro artistico al Centro delle Arti. Qui scrive le sue ultime canzoni.
La sua relazione sentimentale con Gilbert Favre finisce. Lui parte per la Bolivia, dove diviene il co-fondatore del gruppo musicale Los Jairas. Questo dramma personale ispira a Parra una delle sue canzoni più conosciute: Run Run se fue pa'l Norte. Sempre nel 1966 Parra registra quello che sarà il suo ultimo disco: Gracias a la Vida, Volver a los 17, Rin del angelito sulla mortalità infantile, Pupila de águila, Cantores que reflexionan e El albertío.
Il 5 febbraio 1967, all'età di cinquant'anni, colpita da una grave forma di depressione, Violeta Parra mette fine ai suoi giorni. La sua canzone Gracias a la Vida è considerata il suo testamento spirituale ed è stata interpretata da numerosi cantanti.
Nel 1970 viene pubblicata la raccolta di versi Décimas, da cui il gruppo degli Inti-Illimani, insieme ad Isabel Parra, ha tratto la cantata Canto para una semilla.
Una raccolta di testi delle sue canzoni, con notevole apparato critico, è stata pubblicata in Italia col semplice titolo Canzoni.
Fondazione Violeta Parra
Nel 1991 è stata creata una fondazione a lei dedicata. Attualmente ne è presidente la figlia Isabel Parra. La fondazione ha lo scopo di riunire ed organizzare l'opera di Violeta Parra.

▪ 1983 - Giovanni Marcora - nome di battaglia Albertino - (Inveruno, 22 dicembre 1922 – Inveruno, 5 febbraio 1983) è stato un partigiano, imprenditore e politico italiano, già ministro della Repubblica.
Affiancò all'attività imprenditoriale quella politica nelle file della Democrazia Cristiana, cui aveva aderito durante la Resistenza partigiana, nella "Brigata Val Toce" una formazione inquadrata tra le Brigate Fiamme Verdi di orientamento cattolico che nel 1945 conterà circa 20000 partigiani, molto attiva nella liberazione della val d'Ossola e comandata anche da Alfredo Di Dio e di cui lui diventerà vicecomandante nel Raggruppamento divisione Fratelli Di Dio[2].
Nel 1953 promosse la fondazione della rivista "La Base" e dell'omonima corrente della DC, di cui fu segretario amministrativo per trent'anni.
Entrato nel consiglio nazionale dello Scudo Crociato nel 1962 ed eletto senatore nel 1968 (e sempre confermato fino alla morte), entrò nella direzione nel partito nel 1969 diventandone vicesegretario nazionale nel 1973.
In qualità di relatore, fu il padre della legge 772 che nel 1972 riconobbe l'obiezione di coscienza al servizio militare di leva, in vigore in Italia fino alla fine del 2004, consentendo di svolgere un servizio civile sostitutivo.
Ministro dell'Agricoltura dal 1974 al 1980, fu poi a capo del dicastero dell'Industria e presidente della delegazione democristiana dal 1981 al 1982, cercando di fronteggiare la crisi produttiva ed occupazionale.

▪ 1993 - Hans Jonas (Mönchengladbach, 10 maggio 1903 – New York, 5 febbraio 1993) è stato un filosofo tedesco di origine ebraica.
Allievo di Martin Heidegger e Rudolf Bultmann e compagno di studi di Hannah Arendt nel corso degli anni Venti, laureatosi a Marburgo, si dedicò allo studio dello gnosticismo.
Jonas sarà costretto, come molti altri intellettuali a lui contemporanei, a emigrare dapprima in Inghilterra dopo l'avvento del nazismo e poi a trasferirsi in Palestina. Partecipò come volontario alla seconda guerra mondiale, militando nell'esercito inglese. Contribuì alla liberazione dell'Italia e nell'ultima fase della guerra si spostò in Germania.
Tornato in Palestina, partecipò alla guerra di indipendenza israeliana del 1948, quindi iniziò la sua carriera di docente alla "Hebrew University" di Gerusalemme, prima di trasferirsi a New York dove visse tutto il resto della sua vita.
Continuò negli Stati Uniti la professione di insegnante, in varie università.

Pensiero
Il percorso teoretico di Hans Jonas si divide in tre tappe: la prima è caratterizzata dallo studio del passato in una prospettiva di storia dello spirito che individua il rilievo filosofico delle religioni gnostiche nell'essere la forma originaria del nichilismo contemporaneo (Germania, 1920-33); la seconda segna un passaggio verso lo studio del presente, come filosofia della natura elaborata in un serrato confronto con il metodo e i risultati delle scienze naturali (Canada, 1949-55); la terza tappa è marcata da un sentimento di paura per il futuro per stornare il quale il nostro autore varca la soglia della filosofia teoretica e si impegna nell'elaborazione di una filosofia pratica, alla ricerca di un'etica e di una politica adeguate alla civiltà tecnologica (Stati Uniti, 1955-93).
L'eterogeneità solo apparente di temi come la religione, la natura e l'etica si rivela nella sostanziale continuità di intenti di tutta l'opera, una riflessione ininterrotta sugli atteggiamenti fondamentali dell'uomo occidentale verso il “mondo” che ha come tema centrale la crisi del rapporto tra l'uomo e la natura, l'incapacità culturale di cogliere la trama delle loro relazioni.
Questo orientamento radicale verso il mondo provocherà Jonas, attraverso la sua partecipazione diretta ai catastrofici eventi del “secolo breve”, ad includere il presente nella propria filosofia. L'impatto con la storia, scritta “a tratti di sangue e di fuoco”, porta nell'opera filosofica le questioni “perenni e fondamentali della filosofia”, l'essere della natura, l'essere dell'uomo, la storia; in breve il nostro posto nel mondo. Dunque si può dire che in tutte le tappe del suo percorso teoretico Jonas assume i motivi di crisi del presente come sfida filosofica per ripensare la filosofia stessa.

Filosofia della natura
Nella raccolta di saggi dal titolo Organismo e libertà: verso una biologia filosofica (1964) Jonas ci offre la propria "interpretazione 'ontologica' di fenomeni biologici [...] ridando così all'unità psicofisica della vita il posto nel tutto teoretico che ha perso a partire da Cartesio a causa della divisione del mentale dal materiale" p. 3. Attraverso questa “revisione dell'idea della natura” l'etica viene ad essere una parte della filosofia della natura, ed entrambe vengono sorrette da una ontologia fondamentale, ossia “da una interpretazione della realtà [o almeno della vita] come un tutto”. Nell'Epilogo del libro, Natura ed etica, Jonas dichiara necessario il “riaprire la questione ontologica dell'essere umano nell'essere complessivo del mondo [...]” p. 305-6.

Filosofia della tecnica
Nella raccolta di saggi dal titolo Dalla fede antica all'uomo tecnologico (1972) Jonas riserva ampio spazio alla questione della scienza e della tecnica moderna, sia dal lato dei presupposti epistemologici che dal lato delle applicazioni pratiche, che oggi minacciano sotto più di un riguardo sia il genere umano che la biosfera. In questa raccolta di saggi sono presenti importanti temi di etica medica, nello specifico alcune importanti riflessioni sui trapianti di organo e sulla sperimentazione sui soggetti umani. Jonas, infatti, partecipò al convegno “Aspetti etici della sperimentazione sui soggetti umani” del 1968, occasionato da due eventi di capitale importanza per la medicina: il 3 dicembre 1967 il chirurgo sudafricano Christiaan Barnard effettuò il primo trapianto di cuore e il 5 agosto 1968 una commissione della Harvard Medical School nominata a tal scopo pubblicò un importante articolo che proponeva una ridefinizione della morte (A Definition of Irreversible Coma: Report of the Ad Hoc Committee at Harvard Medical School to Examine the Definition of Brain Death, in “Journal of American Medical Association”, vol. 205, 5 agosto 1968, n. 6 pp. 337-340).

Etica per la civiltà tecnologica
La paura e la responsabilità di fronte alla realtà come un 'tutto' sono al centro della sua opera più conosciuta, Il principio responsabilità (1979). Quest'opera è dedicata ai delicati problemi etici e sociali sollevati dall'applicazione incessante della tecnologia in tutti gli aspetti della vita. In questo testo, che porta all'ordine del giorno della riflessione filosofica europea l'emergenza ecologica, confluiscono tutte le ricerche precedenti dell'autore: religione, natura, tecnica.
Il punto di partenza dell'autore è che il fare dell'uomo è oggi in grado di distruggere l'essere del mondo. «Si prenda ad esempio, quale prima e maggiore trasformazione del quadro tradizionale, la vulnerabilità critica della natura davanti all'intervento tecnico dell'uomo - una vulnerabilità insospettata prima che cominciasse a manifestarsi in danni irrevocabili. Tale scoperta, il cui brivido portò all'idea e alla nascita dell'ecologia, modifica per intero la concezione che abbiamo di noi stessi in quanto fattore causale nel più vasto sistema delle cose [...]. Un oggetto di ordine completamente nuovo, nientemeno che l'intera biosfera del pianeta, è stato aggiunto al novero delle cose per cui dobbiamo essere responsabili, in quanto su di esso abbiamo potere e che oggetto di sconvolgente grandezza, davanti al quale tutti gli oggetti dell'agire umano appaiono irrilevanti! La natura come responsabilità umana è certamente una novità sulla quale la teoria etica deve riflettere [PR, p. 10].» Dal Principio responsabilità: dell'uomo globalmente inteso una posta in gioco nelle scommesse dell'agire" [PR, p. 47]. »
Jonas formula un nuovo imperativo categorico per il nostro presente: « Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra" [PR, p. 15].»

Etica applicata o bioetica: eugenetica, eutanasia, ricerca scientifica e limitazione delle nascite
Hans Jonas riguardo a questioni etiche di particolare rilevanza bioetica come l'eugenetica, la clonazione, il prolungamento della vita, la limitazione delle nascite, le nuove tecniche di riproduzione assistita e la libertà di ricerca scientifica, assume una posizione definita e chiara. A riguardo però bisogna fare una premessa: quando si scende nel terreno particolare delle scelte (rapporto valori-fatti) non è possibile senza entrare nel fanatismo, mantenere la propria idea fissa su un principio, o meglio: un principio diventa pura forma se non tiene conto dell'articolazione e della multiformità del reale.
Le risposte quindi non potranno mai essere univoche e definitive perché è l'argomento stesso che richiede di essere compreso nella sua peculiarità e nella sua imponderabilità. In generale Jonas basa le sue risposte su un unico filo conduttore, vale a dire il fatto che l'uomo non è in grado di conoscere tutto di se stesso: l'ignoranza riguardo le cose ultime è positiva, e non va intesa come una carenza dell'intelligenza umana. In poche parole noi non dobbiamo né possiamo intrometterci in quel profondo segreto che è l'uomo: la vita racchiude in sé una propria sacralità, questa richiede il massimo rispetto in quanto "noi non siamo i soggetti che possono creare l'uomo, noi siamo già stati creati". Prendiamo in esame alcuni casi di bioetica:
1) L'eugenetica: la disciplina che si propone come scopo il miglioramento delle specie umana. Jonas distingue tra eugenetica preventiva o negativa ed eugenetica migliorativa o positiva. La prima ha come compito quello di impedire la trasmissione di geni patogeni, come ad esempio nel caso di un diabetico congenito. In questa situazione si fa affidamento al suo senso di responsabilità affinché il soggetto non metta al mondo dei figli. Questa è secondo Jonas, una richiesta lecita perché si può dire al diabetico che la scienza gli ha salvato la vita (attraverso l'insulina che gli viene somministrata), permettendogli così di raggiungere l'età della riproduzione; come quid pro quo gli si potrebbe domandare di sacrificare questo diritto. Caso diverso invece è quello dell'eugenetica positiva che rappresenta una vera e propria manipolazione biologica, che mira non al controllo dei portatori di un gene, ma al controllo di quelli recessivi, sostituendosi così all'autoregolazione naturale.
Questo tipo eugenetica porta alla scelta degli esemplari più idonei all'accoppiamento. Questo non vuol dire avere un'idea fissista della natura umana, ma significa stabilire una differenza tra i processi regolativi interni alla natura, e le modifiche fatte dall'uomo alla sua stessa costituzione biologica. I primi sono contraddistinti da apertura e da indeterminatezza che rende ricco l'organismo, ovvero capace di un adattamento futuro a nuove condizioni di vita; le seconde invece restringono e impoveriscono la specie, inoltre la selezione deliberata dovrà avvenire in base a criteri e preferenze il cui valore non potrà mai venir condiviso da tutti, ma sarà imposto da chi avrà maggior ricchezza economica, prestigio e potere. Chi può affermare che queste modifiche avverranno per il "bene comune" e non per uno scopo utilitaristico in base al quale, si potrebbe arrivare anche a sbarazzarsi degli individui creati con tali tecniche? Un esempio eloquente è la clonazione: da un soggetto clonato ci si attende che esso sia così come lo conosciamo, sarebbe atteso, inaspettato al varco" e l'azzardo della vita, la sua imprevedibilità che consiste nel cadere e nel rialzarsi, gli verrebbero sottratti. Analogamente il corpo individuale è indisponibile per esperimenti scientifici, anche per quelli mirati ad ottenere miglioramenti nelle cure di alcune gravi malattie. La scienza non ha alcun diritto sul corpo dei cittadini, ma in alcuni casi pretende di compiere esperimenti umani: in quella situazione se proprio lo ritengono necessario, gli scienziati possono usare loro stessi come cavie. La vita, non può essere frutto di scommesse, neanche se queste ultime sono votate al miglioramento, poiché il miglioramento non può andare a scapito della vita stessa, ossia della sopravvivenza dell‘integrità morale e biologica della specie umana, che costituiscono il punto cardine nella filosofia di Jonas.
2) L'eutanasia e il differimento della morte. Per Jonas il diritto di vivere comprende in sé anche il diritto a morire. Bisogna precisare che deve trattarsi di un'eutanasia passiva, dove viene assolutamente evitato l'accanimento terapeutico, e non di quella attiva in cui il medico somministra al soggetto un'iniezione letale. La missione del medico non è uccidere, stroncare una vita non è tra i suoi compiti, se così fosse in ogni paziente nascerebbe il dubbio che da curante, il dottore potrebbe trasformarsi in boia. Ma tutto questo riguarda il medico nella sua professione. Questione diversa è se altri possano o meno dare al morte in casi disperati, nei quali sia presente la lucida richiesta del malato. Per quanto sia difficile stabilire se un paziente sia nel pieno delle sue facoltà mentali, esistono casi in cui questa evidenza non si può di certo mettere in dubbio. D'altro canto, la nozione di "coscienza piena e consapevole" si basa su criteri che noi stessi determiniamo, e se cerchiamo una dimostrazione assoluta di questa coscienza, si arriverà alla conclusione che essa è praticamente irraggiungibile anche in molti casi che riguardano il cosiddetto "uomo sano". Qui l'etica della responsabilità deve conciliarsi con l'etica della compassione, come nel caso in cui un congiunto, per amore, desidera porre fine alle sofferenze del proprio caro. Si entra in un campo non semplice, che non può nemmeno essere sottoposto a norme giuridiche; questo gesto è infatti "una possibilità riservata alla vita in quanto fonte d'amore".
3) La ricerca scientifica. Riguardo a questo tema Jonas non assume una posizione netta pro o contro, ma nelle ultime fasi della sua vita dimostra una maggiore apertura nei confronti della libertà di ricerca, in quanto "il sapere non può mai rinunciare alla sua chance. In mezzo ad ogni incertezza, esso deve sempre e comunque compiere il suo dovere". Questo pensiero esprime una grande fiducia nelle capacità conoscitive e autoregolative della ragione umana.
4) La limitazione delle nascite. Riguardo questo argomento Jonas prende invece una posizione netta e precisa a favore del controllo delle nascite, venendosi così a trovare in polemica con tutte le politiche demografiche che lui definisce irresponsabili, a partire dall'idea della chiesa cattolica. Jonas si dice dispiaciuto, ma secondo lui il magistero del Papa riguardo alle questioni relative alla natalità, appare totalmente dissennato.

▪ 1996
  1. - Gianandrea Gavazzeni (Bergamo, 25 luglio 1909 – Bergamo, 5 febbraio 1996) è stato un direttore d'orchestra, compositore, musicologo e saggista italiano.
  2. - Magnus (al secolo Roberto Raviola; Bologna, 31 maggio 1939 – Castel del Rio, 5 febbraio 1996) è stato un autore di fumetti italiano.

* 1999 - Eduardo Francisco Pironio (Nueve de Julio, 3 dicembre 1920 – 5 febbraio 1998) è stato un vescovo cattolico e cardinale argentina.
Nato il 3 dicembre 1920 a Nueve de Julio (Argentina), venne ordinato sacerdote nel 1943.
Fu eletto vescovo ausiliare di La Plata nel 1964 e vescovo di Mar del Plata nel 1972. Dal 1968 al 1975 fu dapprima segretario generale e poi presidente del Celam (Consiglio Episcopale Latinoamericano).
Nel 1974 fu invitato da Paolo VI a predicare gli esercizi spirituali alla Curia Romana.
Chiamato a Roma da papa Paolo VI, come prefetto della Congregazione per i Religiosi e degli Istituti Secolari, fu creato cardinale nel 1976.
Nel 1984 fu nominato, da Giovanni Paolo II, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, dove tra l’altro collaborò a ideare le Giornate mondiali della gioventù. Nel suo testamento spirituale il cardinale Pironio scrisse, fra l'altro: "Rendo grazie al Signore per il mio ministero di servizio nell'episcopato. Quant'è stato buono il Signore con me! Ho voluto essere padre, fratello e amico dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, di tutto il popolo di Dio. Ho voluto essere semplicemente presenza di ‘Cristo, speranza della gloria’. Ho voluto esserlo sempre, nei diversi servizi che Dio mi ha chiesto come Vescovo".
Morì a Roma il 5 febbraio 1998. È sepolto nel santuario di Nostra Signora di Luján, in Argentina. Il 23 giugno 2006 il cardinale Camillo Ruini, vescovo vicario del papa per la diocesi di Roma, ha aperto la fase diocesana del suo processo di beatificazione, proclamandolo servo di Dio.

▪ 1999 - Wassily Leontief (Monaco di Baviera, 5 agosto 1905 – 5 febbraio 1999) è stato un economista russo naturalizzato statunitensescienziato di fama mondiale, vincitore del Premio Nobel per l'economia nel 1973 ed inventore del sistema input-output, un'efficace applicazione della matematica all'economia ed uno dei più raffinati strumenti di previsione di cui un programmatore economico possa servirsi.
Nato a Monaco di Baviera, cresciuto a Pietroburgo, lasciò la Russia nel 1925, arrivò negli Stati Uniti nel 1930 e dal 1931 insegna all'Università Harvard.
Il metodo, che si basa sull'utilizzazione di un numero enorme di dati e di statistiche, consiste nel suddividere un sistema economico in settori e nel mettere in evidenza ciò che ogni settore prende dagli altri (input) e ciò che fornisce a ogni altro (output).
Leontief costruisce in questo modo una matrice, o tabella a doppia entrata, che riassume tutte le transazioni di beni o di servizi avvenute nel sistema in un certo periodo, e fornisce quindi una immagine analitica di quel sistema (in genere un'economia nazionale) in un certo momento e a un certo grado di sviluppo tecnologico.
Questa immagine è caratterizzata dalle relazioni di scambio fra settore e settore, che variano al variare della produzione di ogni singolo settore: lo studio di queste variazioni consente di fare previsioni molto accurate sugli effetti della introduzione di nuove tecnologiche, della fondazione di nuove industrie, ed in genere della strategia economica che si vuole applicare.
L'analisi input-output è divenuta uno strumento essenziale per la programmazione economica, sia nei Paesi che adottano un piano centralizzato sia in quelli che mantengono l'economia di mercato.
Tra le applicazioni più interessanti possono ricordarsi:
▪ W. Leontief, A. Carter e P. Petri, The Future of the World Economy (New York, 1977): un modello input-output dell'economia mondiale, commissionato a Leontief dalle Nazioni Unite nel 1973 per studiare le relazioni tra la crescita economica e problemi quali la disponibilita' di risorse naturali, l'inquinamento causato dalla produzione di beni e servizi, l'impatto economico delle politiche di riduzione dell'inquinamento; il modello considerava tre combustibili (petrolio, gas naturale e carbone), sei metalli (allumino, rame, ferro, piombo, nichel e zinco), oltre ai prodotti di 30 settori agricoli e manufatturieri, otto inquinanti e cinque attivita' di riduzione dell'inquinamento;
▪ W. Leontief e I. Sohn, Population, Food and Energy and the Prospects for Worldwide Economic Growth to the Year 2030 (Oxford, 1982): un rapporto preparato da Leontief per un convegno sulla crescita della popolazione e dell'economia mondiali organizzato nel 1981 dall'Istituto Nobel; in esso si aggiornavano le proiezioni energetiche fornite dal modello ONU;
▪ W. Leontief, J. Koo, S. Nasar e I. Sohn,The Future of Non-fuel Minerals in the U.S. and World Economy (Lexington, 1983): un aggiornamento del modello ONU orientato ai minerali non combustibili, commissionato a Leontief dalla U.S. National Science Foundation e dall'U.S. Bureau of Mines nel 1977; il modello prendeva in esame 26 minerali.2000 - Claude Autant-Lara, regista francese (n. 1901)

▪ 2004 - Benvenuto Revelli (Cuneo, 21 luglio 1919 – Cuneo, 5 febbraio 2004) è stato uno scrittore italiano, esponente di spicco della Resistenza italiana.
Diplomato geometra, a vent'anni entrò all'Accademia Militare di Modena dell'Esercito, rimanendovi per due anni, raggiungendo il grado di capomanipolo della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale.
Nel 1942, con il grado di sottotenente, partì con la Divisione Tridentina (V° Reggimento, Battaglione Tirano) degli Alpini per il fronte russo. Nel 1943 fu tra i pochi fortunati che sopravvissero alla ritirata nel grande freddo e riuscì a rientrare in patria.
Dopo questa esperienza, scelse di lottare contro i fascisti e i nazisti e entrò nelle milizie partigiane, fondandone la prima organizzazione, la Compagnia Rivendicazione Caduti e assumendo poi il comando delle Brigate Valle Vermenagna e Valle Stura. Fu tra i più noti comandanti delle formazioni Giustizia e Libertà del Piemonte.
Nel 1945 si sposò con Anna Delfino e nel 1947 nacque il figlio Marco. Lasciò la Resistenza con il grado di maggiore e divenne commerciante di ferro, ma iniziò a impiegare il proprio tempo libero a ritrovare ex-alpini, ex-partigiani, contadini e a raccoglierne le testimonianze.
Alla Resistenza dedicò gran parte della sua vasta attività letteraria.
Nuto Revelli fu uno scrittore e partigiano. I suoi primi libri, tutti pubblicati da Einaudi, trattano della sua esperienza come ufficiale alpino sul fronte russo durante la tragica ritirata del gennaio 1943 ed il suo successivo passaggio nelle file della Resistenza: Mai tardi, diario di un alpino in Russia, il suo volume autobiografico La guerra dei poveri e L'ultimo fronte, lettere di soldati caduti o dispersi nelle II guerra mondiale. La strada del Davai è invece l'accusa all'organizzazione dei vertici militari, responsabili della tragedia russa.

L'altro tema al quale Revelli ha prestato particolare attenzione è stato lo studio e la denuncia delle condizioni di vita dei contadini poveri delle vallate cuneesi, con l'emigrazione di massa nel dopoguerra verso le grandi industrie della città.
I suoi due più importanti lavori sono basati su lunghe interviste biografiche con uomini e donne delle vallate cuneesi e rappresentano anche importanti e pionieristici contributi all'affermazione e allo sviluppo della storia orale italiana. Con Il mondo dei vinti e L'anello forte, con oltre 270 interviste stenografate e successivamente ribattute a macchina, Revelli ha dato voce ai "vinti" e, attraverso le loro storie, ha riportato all'attenzione un mondo dimenticato e abbandonato.
Negli ultimi anni di vita è ritornato sui temi della guerra e della Resistenza, con Il disperso di Marburg, Il prete giusto e l'ultimo suo volume, del 2004, Le due guerre, che ripercorre i venticinque anni dall'avvento del fascismo al dopo-Liberazione.
Tenne un ciclo di lezioni all'Università di Torino nell'anno accademico 1984-1985 (in cattedra proprio lui che, schivo come era, a chi gli chiedeva come voleva essere definito, scrittore o professore, rispondeva: "Geometra, io sono un geometra ..."), che furono un momento formativo di grande importanza per diversi futuri storici e intellettuali piemontesi.
Revelli morì dopo una lunga malattia il 5 febbraio del 2004; è tumulato nel cimitero di Spinetta frazione di Cuneo accanto alla moglie.
Nel 2006 gli eredi e gli amici hanno dato vita alla Fondazione "Nuto Revelli" onlus, che ha sede a Cuneo, nella casa dove Nuto viveva.
▪ Premio Grinzane Cavour, Premi Speciali (1986), L'anello forte
▪ Il 29 ottobre 1999 gli fu conferita, all'Università di Torino, la Laurea honoris causa in Scienze dell’Educazione per l'attività di narratore e di saggista, ma soprattutto per le sue capacità pedagogiche che gli permisero di far conoscere la storia della guerra e il dopoguerra nel Sud del Piemonte.

* 2006 - Andrea Santoro (Priverno, 7 settembre 1945 – Trebisonda, 5 febbraio 2006) è stato un presbitero italiano della Chiesa cattolica, morto assassinato in Turchia.
Terzo figlio di un muratore e di una casalinga e fratello minore di due sorelle, Andrea Santoro entrò adolescente in seminario, dove divenne compagno di Vincenzo Paglia, cofondatore della Comunità di Sant'Egidio e attuale vescovo di Terni. Nel 1970 Andrea finì gli studi di teologia alla Pontificia Università Lateranense e il 18 ottobre dello stesso anno divenne sacerdote nella parrocchia dei santi Marcellino e Pietro Ad Duos Lauros.
Sin dall'ordinazione sacerdotale, don Andrea esercitò il suo ministero in realtà popolari della periferia romana. Nella sua cura pastorale si preoccupava dei più piccoli e poveri. Dopo il diploma al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica, nel 1980 soggiornò per sei mesi in Oriente, ospite di istituti religiosi. Per lui capire e vivere ıl Medıo Orıente era capire meglio l'uomo e le sue contraddizioni, era poi un'esperienza per penetrare più profondamente il testo della Bibbia. La sua spiritualità si avvicina a quella di Charles de Foucauld.
Al suo ritorno nel 1981 fu trasferito, dalla parrocchia della Trasfigurazione, a Monteverde, dove era viceparroco, nel quartiere di Verderocca, dove fondò una parrocchia intitolata a Gesù di Nazareth e costruì la chiesa e un eremo dedicato ad Abramo. Vi rimase parroco per 12 anni. Il 25 settembre 1993 lasciò Verderocca per trascorrere altri cinque mesi come pellegrino in Medio Oriente.
Nel 1994 divenne parroco presso la parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio a Villa Fiorelli, nel quartiere Tuscolano a Roma.

Trasferimento in Turchia: Şanlıurfa e Trabzon
In quegli anni conobbe anche il vescovo Franceschini, Vicario Apostolico dell'Anatolia. Grazie anche alle richieste di quest’ultimo don Andrea ottenne il permesso di partire per la Turchia l'11 giugno 2000 quale sacerdote fidei donum, cioè concesso dalla diocesi di Roma alla Chiesa turca come sostegno pastorale. L'11 settembre Santoro raggiunse Şanlıurfa (antica Edessa) che sarebbe divenuta il luogo della sua prima residenza in Turchia. Prima dı partire per la Turchia don Andrea fondò a Roma l'assocıazıone “Finestra per il Medio Oriente”, finalizzata alla preghiera e al sostegno della missione in Turchia. Dopo essere vissuto in un modesto appartamento, in accordo con il vescovo don Andrea prese in affitto una nuova casa in stile armeno che fece chiamare “La casa di Abramo” e adibì ad alloggio per piccoli gruppi di pellegrini.
Durante il soggiorno a Şanlıurfa, don Andrea si prese cura anche della comunità cattolica di Trabzon (Trebisonda), dove dal 2001 non c'era più un sacerdote. Nel 2003 vi si trasferì stabilmente affrontando l'urgente restauro della chiesa e dell'ex-convento dei cappuccini: l'apertura quotidiana della chiesa permise a molti abitanti del luogo, che non conoscevano il cristianesimo di incontrarlo per fargli domande. Tale apertura tuttavia divenne presto causa di screzi con alcuni giovani, che spesso gettavano sporcizia e oggetti verso la chiesa e disturbavano don Andrea, fino a minacciarlo. Anche il restauro del cimitero cristiano fu ostacolato: la riparazione delle mura di cinta, ritenute giuridicamente un monumento storico, fu interrotta dai Beni Culturali.
Poco dopo il cimitero cristiano venne profanato, le lapidi divelte, altre parti distrutte; i vicini vi ricavarono pezzi di orto; su metà dell'area fu costruita una scuola, in un'altra porzione una scalinata e una piazza. Don Andrea non rivolgeva la propria attenzione solo alla piccola comunità cattolica di Trabzon, ma anzi prese a cuore anche la situazione delle donne ortodosse venute dalla Georgia, spesso vittima della prostituzione.

L'uccisione di don Santoro
Nel pomeriggio di domenica 5 febbraio 2006, mentre don Santoro si trovava in chiesa con il suo giovane aiutante turco, entrarono in chiesa tre ragazzi che iniziarono a comportarsi con fare arrogante. I ragazzi uscirono di chiesa. Don Andrea si mise a pregare ed invitò il suo aiutante a fare altrettanto. Mentre stavano pregando un uomo entrò in chiesa: don Andrea vide che una pistola era puntata alle sue spalle e gridò al suo aiutante di buttarsi a terra; l'uomo gridò a gran voce “Allah è grande” e sparò due colpi di pistola, trafiggendo i polmoni del sacerdote, che rimase ucciso. L'uomo scappò quindi attraverso il cortile della chiesa gridando ancora “Dio è grande” e sparando un terzo colpo di pistola in aria. In seguito venne arrestato e condannato per il delitto un giovane di 16 anni, non riconosciuto però dai testimoni oculari che hanno sempre affermato che l'assassino era un uomo adulto.

Don Santoro oggi
La morte di Andrea Santoro ha avuto grande eco sulla stampa e forte impatto emotivo, al punto che il suo funerale celebrato a Roma fu affollatissimo. La diocesi di Roma sta valutando l'apertura del processo di beatificazione. La Regione Lazio riconoscendo la validità dei suoi progetti sta finanziando l'apertura di un Centro di Dialogo Interreligioso nella città di Iskenderun, in Turchia.