Il calendario del 4 Settembre
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
- Email:
Eventi
▪ 476 - L'Imperatore romano Romolo Augusto viene deposto da Odoacre, che si proclama re d'Italia. L'Impero Romano d'Occidente di fatto cessa di esistere
▪ 1260 - La lega guelfa, guidata da Firenze, viene sconfitta nella Battaglia di Montaperti, vicino Siena, dalle forze senesi ghibelline.
▪ 1609 - Il navigatore Henry Hudson scopre l'isola di Manhattan
▪ 1618 - Una frana travolge e seppellisce l'abitato di Piuro, all'epoca in territorio grigione.
▪ 1781 - Los Angeles viene fondata come "El Pueblo de Nuestra Senora La Reina de Los Angeles de Porciuncula" da un gruppo di 44 coloni spagnoli
▪ 1797 - A Parigi il Direttorio, sostenuto dall'esercito, organizza un colpo di stato, noto col nome "del 18 fruttidoro", contro la maggioranza moderata e realista del Consiglio dei Cinquecento e del Consiglio degli Anziani.
▪ 1870 - L'Imperatore Napoleone III di Francia viene deposto e viene proclamata la Terza Repubblica
▪ 1882 - Thomas Alva Edison inaugura a New York la prima rete d'illuminazione elettrica al mondo
▪ 1885 - A New York apre il primo locale pubblico chiamato "cafeteria"
▪ 1886 - A Skeleton Canyon, in Arizona, il capo Apache Geronimo, dopo quasi 30 anni di lotte (vedi guerre indiane), si arrende assieme al suo ultimo gruppo di guerrieri al Generale Nelson Miles
▪ 1888 - George Eastman registra il marchio Kodak e deposita un brevetto per la macchina fotografica che utilizza il rullino
▪ 1894 - A New York 12.000 operai tessili scioperano contro le condizioni di lavoro nelle fabbriche
▪ 1900 - In Italia entra in vigore la Conferenza dell'Aia sulle armi chimiche, la quale in una dichiarazione proibisce «l'uso di proiettili che diffondano gas asfissianti o dannosi»
▪ 1904 - A Buggerru i carabinieri sparano sulla folla di minatori, in sciopero per ottenere un aumento salariale, provocando sette morti e decine di feriti
▪ 1920 - Ultimo giorno del calendario giuliano in Bulgaria che viene sostituito dal calendario gregoriano
▪ 1923 - A Lakehurst (New Jersey), il primo dirigibile statunitense, lo USS Shenandoah, compie il suo volo inaugurale
▪ 1939 - Seconda guerra mondiale: Tonga e Nepal entrano in guerra al fianco degli Alleati
▪ 1940 - Seconda guerra mondiale: La USS Greer è la prima nave statunitense attaccata da un sottomarino tedesco nel corso della guerra, anche se in quel momento gli USA erano neutrali. L'episodio fa aumentare la tensione tra le due nazioni
▪ 1944 - Seconda guerra mondiale: L'11a divisione corazzata britannica libera la città di Anversa in Belgio
▪ 1945 - Seconda guerra mondiale: Le truppe giapponesi dell'Isola Wake si arrendono dopo aver avuto notizia della resa della loro nazione
▪ 1948 - La regina Guglielmina I d'Olanda abdica per motivi di salute
▪ 1951
- - La Cina interrompe le relazioni diplomatiche con il Vaticano espellendo dal suo territorio il Nunzio apostolico Antonio Riberi.
- - La prima trasmissione televisiva intercontinentale in diretta va in onda da San Francisco in occasione della Conferenza del trattato di pace giapponese
▪ 1957 - Orville Faubus, governatore dell'Arkansas, chiama la Guardia Nazionale per impedire agli studenti neri di iscriversi alla Little Rock Central High School di Little Rock (vedi Crisi di Little Rock)
▪ 1967 - Guerra del Vietnam: i Marines statunitensi lanciano una missione di ricerca e distruzione nelle province di Quang Nam e Provincia di Quang Tin (Operazione SWIFT). Ne scaturirà la Battaglia della Valle di Que Son, nella quale in quattro giorni moriranno 114 americani e 376 nordvietnamiti
▪ 1995 - La Quarta conferenza mondiale sulle donne si apre a Pechino con oltre 4.750 delegati provenienti da 181 nazioni
▪ 1996 - Le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (FARC) attaccano una base militare a Guaviare (Colombia) dando il via a tre settimane di guerriglia che provocheranno la morte di almeno 130 colombiani
▪ 1997 - A Lorain (Ohio), l'ultima Ford Thunderbird esce dalla catena di montaggio
▪ 1999 - A Bujnaksk, in Daghestan, un'autobomba distrugge una palazzina di cinque piani facendo 64 morti (di cui 23 bambini) e 146 feriti.
Anniversari
▪ 1154 - Gilberto Porretano o Gilbert de la Porrée (Poitiers, 1070 – 4 settembre 1154) è stato un logico, teologo e vescovo cattolico francese.
Studiò dapprima a Poitiers, poi a Chartres sotto Bernardo di Chartres e a Laon con Anselmo di Laon; insegnò per ventanni a Chartres, dove era anche cancelliere, per essere dal 1137 lettore di dialettica e teologia a Parigi. Nel 1141 ritornò a Poitiers di cui fu vescovo l'anno dopo.
La sue opere più importanti sono i Commenti agli Opuscula theologica di Boezio.
Le sue opinioni sulla Trinità furono condannate dalla Chiesa. Il Concilio di Reims nel 1148 ottenne la condanna del papa di quattro sue proposizioni e Gilberto si sottomise alla decisione.
Gilberto è praticamente l’unico logico del XII secolo ad essere citato dai maggiori scolastici del secolo successivo. Il suo trattato De sex principiis fu considerato con la riverenza accordata ai testi aristotelici, dando materia a molti commentatori, come Alberto Magno, mentre Dante lo chiama il Magister sex principiorum. Il trattato è del resto una discussione sulle categorie aristoteliche, in particolari dei sei modi subordinati.
Gilberto distingue nelle dieci categorie due classi, una essenziale e l’altra derivata. Essenziali o inerenti (formae inhaerentes) negli oggetti stessi sono solo la sostanza, la quantità, la qualità e la relazione nel senso stretto del termine. Le altre sei, il luogo, il tempo, la situazione, lo stato, l’azione e la passione sono relative e subordinate (formae assistentes). Questa sua posizione ha un certo interesse ma non è di gran valore in logica o nella teoria della conoscenza. Più importante nella storia della scolastica sono le conseguenze teologiche del realismo di Gilberto.
Nel commento al De Trinitate (attribuito a Boezio) procede dalla nozione metafisica dell’essere astratto fino a quella di Dio; per lui, Dio non può essere pienamente compreso né è dimostrabile la sua esistenza. In Dio non vi sono distinzioni e differenze, mentre in tutte le altre sostanze vi è una dualità, derivante dall’elemento materiale. Tra Dio - l’Essere puro - e le sostanze, sono le idee o forme, che dunque per lui non sono sostanze. Tali forme, nel loro aspetto materiale, sono formae substantiales o formae nativae; sono le essenze delle cose e in loro non vi è alcuna relazione con gli accidenti. Le cose sono create e non eterne, diversamente dalle idee, create ed eterne e da Dio, increato ed eterno. La pura forma dell’esistenza, cioè Dio, deve essere distinta dalle tre persone che partecipano della forma divina. La forma o essenza è una, ma le persone o sostanze sono tre. Questa distinzione tra Deitas o Divinitas e Deus portò alla condanna, da parte della Chiesa, della sua dottrina.
▪ 1165 - Santa Rosalia Sinibaldo (Palermo, 1128 – Palermo, 4 settembre 1165) è stata una santa italiana, venerata come santa vergine dalla Chiesa cattolica, secondo la tradizione, appartenne alla nobile famiglia dei Sinibaldi del XII secolo.
▪ 1883 - Carlo Tenca (Milano, 19 ottobre 1816 – Milano, 4 settembre 1883) è stato un letterato, giornalista e deputato italiano. Nel suo impegno di patriota fu per qualche anno il principale animatore del Salotto della contessa Clara Maffei, alla quale era sentimentalmente legato.
▪ 1963 - Jean-Baptiste Nicolas Robert Schuman (Clausen, 29 giugno 1886 – Scy-Chazelles, 4 settembre 1963) è stato un politico francese, ritenuto uno dei padri fondatori dell'Unione Europea, insieme al tedesco Konrad Adenauer, agli italiani Altiero Spinelli, Alcide De Gasperi, Carlo Sforza e Gaetano Martino e al connazionale Jean Monnet.
Schuman nacque in Lussemburgo da genitori originari della Lorena. La famiglia ritornò presto nella provincia d'origine. Fu così che Schuman studiò nel sistema scolastico tedesco e si laureò in legge all'Università di Berlino. Nel giugno 1912 aprì uno studio di avvocato a Metz. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Schuman viene riformato per motivi di salute.
Alla fine della prima guerra mondiale, nel novembre 1918, l'Alsazia-Lorena ritornò sotto la Francia e Schuman iniziò la sua carriera politica in Francia. Nel 1919 viene eletto per la prima volta al parlamento, come deputato della Mosella. Durante il regime di Vichy fu arrestato dalla Gestapo ed imprigionato a Metz. Un anno dopo, tuttavia, riuscì a scappare e si unì alla resistenza francese.
Dopo la seconda guerra mondiale Schuman arrivò alla notorietà. Fu per un breve periodo (1947-1948) Primo Ministro Francese e successivamente divenne Ministro degli Esteri dal 1948 al 1952. In quegli anni Schuman fu il principale negoziatore di tutti i maggiori trattati che si costruirono alla fine della guerra: Consiglio d'Europa, Patto Atlantico, CECA, ecc.
Il 9 maggio 1950 Schuman, su ispirazione anche di Jean Monnet, presentò la sua proposta di creare un'organizzazione europea, indispensabile per il mantenimento di pacifiche relazioni.
La sua proposta, conosciuta come dichiarazione di Schuman, ha formato la base della costituenda CECA ed è considerata l'inizio della costruzione di quella che è oggi l'unione Europea.
Dal 1958 al 1960 è stato il primo Presidente del Parlamento Europeo, che lo ha nominato, alla fine del suo mandato, padre dell'Europa.
Varie
Nella città di Bruxelles esistono a suo nome: una stazione del metro, una piazza ed una stazione ferroviaria Bruxelles-Schuman (in francese) o Brussel-Schuman (in fiammingo)
Attualmente è in corso la sua Causa di Beatificazione e quindi la Chiesa Cattolica gli ha dato il titolo di 'Servo di Dio'.
▪ 1965 - Albert Schweitzer (Kaysersberg, 14 gennaio 1875 – Lambaréné, 4 settembre 1965) è stato un medico, teologo, musicista e missionario tedesco.
La giovinezza
Albert Schweitzer nacque a Kaysersberg, in quella zona dell'Alsazia del Sud appartenente al dipartimento dell'Alto Reno, il 14 gennaio 1875. Suo padre, Ludwig Schweitzer, era un pastore protestante a Gunsbach, un piccolo villaggio alsaziano in cui crebbe il giovane Albert. Particolarità della chiesa ove predicava il padre, era che si trattava del luogo di culto comune a due paesi – Gunsbach e Griesbach-au-Val – e a due confessioni religiose, cattolica e protestante. Ancora oggi le celebrazioni si suddividono fra riti in francese, riti in tedesco e riti bilingui. A questo proposito Schweitzer scrive nel suo Aus meiner Kindheit und Jugendzeit (Dalla mia infanzia e adolescenza):
«Da questa chiesa aperta ai due culti ho ricavato un alto insegnamento per la vita: la conciliazione [...] Le differenze tra le Chiese sono destinate a scomparire. Già da bambino mi sembrava bello che nel nostro paese cattolici e protestanti celebrassero le loro feste nello stesso tempio».
Era un bambino malaticcio, tardo nel leggere e nello scrivere, faceva fatica a imparare. Da fanciullo riusciva egregiamente solo nella musica, a sette anni compose un inno, a otto cominciò a suonare l'organo, a nove sostituì un organista nelle funzioni in chiesa. Aveva pochi amici, ma dentro di sé coltivava già una spiccata e generosa emotività, estesa anche agli animali, come dimostra la preghiera che, sin da bambino, rivolgeva a Dio invocandone la protezione verso tutte le creature viventi:
«Fin dalla mia più tenera infanzia ho sentito il bisogno di avere compassione per gli animali. Ancor prima di andare a scuola non riuscivo a capire perché, nella preghiera della sera, dovevo pregare soltanto per delle persone. Per questo, dopo che mia madre mi aveva fatto ripetere la preghiera e mi aveva dato il bacio della buona notte, in segreto aggiungevo una preghiera per tutti gli esseri viventi, composta da me. Diceva così: "Buon Dio, proteggi e benedici tutto ciò che ha respiro, difendili da ogni male e fa' che dormano tranquilli."»
La passione per la musica
Terminate le scuole medie, il giovane Albert s'iscrisse al liceo più vicino, a Mulhouse, dove si trasferì, ospitato da due zii anziani e senza figli. Fu proprio la zia che lo obbligò a studiare pianoforte. Al liceo Albert Schweitzer ebbe come insegnante di musica Eugen Munch, famoso organista a Mulhouse della chiesa di Santo Stefano, che gli fece conoscere la musica di Bach. Fu presto chiaro sia a Munch, sia a Charles-Marie Widor, noto organista della chiesa di Saint Sulpice di Parigi, che Schweitzer conobbe nel 1893 durante un soggiorno nella capitale francese, che il giovane Albert aveva un vero e proprio talento per l'organo. Dopo gli studi classici e le lezioni di pianoforte, nell'ottobre del 1893 si trasferì a Strasburgo per studiare teologia e filosofia. In questi anni si sviluppò la sua passione smodata per la musica classica e, in particolare, per Bach. Per quanto concerne lo studio della filosofia, fu assiduo frequentatore dei corsi di Windelband riguardo la filosofia antica e di Theobald Ziegler (che sarà suo relatore di tesi) riguardo la filosofia morale. Nel 1899 conseguì la laurea con una tesi sul problema della religione affrontato da Kant e fu nominato Vicario presso la chiesa S. Nicolas di Strasburgo. Nel 1902 ottenne la cattedra di teologia e, l'anno successivo, divenne preside della facoltà e direttore del seminario teologico. Pubblicò varie opere sulla musica (alcune su Bach), sulla teologia, approfondì i suoi studi sulla vita e sul pensiero di Gesù Cristo, ed eseguì vari concerti in Europa.
La scelta di vita
Nel 1904, dopo aver letto un bollettino della società missionaria di Parigi che lamentava la mancanza di personale specializzato per svolgere il lavoro di una missione in Gabon, zona settentrionale dell'allora Congo, Albert sentì che era giunto il momento di dare il proprio contributo e, un anno dopo, all'età di trent'anni, si iscrisse a Medicina, per specializzarsi a trent'otto in malattie tropicali. Egli, che sin da piccolo aveva mostrato una spiccata sensibilità nei confronti di ogni forma vivente, sentì come irresistibile il richiamo-vocazione a spendere la sua vita a servizio dell'umanità più debole. Non fu tuttavia facile, per l'organista e insegnante Schweitzer rinunciare a quella che era stata la sua vita fino a quel momento: la musica e gli studi filosofici e teologici. Schweitzer sapeva però di dover realizzare quanto si era prefissato da vari anni. Scrive nel suo Aus meinem Leben und Denken (La mia vita e il mio pensiero):
«Il progetto che stavo per mettere in atto lo portavo in me già da lungo tempo. La sua origine rimontava ai miei anni di studentato. Mi riusciva incomprensibile che io potessi vivere una vita fortunata, mentre vedevo intorno a me così tanti uomini afflitti da ansie e dolori [...] Mi aggrediva il pensiero che questa fortuna non fosse una cosa ovvia, ma che dovessi dare qualcosa in cambio [...] Quando mi annunciai come studente al professor Fehling, allora decano della Facoltà di Medicina, egli avrebbe preferito spedirmi dai suoi colleghi di psichiatria»
Nel 1911 prese la seconda laurea in medicina e si specializzò in malattie tropicali.
Schweitzer aveva le idee chiare anche sulla sua destinazione una volta ottenuta la laurea in medicina: Lambaréné, una città del Gabon occidentale in quella che era allora una provincia dell'Africa equatoriale francese. In una lettera scritta al direttore della Società Missionaria di Parigi, Alfred Boegner – di cui l'anno prima aveva letto un articolo sulla drammatica situazione delle popolazioni africane afflitte da lebbra e malattia del sonno, bisognose di un'assistenza medica – Schweitzer spiegò la sua scelta:
«Qui molti mi possono sostituire anche meglio, laggiù gli uomini mancano. Non posso più aprire i giornali missionari senza essere preso da rimorsi. Questa sera ho pensato ancora a lungo, mi sono esaminato sino al profondo del cuore e affermo che la mia decisione è irrevocabile»
I missionari furono inizialmente scettici sull'interesse dimostrato dal noto organista per l'Africa. La risposta di Schweitzer fu quella di impegnarsi a raccogliere fondi per conto proprio, mobilitando amici e conoscenti e tenendo concerti e conferenze per realizzare il sogno di costruire un ospedale in Africa.
Imbarcatosi a Bordeaux sul piroscafo Europa, approda, il 16 aprile 1913, a Port Gentil ed attraversando l'Ogoouè, giunge sulla collina di Andendè, insediato dalla missione evangelica parigina di Lambaréné, dove accolto dagli indigeni appronta alla meglio il suo ambulatorio ricavato da un vecchio pollaio, con una rudimentale ma efficace camera operatoria, cui venne attribuito il suo stesso nome: Ospedale Schweitzer. Ad accompagnarlo in questa sua avventura è una giovane donna, di origine ebrea, che di Schweitzer sarebbe diventata la moglie e la compagna di vita: Hélène Bresslau, conosciuta nel 1901 a una festa di nozze. Albert e Hélène si sposarono nel 1912, dopo che Hélène ebbe ottenuto il diploma di infermiera, conseguito per realizzare il sogno comune con il marito.
Cominciano ben presto ad arrivare ogni giorno almeno una quarantina di pazienti. Albert ed Helene si trovano di fronte malattie di ogni genere legate all malnutrizione, così come alla mancanza di di cure e medicinali: elefantiasi, malaria, dissenteria, tubercolosi, tumori, malattia del sonno, malattie mentali, lebbra. Per i lebbrosi, molto più tardi, nel 1953, coi proventi del Nobel per la Pace, costruirà il Village Lumiere, ormai fatiscente e bisognoso di essere abbattutto e ricostruito.
I primi anni in Africa e la deportazione
Quando nel 1913 il medico alsaziano si imbarcò finalmente per Lambaréné con la moglie, accompagnato da numerose critiche da parte dei suoi familiari, insieme alla settantina di casse e attrezzature varie destinate alla costruzione del nuovo ospedale, egli portò con sè un pianoforte speciale, dono della Società bachiana di Parigi, appositamente costruito per resistere all'umidità e alle termiti africane. Fu questo il suo compagno di ogni giorno, lo strumento sul quale continuò a studiare, alla luce di una lampada a petrolio, nelle pause del lavoro e nel silenzio delle notti africane, quando non era impegnato a scrivere i suoi testi di filosofia e le lettere agli amici. Le giornate di Schweitzer passavano poi a curare la malattie (lebbra, febbre gialla, ulcera tropicale, vaiolo...) che affliggevano la popolazione di Lambaréné.
I suoi inizi nel cuore dell'Africa furono assai difficili: oltre a dover lottare contro la natura che lo circondava, piogge torrenziali, animali feroci o infidi come serpenti e coccodrilli, dovette vincere la diffidenza degli indigeni prima, e poi la loro ignoranza. Non fu facile avvicinare gli ammalati che si fidavano solo dei loro stregoni (con cui in seguito sviluppò un rapporto di amicizia); le cure del medico bianco non erano da principio ben accolte. La prima operazione di Schweitzer, su un trentenne nero, colpito da un'ernia che gli stava andando in peritonite, si svolge infatti in un clima surreale. Una volta che il paziente è stato sedato, Schweitzer, nel silenzio della popolazione nera che seguiva l'operazione, si muove con gesti precisi, conscio che se provocherà la morte di quell'uomo anche la sua sorte sarebbe stata compromessa. L'operazione, la prima di una lunghissima serie, andrà a buon fine.
Poi, quando si riversarono a frotte nelle sue baracche per farsi curare, non seguivano le istruzioni del medico bianco, a volte le pomate che dovevano essere usate per la cura della pelle venivano mangiate, altre volte ingoiavano in una volta sola un intero flacone di medicinale. Non era facile trattare con gli indigeni, non era facile farsi capire, ma Schweitzer non si diede mai per vinto; le difficoltà, le avversità, la mancanza di alimenti o di medicinali non erano sufficienti per farlo arretrare.
Schweitzer costruì a poco a poco un villaggio indigeno, i malati vi giungevano da ogni parte, spesso con le loro famiglie e tutti venivano ugualmente accolti, le loro usanze rispettate e così le loro credenze. A questo proposito racconta Giorgio Torelli:
«Ogni paziente continua ad essere accompagnato dai parenti e dai figli e spesso anche dalle anatre.»(Giorgio Torelli)
Piano piano il "grande medico bianco" conquista la fiducia della gente di Lambaréné, e non solo. Dal profondo della foresta, da villaggi lontani anche centinaia di chilometri, arrivano malati desiderosi di cure. Schweitzer (e la sua comunità di medici volontari che piano piano cresce intorno a lui) diventa un benefattore, una figura di riferimento, e le notizie di quello che sta facendo nel cuore dell'Africa più nera smuovono l'opinione pubblica mondiale.
Nel 1914 Hélène e Albert Schweitzer furono messi agli arresti domiciliari a causa della loro nazionalità tedesca. Il 5 agosto di quell'anno, giorno in cui ebbe inizio la Prima Guerra Mondiale, i coniugi Schweitzer vennero dichiarati prigionieri di guerra dai francesi, come cittadini tedeschi che lavoravano in territorio francese. Avevano il permesso di restare a casa, ma non potevano comunicare con la gente né accogliere i malati. Più tardi i francesi li espulsero dall'Africa spedendoli in un campo di lavoro nel sud della Francia. Secondo quanto racconta Edouard Nies-Berger, in Albert schweitzer m'a dit, "la coppia Schweitzer fu fermata dalle autorità militari francesi per ragioni di sicurezza. Erano entrambi cittadini tedeschi, e la signora S., molto vicina alla Germania, aveva criticato il governo francese in alcune lettere trovate poi dalla censura. A credere a certe voci, Schweitzer era considerato una spia tedesca, ed il Kaiser avrebbe avuto intenzione di nominarlo governatore dell'Africa equatoriale nell'ipotesi di una vittoria tedesca. I servizi segreti avevano trovato nel suo baule un documento che certificava l'offerta, e questa storia lo avrebbe perseguitato per il tutto il resto della sua vita.
In luglio furono rilasciati grazie all'intervento di amici parigini, in particolare di Charles Marie Widor. Durante uno scambio di prigionieri verso la fine della guerra, nel 1918 poterono ritornare in Alsazia. Durante la prigionia avevano contratto entrambi la dissenteria e la tubercolosi e sebbene Albert si sarebbe ripreso grazie alla sua forte fibra non sarebbe stato lo stesso per la moglie, le cui condizioni di salute peggioravano sempre di più. L'idea di tornare in Africa per Albert si dissolveva sempre di più, insieme ai sogni avviati a Lambarenè, aggravata dalla guerra.
Un nuovo barlume di speranza si accese con la nascita della figlia Rhena, il 14 gennaio 1919, giorno del compleanno del medico.
Le sofferenze provate in prima persona lo aiutarono ulteriormente a comprendere meglio gli altri, mentre il recupero del lavoro come assistente medico presso l'ospedale di Strasburgo, la riconquista delle sue funzioni di pastore presso la chiesa di Saint Nicolas di Strasburgo, contribuirono molto al recupero delle sue energie psico - fisiche. La ripresa dei concerti d'organo inoltre, con una tournèè in Spagna, gli dimostrò che era ancora molto aprrezzato come musicista.
Dal punto di vista scientifico gli venne conferita la laurea honoris causa dall'Università di Zurigo e nel 1920 Albert fu inviato dall'arcivescovo svedese dell'Università di Upsala per una serie di conferenze che, insieme ai concerti d'organo che seguirono prima in Svezia, poi in Svizzera, gli permisero di raccogliere i nuovi fondi da inviare a Lambarenè per le spese di mantenimento dell'ospedale negli anni di guerra.
Nel 1921 pubblicò un libro di ricordi africani, All'ombra della foresta vergine, il cui contenuto si può ancora considerare indicativo per le azioni che si intraprendono per i Paesi in via di sviluppo.
Il ritorno in Africa
Il 14 febbraio 1924 Albert lasciò Strasburgo per raggiungere di nuovo l’agognata missione di Adendè il 19 aprile. Dell’ospedale non era rimasta che una baracca: tutte le altre costruzioni avevano ceduto col passare degli anni o erano completamente crollate. Organizzandosi per fare il medico di mattina e l’architetto nel pomeriggio, Albert dedicò i mesi successivi alla ricostruzione, tanto che nell’autunno del 1925 l’ospedale poté già accogliere 150 malati e i loro accompagnatori. Alla fine dell’anno l’ospedale operava a pieno ritmo, ma un’epidemia di dissenteria obbligò il suo fondatore a trasferirlo in una zona più ampia, tanto da doverlo costruire per la terza volta. il 21 gennaio del 1927 furono trasferiti gli ammalati nel nuovo complesso. Albert racconterà così la commozione della prima sera nel nuovo ospedale: ‘’Per la prima volta da quando sono in Africa, degli ammalati sonno alloggiati come si conviene per degli uomini. È per questo che levo il mio sguardo riconoscente a Dio, che mi ha permesso di provare questa gioia. ‘’
Carisma, versatilità e tempra morale
Complessivamente Albert fece diciannove viaggi a Lambarenè. Ovunque andasse era oberato di impegni: in Africa oltre che medico, era anche il costruttore e l’amministratore dell’ospedale. In Europa insegnava, sosteneva concerti e conferenze, scriveva libri per raccogliere fondi per la sua opera. Spesso veniva insignito di lauree Honoris causa e di molteplici riconoscimenti, tanto che la rivista Time lo considerò ‘’il più grande uomo del mondo’’. Non era stato né il primo né l’unico medico ad inoltrarsi nella foresta vergine, ma il suo pensiero, il suo spirito, la sua personalità erano diventati un riferimento per molti,che in tutto il mondo condividevano i suoi ideali, tanto che vari professionisti seguendo il suo esempio si misero a servizio di opere umanitarie o missionarie in Africa. La sua tempra fisica, il suo carattere fermo unito a grande sensibilità e intelligenza, il rispetto per ogni forma di vita, la perseveranza, la fede, la musica d’organo e ogni opera che compiva vivendola appassionatamente, erano i motivi del suo successo. Ciononostante il grande uomo, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, rimaneva notevolmente umile e timido. Confessò a un suo corrispondente svizzero: ‘’..soffro di essere famoso e cerco di evitare tutto ciò che attira su di me l’attenzione’’.
La battaglia contro il nucleare
I disagi e i pericoli mostrati dalla guerra gli fecero maturare l’obiettivo di richiamare l’attenzione sui rischi costituiti dagli esperimenti atomici e dalle radiazioni nucleari. Legato dalla profonda amicizia con Albert Einstein e con un èlite di ricercatori e grazie ad una documentazione costantemente aggiornata, Schweitzer disponeva di un’approfondita conoscenza del fenomeno. Egli denunciò l’incombente minaccia rappresentata dagli esperimenti atomici attraverso ‘’tre richiami’’ trasmessi da Radio Oslo e ripresi da altre stazioni di tutto il mondo il 28, 29 e 30 aprile del 1958.
Il primo richiamo dimostra come l’umanità sia in estremo pericolo, non tanto per un’eventuale guerra atomica, ma già per i semplici esperimenti nucleari che contaminano l’atmosfera. Continuarli equivale a perpetuare un ‘’crimine contro la nostra stessa specie, contro i nostri figli, che a causa della contaminazione da radioattività, rischiano di nascere sempre più tarati nel fisico e nell’intelletto’’.
Il secondo richiamo si riferisce al rischio di una Terza guerra mondiale, che inevitabilmente sfocerebbe in una guerra atomica. Si rende conto l’umanità di questo pericolo? Deve prendere coscienza e impedirlo in nome di sé stessa’’. Discorso più che mai attuale e profetico, parla di missili, di corsa agli armamenti delle grandi potenze e dei rischi di guerra sfiorati in quegli anni e costantemente in agguato. Schweitzer afferma: ‘’Attualmente siamo costretti a considerare la minaccia di una guerra atomica tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Basterebbe una sola mossa per evitarla: le due potenze dovrebbero rinunciare contemporaneamente alle armi nucleari..’’
Il terzo richiamo è la conclusione naturale dei primi due, in cui si evidenzia la necessità di sospendere gli esperimenti atomici e rinunciare alle armi atomiche, spontaneamente, in nome dell’umanità. Si tratta di scegliere tra la rinuncia alle armi nucleari, nell’auspicio che le grandi potenze riescano a convivere in pace, o la folle corsa al riarmo, che può condurre alla più raccapricciante delle guerre e alla distruzione dell’umanità.
Premio Nobel
Nel 1952 fu insignito del Premio Nobel per la Pace con il cui ricavato fece costruire il villaggio dei lebbrosi inaugurato l'anno successivo con il nome di Village de la lumière (villaggio della luce). Nei pochi momenti liberi che aveva, lavorando fino a tarda ora, si dedicava alla lettura e allo scrivere, ma anche questi avevano come scopo finale il mantenimento del suo ospedale a Lambaréné.
La morte
Schweitzer non volle più ritornare a vivere nella sua terra natale, preferendo morire nella foresta vergine vicino alla gente a cui aveva dedicato tutto se stesso. Ed il 4 settembre 1965 morì, ormai novantenne, poco dopo sua moglie, nel suo amato villaggio africano di Lambaréné. Migliaia di canoe attraversarono il fiume per portare l'ultimo saluto al loro benefattore, che sarà seppellito presso l'ansa del fiume. I giornali occidentali ne annunciarono la morte: "Schweitzer , uno dei più grandi figli della Terra, si è spento nella foresta".
Il posto di Schweitzer sarà preso dal successore da lui designato, Walter Munz, un medico svizzero che a soli ventinove anni, nel 1962, aveva abbandonato una vita tranquilla e agiata in Europa per dare una mano a Lambaréné.
Dagli indigeni con cui visse fu denominato Oganga Schweitzer, lo "Stregone Bianco Schweitzer".
Il pensiero filosofico - Il rispetto per la vita
Tutta la vita e tutte le azioni di Albert Schweitzer sono fondate sulla sua filosofia e in particolare sul principio intorno al quale essa ruota: il rispetto per la vita. Fu durante il primo soggiorno in Africa ( 1913-1917) che egli individuò ed elaborò questo principio in quanto, nonostante avesse coltivato sin da giovane l’interesse per la filosofia, fu solo durante la permanenza in Africa che Schweitzer si interessò del problema dello sviluppo della civiltà e della cultura, e del suo legame con il modo di pensare dei popoli e le loro religioni.
Il suo primo intento era quello di scrivere un libro che fosse solo una critica alla civiltà moderna e alla sua decadenza spirituale causata dalla perdita di fiducia nei confronti del pensiero. Egli riteneva a tal proposito che una civiltà di tipo occidentale nasceva e prosperava quando a suo fondamento si trovava l’affermazione etica del mondo e della vita, che, per andare di pari passo, dovevano essere fondate sul pensiero. S. riteneva che la decadenza del mondo moderno fosse data dal fatto che al progresso materiale non corrispondesse il progresso morale. Quest’ultimo non si era realizzato perché fondato su credenze – quelle religiose del cristianesimo – e non su un pensiero profondo: il progresso morale non poneva le sue basi sulla meditazione rivolta all’essenza delle cose. Passando in rassegna tutte le etiche del passato, egli riscontrò che erano tutte in qualche modo limitate, o perché troppo lontane e astratte dalla realtà o perché relativistiche, mentre per lui un’etica, per essere tale, doveva essere assoluta: ciò che a tutte mancava era un fondamento vero e indiscutibile.
Trovò la soluzione del suo problema nel 1915 durante un viaggio intrapreso lungo il fiume dell’ Ogoouè, per andare a curare dei malati: ‘’La sera del terzo giorno, al tramonto, proprio mentre passavamo in mezzo a un branco di ippopotami, mi balzò d’improvviso in mente, senza che me l’aspettassi, l’espressione << rispetto per la vita >> .. Avevo rintracciato l’idea in cui erano contenute insieme l’affermazione della vita e l’etica.’’ (A. Schweitzer)
Elaborò a partire da questo momento un’etica che non si limitava al rapporto dell’uomo con i suoi simili, ma che si rivolgeva a ogni forma di vita; un’etica completa perché totalmente integrata e armonizzata in un rapporto spirituale con l’ Universo.
Queste idee non verranno pubblicate che nel 1923, inizialmente in due volumi successivamente riuniti sotto il titolo di Kultur und Ethik.
Il concetto di etica
L’etica non può essere considerata una scienza, in quanto non ha a fondamento fenomeni che seguono leggi, ma il comportamento umano, il quale è caratterizzato in primo luogo dall’imprevedibilità. Esso è infatti legato al pensiero e alla creatività d’ogni essere umano, nel quale non possiamo mai immedesimarci completamente. Afferma lo stesso Schweitzer in Cosa dovremmo fare?: ‘’Tu credi di conoscere l’altro, ma non lo conosci, perché non sai dove vacilli, o se scelga per l’essere o per il non essere’’.
Poiché le persone possiedono concezioni divergenti del bene e del male, l’etica non può essere costruita su delle regole fisse e incontrovertibili. Ogni individuo, pensando autonomamente, giunge a conclusioni strettamente soggettive sulla rettitudine dei comportamenti morali degli esseri umani. Dunque non potrà mai esistere una scienza dell’etica finché gli uomini penseranno in modo indipendente e non si lasceranno modellare come delle macchine. La sua riflessione sull’etica finisce col diventare una riflessione nell’etica, nel senso che ogni singola persona deve riflettere sulle proprie azioni e costruirsi attraverso il proprio pensiero dei principi da seguire e da mettere in pratica nella condotta di vita.
Il pensiero elementare
Il pensiero è il punto di partenza per qualsiasi attività umana consapevole, sia che si tratti di etica, religione o semplicemente dell’azione svolta all’interno della vita quotidiana. Schweitzer considera in tal proposito di primaria importanza il ‘’pensiero elementare’’: ‘’Elementare è il pensiero che muove dagli interrogativi fondamentali del rapporto dell’uomo con il mondo, del senso della vita e dell’essenza del bene. Esso è direttamente legato al pensiero che si agita in ogni essere umano. Gli si rivolge, lo amplia, lo approfondisce.’’ (‘’La mia vita e il mio pensiero’’, A. Schweitzer)
Questo tipo di pensiero conduce l’individuo a riflettere sulla propria esistenza e a interrogarsi sul significato della vita. S. inoltre ritiene che sia caratteristica indispensabile del pensiero l’essere strettamente connesso alla realtà: l’uomo deve ricordarsi della sua esistenza terrena, materiale, del suo essere all’interno di un mondo concreto in cui si incontrano gioie e dolori; egli deve disporre le proprie capacità riflessive verso la comprensione del proprio sé, intesa come atto di autocoscienza: ‘’Il pensiero è colui che concilia la volontà e la conoscenza che si trovano in me […] rinunciare a pensare significa dichiarare bancarotta spirituale.’’ (Cultura ed Etica, A. Schweitzer) Senza il pensiero l’uomo rinuncia a sviluppare la propria personalità e soprattutto i propri ideali; abbandona spontaneamente la possibilità di avere un’opinione personale e di decidere in prima persona della propria vita, contribuendo inoltre al decadimento della civiltà.
Schweitzer è convinto che si possa ovviare al relativismo e all’ inconsistenza delle etiche passate, recuperando il pensiero elementare che si occupa del rapporto dell’uomo con l’universo, del significato della vita e del bene. S. ritiene che la riflessione possa farci riscoprire quei principi normativi che l’individuo ha sempre avuto sotto gli occhi ma che non è mai riuscito a cogliere veramente, perché ha sempre cercato di fondare l’etica sulla sola ragione. L’uomo non è soltanto un essere razionale ma anche senziente, che si avvale sia della ragione quanto dei sentimenti. Dunque, l’uomo attraverso la ragione deve scoprire quei sentimenti innati che ha per tutti gli esseri viventi e constatare che la morale è fondata su una condivisione razionalmente consapevole della propria essenza.
I precetti che l’uomo deve riscoprire possono essere definiti ‘’precetti della ragione guidati dal cuore’’ e pur identificandosi con quelli cristiani del Vangelo (quelli dell’amore fraterno attraverso il quale ogni uomo riconosce nell’altro se stesso in tutta la sua complessità), possono trovarsi anche a fondamento di etiche non cristiane. Tali principi possono essere validi per l’uomo in generale in quanto essere pensante che, a differenza degli animali, possiede il cuore e la mente non solo per sopravvivere ma per vivere coscientemente e soprattutto con-vivere con i suoi simili e il resto dell’universo. Lo statuto dell’etica deve quindi essere ricercato nella profondità dell’uomo, nel suo appartenere alla vita, nell’essere contemporaneamente creatura pensante e sensibile, che interagisce con gli altri esseri e con la realtà delle cose, delle istituzioni e dei pensieri. Tutto il suo agire e interagire non è altro che il vivere e da ciò consegue naturalmente che a fondamento della sua etica non può che esserci la vita.
L’uomo di oggi, sovraccarico di lavoro
L’uomo di oggi è esposto a influssi che tendono a privarlo di qualsiasi fiducia nel proprio pensiero. Da ogni parte e nei più svariati modi lo si confonde affermando che la verità e le convinzioni di cui ha bisogno per vivere deve attingerle dalle associazioni o dalle istituzioni che esercitano un diritto su di lui. Lo spirito dell’epoca rende l’uomo scettico sul suo stesso pensiero, per prepararlo ad accogliere invece ciò che gli viene imposto dall’autorità. A tutto questo costante influsso non può opporre la resistenza opportuna, in quanto egli è un essere sovraccarico di lavoro e distratto, privo di capacità di concentrazione. L’uomo moderno ha perso inoltre, a causa degli ostacoli materiali che agiscono sulla sua mentalità, ogni fiducia spirituale in se stesso. Mentre in passato uno scienziato era anche un pensatore e contava qualcosa nella vita spirituale della sua generazione, ‘’la nostra epoca ha scoperto come separare il sapere dal pensiero, con il risultato che abbiamo davvero una scienza libera, ma non ci rimane più una scienza che rifletta’’. La rinuncia al pensiero diviene una dichiarazione di fallimento spirituale, che sbocca inevitabilmente nello scetticismo, promosso da coloro i quali si aspettano che l’uomo, dopo aver rinunciato a scoprire da sé la verità, accetti passivamente ciò che viene dall’alto e attraverso la propaganda. L’incoerenza e la debolezza che Schweitzer riscontra nel cristianesimo moderno sono legate proprio a questa mancanza di interiorità. Egli ritiene che i cristiani, nella cultura occidentale, non si preoccupino a sufficienza della propria vita spirituale, scarseggiando di raccoglimento, non solo perché assorbiti dalla frenetica e logorante vita quotidiana, ma anche perché non ne riconoscono l’importanza. Essi scelgono di non meditare e mirano soltanto alla realizzazione del bene, pensando che il cristianesimo sia solo pura attività. Schweitzer nota in tal proposito come la differenza tra la moralità sociale europea e la moralità i individuale degli indigeni africani sia sostanziale, e che quando alla moralità del cuore si aggiunge la conversione al cristianesimo del nero, questi gli conferisce una nobiltà superiore.
‘’Si deve vivere in mezzo al loro per capire quanto sia pieno di significato il fatto che un uomo, dal momento che è diventato cristiano, rifiuti le pratiche tradizionali o rinunci persino alla vedetta di sangue che per lui è considerata un obbligo. Trovo che l’uomo primitivo sia dotato di un’indole più mite di quella di noi europei: quando poi alle sue buone qualità si aggiunge il cristianesimo, ne possono risultare dei caratteri meravigliosamente nobili. Penso di non essere l’unico uomo bianco che si vergogna di sé quando si paragona agli indigeni’’. (Foresta Vergine)
Grande importanza come fonte di ispirazione per l’agire dell’uomo rivestono inoltre dagli ideali: ‘’ Lungo la strada della vita mi ha accompagnato, come un fedele consigliere, la convinzione che nella maturità dobbiamo lottare per continuare a pensare liberamente e a sentire così profondamente come facemmo in gioventù’’ . Gli ideali sono i motori dell’agire, ispirano grandi passioni per le quali si può essere disposti a dare persino la vita: ma si riesce a preservarli integri nel tempo? Gli adulti spesso si preoccupano di preparare i giovani a quando considereranno come illusione quello che al momento rappresenta un’aspirazione del cuore. Ma una più profonda esperienza di vita può esortare i giovani inesperti a mantenersi fedeli per tutta la vita alle idee che li entusiasmano. È grazie all’idealismo della gioventù che l’uomo riesce a vedere la verità e in quell’idealismo possiede un tesoro che non deve mai scambiar con nessun altra cosa al mondo. Il fatto che gli ideali generalmente falliscano, una volta trasferiti alla realtà, non significa che siano destinati sin dall’inizio ad arrendersi ai fatti, ma significa piuttosto che mancano di forza; e ciò avviene perché non sono abbastanza puri né saldamente radicati dentro di noi.
‘’Quando noi adulti tramandiamo alla generazione più giovane l’esperienza della vita, non dobbiamo esprimerci così: ‘’La realtà prenderà presto il posto degli ideali’’, ma invece ‘’Tieni saldi i tuoi ideali, cosicché la vita non possa mai privartene’’. Se tutti noi potessimo diventare ciò che eravamo a quattordici anni, come sarebbe differente il mondo. ‘’
Bisogna avere il coraggio di superare le regole, le usanze consuetudinarie, quando questo è dettato insieme dal cuore e dalla riflessione. A volte quella che viene comunemente giudicata come ‘’maturità’’ altro non è che una ‘’ragionevole rassegnazione’’, in cui l’individuo ha abbandonato ideali, lotte per la giustizia e libertà a cui credeva da giovane. Non bisognerebbe mai abbattere l’entusiasmo giovanile, perché è proprio in quello che l’uomo scorge la verità.
La concezione del mondo
‘’la relazione che abbiamo con il mondo esteriore è determinata dalla direzione della nostra voglia di vivere dal momento in cui prende coscienza di se stessa: ecco in cosa consiste la concezione del mondo.’’ La concezione del mondo è dunque il risultato della nostra concezione della vita e non il contrario:
‘’Qual è il comportamento della mia voglia di vivere faccia a faccia con se stessa e faccia a faccia con il mondo nel momento in cui prende coscienza di se stessa? […] Spinta da un bisogno interiore e per restare sincera e coerente con se stessa, la nostra voglia di vivere cerca di stabilire relazioni ispirate dal principio del rispetto della vita’’. La nostra vita ha dunque un senso, che trova la sua fonte in essa stessa ogni volta che si fa sentire in noi la più grande idea che può generare la nostra voglia di vivere: il rispetto della vita. Esso si pone a fondamento dell’etica in quanto fa in modo che ciascuno di noi dia valore alla propria vita e a quella che lo circonda, sentendosi portato all’azione e alla creazione di nuovi valori. ‘’Spinto da una necessità interiore e senza cercare di comprendere se il mondo abbia un senso, agisco dunque sul mondo e nel mondo creando nuovi valori e praticando l’etica.’’ (A, Schweitzer)
L’uomo occidentale non è mai pervenuto a tali conclusioni perché si perdeva sempre sulle strade sbagliate della credenza con mete ottimistiche ed etiche del mondo, anziché riflettere semplicemente, senza ripensamenti né idee preconcette, alla relazione che lega l’uomo al mondo, spinto da una voglia di vivere profondamente pensata: ‘’nel silenzio della foresta vergine africana, sono stato portato a dare quest’idea tutto il suo approfondimento e la sua espressione. Ecco perché mi presento oggi con fiducia come un rinnovatore del pensiero razionale spoglio di preamboli a priori’’. Il rinnovamento della nostra concezione del mondo non può che provenire da una riflessione sincera che attesti come il razionale, andando fino in fondo alla proprie conclusioni, sfoci inevitabilmente nel razionale, divenendo il paradosso della nostra vita spirituale.
Il principio umanitario e la solidarietà verso ogni forma di vita
Secondo Schweitzer l’etica individuale e quella sociale si distinguono per il diverso valore che attribuiscono al principio umanitario. L’etica individuale tende a salvaguardare il principio che un uomo non venga mai sacrificato a un fine, qualunque esso sia. L’etica sociale non ne è capace. La società, in base a un ragionamento e a scopi che stanno al di sopra della singola persona, non può attribuire importanza alla felicità e all’esistenza di un individuo. Afferma Schweitzer in All’ombra della foresta vergine: ‘’ coloro che hanno conosciuto l’angoscia e il dolore fisico sono uniti nel mondo intero da un legame misterioso. Chi è stato liberato dalla sofferenza e dalla malattia deve camminare davanti all’angoscia e alla sofferenza e contribuire come può alla salute altrui’’. Ma se l’etica che Schweitzer pone a fondamento di ogni azione umana promuove il rispetto verso qualsiasi forma di vita, come è possibile conciliare tutto ciò con la sopravvivenza, la quale spesso comporta la prevaricazione di taluni rispetto ad altri esseri viventi? L’etica del rispetto della vita non offre in realtà regole come palliativi o compromessi, ma mette l’uomo di fronte alle proprie responsabilità: è lui che deve decidere in ogni singolo caso in che misura voglia conformarsi all’etica e in che misura debba obbedire alla necessità, realtà che a volte diventa un caso di coscienza. Ogni distruzione di vita deve passare prima attraverso il criterio della necessità. Questo è vero per gli animali e per la vegetazione, giacché anche in questo caso la distruzione sconsiderata di alberi e di piante può portare a drammatiche conseguenze. quanto agli animali, che servono da cavia, il pretesto umanitario dell’esperimento non può giustificare tutti i sacrifici e le sofferenze che gli si impongono. Anche se la finalità dell’esperimento è valida, a volte si infliggono agli animali crudeli torture provocate da svegli per semplificare il lavoro. L’etica del rispetto della vita ordina di alleviare ogni sofferenza inutile: non è la sofferenza dell’animale che può dare servizio all’uomo, ma l’osservazione della sua guarigione: ‘’Ti sentirai solidale con ogni forma di vita e la rispetterai in ogni condizione: ecco il più grande comandamento nella sua formula più semplice’’.
Il mistero dell’altro e il perdono
Per quanto concerne i rapporti interpersonali Schweitzer era persuaso dell’impossibilità di conoscere fino in fondo un altro essere umano pur vivendoci assieme ogni giorno, nella consapevolezza e nel rispetto della sua vita interiore: ‘’Camminiamo come nella semioscurità e nessuno riesce a distinguere bene i tratti dei compagni, ma qualche volta un avvenimento in comune, una parola scambiata, ce li illumina come un lampo e li vediamo come sono veramente. Poi, per un lungo periodo, riprendiamo la strada insieme, al buio, e tentiamo inutilmente di immaginarci i loro tratti.’’ Bisogna arrendersi di fronte alla pretesa di sapere ogni cosa dell’altro, che rimarrà sempre per noi un mistero: conoscersi non significa sapere tutto dell’altro ma deporre in lui la nostra fiducia e il nostro amore. Non esiste difatti solo un pudore fisico, c’è anche un pudore spirituale del quale occorre tener conto. Nessuno può arrogarsi il diritto di conoscere fino in fondo i pensieri di un altro essere umano. In questo campo ha valore solo il donare, che è vita. Bisogna imparare a non accusare di mancanza di fiducia coloro che amiamo se non ci consentono di scrutare gli angoli più nascosti dei loro pensieri. Ma è importante anche donarsi all’altro, in un arricchimento reciproco: nessun uomo deve rimanere mai completamente estraneo all’altro in quanto ‘’il posto dell’uomo è presso l’uomo’’. È indispensabile superare le barriere rappresentate dalle regole e dalle convenzioni, quando ciò è dettato al contempo dai sentimenti e dalla riflessione. È sempre sulla base dei rapporti interpersonali che Schweitzer elabora un’originale riflessione anche sul perdono. L’etica corrente lo elogia come atto di totale abnegazione, mosso da sentimenti di pietà. In realtà, se concepito in questo modo, il perdono finisce con l’umiliare chi lo riceve. Difatti, secondo l’etica del rispetto della vita, esso si configura come semplice atto di sincerità nei nostri stessi confronti, che non siamo meno colpevoli degli altri, e più abbiamo commesso errori nella nostra vita più dobbiamo essere in grado di perdonarli quando diventiamo noi l’oggetto o la vittima degli errori altrui. In quest’ottica il perdono deve essere esercitato senza limiti, e va interpretato come un mezzo per sdebitarsi rispetto agli errori o delle negligenze commesse in passato.
Riflessioni sulle popolazioni indigene
‘’I popoli primitivi o semiprimitivi perdono l’indipendenza nel momento in cui arriva la prima imbarcazione di un bianco con cipria o rhum, sale o stoffe. In quel momento comincia a rovesciarsi la situazione sociale, politica ed economica. I capi si mettono a vendere i loro sudditi come se fossero degli oggetti. Da quel momento l’opera politica di uno stato coloniale dev’essere diretta a correggere i mali causati dal progresso economico senza limiti’’. (Razze, A. Schweitzer)
Da questa riflessione abbastanza esaustiva che Schweitzer fa nei suoi scritti si deduce quella che è la sua posizione in merito al colonialismo. Egli ritiene che i popoli primitivi perdano la propria indipendenza non inseguito alla dichiarazione di un protettorato o qualche altra forma di governo, ma l’hanno già persa in seguito alla nuova struttura economica generata dalla loro partecipazione al commercio mondiale. I paesi colonizzanti dovrebbero rendersi conto che non è legittimo arrogarsi dei diritti su altri paesi, trattandone la gente e i territori come se fossero materiale greggio per le proprie industrie. Piuttosto dovrebbero sentirsi responsabili di promuovere lo sviluppo di questi paesi, dando loro la possibilità di sviluppare da soli una propria organizzazione politica. La cosa migliore per questi popoli primitivi sarebbe che, dopo essere stati esclusi dal mercato mondiale nei limiti del possibile, posti sotto un’intelligente amministrazione, si elevassero gradatamente dallo stadio di nomadi a seminomadi a quello di agricoltori e artigiani con fissa dimora. Schweitzer ritiene infatti che una componente fondamentale dell’educazione di questi popoli sia indurre tra di essi la pratica dell’artigianato: l’indigeno rischia di saltare lo stadio che esiste tra la vita primitiva e quella professionale, tende, cioè, ad eliminare gli stadi intermedi dell’agricoltura e dell’artigianato. Senza tali basi non è possibile creare un’appropriata organizzazione sociale,in quanto l’indigeno non sa fare ciò che è indispensabile alla sua stessa vita, come costruirsi un’abitazione, coltivare i campi, ecc. Di conseguenza non sarà mai possibile creare un sistema economico solido e indipendente, il quale poggia appunto su queste basi. Schweitzer cercò appunto, nella sua opera di medico e di missionario, di infondere e insegnare l’importanza e la dignità del lavoro, inteso anche come sforzo fisico e materiale. Non è tuttavia facile intraprendere tale opera di educazione in quanto, da un lato tali popoli non si lascerebbero sfuggire facilmente l’opportunità di guadagnare denaro vendendo prodotti al mercato mondiale, e quest’ultimo, dal canto suo, non si asterrebbe dall’acquisire da loro materie prime fornendo in cambio manufatti. Diviene dunque un’impresa molto ardua trasformare un’opera di colonizzazione in una vera opera di civilizzazione.
Un appello all’Occidente
‘’Vedere un simile paradiso e allo stesso tempo una miseria così spietata e senza speranza era opprimente… ma costituiva un simbolo della condizione africana’’.
Schweitzer rifletteva spesso sulle difficoltà, il dolore, la miseria, che affliggevano la popolazione africana, e in particolare rivelava una sostanziale incredulità nel cogliere il forte contrasto esistente tra la natura straordinaria nella sua bellezza e particolarità, e la sofferenza che la circondava. Schweitzer ha più volte definito i popoli occidentali sostanzialmente viziati, in quanto non riconoscono i vantaggi di cui godono, e rimanendo perennemente concentrati sulla propria condizione mostrano una sostanziale indifferenza nei confronti delle sofferenza altrui. Per ogni minimo malanno di fronte a loro si aprono le porte degli ospedali ed essi possono avere accesso ad ogni tipo di cura e attenzione, e in tutto ciò del tutto non curanti di quelle milioni di persone soggette a orrendi mali (alcuni dei quali importati proprio dall’occidente), causa e allo stesso tempo effetto di una grave e recondita misera:
‘’Ognuno dei miei lettori pensi a quale sarebbe stata la storia della sua famiglia negli ultimi dieci anni se avesse dovuto passarli senza assistenza medica e chirurgica di alcun genere. È tempo che ci risvegliamo dal torpore e affrontiamo le nostre responsabilità’’.
Nonostante le sofferenze e la disperazione cui S. doveva fare i conti ogni giorno, egli amava svolgere la propria professione proprio in quei territori e in mezzo a quella gente, in quanto nella gioia e nella profonda gratitudine delle persone che egli aiutava a guarire scorgeva il senso e l’importanza del proprio lavoro:
‘’Vale la pena di lavorare qui solo per vedere come gioiscono coloro che sono cosparsi di piaghe quando vengono avvolti da bende pulite e non devono più trascinare e loro poveri piedi insanguinati nel fango. Quanto sarei contento se tutti i miei finanziatori potessero vedere i giorni della medicazione delle piaghe, i pazienti appena bendati camminare o venire trasportati giù dalla collina! Quanto mi piacerebbe che avessero visto i gesti eloquenti con cui una vecchia donna ammalata di cuore descriveva come, grazie alla digitale, potesse ancora respirare e dormire’’.
S. si rendeva conto di come anche solo un medico, provvisto di quei pochi mezzi messi a sua disposizione, potesse essere incredibilmente necessario in quei luoghi e quanto bene gli potesse fare alla gente del posto, un bene evidente e tangibile nei volti e nelle manifestazioni affettive degli stessi malati. S. riteneva che fosse un dovere da parte dell’Occidente occuparsi delle popolazioni indigene. Riconosceva le responsabilità dell’occidente nella miseria e nelle ingiustizie cui tali popolazioni erano soggette e per tanto considerava ogni cosa fatta per il loro bene non un atto di lodevole beneficenza, bensì un dovere, una riparazione ad un torto commesso. Mostrava spesso il proprio disappunto quando gli venivano offerti aiuti in cambio di vantaggi economici e restava sempre più basito nell’osservare l’egoismo e l’utilitarismo della società occidentale:
‘’È inconcepibile che noi popoli civili usiamo solo a nostro vantaggio i numerosi metodi di lotta contro le malattie, il dolore e la morte che la scienza ci ha procurato. Se in noi esiste un pensiero etico, come possiamo rifiutarci di permettere che queste nuove scoperte vadano a beneficio di coloro i quali sono esposti a mali fisici peggiori dei nostri?’’
S. ha definito membri della ‘’fratellanza di coloro che portano l’impronta del dolore’’ tutti coloro che hanno sperimentato che cosa siano il dolore fisico e lo strazio del corpo, uniti da un forte legame segreto. Chi è stato sottratto al dolore non può pensare di essere libero di nuovo, di poter vivere come prima completamente non curante del passato. Ora egli è ‘’un uomo a cui sono stati aperti gli occhi’’ sul dolore e deve aiutare fin dove può a recare agli altri la stessa liberazione di cui lui ha potuto godere.
Opere
Albert Schweitzer fu, oltre che medico e filosofo, un abilissimo musicista.
L'amore per l'organo, che suonò in maniera magistrale per tutta la vita, lo portò, naturalmente, ad amare Bach. Questa passione lo portò nel 1905 alla pubblicazione del suo primo libro, J. S. Bach, il musicista poeta, in cui, dopo aver descritto la storia della musica del compositore e dei suoi predecessori, analizzò le sue opere più importanti.
La sua opera teologica più importante fu, certamente, la Storia della ricerca sulla vita di Gesù (1906) in cui interpretò il Nuovo Testamento alla luce del pensiero escatologico di Cristo. Non meno importante fu, però, l'altra opera teologica, pubblicata postuma nel 1967 con il titolo Il regno di Dio e la cristianità delle origini.
Ad Albert Schweitzer si devono, inoltre, i due volumi della Filosofia della civiltà (1923) e l'autobiografia La mia vita e il mio pensiero (1931).
Ad Albert Schweitzer è stata intitolata una scuola romana.
▪ 2005 - Ennio Pintacuda (Prizzi, 9 marzo 1933 – Palermo, 4 settembre 2005) è stato un gesuita e scrittore italiano.
Terzo di quattro figli, fu accettato a 15 anni come novizio della Compagnia di Gesù, a Bagheria, il 10 marzo del 1948. Il 15 agosto del 1967 pronunciò i suoi ultimi voti che l'hanno legato definitivamente alla Compagnia di Gesù.
Laureato in giurisprudenza all'Università Cattolica di Milano, studiò teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e si specializzò in sociologia politica a New York. Pubblicista, svolse l'attività di docente in diverse scuole di Palermo: collegio Gonzaga, Centro studi sociali Cesare Terranova, Istituto di formazione politica Pedro Arrupe, Isas, Istituto provinciale di cultura e lingue. Fu collaboratore della programmazione della Pastorale diocesana e direttore della radio diocesana Voce nostra.
Impegno Politico
Ispiratore della stagione politica che portò alla primavera palermitana, impegnato nella ricerca scientifica e nella promozione dello sviluppo sociopolitico della Sicilia, negli anni ottanta si schierò a fianco di Leoluca Orlando e contribuì alla nascita di alcuni importanti movimenti politici come Città per l'Uomo e soprattutto La Rete.
Di padre Ennio Pintacuda si ricordano anche le sue numerose battaglie contro la mafia - per la quale visse per qualche tempo scortato - e l'usura.
Con la Provincia regionale di Palermo fondò il laboratorio antiusura, di cui era presidente onorario. Agli inizi degli anni novanta fondò la Libera università della politica a Filaga, frazione di Prizzi, sulle montagne del Corleonese.
Nel 1998 accettò la presidenza del Cerisdi, la scuola di formazione che si trova a castello Utveggio, Palermo, su incarico dell'allora presidente della Regione siciliana, Giuseppe Drago, poi reso esecutivo dal successivo presidente della Regione, Angelo Capodicasa.
▪ 2007- Gigi Sabani, all'anagrafe Luigi Sabani (Roma, 5 ottobre 1952 – Roma, 4 settembre 2007), è stato un imitatore, conduttore televisivo e cantante italiano.