Il calendario del 30 Agosto
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Eventi
* 711 - K'inich K'an Joy Chitam, re della città maya di Palenque, scompare. Probabilmente è prigioniero di una città stato rivale
* 1850 - Honolulu diventa una città
* 1860 - Resa dell'esercito borbonico, comandato dal generale Giuseppe Ghio, alle truppe garibaldine a Soveria Mannelli
* 1862 - Battaglia di Richmond - I confederati guidati da Edmund Kirby Smith mettono in rotta le truppe dell'Unione del generale Horatio Wright
* 1873 - Gli esploratori austriaci Julius von Payer e Karl Weyprecht scoprono la Terra di Francesco Giuseppe nel Mar Artico
* 1914 - Battaglia di Tannenberg
* 1918 - Degli assassini feriscono gravemente il leader bolscevico Vladimir Lenin e uccidono Moisei Uritsky, dando la spinta al decreto che istituirà il Terrore rosso
* 1922 - Battaglia di Dumlupinar, scontro finale della Guerra Greco-Turca (1919-1922) (Guerra d'indipendenza Turca)
* 1939 - Mobilitazione generale in Polonia: vengono richiamate alle armi 23 classi
* 1941 - Inizia l'assedio di Leningrado
* 1945 - Hong Kong viene liberata
* 1961 - La Ranger 1 rientra nell'atmosfera terrestre
* 1963 - Guerra fredda: entra in funzione il Telefono Rosso tra i capi di Stati Uniti ed Unione Sovietica
* 1967 - Thurgood Marshall viene confermato come primo giudice Afroamericano della Corte Suprema degli Stati Uniti
* 1990 - Il Tatarstan dichiara l'indipendenza dalla RSFSR
* 1991 - L'Azerbaijan dichiara l'indipendenza dall'Unione Sovietica
* 1999 - In un referendum Timor Est vota per l'indipendenza
* 2005 - L' uragano Katrina devasta New Orleans
Anniversari
* 1706 - Pietro Micca (Sagliano Micca, 6 marzo 1677 – Torino, 30 agosto 1706) è stato un militare sabaudo.
Arruolato come soldato-minatore nell'esercito del Ducato di Savoia, è storicamente ricordato per l'episodio di eroismo nel quale perse la vita e che consentì alla città di Torino di resistere all'assedio del 1706 da parte delle truppe francesi.
Si sa poco sulla sua persona prima del gesto, tranne che proveniva da famiglia modesta. Nella sua città natale, Sagliano (piccolo centro della bassa Valle Cervo unita all'antica Andorno Cacciorna - oggi Andorno Micca - divenuto in seguito Sagliano Micca) in provincia di Biella esiste ancora la semplice casa nella quale abitava, situata all'interno di uno dei tipici cortili del Piemonte. Un museo a lui intitolato, dedicato al suo gesto e al memorabile assedio, si trova a Torino.
Nella notte tra il 29 e il 30 agosto 1706 - in pieno assedio di Torino da parte dell'esercito francese - forze nemiche entrarono in una delle gallerie sotterranee della Cittadella, uccidendo le sentinelle e cercando di sfondare una delle porte che conducevano all'interno. Pietro Micca - conosciuto con il soprannome di Passepartout - era di guardia ad una di queste porte insieme ad un commilitone.
I due soldati sentirono dei colpi di arma da fuoco e capirono che non avrebbero resistito a lungo: decisero così di far scoppiare della polvere da sparo (un barilotto da 20 chili posto in un anfratto della galleria chiamata "capitale alta") allo scopo di provocare il crollo della galleria e non consentire il passaggio alle truppe nemiche.
Non potendo utilizzare una miccia lunga perché avrebbe impiegato troppo tempo per far esplodere le polveri, Micca decise di impiegare una miccia corta, conscio del rischio che avrebbe corso. Istintivamente, quindi, allontanò il compagno (con una frase che sarebbe diventata storica: «Alzati, vai e salvati, che sei più lungo di una giornata senza pane») e senza esitare diede fuoco alle polveri, cercando poi di mettersi in salvo correndo lungo la scala che portava al cunicolo sottostante.
Il corpo di Pietro Micca fu ritrovato senza vita a quaranta passi di distanza, dove fu ucciso dalle esalazioni velenose dell'esplosione. L'ubicazione della scala su cui avvenne l'eroico gesto si è avuta soltanto nel 1958 grazie alle ricerche del generale Guido Amoretti (1920-2008), appassionato archeologo e studioso di storia patria. A lui si deve l'ideazione del Museo Pietro Micca e dell'assedio di Torino del 1706.
Secondo il conte Giuseppe Maria Solaro della Margherita, all'epoca comandante della guarnigione di Torino, il sacrificio della sua vita è da addebitarsi più ad un errore di calcolo della lunghezza della miccia che ad una deliberata volontà di sacrificare la propria vita.
Come ricompensa per il sacrificio di Pietro Micca il duca Vittorio Amedeo II assegnò alla vedova, Maria fu Pasquale Bonino (sposata il 29 ottobre 1704), un vitalizio di due pani al giorno. La coppia aveva anche un figlio, Giacomo (stesso nome del padre di Pietro), di appena 11 mesi.
* 1868 - Michelina Di Cesare (Caspoli, 28 ottobre 1841 – Mignano Monte Lungo, 30 agosto 1868) è stata una brigante italiana, nata nell'allora Regno delle Due Sicilie.
Nata poverissima a Caspoli, frazione di Mignano Montelungo, nella provincia duosicialian della Terra di Lavoro, fu fin da piccola ribelle. Secondo il biografo Maurizio Restivo che riporta la nota del sindaco di Mignano, Michelina Di Cesare assieme al fratello Giovanni si rese protagonista sin da piccola di piccoli furti ed abigeati nel circondario di Caspoli.
Nel 1861 si sposa con Rocco Tanga, che morì l'anno dopo lasciandola vedova, mentre nel 1862 conosce Francesco Guerra, ex soldato borbonico e renitente alla leva indetta dal nuovo Stato, il quale si diede alla macchia aggregandosi alla banda di Rafaniello (Domenicangelo Cecchino) fino a diventarne capo nel 1861 alla morte di costui. Michelina ne divenne la donna e in seguito lo raggiunse in clandestinità, come resta testimonianza in un interrogatorio del brigante Ercolino Rasti nel 1863(in: V. Romano, Brigantesse). Secondo alcuni i due si sposarono nella chiesa di Galluccio anche se non c'è registrazione dello sposalizio, ma vi sono alcune testimonianze nelle carte processuali [interrogatorio dell'11 maggio 1865] di Domenico Compagnone, che la chiama: Michelina Guerra moglie di quest'ultimo (in: V. Romano, Brigantesse).
Comunque sia, di questa banda Michelina divenne elemento di spicco e fu stretta collaboratrice del suo uomo e capobanda. Di ciò si ha chiara notizia dalla testimonianza dello stesso Domenico Compagnone, che sempre in quell'interrogatorio aggiunse: La banda è composta in tutto di 21 individui, comprese le due donne che stanno assieme a Fuoco e Guerra, delle quali quella di Guerra è anch'essa armata di fucili a due colpi e di pistola. Della banda [solo] i capi sono armati di fucili a due colpi e di pistole, ad eccezione dei due capi suddetti che tengono il revolvers (in: V. Romano, Brigantesse). Dunque non solo Michelina Di Cesare era parte effettiva della banda, ma dalle armi che portava una dei suoi capi riconosciuti.
La tattica di combattimento della banda era tipicamente di guerriglia, con azioni di piccoli gruppi che concluso l'attacco si disperdevano alla spicciolata, se del caso, per riunirsi in seguito in punti prestabiliti.
La banda di Michelina, talvolta singolarmente, talvolta in unione ad altre famose bande locali, corse parecchi anni (dal '62 al '68, come appare dalla nota del sindaco di cui sopra) il territorio tra le zone montuose di Mignano e i paesi circonvicini, compiendo assalti, grassazioni, ruberie e sequestri. Famoso è rimasto l'assalto al paese di Galluccio, con lo stratagemma di alcuni briganti travestiti da carabinieri che conducevano altri briganti nella loro foggia fintamente catturati. Le scorrerie non scemarono neppure quando dopo il 1865 in molte altre zone del Sud il brigantaggio era stato fortemente ridimensionato
Da ultimo nel 1868 fu mandato in quelle zone il generale Emilio Pallavicini di Priola con pieni poteri per dare una stretta decisiva alle misure repressive. A tali misure e alle minacce il Pallavicini seppe efficacemente usare le ricompense per le delazioni e le spiate, e proprio una spiata fece cadere la sua banda in un agguato che perse Michelina e il suo uomo.
I briganti vennero fucilati ed i loro corpi furono messi a nudo ed esposti nella piazza centrale di Mignano a monito della popolazione locale.
La guerra al brigantaggio fu condotta anche con il mezzo della propaganda e fu subito estesamente usato il nuovo ritrovato della fotografia. I fotografi al seguito delle truppe unitarie venivano chiamati sul posto della cattura o uccisione di briganti
Michelina Di Cesare, uccisa nello scontro a fuoco, venne fotografata quando fu messa a nudo e in piazza la sua morte e quella dei compagni uccisi con lei. Le ferite visibili nella foto ha diffuso la credenza che fosse morta sotto tortura, ma è da escludere sia stato così.
La propaganda venne usata anche da Michelina Di Cesare che si fece fotografare in costume tradizionale contadino e armata di fucile e pistola da un fotografo forse a servizio dei Borbone.
* 1954 - Alfredo Ildefonso Schuster (Roma, 18 gennaio 1880 – Venegono Inferiore, 30 agosto 1954) è stato un cardinale e arcivescovo cattolico italiano. Fu arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954. È stato proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1997.
La formazione
Nacque a Roma il 18 gennaio 1880 da Giovanni (Johann), sarto bavarese (al servizio della corte pontificia come caposarto per i reparti di guardie zuave), e Maria Anna Tutzer, di Renon, sudtirolese. Rimasto presto orfano di padre, entrò nello studentato di San Paolo fuori le mura per merito del Barone Pfiffer d’Altishofen. Negli anni successivi si laureò in filosofia al Collegio Pontificio di Sant'Anselmo a Roma, divenne monaco benedettino e il 19 marzo 1904 venne ordinato sacerdote in San Giovanni in Laterano.
Monaco ed abate
Monaco benedettino nell'abbazia di San Paolo fuori le mura, in seguito divenne procuratore generale della Congregazione Cassinese, priore claustrale e nel 1918 abate ordinario di San Paolo fuori le mura.
Fece parte di Amici Israël, una lega cattolica internazionale contro l'antisemitismo e il razzismo, in cui militavano anche molti ebrei convertiti.
Arcivescovo di Milano [modifica]
Fu nominato da Papa Pio XI arcivescovo di Milano il 26 giugno 1929 ed insignito della berretta cardinalizia il 15 luglio 1929. Nel 1930 nomina vicario generale della diocesi Giacinto Tredici, che era stato uno dei fondatori della Rivista di Filosofia Neoscolastica, che sarà poi Vescovo di Brescia dal 1934.[1]
A Milano, tra le tante cose, appena giunto in diocesi nel 1929, fondò l'Unione Diocesana Decorati Pontifici (attuale ADAS, Associazione Decorati Apostolica Sede) che riunsce tutte le personalità laiche o religiose insignite di un'onorificenza pontificia. Lo stesso Schuster venne onorato del cavalierato di gran croce dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Governò la diocesi in tempi difficili per Milano e per l'Italia. Prese come modello uno dei suoi predecessori più illustri, San Carlo Borromeo: si dimostrò assiduo nell'effettuare le visite pastorali nella diocesi che nei venticinque anni del suo episcopato svolse ben cinque volte. Numerose sono le sue lettere al clero e al popolo, le minuziose e dettagliate prescrizioni specialmente in ordine al decoro del culto divino e i frequenti sinodi diocesani; durante il suo episcopato si contano inoltre due congressi eucaristici. Ristrutturò, su incarico di Papa Pio XI, i seminari milanesi mediante la costruzione del Seminario Teologico e Liceale di Venegono Inferiore, inaugurato nel 1935.
Come quasi tutto il mondo cattolico italiano, Schuster si illuse che attraverso la collaborazione la Chiesa potesse cristianizzare il fascismo (ne fa fede una lettera precedente il Concordato e la nomina ad arcivescovo), facendo ad esempio celebrare una messa di ringraziamento nel 1935, all'indomani dell'invasione dell'Etiopia da parte delle truppe italiane, perché Dio proteggesse quelle stesse truppe che nella sua ottica avrebbero contribuito ad una sempre maggiore diffusione del cristianesimo anche nei paesi "non ancora cristianizzati".[2]
Schuster abbandonò tale illusione a seguito dell'approvazione delle Leggi razziali fasciste tra settembre e novembre 1938. Il 13 novembre 1938 il cardinale Schuster dal pulpito del Duomo di Milano, per l'inizio dell'Avvento ambrosiano, pronunciò un'omelia che condannava tali provvedimenti, denunciandone l'ideologia neo-pagana:
«È nata all'estero e serpeggia un po' dovunque una specie di eresia, che non solamente attenta alla fondamenta soprannaturali della cattolica Chiesa, ma materializza nel sangue umano i concetti spirituali di individuo, di Nazione e di Patria, rinnega all'umanità ogni altro valore spirituale, e costituisce così un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo. È il cosiddetto razzismo[3]»
Il testo integrale dell'omelia fu pubblicato il 15 novembre in prima pagina dal quotidiano cattolico L'Italia; il direttore Sante Maggi pagò il gesto con la rimozione dalla carica per evitare la chiusura del giornale, nonostante la difesa di Schuster, che a sua volta fu considerato dal regime un traditore e un antifascista.
Di lui scrisse David Maria Turoldo:
«Sbagliano coloro che lo pensano coinvolto nel fascismo o altro. Schuster non era né fascista, né antifascista: e non era neppure neutrale. Schuster era un monaco e basta. Monaco è uno che ha solo Dio in testa. Un "monaco in battaglia" dopo essere stato "soldato nel monastero"»
Schuster partecipò al conclave del 1939, che elesse papa il cardinale Eugenio Pacelli (Papa Pio XII).
Durante il periodo bellico sostiene attivamente la Carità dell'Arcivescovo, dando il primo incarico di responsabile a Carlo Bianchi, il quale aveva avuto l'idea da una sua lettera pastorale. Carlo Bianchi morirà a Fossoli, fucilato.
Alla caduta della Repubblica Sociale Italiana promosse un incontro in Arcivescovado tra Benito Mussolini e i rappresentanti partigiani, nel tentativo di concordare una resa senza spargimento di sangue. Propose anche a Mussolini di fermarsi in Arcivescovado, sotto la sua protezione, per poi consegnarsi agli Alleati. Il Duce però rifiutò, preferendo tentare la fuga.
Quando il 29 aprile 1945 i corpi fucilati di Mussolini e degli altri gerarchi fascisti furono appesi in piazzale Loreto, Schuster informò Riccardo Lombardi, prefetto su nomina del Comitato di Liberazione Nazionale, che egli stesso «in porpora» avrebbe dato la benedizione alle salme «perché si deve aver rispetto di qualsiasi cadavere». Allo stesso modo il 14 agosto 1944, quando i tedeschi avevano trucidato quattordici partigiani e avevano abbandonato i corpi nello stesso luogo, Schuster aveva scritto all'ambasciatore tedesco chiedendo che i cadaveri fossero rimossi, «altrimenti sarebbe andato lui a trasportarli».
Anziano e malato, si ritirò nel dopoguerra nel seminario di Venegono, dove si spense il 30 agosto 1954.
La memoria
Il processo diocesano di canonizzazione venne aperto il 30 agosto 1957, dopo appena tre anni dal decesso del cardinale, promosso dall'allora Arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, e si concluse il 31 ottobre 1963. All'apertura della tomba del cardinale Schuster il 28 gennaio 1985, il suo corpo venne ritrovato intatto ed egli venne beatificato il 12 maggio 1996 da Giovanni Paolo II.
Nel 2006 l'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID) ha intitolato una borsa di studio in suo onore.
Sorte simile ha riguardato il parco antistante la Basilica di San Paolo a Roma, che porta il suo nome.
Nel Santuario di Chiesa di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso a Milano, in una teca all'ingresso sono esposti dei paramenti del Cardinale ed il calco, fatto alla morte, del viso e della mano, effettuato dallo scultore don Marco Melzi dell'Istituto Beato Angelico di Milano.
A Milano, in via Feltre 100, dal 1954 vi è il Centro Giovanile Cardinale Schuster, fondato dal padre gesuita Ludovico Morell.
Note
1. ^ M. Lovatti, Giacinto Tredici vescovo di Brescia in anni difficili, Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana, 2009. 24-29
2. ^ Cfr. Lee, Stephen J. 2000. European Dictatorships, 1918-1945. New York: Routledge
3. ^ Giacomo Biffi, Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Cantagalli, 2007, pag. 359.
* 2003 - Donald Davidson (6 marzo 1917 – 30 agosto 2003) è stato un filosofo statunitense.
Fra i massimi esponenti della corrente filosofica analitica, largamente ispiratosi al pensiero di Willard Van Orman Quine e di Alfred Tarski, si occupò di teoria dell'azione, di questioni ontologiche, di filosofia del linguaggio, di filosofia della mente, di teorie della verità, e di epistemologia, ed è stato riconosciuto come un maestro da filosofi della corrente neo-pragmatista come Richard Rorty. L’intera sua opera consiste in un centinaio circa di articoli usciti su riviste specializzate o miscellanee, molti dei quali raccolti successivamente in volumi.
Filosofia del linguaggio
A partire dal saggio Verità e significato, del 1967, Davidson elabora una teoria del significato mutuata dalla definizione tarskiana di verità. L’originale proposta consiste nel fare a meno di entità legate alle espressioni linguistiche, quali i “significati”, concentrandosi invece sul ruolo che i singoli termini svolgono all’interno di un enunciato nel determinarne il valore di verità, partendo dal postulato fregeano che il significato di un’espressione è dato dalle sue condizioni di verità.
Davidson quindi sostiene che tutto quel di cui abbiamo bisogno, nel costruire una teoria del significato per una data lingua (una teoria, cioè, che ci consenta di interpretare gli enunciati di quella lingua), è una definizione ricorsiva della verità di stampo tarskiano per quella lingua: una definizione che, per ogni enunciato della lingua-oggetto, sia in grado di generare un V-enunciato corrispondente nel meta-linguaggio della forma “ ‘p’ è vero se e solo se q”, dove “q” costituisce l’equivalente, o la traduzione, nel meta-linguaggio, dell’espressione “p” del linguaggio-oggetto, come in “ ‘the snow is white’ è vero se e solo se la neve è bianca”. Da notare che la ricerca di equivalenti linguistici – o sinonimi – non costituisce, come in Tarski, il punto di partenza per arrivare a definire la verità, ma al contrario Davidson parte dalla nozione di verità, considerata come primitiva e indefinibile, per arrivare al significato. Un'altra modifica rispetto alla proposta tarskiana (pensata per i linguaggi formali) è che per ottenere una definizione adatta per i linguaggi naturali occorre inserire nel V-enunciato un riferimento al tempo dell'enunciato e al parlante.
La verificabilità empirica, in linea di principio, di una teoria del significato è garantita dalla procedura di interpretazione radicale: un immaginario esperimento nel quale un interprete impara ad associare le espressioni di un parlante in una lingua sconosciuta ad eventi nel mondo (assumendo come base di partenza gli enunciati occasionali, cioè quegli enunciati il cui valore di verità cambia nel corso del tempo, quali “sta piovendo” o “sta passando un coniglio”), per arrivare infine, tramite gli opportuni collegamenti logici, alla teoria del significato di stampo tarskiano di cui sopra (ad esempio: " 'It's raining' è vero per John al tempo t, se e solo se al tempo t sta piovendo nei pressi di John").
Nel fare ciò svolge un ruolo fondamentale il cosiddetto principio di carità, che assume la generale coincidenza fra le credenze del parlante e quelle dell’interprete: in altre parole, non saremmo in grado di interpretare il prossimo se non gli attribuissimo la capacità di discernere il vero, perlomeno nella stragrande maggioranza dei casi. Questa assunzione viene anche usata da Davidson, nel saggio Sull’idea stessa di una schema concettuale, del 1974, per attaccare la posizione filosofica del relativismo culturale: l’idea di una incommensurabilità fra linguaggi, o una fondamentale discrepanza tra i nostri schemi mentali e quelli di un altro, viene dichiarata priva di senso.
Nel saggio Una graziosa confusione di epitaffi, del 1985, Davidson radicalizza la sua opposizione alle correnti teorie del significato sostenendo che "il linguaggio, così come lo intende la maggior parte dei filosofi, non esiste". Analizzando il fenomeno dei "malapropismi" (strafalcioni linguistici che di norma non compromettono la corretta comprensione di una frase) Davidson arriva infatti a sostenere che, tramite la procedura di interpretazione radicale e attraverso l'uso sistematico del principio di carità, non arriviamo mai a comprendere un "linguaggio", se per esso si intende un insieme di norme linguistiche convenzionali situate al di fuori della mente dei parlanti, ma al più un "idioletto", adatto esclusivamente al parlante che abbiamo di fronte. Ciononostante Davidson tiene ferma l'impossibilità di un "linguaggio privato" in quanto il linguaggio (così come il pensiero stesso) esiste necessariamente in virtù di uno scambio comunicativo fra un parlante e un interprete.
La teoria causale dell’azione
In Azioni, ragioni e cause, del 1963, Davidson delinea una teoria causale dell’azione che va in direzione contraria alle (allora in voga) teorie wittgensteiniane. Se per i wittgensteiniani non può darsi una scienza esatta del comportamento in quanto esso, piuttosto che “spiegato” dalle cause, è “motivato” dalle ragioni per agire, Davidson argomenta che una ragione è al tempo stesso una causa per una certa azione, e ogni causa presuppone una legge fisica universale di cui è un’esemplificazione. Il comportamento umano, quindi, può essere spiegato nello stesso senso di “spiegazione” usato dalle scienze naturali nel descrivere gli eventi fisici.
Tuttavia, sebbene ogni particolare azione possa essere ri-descritta in modo tale da esemplificare una legge fisica universale, il linguaggio in cui solitamente viene descritta usa un vocabolario proprio, quello della psicologia, e non esiste un modo standard per tradurre descrizioni di tipo “mentalistico” in descrizioni di tipo fisico.
Filosofia della mente
Partendo da queste considerazioni, negli anni settanta Davidson sviluppò la posizione del "monismo anomalo", o della “identità delle occorrenze” in quanto distinta da una “identità dei tipi”. Ogni particolare evento mentale, per questa teoria, è identico a un particolare evento fisico. Nonostante ciò non è possibile stabilire nessuna identità fra “tipi” o classi di eventi mentali e classi di eventi fisici. Inoltre non esistono “leggi psico-fisiche”, non si possono cioè trovare legami causali universalmente validi fra tipi di eventi fisici e tipi di eventi mentali.
Per questo la posizione si chiama "anomala", cioè "senza leggi" (per una falsa etimologia). Con questa proposta Davidson combina un materialismo piuttosto rigoroso sul piano ontologico con un certo pluralismo epistemologico, assumendo che la psicologia non può, in linea di principio, venire ridotta alla scienza fisica.
I contenuti mentali hanno infatti un rapporto di tipo olistico fra loro, analogo a quello esistente fra gli enunciati di un linguaggio: così come un enunciato ha significato solo grazie alle sue connessioni con l’intero sistema linguistico, un contenuto mentale può esistere solo in quanto logicamente connesso a un’intera rete di contenuti mentali, il che ne garantisce una certa “opacità” rispetto alla semplice causazione fisica.
A partire dagli anni Ottanta Davidson aderisce alla corrente “esternalista” della filosofia della mente, la quale opponendosi alla tradizione cartesiana asserisce la dipendenza logica (ma non la riducibilità) dei nostri contenuti mentali dagli eventi esterni che ne sono la causa: in questo ambito sviluppa la nozione di “triangolazione”, che consiste nello stabilirsi di un legame causale e comunicativo, logicamente necessario per l’esistenza stessa di una qualsiasi mente, fra la nostra mente, il mondo esterno, e la mente di un’altra persona. Nonostante alcuni critici abbiano ritenuto che vi sia una certa tensione fra il programma esternalista dell’ultimo Davidson e il suo olismo, tale incompatibilità non è riconosciuta dallo stesso Davidson.