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Il calendario del 3 Maggio

Fonte:
CulturaCattolica.it

Eventi

▪ 1241 - Mar Tirreno: davanti all'isola del Giglio la flotta di Federico II e quella di Pisa attaccano le navi di Genova con a bordo dei prelati diretti al concilio indetto da papa Gregorio IX, catturandoli

▪ 1497 - Consacrazione della Certosa di Pavia

▪ 1791 - La Dieta polacca proclama la Costituzione del 3 maggio (prima costituzione moderna in Europa, seconda nel mondo)

▪ 1808 - Spagna: rivolta a Madrid contro l'occupazione di Napoleone Bonaparte, i massacri del popolo da parte dei francesi ispireranno i quadri di Francisco Goya, tra cui la tela Il 3 maggio 1808

▪ 1815 - Guerra austro-napoletana: l'esercito austriaco sconfigge le truppe del Regno di Napoli comandate da Gioacchino Murat nella battaglia di Tolentino.

▪ 1860 - Carlo XV di Svezia-Norvegia viene incoronato re di Svezia

▪ 1867 - La Compagnia della Baia di Hudson rinuncia a tutte le pretese sull'Isola di Vancouver

▪ 1912 - Le prime vittime del Titanic vengono seppellite ad Halifax, in Nuova Scozia

▪ 1915 - L'Italia ripudia la triplice alleanza: il 23 maggio entrerà in guerra contro l'Austria

▪ 1916 - I leader della Sollevazione di Pasqua vengono giustiziati a Dublino

▪ 1923 - Jacopo Gasparini (1879 - 1941) viene eletto Governatore d'Eritrea. Rimarrà in carica fino al 1928

▪ 1933 - Nellie Taylor Ross diventa la prima donna a dirigere la Zecca degli Stati Uniti

▪ 1937 - Via col vento, un romanzo di Margaret Mitchell, vince il Premio Pulitzer

▪ 1939 - Stalin nomina ministro degli Esteri Molotov

▪ 1941 - Dopo l'intervento delle truppe tedesche la Grecia si arrende all'Italia

▪ 1945 - Seconda guerra mondiale: affondamento delle prigioni galleggianti: Cap Arcona, Thielbek e Deutschland da parte della RAF nella Baia di Lubecca

▪ 1946 - Il Tribunale Militare Internazionale per l'Estremo Oriente inizia i suoi lavori a Tokyo, contro 28 rappresentanti dell'esercito e del governo giapponese, accusati di crimini di guerra e crimini contro l'umanità

▪ 1947 - La nuova Costituzione postbellica del Giappone entra in vigore

▪ 1951 - Apertura della Royal Festival Hall di Londra

▪ 1952 - I tenenti colonnelli statunitensi Joseph O. Fletcher e William P. Benedict atterrano con un aereo sul Polo Nord geografico

▪ 1956 - Prima edizione dei campionati del mondo di Jūdō

▪ 1968 - Parigi, prime cariche della polizia contro studenti in protesta: è l'inizio del Maggio francese

▪ 1970 - San Leonardo Murialdo, viene proclamato santo

▪ 1979 - Regno Unito, Margaret Thatcher viene nominata Primo Ministro

▪ 1982

  1. - Polonia, a Varsavia e in altre città, le manifestazioni di Solidarnosc si scontrano con la polizia
  2. - Guerra delle Falkland: Il cacciatorpediniere Type 42 HMS Sheffield viene colpito e affondato da un missile Exocet

▪ 1985 - La Microsoft lancia sul mercato Excel

▪ 1991
  1. - Viene firmata la Dichiarazione di Windhoek
  2. - Viene trasmesso l'ultimo episodio della soap opera Dallas

▪ 1998 - alle 00.08 Jacques Chirac e Helmut Kohl firmano l'accordo sulla nomina del presidente della banca Centrale Europea: è la nascita dell'euro. Provvisoriamente vale 1942,03 lire italiane

▪ 2000 - Datapoint, la società che commissionò il microprocessore Intel 8008, dichiara bancarotta

▪ 2002 - L'euro diventa la valuta ufficiale dei paesi dell'Unione Monetaria Europea

▪ 2003 - Palermo, la Corte d'Appello assolve in parte il senatore a vita Giulio Andreotti dalle accuse di associazione mafiosa

▪ 2005 - Dopo 35 anni, la Corte di Cassazione assolve tutti gli imputati della Strage di Piazza Fontana e condanna al pagamento delle spese processuali i parenti delle vittime e le parti civili

Anniversari

▪ 1481 - Maometto II (in ottomano: محمد ثانى, Mehmet II, detto ﺍلفاتح, Fātiḥ, "Il Conquistatore"; turco moderno: Fatih Sultan Mehmet; Edirne, 29 marzo 1432 – Scutari, 3 maggio 1481) fu il settimo sultano dell'Impero ottomano.
Salito al trono a soli 13 anni dopo l'abdicazione del padre Murad II nel 1444, divenne sovrano effettivo solo nel 1451 perché nel frattempo il padre aveva ripreso il potere nel 1446.
Tra i primi atti di governo, per consolidare il suo trono (come del resto prevedeva la spietata tradizione di molte dinastie turki onde non smembrare i regni), fece uccidere tutti i fratelli e fratellastri possibili pretendenti alla successione. All'età di 21 anni conquistò Costantinopoli (1453), ponendo fine all'Impero bizantino.
Alla morte del padre Maometto II (dopo aver assassinato il suo fratellastro, ancora in fasce), salì di nuovo al trono e nel giro di soli due anni arrivò a porre fine all'Impero Romano d'Oriente conquistando Costantinopoli (che era diventato per lui un' ossessione, tanto che cominciò a paragonarlo ad una donna che aveva rifiutato il matrimonio di molti principi musulmani e che doveva diventare per forza sposa) il 29 maggio 1453. L'assedio fu condotto con enorme spiegamento di forze, usando i più grandi cannoni allora esistenti al mondo e addirittura trasportando decine di navi sulla terra, trascinate a forza di braccia dagli schiavi dal Bosforo fino al Corno d'oro scavalcando le erte alture di Galata, per aggirare la celebre catena che bloccava l'imboccatura del Corno d'oro dal Mar di Marmara.
Inenarrabili furono le violenze operate dalla soldataglia turca sui cittadini. Presa la città, Maometto II ne fece la nuova capitale dell'Impero Ottomano con il definitivo nome di İstanbul.
Secondo Tursun Bey, storico ottomano della conquista, quando entrò nel Palazzo Imperiale dove fino a qualche giorno primo aveva regnato Costantino XI Paleologo, Maometto II avrebbe pronunciato in tono dolente alcuni versi persiani, dei quali sarebbero arrivati fino a lui soltanto i seguenti:
Il ragno assolve alla funzione di portinaio nel palazzo di Cosroe.
Il gufo suona la musica di guardia nella fortezza di Afrâsjâb

Dopo questa conquista, il padişa dei turchi prese anche gli ultimi territori bizantini, il Despotato di Morea nel Peloponneso (1460) e l'Impero di Trebisonda sul Mar Nero. A quel punto, nonostante lo sgomento dilagato in tutto l'Occidente, lo stato ottomano fu definitivamente riconosciuto nel mondo come un grande Impero.

Conquiste in Asia
Conquistato l'Impero Bizantino, Maometto II rivolse le sue mire verso l'Anatolia, dove l'unificazione dei diversi beylik (signorie) era già stata realizzata dal suo antenato Beyazit I il Fulmine, andando però di nuovo in frantumi dopo la sconfitta di quest'ultimo nella battaglia di Ankara contro Tamerlano (1402). Presa Trebisonda, i diversi staterelli anatolici caddero a uno a uno e l'Anatolia fu riunificata.

Conquiste in Europa
Unificata l'Anatolia dopo aver preso Costantinopoli, ovvero la Seconda Roma, Maometto II cominciò ad accarezzare non tanto in segreto l'idea di diventare il nuovo Cesare e quindi di conquistare la Prima Roma, che i turchi chiamavano già Kizil Elma, ovvero La Mela Rossa. In tal modo sarebbero stati di nuovo riuniti sotto un unico dominio i territori dell'antico Impero Romano. La strada era lunga e doveva necessariamente passare per i Balcani, quindi Maometto II tentò di invadere la Serbia, ma nel 1456 fu sconfitto durante l'assedio a Belgrado dall'esercito cristiano guidato da Giovanni Hunyadi e San Giovanni da Capestrano.
Un altro irriducibile avversario lo incontrò in Vlad III di Valacchia, che lo sconfisse nel 1452. Un terzo fu l'albanese Giorgio Castriota Scanderbeg, aiutato dai veneziani, ma quest'ultimo morì durante la strenua difesa della sua fortezza di Krujë, nel nord del paese (17 gennaio 1468), e i suoi familiari e seguaci dovettero rifugiarsi in Italia, dopo di che l'Albania fu sostanzialmente sottomessa, costringendo anche i veneziani ad abbandonare Scutari (1478). A seguito di questi eventi, il 25 gennaio 1479 fu firmato a Istanbul un duro trattato di pace tra i vincitori ottomani e i veneziani.
Nel frattempo, pur essendo stato sconfitto da Stefano il Grande di Moldavia (1457 - 1504) nella battaglia di Vaslui (1475), l'anno successivo Maometto II sconfisse i moldavi nella battaglia di Valea Alba, accrescendo ulteriormente il suo impero.
A quel punto, viste le difficoltà a superare i Balcani, Maometto II puntò direttamente sull'Italia via mare, prendendo con facilità Otranto (1480). Tuttavia l'occupazione fu soltanto temporanea e l'anno successivo un grosso esercito costituito sotto l'egida di Papa Sisto IV lo costrinse ad abbandonare l'impresa.
Vano fu anche l'assedio di Rodi, strenuamente difesa dal piccolo esercito di Cavalieri Ospitalieri che la occupava nel 1480.

La morte
Il 3 maggio 1481, poco dopo aver attraversato il Bosforo per una nuova campagna segreta in Asia, presumibilmente contro i possedimenti dell'Egitto dei Mamelucchi (nelle attuali Siria e Arabia Saudita), dove il padişa dei turchi mirava probabilmente ad assumere il controllo della Mecca e quindi a essere ufficialmente riconosciuto Califfo[6], ovvero "Vicario" o "Successore" del Profeta Maometto, Maometto II, già da tempo gravemente malato, morì all'età di 49 anni, dopo aver costruito un grandissimo impero. Il figlio Bayezid II, suo successore, non fu esente da sospetti di parricidio. La tomba di Maometto II è tuttora oggetto di grande venerazione nella Fatıh Camı, ovvero Moschea del Fatih, da lui fatta edificare a İstanbul sul sito della chiesa dei Santi Apostoli nel quartiere che dal suo esornativo (Fatıh, Vittorioso, Conquistatore) ha preso il nome.

▪ 1936 - Robert Michels (Colonia, 9 gennaio 1876 – Roma, 3 maggio 1936) è stato un sociologo e politologo tedesco naturalizzato italiano che studiò il comportamento politico delle élite intellettuali e contribuì a definire la teoria dell'elitismo. La sua opera più nota è il saggio sulla sociologia dei partiti politici, nel quale viene descritta la ferrea legge dell'oligarchia.
Michels nacque in una ricca famiglia tedesca di imprenditori, studiò in Inghilterra, a Parigi (alla Sorbona), e nelle Università di Monaco di Baviera, Lipsia (1897), Halle (1898), e Torino.
Si iscrisse al Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) mentre era professore all'Università di Marburgo (1902), e in questa sede si candidò alle elezioni comunali come socialista (1904); cosa che gli fece perdere automaticamente la cattedra (in Germania i socialisti non potevano avere cattedre universitarie ordinarie). Lasciò l'SPD nel 1907, dopo essersi trasferito ormai in Italia.
Brillante allievo di Max Weber, sposato con Gisela Lindner (1900), ricercatrice storica famosa per le sue ricerche sulla condizione delle donne e figlia dello storico Theodor Lindner, nel 1911 Michels acquistò notorietà per il testo già citato, ancor oggi posto a fondamento della sociologia della politica, basato su approfondite conoscenze storiche e sociologiche: "Zur Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie", (La sociologia del partito politico nella democrazia moderna : studi sulle tendenze oligarchiche degli aggregati politici), saggio in cui Michels mostrava come i partiti politici, persino quelli socialisti più estremi, si trasformassero rapidamente in burocrazie oligarchiche.
Durante i primi anni passati in Italia Michels fu molto vicino al sindacalismo rivoluzionario, ala estrema del Psi. Michels era molto critico col determinismo esplicito nella dialettica marxiana, considerandola frutto di fondamentale ignoranza della storia stessa e di una certa ispirazione millenaristica calata dall'alto; non ne ricusava gli ideali, ma basava il suo socialismo su basi empiriche e storiche, nella linea del Sombart.
Michels era molto attratto dall'Italia e ciò lo spinse a cercare in quel paese una cattedra che non avrebbe mai ottenuto nella sua patria.
Questa insistenza gli fece ottenere nel 1907, grazie all'intercessione del liberale Luigi Einaudi ed ancor più del giurista socialista non marxista Achille Loria, una cattedra all'Università di Torino, dove insegnò Economia Politica e Sociologia Economica, pur non avendo al suo attivo veri studi in campo economico.
Nel 1914 divenne ordinario di economia all'Università di Basilea, dove insegnò sino al 1926. Dopo la Prima Guerra Mondiale aderì al Fascismo, partito dell'ex socialista Benito Mussolini. Michels riteneva che Mussolini, grazie alle sue origini proletarie ed al suo carisma, potesse rappresentare direttamente il proletariato, senza la mediazione, che Michels riteneva burocratica, delle rappresentanze sindacali e dei partiti politici. Passò i suoi ultimi anni in Italia, insegnando dal 1927 Economia politica a Perugia come professore ordinario.
Nel 1933 rappresentò l'Italia a Parigi, descrivendo il fascismo (senza malizia, ma con una buona dose di ingenuità tipicamente teutonica) come un movimento pacifista e antirazzista. I suoi colloqui sono stati trascritti da sua figlia Daisy Michels.
Ebbe tre figli: Manon, Mario e Daisy. Manon, diplomata in belle arti, sposò Mario Einaudi, figlio dell'economista e futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che finirà alla Cornell University negli Stati Uniti, dove ricoprirà le cariche di professore di Teoria politica e diritto costituzionale comparato. Daisy, diplomata alla scuola di traduzione, sposerà Filippo Gallino, futuro dirigente delle cartiere Burgo, figlio di Giovanni Gallino, un magistrato che aveva preso parte al processo dello Smemorato di Collegno, appartenente alla più abbiente famiglia di Canale. Mario, chimico di chiara fama, morirà relativamente giovane dopo essersi stabilito a Basilea in Svizzera ed essersi colà sposato con Margherita, che ospiterà poi Luigi Einaudi durante l'esilio.

Il sistema teorico di Michels
Michels studia il partito socialdemocratico tedesco e perviene alla conclusione che nel partito politico si attuano le stesse dinamiche che interessano lo Stato. Un esempio è l’SPD, che per la sua natura dovrebbe coinvolgere maggiormente le masse, ma invece è interessato da processi fortemente oligarchici. Nel suo pensiero il parlamento diventa il luogo in cui le burocrazie dei partiti si accordano, Michels dirà: “io di rivoluzioni ne ho viste tante, di democrazie mai”. Anche in un regime democratico sono i vertici del partito che si fanno eleggere: legge ferrea dell’oligarchia. In realtà nel parlamento non esiste una vera competizione tra partiti, poiché i vari dirigenti hanno interesse a perpetuare la situazione in essere.
Michels discute di questi argomenti con Max Weber, c’è bisogno di una novità in politica e la può portare solo l’”eroe carismatico”, dal momento che al parlamento viene attribuita una valenza negativa. C’è bisogno di un’idea nuova e carismatica: il fascismo; verrà, così, meno la mediazione dei partiti tra leader e popolo e si instaurerà tra di essi un rapporto diretto. A differenza di Weber, il quale ritiene che il carisma del leader si possa formare in parlamento, Michels ritiene che per esserci carisma non si possa prescindere da un rapporto diretto e non mediato con il popolo. Maggioranza e opposizione fanno finta di lottare: il loro scopo è di farsi rieleggere e di perpetuarsi al potere. Con l’adesione al fascismo trova un'alternativa alla ‘’legge ferrea dell’oligarchia’’, che ha per lui una valenza fortemente negativa. Il fascismo esprime un leader carismatico, e questo è l’unico modo per superare la pseudemocrazia che era affermata.
Approfondendo alcuni brani tratti da “L’oligarchia organica costituzionale” si possono enucleare alcuni tratti del sistema teorico di Michels:
▪ Il parlamentarismo è una falsa leggenda: non siamo noi che votiamo i rappresentanti ma i rappresentanti che si fanno scegliere da noi,
▪ Lo Stato non importa alla maggior parte delle persone, soprattutto per ciò che attiene le vicende prettamente istituzionali: non si può sperare che la partecipazione parta dal basso,
▪ Le classi politiche non si sostituiscono come ci aveva spiegato Pareto; puntano, invece, all’amalgama, si servono della captazione per non perdere mai il loro potere,
▪ L’opposizione parlamentare mira all’unico scopo, in teoria, di sostituire la classe dirigente avversaria; in pratica, invece, finisce per amalgamarsi con la classe politica al governo,
▪ A nulla valgono i movimenti popolari, perché chi li guida abbandona la massa e viene assorbito dalla classe politica: “parte incendiario e arriva pompiere”.
Anche dalla lettura di passi tratti da “La democrazia e la legge ferrea dell’oligarchia” si possono trarre alcuni spunti interessanti:
▪ È una funzione scientifica dimostrare l’inganno del parlamentarismo,
▪ Non è vero che ad una rivoluzione seguirà un regime democratico,
▪ I socialisti democratici vengono definiti “fanatici partigiani dell’organizzazione”.
“Chi dice organizzazione dice tendenza all’oligarchia”; l’organizzazione e la seguente degenerazione oligarchica causano veri e propri mutamenti genetici nei partiti socialdemocratici: le masse non possono più interferire con le decisioni, i capi non sono più gli organi esecutivi della volontà della massa ma si emancipano completamente dalla massa stessa. Tanto più grande diventerà il partito, tanto di più si riempiranno le sue casse e la tendenza oligarchica si farà strada con maggior vigore; la base non potrà più controllare in alcun modo i vertici del partito. Il regime democratico non è molto confacente ai bisogni tattici dei partiti politici: il partito politico, così come si deve organizzare per competere con gli altri partiti, è qualcosa di distante dalla comune idea di democrazia. Il principio della democrazia è ideale e legale (perché comunque si va a votare) ma non è reale in quanto, in realtà, la base non può scegliere nulla. Votando non diventiamo compartecipi del potere: “la scienza ha il dovere di strappare questa benda dagli occhi delle masse”. Anche Michels, perciò, ha un approccio scientifico e non ideologico. “La formazione di regimi oligarchici nel seno dei sistemi democratici moderni è organica”. “L’organizzazione è la madre della signoria degli eletti sugli elettori”, un esempio attuale e concreto è quello del “porcellum”.
Una frase sintetizza con efficacia il pensiero di Michels: “sulla base democratica si innalza, nascondendola, la struttura oligarchica dell’edificio”.

▪ 1961 - Maurice Merleau-Ponty (Rochefort-sur-Mer, 14 marzo 1908 – Parigi, 3 maggio 1961) è stato un filosofo francese ed esponente di primo piano dell'esistenzialismo del Novecento.
Dopo gli studi secondari, terminati al liceo Louis-le-Grand di Parigi, Maurice Merleau-Ponty diviene allievo della École normale supérieure, nello stesso periodo di Sartre, e consegue il diploma di laurea in filosofia (agrégé) nel 1930. Dopo il servizio militare inizia la sua carriera di insegnante nei licei. Prima a Beauvais, dal 1930 al 1933, poi a Chartres fino a 1939 e dal 1940 al 1944 a Parigi, al liceo Carnot. Entrato nella Resistenza continua a studiare e a scrivere per il dottorato, che consegue nel 1945. Il dottorato in Lettere 1945 lo ottiene con due libri già molto significativi: La struttura del comportamento (1942) e La fenomenologia della percezione (1945). Nel 1948 è docente all'Università di Lione, ma nel 1949 ottiene la docenza in psicologia e pedagogia alla Sorbona. Dal 1952 fino alla morte, avvenuta nel 1961, sarà titolare della cattedra di filosofia del Collegio di Francia: diventando il più giovane eletto a una cattedra. È stato anche membro del comitato direttivo della rivista "Les Temps modernes", oltre che editorialista politico, dalla fondazione della rivista nell'ottobre 1945 fino al dicembre 1952. Merleau-Ponty muore per arresto cardiaco la sera del 3 maggio 1961 all'età di 53 anni.
Nella formazione di Merleau-Ponty sono importanti l'influenza dal pensiero di Edmund Husserl, che però egli interpreta in maniera originale, e il rapporto con Sartre, Simone de Beauvoir e altri intellettuali della Parigi degli anni '40, coi quali condivide un clima culturale che permea il suo pensiero. Un rapporto però per niente pacifico e spesso conflittuale, che porterà alla fine alla rottura con Sartre e non solo per ragioni politiche ma anche prettamente speculative. Può essere ragionevolmente classificato come un pensatore esistenzialista anche proprio per la sua affinità di fondo con Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir e la sua concezione fondamentalmente heideggeriana dell'essere.

Pensiero - Il primato della percezione
Fin dall'epoca de La struttura del comportamento (1942) e La fenomenologia della percezione (1945), Maurice Merleau-Ponty si pone il problema di dimostrare che la percezione non è affatto la risultante di sensazioni atomiche causali; contrariamente a ciò che afferma la tradizione illuministica che inizia da John Locke, la cui concezione atomistico-causale si perpetua in alcune correnti della psicologia contemporanea (cfr. comportamentismo). Secondo Merleau-Ponty la percezione ha piuttosto una dimensione attiva in quanto apertura primordiale, innata e strutturale, al mondo della vita (cfr. Lebenswelt).
In questo senso, e anche per l’idea del carattere morale della percezione, appare rievocata la posizione di Emerson, con la sua etica della percezione come realtà attiva e già intrinsecamente morale.
Secondo una formula della fenomenologia di Edmund Husserl, «ogni coscienza è coscienza di qualche cosa», si impone quindi una distinzione tra l'«atto del pensare» (noesi) e «l'oggetto intenzionale del pensiero» (noema); tale impostazione fa della correlazione noetico-noematica il fondamento stesso della costituzione di ogni analisi della coscienza.
Studiando i manoscritti postumi di Husserl, Merleau-Ponty mostra come vi siano fenomeni non riconducibili alla correlazione noetico-noematica. In particolare Merleau-Ponty evidenzia come non rientrino in questi casi:
▪ le autopercezioni corporali (nelle quali si è contemporaneamente corpo-oggetto e corpo-soggetto),
▪ la percezione soggettiva del tempo (la coscienza non è né un atto di coscienza né un oggetto di pensiero), e
▪ la percezione dell'altro (le prime considerazioni dell'altro in Husserl sembrano condurre al solipsismo).
La distinzione tra noema e noesi non sembra dunque costituire un fondamento irriducibile: può piuttosto comparire ad un livello di analisi più profondo.
Di conseguenza Merleau-Ponty rinuncia alla postulazione husserliana («ogni coscienza è coscienza di qualche cosa») e sviluppa la tesi secondo la quale «ogni coscienza è coscienza percettiva». Egli definisce così uno sviluppo teorico alternativo all'interno della fenomenologia, indicando che la concettualizzazione deve essere riesaminata alla luce di un primato della percezione.

Quadro generale dell'opera - La corporeità
Partendo dallo studio della percezione, Merleau-Ponty giunge alla conclusione che il corpo proprio non è solamente una cosa, un potenziale oggetto di studio della scienza, ma è anche la condizione necessaria dell'esperienza: il corpo costituisce l'apertura percettiva al mondo. Per così dire, il primato della percezione significa un primato dell'esperienza, nel momento in cui la percezione riveste un ruolo attivo e costitutivo.
Lo sviluppo di suoi lavori instaura quindi un'analisi che riconosce sia una dimensione corporea della coscienza sia una sorta di intenzionalità del corpo. L'argomentazione è in netto contrasto, di fatto, con l'ontologia dualista delle categorie corpo-spirito di René Descartes (un pensatore che riveste per Merleau-Ponty un'importanza particolare, malgrado le evidenti divergenze che li separano). Comincia quindi uno studio dell'incarnazione dell'individuo nel mondo, cercando di superare l'alternativa tra una pura libertà ed un puro determinismo, come anche di superare il divario tra il corpo-per-sé ed il corpo-per-altri.

Il linguaggio
Pertanto la corporeità ha una dimensione espressiva intrinseca, fondamentale per la costituzione dell'ego: è una delle conclusioni de La struttura del comportamento sulla quale Merleau-Ponty ritornerà continuamente nei successivi lavori. Seguendo questo filone, egli procede all'analisi delle modalità con cui un soggetto incarnato realizza attività che superano il livello organico, come nel caso delle attività intellettuali e tutto ciò che pertiene la vita culturale.
Egli considera dunque attentamente il linguaggio in quanto nocciolo della cultura, esaminando soprattutto i legami fra lo sviluppo del pensiero e del senso, arricchendo contemporaneamente la sua prospettiva, non solo attraverso l’analisi dell’acquisizione del linguaggio e dell’espressività del corpo, ma anche prendendo in considerazione le patologie del linguaggio, nei campi della pittura, il cinema, gli utilizzi letterari del linguaggio e la poesia.
Si può notare che questa preoccupazione per il linguaggio include fin dal principio una considerazione delle espressioni rilevanti della sfera artistica, come testimonia La struttura del comportamento che contiene tra l'altro un passaggio sul pittore el Greco (p. 219 sgg.) prefigurando i propositi che sviluppa nel 1945 in Il dubbio di Cézanne, in seguito alle considerazioni della Fenomenologia della percezione.
In tale misura, il lavoro che realizza quando si occupa del corso di Psicologia del bambino e di Pedagogia all'Università della Sorbona non è un intermezzo alle sue preoccupazione filosofiche e fenomenologiche, ma rappresenta piuttosto un momento significativo dello sviluppo delle sue riflessioni.
Come indicano gli appunti dei suoi corsi alla Sorbona, durante questo periodo Merleau-Ponty mantiene un dialogo tra la fenomenologia e i diversi lavori realizzati in psicologia, sempre ritornando sullo studio dell'acquisizione del linguaggio da parte del bambino, oltre a sfruttare ampiamente l'apporto dei lavori di linguistica di Ferdinand de Saussure e a lavorare sulla nozione della struttura mediante una discussione dei lavori in psicologia, in linguistica ed in antropologia sociale.

Le arti
È importante precisare che l'attenzione che Merleau-Ponty ha per le diverse forme d'arte (visive, plastiche, letterarie, poetiche, etc.) non dipende affatto dalle problematiche intorno al bello, né è orientata all'elaborazione di criteri normativi sull'arte. Perciò non è possibile trovare nei suoi lavori una teoria su cosa costituirebbe un capolavoro, un'opera d'arte o un manufatto artigianale. Il suo obiettivo è prima di tutto analizzare le strutture invarianti che stanno alla base dell'espressività, affiancando alle proprie considerazioni sul linguaggio un'attenzione particolare al lavoro degli artisti, dei poeti e degli scrittori. Tuttavia, malgrado non stabilisca dei criteri normativi sull'arte in quanto tale, nelle sue opere Merleau-Ponty mantiene una distinzione prevalente tra espressione prima ed espressione seconda, teorizzata tra l'altro nella Fenomenologia della percezione (p. 207 dell'edizione francese, seconda nota a pie' di pagina), e ripresa talvolta con i termini di linguaggio parlato e linguaggio parlante (La prose du monde, p. 17-22). Il linguaggio parlato (o espressione seconda) rinvia al nostro bagaglio linguistico, all'eredità culturale che abbiamo acquisito, nonché alla massa bruta del rapporto dei segni e delle significazioni. Il linguaggio parlante (o espressione prima) è il linguaggio in quanto formalizzazione di un senso, il linguaggio nel momento in cui procede alla realizzazione di un pensiero, al momento in cui si fa realizzazione di senso. Quest'ultimo è il linguaggio che interessa Merleau-Ponty nel momento in cui tratta della natura della produzione e della recezione delle espressioni: un soggetto che implica anche un'analisi dell'azione, dell'intenzionalità, della percezione, nonché dei rapporti tra la libertà e le determinazioni esterne.
Riguardo all’opera pittorica, Merleau-Ponty constata che, nel momento dell'attività creativa, l’artista pittore può avere inizialmente una certa idea e desiderare di realizzarla, o, ancora, che questi può dapprima lavorare il materiale nel tentativo di farne scaturire una certa idea o emozione, ma che in un caso come nell’altro, c’è nell’attività del pittore una elaborazione dell’espressione che si ritrova intimamente in connessione con il senso che è messo in opera. È a partire da questa constatazione di base che egli cerca di esplicitare le strutture invarianti che caratterizzano l’espressività, nel tentativo di dare conto della sovradeterminazione di senso che egli ha affermato ne Il dubbio di Cézanne.
Tra le strutture da considerare, lo studio della nozione di stile occuperà un posto importante ne: Le langage indirect et les voix du silence (1960). A dispetto di alcune sintonie con André Malraux, il filosofo evidenzia la distanza in relazione a tre concezioni del concetto di stile che costui adopera ne: Les voix du silence (pubblicato nella collezione La Pléiade e che raggruppa i quattro volumi di Psicologia dell’arte pubblicati dal 1947 al 1950). Merleau-Ponty osserva che, in quest’opera, il concetto di stile risulta impiegato da Malraux talvolta in un’ottica molto soggettiva venendo assimilato ad una proiezione dell’individualità dell’artista, talvolta, al contrario, in un’ottica più metafisica, e cioè mistica, a suo dire, dove il concetto di stile è quindi legato ad una concezione di “superartista” che esprime Lo Spirito della pittura, mentre, infine, talvolta si riduce semplicemente a designare una categorizzazione di scuola o di movimento artistico.

La storia e l'intersoggettività
Sia i suoi lavori sulla corporeità che quelli sul linguaggio rivelano l'importanza, per la comprensione dell'espressività, del radicamento dell'individuo nel cuore del mondo vissuto. O meglio, questo radicamento include le dimensioni della storicità e dell'intersoggettività, che egli si sforza dunque di rendere intelligibili.
Il problema filosofico di fondo in Merleau-Ponty è quello del relazionarsi dell'uomo al mondo nella sua totalità, come natura e come altro da sé specchiato in sé. L'uomo è una coscienza inserita in un tutto e il rapporto tra il sé e il tutto è l'orizzonte esistenziale in cui il filosofo francese si pone.
Merleau-Ponty si oppone fortemente a concepire l'anima e il corpo separatamente. Essi sono soltanto le "modalità" dl comportamento, o meglio i "livelli" percettivi che possono far pensare a una separazione che in realtà non esiste. Si legga:
«La distinzione tanto frequente di psichico e somatico trova luogo in patologia, ma non può servire alla conoscenza dell'uomo normale, cioè dell'uomo integrato, perché per esso i processi somatici non si svolgono isolatamente ma sono inseriti in un raggio di azione più ampio.» (La struttura del comportamento, Bompiani, Milano 1963, p.292)
In La struttura del comportamento egli afferma in definitiva che il vero problema filosofico sta nel saper distinguere tra ciò che è struttura e ciò che è significato. L'altro da me, essendo strutturato come me, mi è accessibile purché io sappia cogliere il "significato" del suo comportamento.
Come punto di partenza per la considerazione della storia dell'intersoggettività, egli sottolinea che l'individuo non è né soggetto - giacché egli fa parte di un universo socio-culturale e linguistico già strutturato -, né prodotto (poiché egli partecipa alle istituzioni già strutturate di cui si è detto, e vi influisce per l'uso che ne fa, compreso (ad esempio) ciò che egli trae dal linguaggio convenzionale per plasmare un modello di studio per la comprensione di questi medesimi fenomeni (come Merleau-Ponty rilevò nel dossier di studi presentati per la sua candidatura al Collège de France.
Il retaggio husserliano è fortemente presente in La fenomenologia della percezione dove egli scrive: « Riflettere autenticamente significa darsi a se stesso, non come una soggettività oziosa e recondita, ma come ciò che si identifica con la mia presenza al mondo e agli altri come io la realizzo adesso. Io sono come mi vedo, un campo intersoggettivo, non malgrado il mio corpo e la mia storia, ma perché io sono questo corpo e questa situazione storica per mezzo di essi.» (Phénomenologie de la perception, Gallimard, Paris 1945, p.515)

Le scienze
Nei confronti delle scienze, ammesso e non concesso che Merleau-Ponty cerchi un rapporto con esse, vi è indifferenza e sottovalutazione. Come per Husserl, la scienza non serve per capire la realtà del mondo, di cui ne fornirebbe solo un'immagine superficiale.

La psicologia
Per quanto riguarda la psicologia Merleau-Ponty occupa un posto importante, perché egli pone nell'esistere un suo fondamento strutturale pre-esperienziale. La percezione di per sé non è attendibile perché ambigua, perché il soggettivo e l'oggettivo sono già sempre pre-integrati nella struttura ontica, che è nello stesso tempo anche psicologica ed esistenziale. Se è vero che Merleau-Ponty si è dimostrato sempre attento agli studi di psicologia, la maggioranza degli specialisti della storia di questa disciplina riconoscono che è altrettanto vero che le sue opere hanno avuto un effettivo impatto a livello delle ricerche in psicologia. La Struttura del Comportamento (1942) prende in considerazione un ampio ventaglio di ricerche sperimentali dell'epoca per mostrare le molteplici difficoltà con cui si sono dovute confrontare alcune di queste opere, in particolare quelle del behaviourismo (comportamentismo), dovute ai presupposti ontologici su cui implicitamente queste si fondano. Ma, per contro, egli dimostra pure che i dati sperimentali della psicologia mettono in evidenza certi problemi propri dell'epistemologia e della filosofia delle scienze dell'epoca.

La sociologia e l’antropologia
Nell'atteggiamento di Merleau-Ponty sotto il profilo socio-antropologico si deve tener presente il suo forte interesse per lo strutturalismo, espresso in parte da Marcel Mauss e soprattutto da Claude Lévi-Strauss, con cui ha avuto modo di confrontarsi direttamente. In ogni caso i suoi contributi sono stati notevoli e ripresi da altri studiosi posteriori che hanno sviluppato e approfondito iul suo concetto di percezione anche in senso sociologico.

Il pensiero politico
Il pensiero politico di Merleau-Ponty non si situa né ad un livello di elaborazione teorica di una filosofia politica propriamente detta, né ad un livello di una cronaca dell'attualità e dei suoi eventi politici. L’elaborazione del suo pensiero politico procede in un va e vieni dentro questi livelli. Non si preoccupa, men che meno secondo i suoi desideri, né di appiattire una teoria sugli avvenimenti contingenti, facendo derivare le azioni intraprese partendo da principi politico-morali, né di reagire ad ogni avvenimento come se fosse privo di una dimensione filosofica.
La sua visione del marxismo consiste in una rilettura di esso in chiave umanistica, tale da reagire ai massimalismi schematici e dottrinari che lo caratterizzano, specialmente nella versione sovietica o sovietizzante. Egli dubita persino che il materialismo storico nella sua attualizzazione sia conforme a Marx. Nella politica "reale" egli vede il conflitto tra capitalismo e socialismo ormai solo come convenzionale e retorico. Nella realtà egli vede una prassi politica corrente ormai fatta di opportunità e di tatticismi furbeschi, con i quali i grandi temi rivoluzionari sarebbero stati traditi e dimenticati.
Egli pubblica Umanesimo e terrore (1947) e Le Avventure della dialettica (1955), opere che, oltre a contenere il profilo di una filosofia della storia, affrontano l’interpretazione del marxismo, senza per altro aderire ad una qualsiasi dottrina. Egli pubblica anche parecchi articoli di contenuto politico su vari giornali, come pure sulla rivista Les Temps modernes di cui è l’editorialista politico fino alle sue dimissioni, nel dicembre 1952, dovute a divergenze d’opinione relative sia alle prospettive di impegno sociale degli intellettuali che alle posizioni politiche di Sartre, come ne è testimonianza il materiale Sartre, Merleau-Ponty : Le lettere di una rottura (in Parcours deux, 2000).

▪ 2007 - Sergio Cotta (Firenze, 6 ottobre 1920 – Firenze, 3 maggio 2007) è stato un filosofo italiano, studioso del diritto.
Sergio Cotta nasce a Firenze da Alberto Cotta studioso di scienze forestali e Mary Nicolis di Robilant. Studia a Firenze presso l'istituto dei barnabiti «Le Querce» e poi si iscrive alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Firenze.
Chiamato alle armi con il grado di sottotenente, il giorno dell'armistizio, l'8 settembre 1943, è in Friuli. Dopo svariate traversie raggiunge il Piemonte, dove partecipa alla guerra di resistenza come comandante di una brigata partigiana nella VII Divisione Autonoma Monferrato. È tra i primi ad entrare a Torino nei giorni della liberazione. Gli viene attribuita la medaglia di bronzo al valor militare.

Nel 1945 sposa Elisabetta Radicati di Brozolo.

Dopo la guerra intraprende la carriera accademica.

Studi
Si sono incentrati sulla filosofia giusnaturalistica, che Cotta è stato in grado di fondere con elementi della tradizione fenomenologica. Ha pubblicato negli anni '60 diversi saggi monografici sulla visione politica di San Tommaso e Sant'Agostino, dedicandosi in seguito a riflessioni teoriche sul diritto e sulla politica. È stato direttore della Rivista internazionale di filosofia del diritto.

Carriera accademica
Ha iniziato all'Università di Torino come assistente del celebre filosofo Norberto Bobbio, ha poi insegnato nelle università di Perugia, Trieste e Firenze e in seguito a Roma. All'Università La Sapienza di Roma Cotta è stato professore ordinario di filosofia del diritto e poi direttore dell'istututo omonimo, intitolato al filosofo del diritto Giorgio Del Vecchio.
È stato socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino e socio dal 1995 dell'Accademia dei Lincei.
Inoltre ha ricoperto la carica di presidente dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani e dell'Unione Internazionale Giuristi Cattolici.
Tra i suoi allievi figurano Francesco D'Agostino, e Bruno Montanari.
Onorificenze
▪ Grande ufficiale dell'ordine al merito della Repubblica (27/12/2003),
▪ Cavaliere di gran croce dell'ordine di S. Silvestro papa.

Bibliografia
▪ Montesquieu e la scienza della società (1953)
▪ La città politica di S. Agostino (1960)
▪ Filosofia e politica nell'opera di Rousseau (1964)
▪ La sfida tecnologica (1968)
▪ L'uomo tolemaico (1975)
▪ Quale Resistenza? (1977)
▪ Perché la violenza (1978)
▪ Giustificazione e obbligatorietà delle norme (1981)
▪ Il diritto nell'esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica (1985)
▪ Dalla guerra alla pace (1989)
▪ Diritto, persona, mondo umano (1989)
▪ Il diritto nell'esistenza (1991)
▪ Soggetto umano, soggetto giuridico (1997)
▪ I limiti della politica (2002)
▪ Il diritto come sistema di valori

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