Il calendario del 3 Agosto

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 1158 - Viene fondata la città di Lodi

▪ 1492 - Mezz'ora prima dell'alba, Cristoforo Colombo salpa da Palos

▪ 1523 - Viene stipulata un'alleanza tra il papa Adriano VI e l'imperatore Carlo V

▪ 1678 - Robert LaSalle costruisce la sua prima nave in America, la Griffon

▪ 1778 - Inaugurazione del Teatro alla Scala con Europa riconosciuta di Antonio Salieri

▪ 1860 - Inizia la Seconda Guerra Maori

▪ 1883 - Johann Friedrich Wilhelm Adolf Von Baeyer sintetizza l'indaco

▪ 1900 - Fondazione della Firestone Tire & Rubber Company

▪ 1914

  1. - Dichiarazione di guerra della Germania alla Francia
  2. - Prima traversata del canale di Panamá

▪ 1916
  1. - Sir Roger Casement viene impiccato per aver preso parte alla Sollevazione di Pasqua in Irlanda.
  2. - Battaglia di Romani

▪ 1940 - L'Italia invade la Somalia Britannica

▪ 1958 - Alle ore 23:15 il Nautilus, primo sommergibile nucleare mai costruito, raggiunge il polo nord

▪ 1960 - Il Niger ottiene l'indipendenza dalla Francia

▪ 1962 - Alle 2 del mattino cede l'ultimo strato di roccia del traforo del Monte Bianco tra Italia e Francia: verrà inaugurato 3 anni dopo

▪ 1972 - Il senato degli Stati Uniti ratifica il Trattato anti missili balistici

▪ 1981
  1. - Roma: Roberto Peci, fratello del primo collaboratore di giustizia ex BR Patrizio, viene assassinato con 11 colpi di pistola. Il corpo verrà fatto ritrovare vicino l'ippodromo delle Capannelle, nei pressi di via di Casal Rotondo
  2. - Negli USA l'organizzazione professionale dei controllori di volo lascia il lavoro. Tutti e 13.000 i suoi membri verranno licenziati dal presidente Ronald Reagan

▪ 1993 - Il Senato italiano vara la nuova legge elettorale

▪ 2000 - George W. Bush accetta la nomination presidenziale repubblicana alla convention di Filadelfia

▪ 2004 - Viene lanciata da Cape Canaveral (USA) la sonda Messenger alla volta di Mercurio, dopo 30 anni dall'ultima sonda inviata verso il pianeta. Il lancio, previsto per il giorno prima, viene rinviato all'ultimo momento a causa della tempesta tropicale Alex

Anniversari

▪ 1780 - Étienne Bonnot de Condillac (Grenoble, 30 settembre 1715 – Beaugency, 3 agosto 1780) è stato un filosofo ed enciclopedista francese. È stato esponente di spicco del sensismo.
Condillac fu sia un'importante psicologo sia un divulgatore in Francia dei principi di Locke, che fu apprezzato e riconosciuto soprattutto da Voltaire e Brissot . Nell'esporre il suo sensismo empirico, Condillac dimostrò di essere uno dei pensatori migliori del suo periodo e della sua nazione, per lucidità, sintesi, ponderazione. Il suo pensiero, tuttavia, nell'analisi della mente umana, vertice della sua ricerca, mancò di trattare la parte attiva e il lato spirituale dell'esperienza umana.
Il suo primo libro, il Saggio sull'origine delle conoscenze umane, rimase fedele al suo maestro inglese.
Egli accettò, con qualche modifica, la deduzione di Locke che la nostra conoscenza derivi da due sorgenti, la sensazione e la riflessione, e usò come principio cardine per la dimostrazione di questa tesi l'associazione delle idee.
Il suo libro successivo, il Trattato sui sistemi, fu una vigorosa critica a quei moderni sistemi che erano basati su principi astratti o su ipotesi non verificate. La sua polemica, che fu legata allo spirito di Locke, fu diretta contro le idee innate dei cartesiani, dell'occasionalismo di Malebranche, del monadismo di Leibniz e dell'armonia prestabilita e, soprattutto, contro la concezione della sostanza enunciata nella prima parte dell'Etica di Spinoza.

Trattato sulle sensazioni
Il suo più importante lavoro è il Trattato sulle sensazioni, nel quale si libera della tutela di Locke e del sua particolare psicologismo. Era stato condotto, ci dice lui stesso, in parte dalla critica di Mademoiselle Ferrand, alla dottrina di Locke, per la quale i sensi ci danno per la conoscenza intuitiva degli oggetti, come ad esempio accade per l'occhio che individua naturalmente gli oggetti, le forme, le posizioni e le distanze. Le sue discussioni con Mademoiselle Ferrand lo convinsero a considerare le questioni su cui era necessario studiare i nostri sensi separatamente, per distinguere precisamente quali idee avevamo di ogni senso, per osservare come i sensi si formano, e come un senso influisce sull'altro. Il risultato, era sicuro, ci mostra come tutte le facoltà umane e le conoscenze sono trasformate in sensazioni, con l'esclusione di qualsiasi altro principio, come la riflessione.
Il piano del libro si sviluppa con l'autore che immagina una statua organizzata all'interno dell'uomo, animata da un'anima che non ha mai ricevuto nessuna idea, nella quale nessun senso-impressione è mai penetrato. Egli libera i suoi sensi uno per uno, iniziando dagli odori, che contribuiscono per primi alla conoscenza umana. Con la prima esperienza dell'odore, la coscienza della statua è interamente occupata da questa esperienza; e questa occupazione è attenzione. L'odore-esperienza della statua produrrà piacere o dolore; e il piacere o il dolore diventeranno il principio-padre che, determinando tutte le operazioni della sua mente, lo innalzeranno a tutta la conoscenza a lei possibile. Il passo successivo sarà la memoria, che è l'impressione prolungata del suo odore-esperienza sull'attenzione. "La memoria non è altro che un modo di sentire". Dalla memoria nasce il confronto: la statua sperimenta, per esempio, l'odore di una rosa, mentre si ricorda quello del garofano; e "il confronto non è nulla di più che prestare attenzione a due cose contemporaneamente". Confronti e giudizi diventano abituali, sono contenuti nella mente e sono organizzati, in modo da formare il principio base dell'associazione delle idee. Dal confronto del passato con le esperienze presenti, rispetto al piacere che donano, nasce il desiderio; il desiderare determina il funzionamento delle nostre facoltà, stimola la memoria e l'immaginazione, e provoca passioni. Le passioni, poi, non esistono, ma sono solo sensazioni modificate.
Queste indicazioni bastano a mostrare l'andamento generale dell'argomento nella prima sezione del Trattato sulle sensazioni. Per mostrare lo svolgimento del trattato sarà invece sufficiente citare le intestazioni dei rimanenti capitoli: "Delle idee dell'Uomo limitate al Senso dell'Odore", "Della limitazione dell'Uomo nel senso dell'udito", "La combinazione di Odore e Suoni", "La sensazione di se stessi, e la sensazione combinata con l'Odore e i Suoni", "I limiti dell'Uomo nel senso della vista".
Nella seconda sezione della trattazione, Condillac concede alla sua statua il senso del tatto, che prima lo informa dell'esistenza degli oggetti esterni. In un'analisi molto attenta ed elaborata, distingue i vari elementi del nostro tatto-esperienza del proprio corpo, il contatto degli oggetti estranei al proprio corpo, l'esperienza del movimento, l'esplorazione della superficie con le mani: segue lo sviluppo delle percezioni della statua delle dimensioni, delle distanze e delle forme. La terza sezione si occupa della combinazione del tatto con gli altri sensi. La quarta sezione si occupa dei desideri, delle attività e delle idee di un uomo isolato che prende possesso di tutti i sensi; alla fine vengono riportate delle osservazioni su di un "ragazzo selvaggio" che viene trovato vivere tra gli orsi nelle foreste in Lituania.
La conclusione di tutto il lavoro è che nell'ordine naturale delle cose tutto ha la propria sorgente nella sensazione, ma questa sorgente non è egualmente distribuita in tutti gli uomini; gli uomini differiscono notevolmente nel grado di chiarezza con cui essi la sentono; e, concludendo, quell'uomo non è niente ma è cresciuto; tutte le facoltà innate e le idee devono essere spazzate via. L'ultimo verso suggerisce la differenza che è stata fatta a questa maniera della psicologia dalle moderne teorie dell'evoluzione e dell'ereditarietà.

Corso di studi
I lavori di Condillac sulla politica e sulla storia, contenuti perlopiù nel suo Corso di studi, offrono pochi spunti di interesse, eccetto per la dimostrazione della sua vicinanza al pensiero inglese: egli non ha avuto il calore e l'immaginazione per essere un buono storico. Nella logica, argomento sul quale scrisse molto, ebbe meno successo che nel campo della psicologia. Procede con molte ripetizioni, ma con pochi esempi concreti, con la supremazia del metodo analitico; sostiene che il ragionamento consiste nella sostituzione di una affermazione con un'altra che sia identica; espone la scienza come un linguaggio ben costruito, una affermazione che nel suo Linguaggio dei calcoli cerca di dimostrare con l'esempio dell'aritmetica. La sua logica ha in effetti buoni e cattivi punti che noi ci potremmo aspettare di trovare in un sensazionista che non conosce la scienza ma la matematica. Egli rigetta l'impianto medievale del sillogismo; ma si preclude dal suo punto di vista dal capire il carattere attivo e spirituale del pensiero; né ha avuto quell'interesse nella scienza naturale e nell'apprezzamento del ragionamento induttivo che fu la base del principale merito di J.S. Mill. È abbastanza evidente che la psicologia anti-spiritualistica di Condillac, con la sua spiegazione del personalità come un aggregato di sensazioni, conduce direttamente all'ateismo e al determinismo. Non c'è, tuttavia, motivo di interrogarsi sulla sincerità con cui ripudiò entrambe le conseguenze. Quello che dice sulla religione è sempre in armonia con la sua professione; e ha rivendicato la libertà di esserlo nella dissertazione che ha poco in comune con il Trattato sulle sensazioni con il quale è collegato. Il comune rimprovero del materialismo dovrebbe certamente non essere fatto contro di lui. Lui ha sempre asserito la sostanziale realtà dell'anima; e nelle parole iniziali del suo Saggio, «Comunque se noi saliamo in paradiso, o se scendiamo all'inferno, noi non usciremo mai da noi stessi – è sempre nostra la possibilità di percepire», noi ritroviamo quel soggettivismo che costituisce l'elemento centrale della filosofia di Berkeley.

La sua eredità
Legate com'erano alla scuola di Locke, le idee di Condillac hanno avuto molto effetto sul pensiero inglese. Negli argomenti legati all'associazione delle idee, la supremazia del piacere e del dolore, e con la spiegazione generale di tutto il contenuto mentale come sensazioni o come sensazioni modificate, la sua influenza può essere avvicinata a quella di Mill, di Bain e di Herbert Spencer. Oltre a tutte le proposizioni che vengono enunciate, Condillac fece un lavoro notevole nella direzione di avvicinare la psicologia alla scienza.
Il suo metodo, comunque, della ricostruzione immaginaria è abbastanza lontano dal modo di pensare inglese. Malgrado le sue proteste contro l'astrazione, l'ipotesi e la sintesi, la sua allegoria della statua è uno dei più alti livelli gradi di astrattismo, ipotetico e sintetico. James Stuart Mill si fermò molto sullo studio delle realtà concrete, mise Condillac nelle mani di suo figlio più giovane indicandolo come esempio del pericolo da evitare nel campo della psicologia. Uno storico moderno (Catherine Hobbs) confrontò Condillac con i filosofi dell'Illuminismo scozzese e con il pensatore pre-evoluzionista Lord Monboddo, che aveva una fascino simile con l'astrazione e le idee.
In Francia, la dottrina di Condillac, così congeniale col tono della filosofia del XVIII secolo, regnò nelle scuole per oltre cinquant'anni, scavalcata solo da chi, come Maine de Biran, diceva di non avere fatto un resoconto sufficiente dell'esperienza cognitiva. Agli inizi del XIX secolo, gli albori romantici della Germania si erano diffusi in Francia, e il sensazionismo, il sensismo venne sostituito dallo spiritualismo eclettico di Victor Cousin.
La collezione di opere di Condillac fu pubblicata in 23 volumi nel 1798 e altre due o tre volte successivamente; l'ultima edizione (1822) contiene una dissertazione introduttiva di A. F. Théy. L'Enciclopedia metodica contiene un articolo molto lungo su Condillac (Naigeon). Dettagli biografici e critiche al Trattato sui sistemi si trovano nell'opera di J. P. Damiron Memorie utili ad una storia della filosofia nel diciottesimo secolo, tomo III; una critica completa è quella di V. Cousin nel Corso di storia della filosofia moderna, ser. I, tomo III. Consultare anche F. Rethoré Condillac o l'empirismo e il razionalismo (1864); L. Dewaule, Condillac e la psicologia inglese contemporanea (1891).

▪ 1792 - Sir Richard Arkwright (Preston, 23 dicembre 1732 – 3 agosto 1792) è stato un artigiano e imprenditore inglese.
Barbiere inglese semianalfabeta ma geniale esperto di meccanica. A lui si deve il brevetto del primo filatoio automatico (1769), anche se l'invenzione venne contestata da un conterraneo, James Hargreaves, inventore a sua volta di un filatoio multiplo (1770). Arkwright ebbe la meglio, fu nominato baronetto e accumulò la più ingente fortuna mai realizzata partendo dal nulla: quasi due milioni di sterline dell'epoca.

* 1879 - Giovanni Pantaleo (Castelvetrano, 5 agosto 1831 – Roma, 3 agosto 1879) è stato un monaco e militare italiano.
Noto per essersi unito ai Mille di Garibaldi sin da prima della battaglia di Calatafimi, seguì il generale in tutte le successive campagne.

Esordi
Nativo di Castelvetrano, di umili origini, a sedici anni, prese gli ordini francescani, da frate riformato. Studiò filosofia al convento di Salemi, a ventidue anni fu ordinato sacerdote, per poi laurearsi in teologia a Trapani ed in filosofia a Palermo. Per le qualità mostrate, poté, per breve tempo insegnò filosofia morale al seminario arcivescovile di Palermo, salvo venirne allontanato per le sue non ortodosse posizioni.
Venne, quindi, destinato a Naro, presso la Chiesa di Santa Maria di Gesù, mostrandosi apprezzato predicatore.

La liberazione della Sicilia
I tentativi del 1859-1860

Nel corso del 1859, quando l’opinione pubblica siciliana venne scossa dalle notizie delle vittorie franco-sarde della seconda guerra di indipendenza, egli ebbe un ruolo nella clandestina organizzazione di una sommossa siciliana contro i Borbone di Ferdinando II. Pare fosse presente alla cospirazione palermitana del 4 aprile 1860, schiacciata nel sangue dalla polizia e dalla truppa borbonica.

La spedizione dei Mille
In ogni caso ebbe la ventura di trovarsi, poco dopo lo sbarco dei Mille a Marsala, sulla via della loro marcia verso Palermo: prima dello scontro di Calatafimi (quindi in un momento di estremo rischio ed incertezza) si unì a Garibaldi, che seguì per tutta la spedizione dei mille. Nelle settimane successive egli ebbe un ruolo non secondario nella generale mobilitazione popolare che accompagnò, in Sicilia, la spedizione: giovò mirabilmente alle cose nostre…e non ebbe l’eguale nel sollevare i popoli e nello innamorarli alla crociata contro la tirannia[1], vuole spandere un’aura di religiosità sopra di noi[2].

La questione Romana
Aperta dissidenza alla chiesa di Pio IX
Per le alte benemerenze guadagnate, con Regio Decreto del 12 giugno 1861, il re gli concesse la Croce di Cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro, ma della cosa si venne a sapere solo dopo la morte del Pantaleo. Nel frattempo Pantaleo, ancora frate, si dava un gran daffare ad organizzare una associazione di religiosi patriottici, ostili alla politica anti-unitaria e manifestamente filo-austriaca di Pio IX.

La spedizione dell’Aspromonte
Ciò non lo distolse dal raggiungere Garibaldi in Sicilia, ove questi organizzava la spedizione del 1862, conclusa all’Aspromonte. Non presente ai fatti, egli aveva, comunque, partecipato alla organizzazione e passò diciotto giorni in carcere a Napoli a Castel dell'Ovo. Subito amnistiato, raggiunse Garibaldi, ancora prigioniero nella fortezza di Varignano, presso La Spezia: lo assistette durante l’operazione per estrarre la pallottola alla gamba e, di lì, lo accompagnò a Caprera.

L’abbandono della veste
Negli anni successivi rese esplicito il proprio progetto scismatico, proponendo di istituire una “Chiesa del Popolo”, tanto da venire citato, nel dicembre 1864 per vilipendio della religione. Una circostanza che lo determinò ad abbandonare lo stato religioso.

La campagna del Trentino
Nel 1866, in tempo per partecipare alla campagna di Garibaldi nel Trentino, nel quadro della terza guerra di indipendenza. Cominciò sergente, inquadrato nel Corpo Volontari Italiani[3], si distinse nella battaglia di Ponte Caffaro del 25 giugno e nella difesa del Monte Nota del 18 luglio conseguente alla battaglia di Pieve di Ledro. Al termine del conflitto venne promosso sottotenente, ricevendo l’encomio personale di Garibaldi.

La campagna di Mentana
Nei mesi successivi tentò, di ottenere un incarico dal ministro della pubblica istruzione Berti. Un tentativo infruttuoso cui rimediò subito seguendo Garibaldi nella organizzazione della sfortunata impresa del 1867, che portò alla sconfitta di Mentana. Combatté come ufficiale di ordinanza a Monterotondo, poi a Mentana come aiutante di campo di Menotti.

Nel 1869 prese parte al cosiddetto “anticoncilio”, promosso a Napoli da Giuseppe Ricciardi, in opposizione al Concilio Vaticano I, indetto a Roma da Pio IX. Una posizione non particolarmente popolare, che lo costrinse, fra l’altro, ad un viaggio nella Germania, ove più vivi erano i dissensi rispetto al Concilio.

La campagna di Digione
Nel 1870 seguì Garibaldi anche nella sua ultima impresa, nel quadro della guerra franco-prussiana. Giunto a Lione all’indomani della proclamazione della repubblica, si imbarcò il da Marsiglia per rilevare Garibaldi a Caprera, essendo di ritorno il 7 ottobre. Ne ebbe la nomina di capitano aiutante di campo e prese parte alla campagna che portò alla vittoriosa battaglia di Digione.

Gli ultimi anni
Il matrimonio

Il 22 giugno 1872, sposò a Lione, nella Francia ormai repubblicana, Camilla Vahè, suscitando un grande scandalo, fra amici e, tanto più, avversari politici. Dopodiché si trasferì a Napoli e, di lì, nel 1876, a Roma, ormai liberata dopo la breccia di Porta Pia. Visse con la madre, la sorella e la nuova famiglia (Elvezia, Giorgio Imbriani e Clelia).

Esito
Qui morì, in miseria, il 3 agosto 1879, a soli 44 anni. Venne sepolto al Cimitero del Verano.
I congiunti vennero soccorsi da uno speciale comitato di solidarietà. Né la solidarietà venne a mancare negli anni successivi,quando ai figli ed alla vedova vennero concesse, con decreto del ministro delle Finanze Grimaldi due rivendite di Sali e Tabacchi, una a Porto Maggiore (in Provincia di Ferrara, l’altra in Chieti, oltre ad una piccola pensione.

▪ 1914 - Geremia Bonomelli (Nigoline, 22 settembre 1831 – Nigoline, 3 agosto 1914) è stato un vescovo cattolico italiano.

L'infanzia, gli studi e l'ordinazione episcopale
Nato in una famiglia contadina da Giacomo e Antonia Lucia Zanola; egli stesso ricorderà il padre come «uomo di stampo antico, pieno di fede [...] amatissimo del lavoro manuale, coltivò sempre i suoi campi, né mai mutò tenore di vita fino al 1883, in cui santamente morì».
Frequentò la scuola elementare a Nigoline e il liceo a Lovere; entrò nel 1851 nel seminario vescovile di Brescia e fu ordinato sacerdote il 2 giugno 1855.
Nello stesso anno iniziò a studiare teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e dal 1858 al 1870 insegnò teologia nel seminario di Brescia, servendo contemporaneamente per due anni la parrocchia di Adro. Verso la metà del 1866 è nominato parroco a Lovere dove insegna anche nel locale collegio di S. Maria.
Il 26 novembre 1871 fu consacrato vescovo di Cremona dal vescovo di Brescia Girolamo Verzeri.
Inizialmente si mantenne in un ambito di stretta osservanza con l’indirizzo conservatore seguito dalle autorità ecclesiastiche, come testimonia il suo scritto del 1874 Il giovane studente istruito e difeso nella dottrina cristiana, ma lentamente maturò la consapevolezza della necessità di un rinnovamento profondo nella Chiesa e nell’atteggiamento che questa avrebbe dovuto tenere nei confronti di una realtà in rapido mutamento.

La "questione romana"
Il 2 aprile 1887 scrisse al vescovo di Piacenza, Giovanni Battista Scalabrini, di voler disporre un saggio, intitolato Diciamo tutto francamente, che egli stesso definisce «buono nelle condizioni attuali, ma d’una gravità eccezionale e che mette paura [...] se questa lotta si prolunga ancora, quali dolorose conseguenze, che potranno durare Dio sa quanto! Urge finirla, e presto, e io spero che il grande Leone XIII, conoscitore dei tempi, potrà essere il Callisto II del secolo XIX».
Pubblicato anonimo il 1º marzo 1889 nella Rassegna nazionale di Firenze con il titolo Roma e l’Italia e la realtà delle cose; pensieri di un prelato italiano, e poi ripubblicato con l’aggiunta Con la risposta d’un cattolico italiano alle critiche di alcuni periodici, Bonomelli vi sostiene che la Questione romana produce danni tanto materiali che spirituali all’Italia, che la restaurazione del potere temporale è impossibile e non è nemmeno desiderata dalla grande maggioranza della popolazione e che è necessaria la riconciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano.
Vi scrive che «Il 20 settembre del 1870 si compiva uno dei fatti più straordinari del secolo presente: uno di quei fatti che indubbiamente segnano il passaggio da un’epoca storica all’altra, la caduta della Signoria Temporale dei Papi! Ora su quella caduta sono passati pressoché 19 anni che oggi, per le mutate condizioni dei tempi, degli uomini e delle cose, equivalgono a cent’anni, e diciamo poco».
Rifiuta di dar credito ai presunti eventi sovrannaturali che si dicevano essere avvenuti alla caduta del potere temporale, quali lacrime della Madonna e minacce di santi: «Arrossisco a dirlo. Si parlava di miracoli, che sarebbero certamente avvenuti, e strepitosi, alla mercé dei quali il Santo Padre avrebbe riacquistato i suoi domini; ai miracoli venivano in aiuto le profezie, e ce n’erano di ogni genere, per tutti i gusti, manoscritte e stampate [...] Come se Pio IX fosse da più di Gesù Cristo, del quale è Vicario, che morì in croce [...]. Pareva che di queste verità elementari sacrosante si fossero interamente dimenticati! [...] Pareva che dopo sì lungo tempo e con sì dure lezioni si dovesse conoscere la realtà delle cose; pareva che si dovesse cominciare a ragionare con la propria testa, coi fatti alla mano, coi dati comuni della umana prudenza [...]. Ma no: il Potere Temporale doveva risorgere a ogni costo»
Ricorda come il potere temporale non sia un dogma: «Se ciò fosse, a noi sembra davvero che si rimpicciolirebbe d’assai l’importanza del Papato, vincolando il libero esercizio della sua pastorale dignità a quattro zolle di terra, anziché far risalire questa indipendenza all’origine sua, cioè alle promesse di Cristo e all’essenza dell’autorità pontificia, intrinsecamente considerata»
Critica il Non expedit, la proibizione di papa Pio IX, ribadita anche da Leone XIII, ai cattolici di partecipare alla vita politica nazionale: «Il Governo è nemico della Chiesa! E chi ha detto il contrario? Di grazia però diteci: di chi è la colpa? Perché si predica l’astensione? Perché si vuole il Non expedit? [...]. Per avere deputati cattolici ci vogliono elettori cattolici; quando questi se ne stanno a casa, quelli non possono riuscire, e la Massoneria trionfa [...]. I cattolici italiani saranno sempre impotenti, finché si asterranno e finché, grazie a questa astensione, avranno la parvenza di nemici della patria»
La scomparsa del potere temporale non è una disgrazia ma un fatto provvidenziale, che rende possibile un rinnovamento tanto della società laica che di quella ecclesiastica sicché è bene non essere legati «a viete e cadenti idee che non reggono il minimo urto dei tempi nuovi, e, come gli otri vecchi di cui parla il Vangelo, non possono reggere al contatto del vino nuovo»
Leone XIII definì le posizioni del vescovo Bonomelli arroganti e insubordinate, volendo egli temerariamente «suggerire consigli alla Sede Apostolica intorno a cose da fare e voler mostrare ciò che sia meglio da fare» ribadendo che il Papa subiva una inaccettabile violenza ed era privato della sua libertà, «per maniera che accettarla non mai, ma sì dobbiamo sofferirla costrettivi da necessità [...] dall’audacia delle sette perverse, le quali si sono congiurate per abbattere la Sacra Potestà, acciocché, manomesso questa sorte di presidio, potessero rivolgere gli sforzi e impeti loro».
Il 21 aprile 1889, giorno di Pasqua, nella cattedrale di Cremona, Bonomelli ammise di essere l’autore del saggio e fece atto di sottomissione a Leone XIII.

L'emigrazione
Si occupò spesso del problema dell’emigrazione che, stante la grande miseria che attanagliava tutta l’Italia, paese essenzialmente agricolo, produceva da una parte una concentrazione di operai sottopagati nelle maggiori città ove si stavano sviluppando attività industriali, e soprattutto una forte emigrazione all’estero, in Francia e nel continente americano, con il conseguente abbandono delle campagne.
A questo scopo nel 1896 Bonomelli promulgò la pastorale L’Emigrazione. Nel maggio 1900 fondò l’Opera di assistenza per gli italiani emigrati in Europa, poi denominata Opera Bonomelli, intesa a fornire agli emigrati italiani un’assistenza materiale e religiosa, svolta tanto da personale laico che missionario.
Una tale iniziativa era da lui svolta seguendo un nuovo concetto della fede, che lo poneva ancora una volta in contrasto con i cattolici tradizionalisti. Sosteneva che come non si può separare il cielo dalla terra, così non si può separare il corpo dall’anima, i beni della vita presente da quelli di una vita futura, in quanto quelli sarebbero serviti a questi. Oltre a farsi sostenitore di riforme che alleviassero le condizioni dei contadini, teorizzò un cattolicesimo moderno, invitando il clero a uscire «dal tempio, dalle sagrestie» per andare fra il popolo «a ricordagli i suoi doveri, senza tacere dei suoi diritti».

La lettera pastorale del 1905
Fu clamorosa la sua lettera pastorale del 1905, in seguito alla legge anticlericale francese in cui si sanciva la separazione fra Stato e Chiesa: in contrasto con la Santa Sede, che a seguito della legge intervenne con diverse encicliche di condanna e ruppe i rapporti diplomatici con la Francia, Geremia Bonomelli sostenne che la Chiesa separata dallo Stato avrebbe goduto di una maggiore libertà.
Don Primo Mazzolari, suo discepolo, che rischiò di pagare con la vita la sua intransigenza contro ogni sopraffazione, lo definì «uomo di grandezza insopportabile dai nostri tempi imbecilli [...] un vescovo del suo tempo, non si fermò a vedere passare le trasformazioni del suo tempo in cui visse, ma salì arditamente sul convoglio».
Mons. Geremia Bonomelli si spense il 3 agosto 1914 Riposa nella Cattedrale di Cremona in un sarcofago posto accanto all'altare maggiore.

Opere
Tradusse nel 1881 l’Esposizione del dogma cattolico del Monsabré, e scrisse I misteri cristiani e Seguiamo la ragione nel 1894, "La scuola laica" nel 1888,'Tre mesi al di là delle Alpi nel 1901, Dal Piccolo San Bernardo al Brennero del 1903, Viaggiando in vari paesi e in vari tempi nel 1908.
Fra le lettere pastorali si ricordano Proprietà e socialismo, Capitale e lavoro, La questione morale è questione sociale, La Chiesa e i tempi nuovi - condannata dalla Chiesa - Una parola amica a tutti gli operai, L’emigrazione.
Furono criticati dalle autorità ecclesiastiche anche Un autunno in Oriente del 1891 e Un autunno in Occidente del 1897, ove il Bonomelli cercò di sottolineare i punti di comunione fra le confessioni cattoliche e ortodosse.

▪ 1929 - Thorstein Bunde Veblen (Valders, 30 luglio 1857 – Menlo Park, 3 agosto 1929) è stato un economista e sociologo statunitense, uno dei principali esponenti dell'istituzionalismo economico.
Figlio di immigrati norvegesi, studiò a Baltimora ed a Yale ed insegnò all'Università di Chicago ed a quella del Missouri.
La sua opera principale è La teoria della classe agiata (1899), in cui sostiene che la proprietà privata non risponde solo a necessità di sussistenza, ma va interpretata come un segno di distinzione e di prestigio sociale che si aggiunge alle qualità personali. Per questo la ricchezza non viene solo accumulata, ma mostrata in società attraverso l'ostentazione di beni costosi; ciò porta anche ad un singolare gusto, per cui il valore estetico di un oggetto è legato strettamente al suo costo economico. Questa deriva consumistica è tipica in particolare della classe dei capitalisti che vivono di speculazione, senza produrre beni e lucrando sul lavoro di altri. Ad essi Veblen contrappone gli industriali, i tecnici, gli ingegneri, tutti coloro che producono beni effettivi che fanno evolvere la società. Il sociologo statunitense ritiene che questi ultimi finiranno con il prevalere, e che la classe agiata improduttiva, con il suo istinto di rapina, sia destinata a scomparire.
Alla contrapposizione tra classe agiata e classe industriale si lega in Veblen la contrapposizione tra cultura umanistica e cultura tecnologica. La prima è un prodotto dell'ozio della classe agiata e diffonde una visione del mondo magica, anche quando è insegnata nelle Università. La vera cultura è quella tecnologica, finalizzata all'efficienza del sistema produttivo.

▪ 1959 - Carlo Antoni (Trieste, 15 agosto 1896 – Roma, 3 agosto 1959) è stato un filosofo e storico italiano.
Allievo di Benedetto Croce, studiò soprattutto la cultura filosofica tedesca, dal Settecento al Novecento, ritenendo di cogliere - nella sua opera più nota, La lotta contro la ragione - le radici dell'idealismo e dell'irrazionalismo tedesco nella lotta combattuta contro il razionalismo cartesiano dai movimenti politici svizzeri e dal pietismo.
Difese la dialettica crociana dei distinti contro la concezione della dialettica hegeliana degli opposti.
Tenne la cattedra di Filosofia della Storia nell'Università di Roma dal 1947 alla morte.

▪ 1979 - Alfredo Ottaviani (Roma, 29 ottobre 1890 – Città del Vaticano, 3 agosto 1979) è stato un cardinale italiano, soprannominato il carabiniere della fede perché fu il più rigoroso difensore della tradizione. Fu un oppositore severo di alcune riforme della Chiesa cattolica e per questo venne definito da molti "l'uomo delle scomuniche".
La convocazione del Concilio Vaticano II ad opera di papa Giovanni XXIII, la riforma della Curia, l'inizio dell'attività del Sinodo episcopale, furono forse per un uomo con le sue convinzioni, uno strappo eccessivo.
Tra i suoi interventi vi fu, nel 1962, la redazione dell'attento documento Crimen sollicitationis, riservato a tutti i Vescovi, tramite il quale essi venivano istruiti sulle modalità di gestione dei casi di pedofilia all'interno della Chiesa cattolica. In esso fu prevista, per gli episodi più gravi, la scomunica per coloro che non vi si fossero attenuti. Il documento fu approvato dall'allora pontefice Giovanni XXIII.
Nominato dal Papa presidente della Commissione Dottrinale, Ottaviani vide attuarsi, specialmente nelle applicazioni distorte del Concilio, alcune delle posizioni che più aveva osteggiato e temuto (abusi liturgici, storture dottrinali, ecc.). Egli fu più o meno tacitamente ostile anche alla riforma del Sant'Uffizio e all'abolizione dell'Indice dei libri proibiti e del giuramento antimodernista.
Così, nel gennaio 1968 rassegnò le dimissioni. Nel settembre del 1969 Ottaviani scrisse, insieme al cardinal Antonio Bacci, una lettera, nota come l'intervento Ottaviani, a papa Paolo VI, nella quale esprimeva la propria opposizione alla riforma liturgica e, in specie, al nuovo messale romano o Novus Ordo Missae, allora in procinto di entrare in vigore.
Morì nella Città del Vaticano il 3 agosto 1979. Le sue esequie furono celebrate da papa Giovanni Paolo II il 6 agosto, giorno in cui un anno prima, come ricordò Giovanni Paolo II, nella medesima ora moriva papa Paolo VI.

▪ 1981 - Roberto Peci (Ripatransone, 2 luglio 1956 – Roma, 3 agosto 1981) è stato un terrorista italiano. Pur avendo abbandonato la lotta armata, è ricordato per essere stato sequestrato e ucciso dalle BR in seguito al pentimento del fratello Patrizio, che era stato uno dei principali latitanti dell'organizzazione.

Il processo brigatista
Fu accusato di tradimento e delazione e ucciso dalle Brigate Rosse Fronte delle carceri - Partito Guerriglia comandate dal criminologo Giovanni Senzani, in seguito all'arresto del fratello Patrizio Peci divenuto poi pentito e collaboratore di giustizia.
 Fu sequestrato il 10 giugno 1981 a San Benedetto del Tronto da un commando di 4 terroristi. Successivamente fu sottoposto a interrogatorio ed assassinato il 3 agosto. L'interrogatorio fu filmato ed inviato agli organi di stampa. La Rai, allora guidata dal socialista Sergio Zavoli, sebbene la messa in onda del filmato fosse condizione necessaria per la liberazione del prigioniero, decise di non mandare in onda il filmato. Giovanni Senzani fotografò il momento dell’esecuzione, avvenuta con 11 colpi di arma da fuoco in un casolare abbandonato nella campagna romana.

▪ 2004 - Henri Cartier-Bresson (Chanteloup, 22 agosto 1908 – L'Isle-sur-la-Sorgue, 3 agosto 2004) è stato un fotografo francese, da molti considerato il padre del fotogiornalismo.
«Le fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso il momento.» (Henri Cartier-Bresson)
Dopo gli studi giovanili, Henri fu presto attratto dalla pittura, grazie allo zio Louis, e comincerà i suoi studi con Jaques-Emile Blanche e André Lhote, che lo inizieranno all'ambiente dei surrealisti francesi, inizialmente disinteressato alla fotografia.
Solo più tardi, nel 1930, durante un viaggio in Costa d'Avorio, per via della sua continua ricerca di immortalare la realtà, comprò la sua prima macchina fotografica, una Leica 35mm con lente 50mm che l'accompangnerà per molti anni.
Nel 1931 lavora nel cinema come assistente del regista francese Jean Renoir e, nel 1937, firma personalmente il film Return to life.
Intanto, nel 1934, conosce David Szymin, un fotografo e intellettuale polacco, che più tardi cambierà nome in David Seymour (1911–1956). Diventano subito ottimi amici, hanno molto in comune culturalmente. Sarà Szymin a presentare al giovane Bresson un fotografo ungherese, Endré Friedmann, che verrà poi ricordato col nome di Robert Capa.
Durante la Seconda guerra mondiale, Cartier-Bresson entra nella resistenza francese, continuando a svolgere costantemente la sua attività fotografica.
Finita la guerra, ritorna al cinema e dirige il film Le Retour, documentario sul ritorno in patria dei prigionieri di guerra e dei deportati. Nel 1946 viene a sapere che il MOMA di New York intende dedicargli una mostra "postuma", credendolo morto in guerra: si mette in contatto con il museo e dedica oltre un anno alla preparazione dell'esposizione, inaugurata il 1947. Negli anni successivi è negli Stati Uniti, dove fotografa per Harper's Bazaar.
Nel 1947 fonda, insieme a Robert Capa e a David Seymour, la famosa Agenzia Magnum. Inizierà innumerevoli viaggi in cui farà molteplici reportage che gli daranno fama mondiale.
La fotografia porta Henri in molti angoli del pianeta: Cina, Messico, Canada, Stati Uniti, Cuba, India, Giappone, Unione Sovietica e molti altri paesi. Cartier-Bresson divenne il primo fotografo occidentale che fotografava liberamente nell'Unione Sovietica del dopo-guerra. Nel 1968, Henri Cartier-Bresson inizia gradualmente a ridurre la sua attività fotografica per dedicarsi al suo primo amore artistico: la pittura.
Nel 1979 viene organizzata a New York una mostra tributo al genio del fotogiornalismo e del reportage. Nel 2000, assieme alla moglie Martine Franck ed alla figlia Mélanie crea la Fondazione Henri Cartier-Bresson, che ha come scopo principale la raccolta delle sue opere e la creazione di uno spazio espositivo aperto ad altri artisti; nel 2002 la Fondazione viene riconosciuta dallo stato francese come ente di pubblica utilità. Muore a Céreste, (Alpes-de-Haute-Provence, Francia) il 3 agosto 2004, all'età di 95 anni.
Nella sua carriera ha anche ritratto personalità importanti in tutti i campi; Balthus, Albert Camus, Truman Capote, Coco Chanel, Marcel Duchamp, William Faulkner, Mahatma Gandhi, John Huston, Martin Luther King, Henri Matisse, Marilyn Monroe, Richard Nixon, Robert Oppenheimer, Jean-Paul Sartre ed Igor Stravinsky. Dalla morte di Cartier-Bresson, per evitare sfruttamenti commerciali slegati dal valore artistico delle opere, la Fondazione non autorizza più alcuna stampa di fotografie del maestro, offrendo però un servizio di autenticazione di eventuali stampe in circolazione in gallerie o antiquari. In una lettera datata 30 ottobre 2000, per evitare il commercio di stampe o lo smercio di copie sottratte, lo stesso fotografo dichiarava: “Io sottoscritto Henri Cartier-Bresson, domiciliato al 198 di rue de Rivoli, Parigi, dichiaro quanto segue. Ho sempre firmato e dedicato le stampe di mie fotografie a coloro ai quali intendevo donarle; tutte le altre stampe che recano solamente timbri o etichette «Magnum Photos» o il mio nome «Henri Cartier-Bresson» sono di mia proprietà. Tutti coloro che detenessero queste stampe non potranno invocare la buona fede". In linea con lo spirito che scaturisce da questo scritto, nel 1985 fece dono al Comune di Tricarico, città natale del poeta Rocco Scotellaro, di 26 fotografie che oggi costituiscono il primo e fondamentale nucleo di opere che saranno esposte nel museo delle arti figurative di quella cittadina.

Bibliografia
Il libro più famoso di Cartier Bresson è The decisive moment (Il momento decisivo), Simon e Schuster, New York. Il titolo nella versione francese è Images à la sauvette. Scritto nel 1952, oltre a contenere una raccolta di talune delle foto più note del fotografo, descrive il modo stesso di fare fotografia di Cartier-Bresson. L'autore si occupa del reportage fotografico, del soggetto, della composizione, del colore, della tecnica, dei clienti.

Pierre Assouline ha inoltre pubblicato una biografia di Henri Cartier-Bresson, tradotta anche in italiano: Henri Cartier-Bresson. Biografia di uno sguardo, Photology, 2006.

Lo "Scrap Book"
Lo Scrap Book è l'album che Cartier-Bresson preparò per la mostra al MOMA nel 1946. Partito per gli USA con circa 300 foto nella valigia, all'arrivo acquistò un album (scrap book in inglese) e vi collocò le immagini per mostrarle ai curatori. Dopo la mostra, finì sepolto in una valigia e poi nella biblioteca di casa, dove passò inosservato alla stessa moglie dell'artista fino al 1992, quando Cartier-Bresson ne aveva rimosso gran parte delle immagini a causa del deperimento della carta dell'album: soltanto 13 pagine rimasero integre. Nel 2007 la fondazione dedicata a Cartier-Bresson decise di editarlo in volume in un'edizione restaurata ma il più possibile fedele all'album originale, pubblicata in Italia da Contrasto e che rappresenta una testimonianza eccezionale sulle scelte operate dal maestro per la mostra che l'avrebbe in un certo senso consacrato tra i maggiori fotografi del mondo.

▪ 2008 - Aleksandr Isaevič Solženicyn, in russo Алекса́ндр Иса́евич Солжени́цын, traslitterato anche come Aleksandr Isaevič Solženitsyn o Aleksandr Isaevich Solzhenitsyn, pronuncia Aliksàndr Soljenìzn (Kislovodsk, 11 dicembre 1918 – Mosca, 3 agosto 2008), è stato uno scrittore, drammaturgo e storico russo.
Attraverso i suoi scritti ha fatto conoscere al mondo i Gulag, i campi di lavoro forzato per i dissidenti del sistema sovietico. Gli fu assegnato il Premio Nobel per la letteratura nel 1970 e quattro anni dopo fu esiliato dall'Unione Sovietica. Ritornò in Russia nel 1994 alla caduta del sistema sovietico. Nello stesso anno fu eletto membro dell'Accademia serba delle arti e delle scienze nel Dipartimento lingua e letteratura.

In Unione Sovietica
I primi anni

Aleksandr Solženicyn nacque a Kislovodsk in una famiglia di intellettuali cosacchi, figlio di una giovane vedova, Taisia Solženicyna (nata Ščerbak), il cui padre, un uomo di umili origini che si era fatto da solo, possedeva grosse proprietà nel Kurban, a nord delle colline del Caucaso. Durate la prima guerra mondiale Taisia andò a studiare a Mosca, dove incontrò Isaakij Solženicyn, un giovane ufficiale dell'esercito, anche lui originario del Caucaso (la sua famiglia è restituita in maniera vivida nei capitoli d'apertura di Agosto 1914 e nel ciclo di racconti Red Wheel). Nel 1918 Taisia rimase incinta, tre mesi dopo Isaakij fu ucciso in un incidente di caccia. Aleksandr è cresciuto in povertà con la madre e una zia a Rostov; i suoi primi anni di vita coincidono con la guerra civile russa e a causa del regime le proprietà di famiglia furono espropriate e trasformate in un kolchoz nel 1930. Solženicyn ha affermato che sua madre combatteva per sopravvivere e non disse a nessuno del passato di suo padre nell'esercito imperiale. Taisia lo incoraggiò sempre nei suoi studi scientifici e letterari; morì nel 1940.
Solženicyn avrebbe voluto andare all'Università di Mosca, ma la salute precaria della madre e le condizioni economiche in cui versava la famiglia non gli permisero di trasferirsi nella capitale, quindi si iscrisse alla facoltà di matematica dell'università di stato di Rostov (si laureerà nel 1941), e allo stesso tempo frequentò per corrispondenza i corsi dell'Istituto universale per gli studi di Filosofia, Letteratura e Storia di Mosca, in questo periodo di regime molto influenzato ideologicamente; come lui stesso chiarificò, non mise mai in dubbio l'ideologia di stato o la superiorità dell'Unione Sovietica prima di entrare nel gulag. Costretto ad abbandonare gli studi partì per la seconda guerra mondiale e divenne comandante di artiglieria dell'Armata rossa. Inizialmente, a causa della sua salute cagionevole, fu assegnato in un posto lontano dal fronte, ma poi venne trasferito in Prussia Orientale (grazie alle conoscenze qui acquisite pubblicò poi una delle sue opere più rilevanti Agosto 1914). Fu coinvolto in combattimenti al fronte e decorato due volte. Nel febbraio del 1945 fu arrestato per aver criticato Stalin in una lettera privata ad un amico e condannato a otto anni di campo di lavoro (nei gulag), più tre di esilio.

La prigionia nei gulag
«Per fare le camere a gas, ci mancava il gas»
Solženicyn scontò la prima parte della condanna facendo diversi lavori, la "fase intermedia", come la chiamò lui stesso, la passò in una sharashka, uno speciale centro per le ricerche scientifiche avviato dal Ministero per la sicurezza di stato. Quest'esperienza riemerge in Il primo cerchio, pubblicato nel 1968. Nel 1950 fu trasferito in un campo speciale per i prigionieri politici. Durante la sua permanenza nel campo della città di Ekibastuz in Kazakistan lavorò come minatore, muratore e operaio in una fonderia; da quest'esperienza trarrà Una giornata di Ivan Denisovič.
Dal marzo 1953 Solženicyn inizia una fase di esilio a Kok Terek, nel sud del Kazakistan. Si ammalò di tumore ma non gli fu diagnosticato e alla fine dell'anno andò vicino alla morte. Nel 1954 gli fu permesso di essere curato nell'ospedale di Tashkent. Da quest'esperienza scrisse il romanzo Padiglione cancro e qualche eco c'è anche nel racconto The right hand. Fu durante questa decade di prigionia ed esilio che Solženicyn abbandonò il marxismo per posizioni più filosofiche e religiose; questo cambiamento trova un interessante parallelo in Dostoevskij e alla sua ricerca delle fede nel periodo passato in un carcere in Siberia un centinaio di anni prima. Tale cambiamento è descritto nell'ultima parte di Arcipelago Gulag.
Durante questi anni di esilio, e nella seguente estinzione della pena e ritorno nella Russia Europea, Solženicyn, mentre di giorno faticava o insegnava nella scuola secondaria, passava le notti scrivendo segretamente.

Solženicyn scrittore e l'esilio dalla Russia
«Fino al 1961 non solo ero convinto che non avrei mai dovuto vedere una sola mia linea stampata nella mia vita, ma, anche, a stento osai permettere ad alcune delle mie più vicine conoscenze di leggere quello che scrissi perché temevo che si venisse a sapere»
Finalmente, a quarantadue anni, avvicinò il poeta e capo redattore del Novyj Mir Aleksandr Tvardovskij col manoscritto di Una giornata di Ivan Denisovič. Il romanzo venne pubblicato nel 1962 con l'esplicita approvazione di Nikita Chruščёv - Tvardovskij capì che era necessario per un romanzo di quel genere - e rimase l'unico lavoro Solženicyn pubblicato in Russia fino al 1990.
Una giornata di Ivan Denisovič ebbe molto successo (venne addirittura paragonato alla Casa dei morti di Dostoevskij) portò i gulag all'attenzione dell'occidente. Provocò molte reazioni anche in Unione Sovietica non solo per il crudo realismo e la franchezza, ma anche perché era il maggior romanzo di argomento politico nella letteratura sovietica dagli anni venti, scritto da un membro esterno ai partiti, addirittura da un uomo che era stato in Siberia per "discorsi diffamatori" (la lettera su Stalin) sui leader politici, senza per questo subire censura. In questo senso la pubblicazione del romanzo fu un esempio quasi senza precedenti di libertà, un affrontare liberamente la politica attraverso il mezzo letterario.
Molti lettori sovietici lo capirono, ma dopo che Chruščёv fu cacciato dal potere nel 1964, il tempo per tali romanzi si avviò lentamente verso la fine. Solženicyn non si arrese e tentò, con l'aiuto di Tvardovskij, di pubblicare Padiglione cancro in Unione Sovietica. Questo doveva però essere approvato dall'Unione degli Scrittori Sovietici, e sebbene molti lo apprezzarono, fu negata la pubblicazione in quanto non corretto e libero dal sospetto di insinuazioni e affermazioni antisovietiche (questo momento decisivo è documentato in La quercia e il vitello: saggi di vita letteraria).
La stampa di questo lavoro fu rapidamente fermata; dato che era uno scrittore, divenne una non-persona, e, nel 1965, il KGB sequestra molti dei suoi manoscritti, compreso quello di Il primo cerchio. Nel frattempo Solženicyn continua segretamente il febbrile lavoro ad uno dei suoi libri più sovversivi, il monumentale saggio di inchiesta narrativa (come definito nella prima pagina) Arcipelago Gulag. Il sequestro di questo manoscritto lo fece inizialmente disperare, ma gradualmente essere libero dalla pretesa di essere uno scrittore "ufficialmente acclamato", lo fece avvicinare alla sua seconda natura, la quale fu sempre più irrilevante. Come sia sopravvissuto in questo periodo, senza alcuna entrata dalle sue pubblicazioni, non si sa, dato che abbandonò il suo posto di insegnante quando sfondò come scrittore.
Nel 1970 Solženicyn fu insignito del Premio Nobel per la letteratura. A quel tempo non poté ricevere personalmente il premio a Stoccolma, perché temeva di non poter più ritornare dalla sua famiglia in Unione Sovietica una volta andato in Svezia. Propose di ricevere il premio in una speciale cerimonia all'ambasciata svedese a Mosca. Il governo svedese però rifiutò l'offerta perché tale cerimonia e la conseguente copertura mediatica potevano turbare il governo sovietico e quindi le relazioni diplomatiche con la Svezia. Alla fine Solženicyn ricevette il Premio Nobel nel 1974 dopo essere stato espulso dall'Unione Sovietica.
Arcipelago Gulag è un saggio narrativo, fra le più lucide e complete denunce dell'universo concentrazionario. Oltre alla propria esperienza personale, Solženicyn raccolse le testimonianze di altri 227 ex prigionieri e condusse alcune ricerche sulla storia del sistema penale sovietico. Il saggio tratta delle origini dei gulag all'epoca di Lenin e la vera creazione del regime comunista, descrivendo nei dettagli la vita nei campi di lavoro, gli interrogatori, il trasporto dei prigionieri, le coltivazioni nei campi, le rivolte dei prigionieri e la pratica dell'esilio interno. La pubblicazione del libro in occidente portò la parola gulag nel vocabolario della politica occidentale e gli garantì una veloce punizione da parte delle autorità sovietiche.
Solženicyn, a causa della sua popolarità in occidente, si guadagnò l'inimicizia del regime sovietico. Avrebbe potuto emigrare anche prima dell'espulsione, ma aveva sempre espresso il desiderio di restare nella sua madrepatria e lavorare dal suo interno per cambiarla. In questo periodo fu difeso dal violoncellista Mstislav Rostropovič, che a causa del suo supporto con Solženicyn fu costretto all'esilio.
Il 13 febbraio del 1974 Solženicyn fu deportato dall'Unione Sovietica in Germania Ovest e privato della cittadinanza sovietica. Il KGB trovò il manoscritto della prima parte di Arcipelago Gulag. Proprio qualche ora prima che venisse arrestato e mandato in esilio, il 12 febbraio 1974, Solženicyn scrisse forse la sua opera più significativa, l'appello "Vivere senza menzogna". Meno di una settimana dopo i sovietici agirono contro Evgenij Evtušenko per il suo appoggio a Solženicyn.

In Occidente
Dopo qualche tempo passato in Svizzera si trasferì negli Stati Uniti invitato dalla Stanford University per "facilitare [il suo] lavoro e ospitare la sua famiglia". Andò ad abitare all'undicesimo piano della Hoover Tower, parte dell'Hoover Institute. Solženicyn si trasferì a Cavendish, nel Vermont, nel 1976. L'8 giugno 1978 gli venne conferita una laurea ad honorem in letteratura dalla Harvard University al conferimento della quale tenne un famoso discorso[2] di condanna alla cultura occidentale.
Nei successivi diciassette anni Solženicyn lavora alacremente nel suo ciclo di quattro romanzi storici La ruota rossa completati nel 1992, all'infuori di questo portò a termine altri lavori più brevi.
Nonostante l'entusiasmo con cui fu accolto negli Stati Uniti, seguito dal rispetto per la sua vita privata, Solženicyn non si sentì mai a casa fuori dalla sua madrepatria. Il suo inglese non divenne mai scorrevole nonostante i vent'anni passati in America, anche se lesse i suoi lavori in inglese fin dalla sua giovinezza incoraggiato dalla madre. Più importante, lui sdegnò l'idea di diventare una star mediatica e di addolcire le sue idee e il suo modo di parlare per adeguarsi al linguaggio televisivo.
Gli avvertimenti di Solženicyn sul pericolo di aggressioni comuniste e l'indebolimento della tempra morale dell'occidente sono generalmente ben accolte dagli ambienti conservatori occidentali, e ben si adattano alla durezza della politica estera di Reagan, ma i liberali e i laicisti sono sempre più critici e lo considerano un reazionario per il suo patriottismo e per essere ortodosso. Viene anche criticato per la sua disapprovazione della bruttezza e insipidità spirituale della dominante cultura pop, incluse la televisione e la musica rock.
«L'anima umana desidera cose più elevate, più calde e più pure di quelle offerte oggi alla massa... dallo stupore televisivo alla musica insopportabile.»

Ritorno in Russia
Nel 1990 la cittadinanza russa di Solženicyn fu ripristinata e nel 1994 ritornò in Russia con sua moglie Natalia, che era diventata cittadina statunitense. I loro figli restarono negli Stati Uniti (più tardi il maggiore, Ermolay, ritornò in Russia per lavorare per il Moscow office of a leading management consultancy firm). Da quel momento Solženicyn ha vissuto con la moglie in una dacia a Troice-Lykovo (Троице-Лыково) ad ovest di Mosca, tra le dace di Michail Suslov e Konstantin Černenko.
Dal suo ritorno in Russia nel 1994, Solženicyn ha pubblicato otto racconti brevi, una serie di "miniature" o poesie in prosa, le memorie dei suoi anni in occidente e la storia in due volumi delle relazioni tra russi ed ebrei (Due secoli insieme). In quest'ultimo lavoro Solženicyn rifiuta l'idea che le rivoluzioni russe del 1905 e del 1917 furono il risultato di una cospirazione ebrea.[3] Nello stesso tempo però accusa sia i russi che gli ebrei di aver avuto rapporti con persone che agirono in complicità col regime comunista.
L'accoglienza di questo lavoro conferma la figura polarizzante di Solženicyn sia in patria che all'estero. Secondo i critici il libro conferma le idee antisemite di Solženicyn e della superiorità della Russia sulle altre nazioni. Il professor Robert Service della Oxford University ha difeso Solženicyn definendolo "assolutamente corretto", notando che Lev Trotsky stesso rivendicò la sproporzione rappresentata nella burocrazia sovietica.[4]
Un altro famoso dissidente russo, Vladimir Vojnovič, scrisse un polemico studio dal titolo Ritratto in posa da mito dal quale emerge un Solženicyn egoista, antisemita e poco abile nello scrivere. Voinovič canzonò Solženicyn anche nel suo romanzo Moskva 2042 (Москва 2042), ritraendolo con l'egocentrico Sim Simič Karnalov, un estremo, brutale e dittatoriale scrittore che cerca di distruggere l'Unione Sovietica e, alla fine, diventa il re della Russia. Usando una sottile argomentazione, Joseph Brodsky nel suo saggio Catastrophes in the Air (in Less than One) asserisce che Solženicyn, mentre era un eroe nel palesare le brutalità del comunismo sovietico, non riuscì a vedere la probabilità che i crimini storici che lui ha portato alla luce siano la conseguenza del carattere autoritario ereditato dalla vecchia Russia e dello "spirito severo dell'Ortodossia" (idolatrato da Solženicyn), non imputandoli quindi all'ideologia politica.
Nei suoi scritti politici più recenti, come Come ricostruire la Russia? (1990) e Russia in collapse (1998) Solženicyn critica gli eccessi oligarchici della nuova democrazia russa opponendosi, comunque, a qualsiasi nostalgia per il comunismo sovietico. Difende inoltre il moderato e autocritico patriottismo (come opposizione ad un estremo nazionalismo), indispensabile per l'autonomia locale in una Russia libera e manifesta preoccupazione per il destino dei venticinque milioni di russi negli stati dell'ex Unione Sovietica. Chiede inoltre che venga protetto il carattere nazionale della Chiesa ortodossa russa e lotta contro l'ammissione di preti cattolici e pastori protestanti in Russia da altri paesi. Per un breve periodo condusse un programma televisivo dove espresse brevemente le sue opinioni. Tale programma fu sospeso a causa dei pochi ascolti e dei duri giudizi che Solženicyn esprimeva, ma Solženicyn continuò a mantenere un relativamente alto profilo nei media.
Tutti i figli di Solženicyn sono cittadini statunitensi. Uno, Ignat, è un acclamato pianista e direttore d'orchestra.
La più completa edizione (30 volumi) delle opere di Solženicyn è in corso di pubblicazione in Russia. La presentazione dei primi tre volumi ha avuto luogo a Mosca.

Visioni storico-politiche
Sull'umanità e il sacrificio

"La linea di quei pochi che sanno scegliere sacrificando se stessi è la luce che illumina il nostro futuro. Impressiona sempre questa peculiarità psicologica dell'essere umano: nel benessere e nella spensieratezza, ha paura anche delle più piccole contrarietà che toccano la periferia della propria esistenza, fa di tutto per non conoscere le sofferenze altrui e le proprie future, rinnega molte cose, perfino ciò che è importante, spirituale, essenziale pur di conservare il proprio benessere. Giunto invece alle ultime rive della miseria dove l'uomo è nudo e privo di tutto quello che sembra rendere bella la vita, ecco che trova improvvisamente in se stesso la risolutezza per fermarsi all'ultimo passo e sacrificare la vita purché siano salvi i principi. Per la prima peculiarità l'umanità non ha saputo mantenere nessuna vetta conquistata, per la seconda si è sollevata da tutti gli abissi”.

Visioni storiche
Durante gli anni passati in occidente Solženicyn diede vita ad un intenso dibattito sulla storia della Russia, l'Unione Sovietica e il comunismo cercando di correggere quelli che considerava essere malintesi dell'Occidente.

Comunismo, Russia e nazionalismo
Per molti la Rivoluzione d'ottobre del 1917 sfociata in un violento regime totalitario è strettamente connessa alla storia della russia zarista, specialmente nelle figure di Ivan il Terribile e Pietro il Grande. Solženicyn afferma che questo è fondamentalmente sbagliato ed ha liquidato il lavoro di Richard Pipes come "visione polacca della storia russa". Solženicyn nota come la Russia zarista non avesse le stesse tendenze violente dell'Unione Sovietica sottolineando che la Russia imperiale non praticava la censura, i prigionieri politici obbligati al lavoro forzato e nella Russia zarista erano un decimillesimo rispetto a quelli dell'Unione Sovietica; il servizio segreto dello zar era presente in sole tre grandi città, e non in tutto l'esercito. La violenza del regime comunista non era in nessun modo comparabile con quella minore degli zar [5].
Sarebbe, insomma, una forzatura biasimare le catastrofi russe del XX secolo con zar del XVI e XVIII secolo quando ci sono molti altri esempi di violenza che hanno ispirato, invece, i bolscevichi, e specialmente quello dei giacobini nel Periodo del terrore in Francia.
Invece di biasimare le condizioni russe, accusa gli insegnamenti di Karl Marx e Friederich Engels sostenendo che il marxismo stesso è violento[senza fonte]. Le sue conclusioni sono che il comunismo è sempre essere totalitario e violento ovunque sia praticato. Non c'era niente di particolare nelle condizioni russe che abbia portato a quel risultato.
Critica anche l'idea che l'Unione Sovietica fosse russa in ogni suo aspetto, sostenendo che il comunismo era internazionale ed era scopo del nazionalismo usarlo come uno strumento per ingannare il popolo. Una volta al potere il comunismo tenta di cancellare ogni nazione, distruggendo la sua cultura e opprimendo il popolo.
Secondo Solženicyn la cultura e il popolo russo non erano dominanti della cultura nazionale dell'Unione Sovietica, dove non c'era una vera e propria cultura predominante perché oppressa in favore di una cultura ateistica sovietica; quando il regime sconfisse la paura di ribellioni da parte delle minoranze etniche ne oppresse anche la loro cultura. Quindi, il nazionalismo russo e la Chiesa ortodossa non dovevano essere considerate una minaccia per l'occidente, ma piuttosto come alleati che dovevano essere incoraggiati.[6]

Seconda guerra mondiale
Solženicyn criticò gli alleati per il ritardo con cui aprirono un nuovo fronte in occidente contro la Germania nazista, un ritardo che fu determinante per la dominazione e l'oppressione sovietica nelle nazioni dell'Europa orientale. Solženicyn sostiene che le democrazie occidentali si siano solo apparentemente curate dei morti nell'est, finché poterono finire la guerra velocemente e indolormente per loro in occidente.

Stalinismo
Solženicyn non era dell'idea che Stalin fosse il creatore di uno stato totalitario. Sosteneva infatti che Lenin e Trotsky fossero i "veri comunisti". A prova di questo il fatto che Lenin cominciò le esecuzioni di massa, distrusse l'economia, fondò la Čeka che più tardi si chiamerà KGB e istituì i gulag sebbene al tempo non avessero lo stesso nome.

Guerra del Vietnam
Nel suo discorso all'Harvard University nel 1978 Solženicyn dichiara che molti negli Stati Uniti non capiscono la guerra del Vietnam. Anche se ci sono molti pacifisti che sostengono la necessità di fermare la guerra il più presto possibile, loro diventano complici "del genocidio e la sofferenza oggi imposta a trenta milioni di persone". Retoricamente domanda se i pacifisti americani capiscano le conseguenze che le loro azioni hanno in Vietnam chiedendo "Questi pacifisti convinti ora sentono i gemiti del loro Vietnam?"[2]
Durante il soggiorno in occidente Solženicyn fece poche ma severe dichiarazioni pubbliche attirandosi anche alcune critiche, in particolare da Daniel Ellsberg che lo considerava un traditore.

Guerra del Kosovo
Solženicyn ha duramente condannato i bombardamenti della NATO in Jugoslavia nel 1999 dicendo che "non ci sono differenze tra la NATO e Hitler".

L'occidente
«Finché non sono venuto io stesso in occidente e ho passato due anni guardandomi intorno, non avevo mai immaginato come un estremo degrado in occidente abbia fatto un mondo senza volontà, un mondo gradualmente pietrificato di fronte al pericolo che deve affrontare... Tutti noi stiamo sull'orlo di un grande cataclisma storico, un'inondazione che ingoierà le civiltà e cambierà le epoche.[8]»

Il mondo moderno
Solženicyn descrisse i problemi sia dell'oriente che dell'occidente come "un disastro" radicato nell'agnosticismo e nell'ateismo, riferendosi alla "calamità di un'autonoma irreligiosa coscienza umanistica".
«Ha fatto un uomo su misura di tutte le cose sulla terra - uomo imperfetto, che non è mai libero da orgoglio, interesse personale, invidia, vanità e da dozzine di altri difetti. Ora stiamo pagando gli errori che non si sono valutati correttamente all'inizio del viaggio. Sulla direzione dalla rinascita ai nostri giorni abbiamo arricchito la nostra esperienza, ma abbiamo perso il concetto di un'entità completa suprema che ha trattenuto le nostre passioni e la nostra irresponsabilità.[2]»

Note

2. ^ a b c Dal "discorso di Harvard" (in lingua originale)
3. ^ Aleksandr Isaevic Solzenicyn, Due secoli insieme, Controcorrente, 2007. ISBN 88-89015-44-6, capitoli 9, 14 e 15.
4. ^ Walsh, Nick Patron. Solženicyn breaks last taboo of the revolution, The Guardian, 05.01.2003
5. ^ In Arcipelago Gulag l'autore confronta spesso le condizioni di vita dei reclusi e il numero dei condannati a morte del periodo comunista e del periodo degli zar
6. ^ Per il rapporto tra Solženicyn e il nazionalismo russo vedi Rowley, David G. Alexandr Solzhenitsyn and Russian Nationalism in Journal of Contemporary History, col. 32, n°3 (luglio 1997), pp. 321-337
8. ^ Discorso alla BBC del 26 marzo 1979