Il calendario del 29 Luglio

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 563 - Verona si ribella ai soldati bizantini, rivolta che viene repressa con la forza

▪ 1014 - Battaglia di Kleidion: Basilio II non solo infligge una sconfitta decisiva all'esercito bulgaro, ma il suo successivo trattamento selvaggio dei 15.000 prigionieri, si narra abbia causato la morte per shock dello Zar Samuil di Bulgaria

▪ 1364 - Battaglia di Cascina: presso Cascina viene combattuto un sanguinoso scontro tra Fiorentini e Pisani, conclusosi con la sconfitta di questi ultimi. Lo scontro, molto cruento, è stato immortalato da Michelangelo e dal Vasari

▪ 1567 - Giacomo VI viene incoronato a Stirling come re Giacomo I

▪ 1588 - Battaglia di Gravelines: L'Armata Spagnola viene sconfitta da una forza navale inglese comandata da Lord Charles Howard e Sir Francis Drake, al largo della costa di Gravelines, Francia

▪ 1793 - John Graves Simcoe decide di costruire un forte e un insediamento a Toronto

▪ 1805 - Un devastante terremoto colpisce e distrugge gran parte della città di Campobasso

▪ 1830- a Parigi la Rivoluzione di Luglio costringe all'esilio Carlo X, sostituito con Luigi Filippo

▪ 1848 - Grande Carestia irlandese: Rivolta di Tipperary - A Tipperary, una fallita rivolta nazionalista contro il dominio britannico viene soffocata dalla polizia

▪ 1900 - L'anarchico Gaetano Bresci uccide a Monza Umberto I di Savoia, re d'Italia

▪ 1947 - Dopo essere stato spento il 9 novembre 1946 per una revisione, L'ENIAC, il primo calcolatore elettronico digitale, viene riacceso. Continuerà le sue operazioni fino al 2 ottobre 1955

▪ 1954 - Prima ascesa del K2

▪ 1957 - Viene istituita l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica

▪ 1958 - Il Congresso degli Stati Uniti crea la National Aeronautics and Space Administration (NASA)

▪ 1965 - Guerra del Vietnam: I primi 4.000 paracadutisti della 101a Divisione Aviotrasportata arrivano in Vietnam, atterrando nella Baia di Cam Ranh

▪ 1967 - Guerra del Vietnam: Al largo della costa del Vietnam del Nord, nel Golfo del Tonchino, Il fuoco devasta la USS Forrestal, Nel peggior disastro navale statunitense dalla seconda guerra mondiale (134 marinai americani restano uccisi, 62 feriti, 21 aerei vengono distrutti e altri 42 danneggiati)

▪ 1968 - Si diffonde il testo dell'enciclica Humanae Vitae di Papa Paolo VI, in cui si ribadisce il rifiuto cattolico dell'aborto, dei metodi contraccettivi non naturali, della sterilizzazione anche temporanea, dell'eutanasia

▪ 1976 - Italia: con la nomina a Ministro del lavoro, Tina Anselmi è la prima donna ad entrare nel Governo

▪ 1981 - Lady Diana Spencer sposa Carlo, Principe del Galles

▪ 1993

  1. - La Corte Suprema israeliana assolve la guardia di un campo di sterminio nazista John Demjanjuk da tutte le accuse
  2. - Rocco Chinnici, consigliere istruttore presso il Tribunale di Palermo, è ucciso con una Fiat 127 imbottita di esplosivo davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico a Palermo, all'età di cinquantotto anni.

▪ 2004 - Dopo 143 anni di coscrizione, l'Italia abolisce la leva obbligatoria. L'ultimo giorno di naja sarà il 30 giugno 2005

▪ 2008 - Radovan Karadžić è stato estradato all'Aja per essere giudicato dal Tribunale Penale Internazionale per i Crimini nella Ex-Jugoslavia (Tpi) su 11 capi d'accusa.

Anniversari

▪ 1887 - Agostino Depretis (Cascina Bella, 31 gennaio 1813 – Stradella, 29 luglio 1887) è stato un politico italiano.
Fu presidente del Consiglio dei ministri italiano per nove mandati nei periodi:
▪ 25 marzo 1876 - 24 marzo 1878
▪ 19 dicembre 1878 - 14 luglio 1879
▪ 29 maggio 1881 - 29 luglio 1887
Fin da adolescente discepolo di Mazzini e affiliato alla Giovine Italia, prese parte attiva ai moti mazziniani, tanto da rischiare la cattura da parte degli Austriaci in occasione di un tentativo di far pervenire armi agli insorti di Milano. Eletto deputato nel 1848, aderì al gruppo della Sinistra storica e fondò il giornale Il Diritto, ma non rivestì cariche ufficiali fino a quando fu nominato governatore di Brescia nel 1859.
Nel 1860 si recò in missione in Sicilia per cercare di mediare fra le posizioni di Cavour, che spingeva per l'immediata annessione dell'isola al Regno d'Italia, e quella di Garibaldi, che invece voleva rimandare il plebiscito di ratifica fino a dopo la progettata liberazione di Napoli e Roma.
Pur riuscendo a farsi nominare da Garibaldi dittatore pro-tempore della Sicilia, non riuscì tuttavia a concludere l'accordo.
Dopo aver accettato il dicastero dei Lavori Pubblici nel Governo Rattazzi I del 1862, fece ancora da intermediario con Garibaldi nell'organizzazione della disastrosa spedizione dell'Aspromonte. Quattro anni più tardi, allo scoppio delle ostilità con l'Austria, entrò nel Governo Ricasoli I come Ministro della Marina.
Per la sua decisione di mantenere al comando della flotta l'ammiraglio Persano, è da alcuni ritenuto uno dei responsabili della sconfitta nella Battaglia di Lissa del 1866.
Altri sostengono comunque che, da civile inesperto di questioni militari, Depretis non avrebbe mai potuto introdurre profondi cambiamenti nell'organizzazione della flotta da guerra, e che quindi, nell'imminenza dello scoppio delle ostilità, fosse costretto ad accettare le scelte dei propri predecessori.
Nel 1873, alla morte di Rattazzi, Depretis, ormai capo della Sinistra, preparò l'avvento al potere del suo partito, che avvenne nel 1876 quando fu chiamato a formare il primo governo di sinistra del nuovo Regno d'Italia.
Durante questo governo fu varata la Legge Coppino (1877), che rendeva gratuita e obbligatoria la scuola elementare.
Spodestato da Cairoli nel marzo 1878, il successivo mese di dicembre sconfisse Cairoli tornando ad essere Primo Ministro, ma il 14 luglio 1879 fu ancora una volta estromesso dallo stesso Cairoli.
Nel novembre del 1879, tuttavia, entrò a far parte del governo Cairoli come Ministro dell'Interno e nel maggio del 1881 gli subentrò come primo ministro, mantenendo la carica fino alla morte, avvenuta il 29 luglio 1887.
Durante questo lungo intervallo di tempo compì ben cinque rimpasti di governo, estromettendo dapprima gli esponenti di sinistra Zanardelli e Baccarini, allo scopo di compiacere alle richieste della Destra, e successivamente nominando Ricotti, Robilant e altri esponenti conservatori, attuando così quel rivolgimento politico che fu poi chiamato il trasformismo. Il trasformismo gli servì anche a far approvare le sue riforme.
Pochi mesi prima della morte si pentì di aver compiuto queste scelte, e reintegrò Crispi (che poi gli subentrò alla morte) e Zanardelli nel proprio governo. Altre sue iniziative degne di nota furono l'abolizione della sopra menzionata tassa sulle granaglie, l'ampliamento del suffragio elettorale, il completamento della rete ferroviaria, l'entrata nella Triplice Alleanza e l'occupazione di Massaua in Eritrea, con cui si inaugurò la politica coloniale dell'Italia.Per contro gli si addebita un grande incremento dell'imposizione fiscale indiretta, lo snaturamento della struttura originaria dei partiti politici emersi alla fine del periodo risorgimentale, e di aver messo in grave crisi le finanze dello stato a causa di assai discutibili scelte in materia di lavori pubblici.

* 1890 - Vincent Willem Van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è stato un pittore olandese.
Autore di quasi 900 tele e di più di mille disegni, tanto geniale quanto incompreso in vita, si formò sull'esempio del realismo paesaggistico dei pittori di Barbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet. Attraversata l'esperienza dell'Impressionismo, ribadì la propria adesione a una concezione romantica, nella quale l'immagine pittorica è l'oggettivazione della coscienza dell'artista: identificando arte ed esistenza, van Gogh pose le basi dell'Espressionismo.
[…] È certo che egli non faceva nulla per alleviare la sua solitudine nonostante ne fosse oppresso: non frequentò mai i non pochi pittori che soggiornavano a Auvers - uno di essi, l'olandese Anton Hirschig, alloggiava nel suo stesso albergo - anche se forse loro stessi, spaventati, lo evitavano, a causa della sua malattia. Per lo stesso Hirschig, egli «aveva un'espressione assolutamente folle, con gli occhi infuocati, che non osavo guardare»

Il suicidio
La sera del 27 luglio 1890, una domenica, dopo essere uscito per dipingere come al solito nelle campagne che circondavano il paese, rientrò sofferente nella locanda e si rifugiò subito nella sua camera: al Ravoux che, non vedendolo presentarsi per il pranzo, salì per accertarsi della sua salute e lo trovò sdraiato sul letto, confessò di essersi sparato un colpo di rivoltella al petto in un campo vicino.
Al dottor Gachet che, non potendo estrargli il proiettile, si limitò a fasciarlo ma gli esprimeva, per rincuorarlo, la sua speranza di salvarlo, rispose che egli aveva tentato coscientemente il suicidio e che, se fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto «riprovarci» - «volevo uccidermi, ma ho fatto cilecca» - esclamò; rifiutò di dare spiegazioni del suo gesto ai gendarmi e, con il fratello Théo che, avvertito, era accorso la mattina dopo, Vincent passò tutto il 28 luglio, fumando la pipa e chiacchierando seduto sul letto: gli confidò ancora che la sua «tristezza non avrà mai fine». Sembra che le sue ultime parole fossero: «ora vorrei ritornare». Poco dopo ebbe un accesso di soffocamento, poi perse conoscenza e morì quella notte stessa, verso l'1,30 del 29 luglio.
In tasca gli trovarono una lettera non spedita a Théo, dove aveva scritto, tra l'altro: «Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità ... per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione ... ».
In quanto suicida, il parroco di Auvers si rifiutò di benedire la salma e il carro funebre fu fornito da un municipio vicino. Il 30 luglio la bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta di fiori gialli, fu calata in una fossa accanto al muro del piccolo cimitero di Auvers: assistevano Théo, che non smetteva di piangere, il dottor Gachet e i pochi amici giunti da Parigi: Lucien Pissarro, figlio di Camille, Emile Bernard, père Tanguy.
Pochi mesi dopo anche Théo van Gogh venne ricoverato in una clinica parigina per malattie mentali. Dopo un apparente miglioramento, si trasferì a Utrecht, dove morì il 25 gennaio 1891, a sei mesi di distanza dal fratello. Nel 1914 le sue spoglie, per volontà della vedova, furono trasferite ad Auvers e tumulate accanto a quelle di Vincent.

L'arte di van Gogh
Non si può sostenere che la pittura sia stata una vocazione per van Gogh, che infatti cominciò a dipingere dopo aver compiuto ventotto anni. A giudicare dagli anni della sua piena giovinezza, se egli ebbe una vocazione, fu quella di essere vicino ai miseri della terra, i braccianti, i contadini poveri e gli operai per i quali il lavoro rappresentava la maggiore sofferenza, quelli delle miniere. Figlio di un pastore protestante, cercò di unire la solidarietà sociale al messaggio evangelico, ma la Chiesa ufficiale sembrò sospettosa e forse spaventata dell'unione di quel duplice messaggio e gli negò il suo appoggio.
Un'altra contingenza familiare - l'attività del fratello Théo nell'ambito del commercio d'arte - lo indirizzò alla pittura, dove raccolse e fece proprio il messaggio, che non era soltanto artistico, ma ancora sociale ed etico, di Daumier, Courbet e Millet. La maggiore realizzazione di questo periodo fu I mangiatori di patate, nei quali, oltre a voler esprimere la propria simpatia verso gli umili, immedesimando in loro se stesso, volle soprattutto rappresentare - come scrisse - coloro che esprimono la dignità della propria umanità, vivendo pur miseramente ma del prodotto del loro lavoro, seppure, come è stato detto, [45] egli qui non fu «ben servito né dal suo disegno pesante e materiale, né dal suo colore assai scuro e sporco, senza energia né vitalità». E tuttavia, ancora alla fine del 1887, da Parigi confidava che «le scene di contadini che mangiano patate» [46] erano ancora le cose migliori che avesse mai fatto.
A Parigi van Gogh comprese la necessità di concentrarsi non tanto su un soggetto determinato, ma su come dipingere: assimilò il modo impressionista ma senza accettarlo, perché egli aveva necessità di porsi direttamente di fronte alle cose, eliminando la mediazione degli effetti atmosferici e delle vibrazioni di luce. Il paesaggio meridionale della Provenza, con la certezza della sua visione immobile e assolata, serviva al meglio al suo scopo.
Così, nella Pianura della Crau, dipinta nel giugno del 1888 ad Arles, i colori si distendono in zone compatte, susseguendosi in profondità, [47]
«risultano a un tempo più intensi e preziosi e più calmi, di quella calma che è propria della certezza alfine raggiunta. Se in primo piano vi sono ancora i tocchi impressionistici, più lontano le zone danno al motivo una consistenza e una chiarezza assoluta. I toni di giallo, dal limone all'arancio, appaiono interrotti da una zona di verde, si spingono all'orizzonte che è alto ma lontano, così da apparire infinito, contro il cielo di un verde azzurro tendente al grigio. L'arte di van Gogh, che era estremamente soggettiva, si è fatta oggettiva, l'anima dell'artista si è distaccata dal suo prodotto, si è annullata nell'oggetto, l'ha reso stupendo per sé, un'immagine da adorare»
Ci si chiede perché egli abbia abbandonato la polemica sociale, pur mantenendo costante il suo impegno morale: o forse, se egli abbia realmente abbandonato quella polemica e non l'abbia invece trasformata in una ancora più generale e radicale.
Da Arles, nell'agosto 1888, scriveva [48] di essere tornato alle idee sostenute prima di trasferirsi a Parigi, ossia alla necessità di rendere con maggior forza la realtà attraverso un uso «arbitrario» del colore: così, il ritratto di un artista dovrà essere sì il più fedele possibile quanto ai lineamenti, ma per esprimere che quell'artista «sogna sogni grandiosi» e «lavora come l'usignolo canta, perché così è la sua natura», dovrà esagerare il biondo dei capelli, arrivando fino «al limone pallido», e come sfondo, anziché la banale parete di un appartamento, dipingere «l'infinito», il «turchino più intenso e più violento», in modo che «la testa bionda illuminata sullo sfondo turchino cupo» ottenga un effetto misterioso, «come una stella nel profondo azzurro».
In generale, egli si pone il problema di [49]
«dipingere degli uomini e delle donne con un non so che di eterno [...] mediante la vibrazione dei notri colori [...] il ritratto con dentro il pensiero, l'anima del modello [...] esprimere l'amore di due innamorati con il matrimonio di due colori complementari, la loro mescolanza e i loro contrasti, le vibrazioni misteriose dei loro contrasti [...] esprimere la speranza con qualche stella. L'ardore di un essere con un'irradiazione di sole calante [...] non è forse una cosa che esiste realmente?»

Detto altrimenti, si potrebbe sostenere che van Gogh, [50]
«ha capito che l'arte non deve essere uno strumento, ma un agente della trasformazione della società e, più a monte, dell'esperienza che l'uomo fa del mondo. Nel generale attivismo, l'arte deve inserirsi come una forza attiva, ma di segno contrario: lampante scoperta della verità contro la crescente tendenza all'alienazione e alla mistificazione. Anche la tecnica della pittura deve mutare, opporsi alla tecnica meccanica dell'industria come un fare suscitato dalle forze profonde dell'essere: il fare etico dell'uomo contro il fare razionale della macchina. Non si tratta più di rappresentare il mondo in modo superficiale o profondo: ogni segno di van Gogh è un gesto con cui affronta la realtà per cogliere e far proprio il suo contenuto essenziale, la vita»
La vita che esprime nel modo più immediato è certamente quella data da un modello vivente, quale che sia, come il signor Joseph Roulin, il postino di Arles. La realtà del suo modello è indubitabile: è un uomo biondo, dagli occhi azzurri e veste una divisa blu. Ma è nella possibilità del pittore costruire mediante il colore quell'esistenza che, da oggetto indipendente, viene rifatto, rivivendo così un'esistenza che è propria solo in quanto è stata ricreata dall'artista. Poiché i colori dominanti del dipinto sono il blu e il giallo, il tavolo diviene verde in quanto è la fusione dei due colori fondamentali, e il fondo bianco della parete, nel riflesso del blu della divisa, diviene celeste: «la materia pittorica acquista un'esistenza autonoma, esasperata, quasi insopportabile: il quadro non rappresenta, è».
Il ritratto di Joseph Roulin non ha nulla di «tragico» in sé: la tragedia sta nel vedere e vedersi [51]
«con così lucida, perentoria evidenza. È tragico riconoscere il nostro limite nel limite delle cose e non potersene liberare. È tragico, di fronte alla realtà, non poterla contemplare, ma dover fare e fare con passione e con furia: lottare per impedire che la sua esistenza sopraffaccia e distrugga la nostra. L'arte diventa allora (avrebbe detto Pavese) il mestiere di vivere: ed è questo mestiere della vita che van Gogh disperatamente contrappone al lavoro meccanico dell'industria, che non è vita. La polemica iniziale non è stata dunque abbandonata, ma portata a un livello più profondo, dove non è in gioco soltanto il contenuto, il soggetto, la tesi, ma la sostanza, l'esistenza dell'arte»

Filmografia
Sono una trentina i film e i telefilm dedicati al grande artista olandese. Il più noto è forse Brama di vivere, del 1956, di Vincente Minnelli con Kirk Douglas nel ruolo di van Gogh e Anthony Quinn in quello di Paul Gauguin. Nel film Vincent & Theo, del 1990, di Robert Altman, il personaggio del pittore è interpretato da Tim Roth.
Alain Resnais realizzò nel 1946 il documentario Van Gogh e Van Gogh è anche un film di Maurice Pialat, uscito nel 1991 e interpretato da Jacques Dutronc.
Van Gogh è rappresentato anche in uno degli otto episodi del film Sogni di Akira Kurosawa, intitolato Corvi e interpretato dal regista Martin Scorsese.
Nella quinta stagione della serie fantascientifica inglese Doctor Who, Van Gogh (interpretato dall'attore Tony Curran) è il coprotagonista del decimo episodio, (EN) Vincent and the Doctor, in cui lo stesso pittore è in grado di vedere un mostro che risulta invece invisibile a tutti gli altri.

Musica
▪ Don McLean, Vincent, canzone rifatta fra gli altri anche da Roberto Vecchioni (1971)
▪ Grigorij Samuilovič Frid, Lettere di van Gogh, opera in 2 parti per baritono, clarinetto, percussioni, piano e archi op. 69 (1975)
▪ Bertold Hummel, 8 frammenti di lettere di van Gogh per baritono e quartetto d'archi op. 84 (1985)
▪ Einojuhani Rautavaara, Vincent, opera in 3 atti (1986-1987)
▪ Einojuhani Rautavaara, Vincentiana, sinfonia n° 6 (1992)
▪ Henri Dutilleux, Corrispondenze, per soprano e orchestra (2002-2004)

Note
45. ^ L. Venturi, La via dell'impressionismo, p. 313
46. ^ Lettera (W 1) a Wilhelmina van Gogh
47. ^ L. Venturi, ivi, p. 315
48. ^ Lettera (520) a Théo van Gogh
49. ^ Lettera (531) a Théo van Gogh, settembre 1888
50. ^ G. C. Argan, L'arte moderna, Firenze 1970, p. 157
51. ^ G. C. Argan, cit., p. 161
52. ^ a b c Tra arte e astronomia: le stelle di Van Gogh

▪ 1907 - Michele Basile (Santa Lucia del Mela, 13 maggio 1832 – Messina, 29 luglio 1907) è stato un patriota, insegnante e scrittore italiano.
Nato da famiglia nobile, era il tredicesimo figlio di Giuseppe Basile Compagna e Felicia Stracuzzi.
Sin da giovinetto, mostrando animo indipendente e patriottico, partecipò ai moti del 1848-49; compromessosi agli occhi della polizia borbonica, rischiò di essere fucilato per aver affisso di notte i decreti di Ruggero Settimo.
Si laureò in giurisprudenza nel 1857, ma solo per pochi anni esercitò l'avvocatura, sia perché non amava molto questa professione, sia perché non aveva necessità di praticarla, grazie all'agiata condizione economica della sua famiglia.
Avendo preso parte all'insurrezione di Messina dell'8 aprile 1860, fu emanato un ordine di arresto nei suoi confronti, ma egli riuscì ad eludere tale disposizione tenendosi nascosto in casolari di campagna; quindi, sbarcati i Mille in Sicilia, fu nominato, dal governo rivoluzionario, membro della Commissione speciale di guerra, con cui seguì l'esercito garibaldino fino alla battaglia di Milazzo ed alla successiva capitolazione di Messina del 27 luglio 1860. Per i meriti acquisiti durante il Risorgimento gli fu offerto il posto di giudice di prima classe, ma egli rifiutò.
Nel 1860 sposò la cugina Giovanna Basile, da cui ebbe due figlie: Caterina e Felicetta.
Nel 1863 vinse un concorso per titoli ed entrò nell'insegnamento, divenendo prima Professore di Lettere, Storia e Geografia all'Istituto Tecnico di Messina (dove fu anche preside) e poi, dal 1887, Professore di Geografia Politica all'Università di Messina.
A Messina fu deputato amministratore del Regio Convitto Alighieri e del Convitto La Farina, nonché tra i fondatori del Gabinetto di Lettura e Presidente del Comizio Agrario.
Pubblicò varie opere di particolare importanza. Scrittore polivalente, si occupò soprattutto di questioni economiche ed agricole che interessavano la sua regione natale, ma scrisse anche sui catasti d'Italia, sui tracciati delle ferrovie messinesi, sui tram. Pubblicò un romanzo intitolato "L'amore immortale fra fidanzati e sposi", che non ebbe particolare successo, ed una interessante ed originale autobiografia: "Se potessi rinascere!".
Nel 1875, in occasione dell'imminente discussione alla Camera della legge sulla perequazione fondiaria, Michele Basile nel suo libro su "I catasti d'Italia" attaccò il Primo Ministro Minghetti, affermando che l'attuazione del catasto del 1852 aveva provocato l'aumento del numero dei poderi, la diminuzione dei proprietari ed il concentramento dei fondi in poche mani; di contro un rinnovato catasto, che avesse tenuto conto della qualità della terra censita (in rapporto al clima, ai venti, all'esposizione, all'acqua, alle strade, ecc.) e non del tipo di cultura praticata, avrebbe colpito i grossi proprietari che poco si curavano dei loro poderi, agevolando i piccoli ed i medi agricoltori industriosi. Questa proposta, subito accolta con favore dalla maggior parte dei Comizi agrari e dei proprietari della Sicilia, ebbe una vasta eco.
Nella polemica scoppiata nel biennio 1880-82 riguardo il tracciato che doveva seguire la linea ferroviaria Messina-Palermo nella piana di Milazzo, Michele Basile, su incarico di alcuni Comuni della provincia di Messina, pubblicò vari memoriali a sostegno di una linea "rettilinea", in contrapposizione alle pretese del Comune di Milazzo che voleva una linea "curvilinea".

▪ 1979 - Herbert Marcuse (Berlino, 19 luglio 1898 – Starnberg, 29 luglio 1979) è stato un filosofo, scrittore e antifascista tedesco.
Herbert Marcuse nacque a Berlino da un fabbricante di tessuti ebraico originario della Pomerania. Nel 1916, dopo la maturità abbreviata (per via della guerra), fu chiamato alle armi nella Reichswehr per la Prima guerra mondiale. Nel 1917 diventa membro della SPD, nel 1918 è eletto nel consiglio di soldati di Berlin-Reinickendorf.
Nel 1918 Marcuse inizia gli studi di Germanistica e storia della letteratura tedesca contemporanea come materie principali, tenendo filosofia ed economia come secondarie, inizialmente per quattro semestri all'Università di Berlino, poi quattro semestri a Friburgo. Avendo assistito alla tragica conclusione della sollevazione Spartachista (vedi: Lega Spartachista), che fu soppressa dalle forze della Repubblica di Weimar, dopo l'assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, Marcuse abbandona la SPD nel 1919. Nel 1922 consegue il dottorato a Berlino con una tesi sul romanzo d'artista tedesco (deutscher Künstlerroman).
Nel 1929 inizia a lavorare alla sua abilitazione sotto Martin Heidegger a Friburgo, ma non essendogli possibile completare il suo lavoro sotto il regime Nazista, alla fine del 1932 approda all'Istituto per la Ricerca Sociale (Institut für Sozialforschung) a Francoforte.
Ancora prima della presa di potere di Adolf Hitler, Marcuse fugge nel 1933 via Zurigo a Ginevra, dove si trova una sussidiaria dell'Istituto, prima di emigrare definitivamente negli Stati Uniti nel 1934, dove ottenne la cittadinanza nel 1940.
La cosiddetta "Frankfurter Schule" (Scuola di Francoforte), formata da Marcuse, Max Horkheimer e Theodor Adorno, nasce negli anni seguenti a New York, dove Marcuse viene ri-assunto dall'Istituto per la Ricerca Sociale, che pure si era trasferito a New York. La situazione economica dell'Istituto lo porta ad accettare una nuova posizione nel 1942 a Washington presso l' Office of Strategic Services (OSS, precursore della CIA) durante la Seconda guerra mondiale, fino al 1951, analizzando le informazioni riguardo alla Germania. Negli anni 1951 - 1954 lavora agli Russian Institutes della Columbia University (New York) e a Harvard, occupandosi di studi riguardo il Marxismo Sovietico. Nel 1954 consegue la sua prima posizione di professore alla Brandeis University in filosofia e scienze politiche. Nel 1965 Marcuse diventa professore in Politologia alla University of San Diego in California.
Negli Stati Uniti comparvero le sue due opere principali: Triebstruktur und Gesellschaft 1955 (dt. 1965) e Der eindimensionale Mensch 1964 (dt. 1967). Entrambe sono annoverate tra le opere più importanti della teoria critica (Kritische Theorie) e sono tra le opere centrali del movimento studentesco degli anni sessanta in tutto il mondo, e principalmente negli USA e Germania.
Negli anni 1968 e 1969 si reca per alcuni mesi in Europa, tenendo lezioni e discussioni con studenti a Berlino, Parigi, Londra e Roma. Con l'inizio del movimento studentesco Marcuse diventa uno dei suoi principali interpreti, definendosi Marxista, socialista e Hegeliano. Le sue critiche al capitalismo (specialmente la sua interpretazione di Marx e Freud "Eros e civiltà" pubblicato nel 1955) risuonarono con le preoccupazioni del movimento.
Nel 1979 Marcuse muore per le conseguenze di un'emorragia cerebrale durante una visita in Germania a Starnberg, curato nei suoi ultimi giorni da Jürgen Habermas, importante esponente della seconda generazione della Scuola di Francoforte.

Eros e civiltà
Uno dei capolavori di Herbert Marcuse è considerato Eros e Civiltà del 1955, opera rivoluzionaria, nella quale il pensatore tedesco formula l’idea di una società “liberata”, non repressiva, confutando alcune tesi di Freud, in aperta polemica con i neo-freudiani e con Fromm.

La critica al “socialismo reale” e alla civiltà industriale
Nell’opera Il Marxismo sovietico, Marcuse osserva come anche in Unione sovietica il mutamento dei rapporti di produzione sia stato seguito da una perdita di coscienza rivoluzionaria, finendo per diventare un’altra espressione, accanto al capitalismo, di quella società industriale inevitabilmente portatrice di una morale repressiva.
Su questo punto egli condivide almeno in parte, il pessimismo di Adorno e Horkheimer (due filosofi appartenenti alla cosiddetta "Scuola di Francoforte", riguardo al rapporto tra progresso tecnologico ed emancipazione umana).

Critica della "teoria della civiltà" di Freud
Per Freud la civiltà inizia quando gli uomini per convivere (o sopravvivere) sostituiscono al "principio del piacere" il "principio di realtà"; l'uomo reprime i propri istinti, le proprie pulsioni, opera quindi il differimento dei piaceri e, in sostituzione di questi ultimi, sublima attraverso tutte quelle attività che sono comunemente considerate "frutto della civiltà" (arte, cultura, lavoro, ecc.). La società impone, quindi, una modifica dell'essenza degli istinti, dirottandoli dalla sfera sessuale a quella del lavoro.
Marcuse pone la sua obiezione in questi termini: il processo repressivo descritto da Freud è un fatto intrinseco alla natura di ogni società, o si tratta di un fenomeno transitorio in quanto frutto di un'organizzazione irrazionale delle forme di convivenza tra gli uomini?
La risposta che Marcuse fornisce a questa domanda è in aperto contrasto con la tesi di Freud: la scarsità di beni per cui sono necessari meccanismi quali la divisione del lavoro e il differimento dei bisogni (in una parola, repressione) è frutto di una organizzazione irrazionale della società, nella quale i beni sono distribuiti in misura iniqua. Freud ha scambiato per caratteristica generale un assetto transitorio che configura un dominio attuato attraverso forme di violenza in un primo momento e, successivamente, con l'amministrazione totale della società.
In relazione a quanto detto, Marcuse critica anche le teorie dei neo-freudiani e di Erich Fromm, i quali curano le nevrosi considerandole come forme di adattamento all'assetto sociale esistente. Il filosofo tedesco considera "revisionista" questa visione poiché si accetta supinamente il dato di fatto, e non si coglie il potenziale eversivo della liberazione dell'eros e degli istinti repressi.

Il principio di prestazione
Come detto, la repressione è per Marcuse connessa alla sostituzione del "principio del piacere" col "principio di realtà"; ma egli sottolinea la presenza di un altro livello attraverso il quale la società opprime l'essere umano, e cioè il cosiddetto "principio di prestazione": per prestazione si intende ciò che "si deve fare" a causa del proprio ruolo nella società, quindi la repressione attuata attraverso questo principio è strettamente legata alla stratificazione sociale e alla divisione del lavoro. In altre parole la prestazione è ciò che l'individuo deve fornire alla società, ed è ciò che la società si aspetta dall'individuo. Questa ulteriore repressione non avviene solamente attraverso la funzione che la persona svolge, ma è veicolata anche dalla famiglia patriarcale e dalla direzione univoca imposta alla sessualità, ovvero la genitalità.

La società totalitaria e le sue potenzialità non repressive
Apparentemente l'apparato produttivo ha raggiunto dimensioni tali che i desideri umani possano subire un mutamento qualitativo (in senso onnilaterale come direbbe Marx), ma la società crea bisogni artificiali impedendo la liberazione degli individui attraverso il soddisfacimento delle pulsioni vitali. Ed è proprio per questo, secondo Marcuse, che le società che si definiscono democratiche finiscono per essere intrinsecamente totalitarie, cioè rendono impossibile qualsiasi forma di opposizione.
Ma questi agglomerati così oppressivi per l'uomo, contengono al loro interno grandi potenzialità non repressive e, sulla scorta delle suggestioni di Fourier (socialista utopista) e di Schiller, il filosofo tedesco attribuisce una fondamentale importanza all'immaginazione ("immaginazione al potere" sarà uno dei motti preferiti del '68; vedi più avanti) e all'utopia, per far sì che un giorno l'eros sia liberato e che le energie possano confluire liberamente in tutti gli aspetti della vita umana, non solo nel lavoro, che a quel punto diventerebbe una piacevole attività ludica.
Queste considerazioni si basano, oltre che sulle influenze del già citato "socialismo utopistico", anche sulle considerazioni di Marx, secondo il quale lo sviluppo industriale fornirà all'uomo beni tali da creare un mondo libero dall'alienazione, nel quale ogni individuo potrà sviluppare autonomamente la propria individualità.

L'uomo a una dimensione
«Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico»
Così Herbert Marcuse inizia la sua opera forse più importante, L'uomo a una dimensione.
È questo un Marcuse più pessimista rispetto ad Eros e Civiltà, più disponibile ad arrendersi ad un ordine sociale che appare totalitario, che permea di sé ogni aspetto della vita dell'individuo e, soprattutto, che ha inglobato anche forze tradizionalmente "anti-sistema" come la classe operaia. In questo modello la vita dell'individuo si riduce al bisogno atavico di produrre e consumare, senza possibilità di resistenza. Marcuse denuncia il carattere fondamentale repressivo dalla società industriale avanzata, appiattisce in realtà, l'uomo alla dimensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.

Tolleranza repressiva
Nelle moderne democrazie occidentali i valori, che una volta erano propri di una parte della società (la classe borghese), si sono diffusi a tutti gli altri soggetti sociali, che si appiattiscono sull'ordine esistente: è in questo quadro che Marcuse elabora il concetto di tolleranza repressiva, ovvero il momento nel quale la libertà va a coincidere col permissivismo.
Nelle democrazie occidentali, a livello teorico, si parte dall'assunto che nessuno possiede la verità assoluta, allora la scelta viene affidata alla collettività, che può scegliere liberamente tra diverse interpretazioni politico-etico-culturali della realtà; è proprio a questo punto del processo "democratico" che si innesca il meccanismo repressivo: l'amministrazione totale dell'esistenza da parte della società impedisce, di fatto, una scelta che sia veramente libera, il contrario del relativismo democratico, ovvero un diffuso conformismo. In altre parole all'uomo viene data la possibilità di scegliere, ma non vengono forniti gli strumenti per farlo in modo veramente indipendente.
Anche il pensiero filosofico è asservito al senso comune, è unidimensionale. Marcuse critica alcune delle più importanti correnti del pensiero novecentesco sulla base dell'incapacità da parte di queste dottrine di opporre un radicale rifiuto al sistema esistente: il neopositivismo giudica l'attendibilità di una proposizione in base alla constatazione empirica, la filosofia analitica rispetto alla conformità col linguaggio comune. La ragione ed il linguaggio non sono più strumenti in grado di assolvere al compito principale della filosofia, cioè trascendere la realtà esistente, restando fedele al contenuto universale dei concetti.

Democratica non-libertà
La società tecnologica avanzata riduce tutto a sé, ogni dimensione "altra" è asservita al potere capitalistico e ai consumi, conquistata dal dominio "democratico" della civiltà industriale; una società che condiziona i veri bisogni umani, sostituendoli con altri artificiali. È in questo senso che Marcuse formula la condanna della tecnologia, che conterrebbe già insita nella sua natura un'ideologia di dominio.

Possibilità di cambiamento
Questa "democratica non-libertà" permea tutto di sé, niente le sfugge, neanche gli strati tradizionalmente anti-sistema come la classe operaia, che si è pienamente integrata nel sistema stesso. Ma esistono ancora dimensioni al di fuori di esso, "al di sotto della base popolare conservatrice"? Marcuse risponde affermativamente: vanno ricercate negli emarginati, nei reietti, nei perseguitati, nei disoccupati, in coloro cioè, che non sono ancora stati fagocitati dalla società repressiva. Il filosofo tedesco, non a caso, chiude la sua opera con una citazione da Walter Benjamin:
«è solo per merito dei disperati che ci è data una speranza»

L'immaginazione al potere
Un'altra considerazione fatta da Marcuse, quella che più lo ha reso celebre presso gli studenti del sessantotto, è la grande importanza da lui attribuita all'immaginazione. Come si è già detto, la ragione e il linguaggio non sono più in grado di trascendere la realtà e di opporre un "grande rifiuto" al modello vigente, per questo la filosofia deve appellarsi all'immaginazione, unico strumento capace di comprendere le cose alla luce della loro potenzialità.
"Immaginazione al potere" diventerà una delle parole d'ordine degli studenti del sessantotto, ai quali Marcuse guarda come veicolo attraverso il quale si può realizzare la liberazione, insieme ai guerriglieri del terzo mondo, alle minoranze emarginate, a tutte le istanze critiche verso il sistema, a tutti i soggetti non integrati in esso, giustificandone anche la violenza perché mossa da una vera e sana intolleranza. Nonostante questo egli si rende conto di come queste categorie siano profondamente impotenti di fronte alla civiltà tecnologica se non si alleano con gli strati dell'opposizione interna ad essa (per esempio i sindacati).

L'eredità e il sessantotto
Herbert Marcuse è stato uno dei pensatori più influenti del Novecento, soprattutto è nota la passione che per lui avevano gli studenti in rivolta nei tardi anni '60. Il suo pensiero, intrinsecamente anti-autoritario, rispecchiava la volontà di cambiamento radicale che animava la protesta dei giovani in tutto il mondo occidentale; il suo rifiuto di ogni forma di repressione, il suo secco no alla civiltà tecnologica (in entrambe le declinazioni liberal-capitalistica e comunista-sovietica), lo resero il filosofo del "grande rifiuto" verso ogni forma di repressione. Egli può essere infatti definito solo in modo generico un pensatore marxista, poiché, di fronte al fallimento, durante il XX secolo delle previsioni di Marx, col dileguarsi dello scontro di classe in occidente, intuì che la lotta non era finita, ma si era solamente spostata nel terzo mondo, oppresso dall'imperialismo occidentale, sul quale anche le classi emarginate del "primo mondo" esercitavano una oppressione, pur accontentandosi delle briciole del banchetto capitalista.
Per i sessantottini fu anche molto importante il concetto di "liberazione dell'eros", inteso non solo come liberazione sessuale, ma come liberazione delle energie creative dell'uomo dal condizionamento della società repressiva, per la creazione di una società più aperta, fatta di uomini liberi e solidali tra loro. Eros inteso anche come "bello", in opposizione al concetto di dominio della società tecnologica; egli utilizzò l'espressione "società come opera d'arte", ovvero una società più autentica, veramente libera, dominata dalla fantasia e dall'arte come dimensione fondamentale di ogni forma di convivenza. Marcuse avrà un ripensamento e, soprattutto nel suo capolavoro, L'uomo ad una dimensione, arriverà a denunciare come falsa la liberazione sessuale, contrapponendovi una liberazione dell'amore ancora tutta da venire e persino da capire. ma non fu compreso.

Per approfondire vedi la seguente Intervista su Marcuse a Giuseppe Bedeschi, in Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche

▪ 1983 - Luis Buñuel Portolés (Calanda, 22 febbraio 1900 – Città del Messico, 29 luglio 1983) è stato un regista, sceneggiatore e attore cinematografico spagnolo.
È considerato uno dei massimi esponenti del cinema surrealista.
Formazione
Nato a Calanda, un piccolo paese dell'Aragona, dove trascorre i primi anni di vita, viene presto mandato a Saragozza, presso un collegio di gesuiti per proseguire gli studi, dove entra in contatto con le ferree regole dell'educazione religiosa. Sarà proprio questo ambiente a suscitare in lui le idee anticlericali che avranno ampio riscontro nella sue opere. Studia poi letteratura e filosofia all'Università di Madrid, dove conosce Federico García Lorca, Salvador Dalí, Rafael Alberti e Ramón Gómez de la Serna, giungendo alla laurea in Lettere nel 1924.

Primo periodo surrealista, antiborghese e anticlericale
L'anno seguente si trasferisce a Parigi, dove comincia a frequentare il gruppo surrealista. Qui lavora al suo primo esperimento cinematografico, il cortometraggio diretto assieme all'amico Salvador Dalí, Un chien andalou (1928). Le caratteristiche del cinema di Buñuel, il brutale impatto visivo e lo spirito antiborghese e anticlericale, in esso emergono già con forza, per sfociare nel 1930 nel lungometraggio surrealista, L'âge d'or, dove l'esaltazione del rapporto blasfemo fra Cristo ed il Marchese de Sade provoca feroci reazioni di protesta. Il film, vietato subito dopo l'uscita, potrà uscire nuovamente solo nel 1980 a New York e nel 1981 a Parigi.
Tornato in Spagna gira Terra senza pane (1932), documentario di denuncia delle miserabili condizioni di vita della popolazione di una zona dell'Estremadura, conosciuta come Las Hurdes. Subito dopo la guerra civile e la sconfitta della Repubblica spagnola (1939) il cineasta emigra a New York. Qui trova lavoro al Museum of Modern Art e si occupa della direzione del doppiaggio in spagnolo di film americani.

Messico e primi premi
Nel 1940 si trasferisce in Messico. Lavora a numerosi film tra cui Gran Casino (1947), Il grande teschio (1949), e I figli della violenza (1950) che gli vale il gran premio della giuria al festival di Cannes nel 1951. Nel circuito del cinema commerciale messicano dirige una lunga serie di film brillanti, realizzati con minime possibilità tecniche ed economiche: Adolescenza torbida (1950), Salita al cielo (1951), Una donna senza amore (1951), La figlia dell'inganno (1951), Il bruto (1952).

Ritorno a temi più impegnativi
Tornato a temi più impegnativi negli anni fra il 1952 ed il 1960 con film come Lui (1952), L'illusione viaggia in tranvai (1953), La selva dei dannati (1956), Violenza per una giovane (1960), riconferma il successo a Cannes con Nazarín (1958), e nel (1961) riceve la Palma d'oro per Viridiana, ma il film, considerato troppo spregiudicato, viene accusato di blasfemia. Proprio a causa della furiosa censura seguita a questa opera, che porta, tra l'altro alla destituzione del direttore generale del cinema di Spagna, ad opera del Consiglio dei ministri, dopo un breve periodo trascorso nella Spagna del dittatore Francisco Franco è costretto di nuovo a trasferirsi all'estero.
Gira in Messico L'angelo sterminatore (1962); in Francia Il diario di una cameriera (1964); nuovamente in Messico il cortometraggio Intolleranza: Simon del deserto (1965), di nuovo in Francia il magistrale Bella di giorno (1967), suo maggior successo di pubblico per il quale vince il Leone d'Oro al Festival di Venezia, e La via lattea (1968), uno sguardo surrealista sulle eresie della chiesa cattolica. Nel 1970 torna in Spagna dove dirige Tristana.
Segue poi l'Oscar per il miglior film straniero (insieme alla nomination per la sceneggiatura) per Il fascino discreto della borghesia (1972), uno dei suoi film più famosi. Seguiranno Il fantasma della libertà (1974) e Quell'oscuro oggetto del desiderio (1977), sua ultima fatica. Pubblica Obra literaria, una raccolta di scritti letterari e nel 1981 scrive la sua autobiografia "Mon dernier soupir" ("Dei miei sospiri estremi" nella traduzione di Dianella Selvatico Estense per la SE editrice in Italia) coadiuvato dall'amico e co-sceneggiatore dei suoi ultimi film Jean-Claude Carrière. Verrà pubblicata postuma.

▪ 1983 - Rocco Chinnici (Misilmeri, 19 gennaio 1925 – Palermo, 29 luglio 1983) è stato un magistrato italiano, assassinato dalla mafia
Dopo la maturità conseguita nel 1943 presso il Liceo Classico "Umberto" a Palermo, si è iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, si è laureato il 10 luglio 1947.
È entrato in Magistratura nel 1952 con destinazione al Tribunale di Trapani. Poi è stato pretore a Partanna per dodici anni, dal 1954. Nel maggio del 1966 è stato trasferito a Palermo, presso l'Ufficio Istruzione del Tribunale, come giudice istruttore.
Nel novembre 1979, già magistrato di Cassazione, è stato promosso Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo.
«Un mio orgoglio particolare» - ha rivelato Chinnici - «è una dichiarazione degli americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è un centro pilota della lotta antimafia, un esempio per le altre Magistrature d'Italia. I Magistrati dell'Ufficio Istruzione sono un gruppo compatto, attivo e battagliero».
Il primo grande processo alla mafia, il cosiddetto maxi processo di Palermo, è il risultato del lavoro istruttorio svolto da Chinnici, tra l'altro considerato il padre del Pool antimafia, che compose chiamando accanto a sé magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello.
Chinnici partecipò, quale relatore, a molti congressi e convegni giuridici e socio-culturali e credeva nel coinvolgimento dei giovani nella lotta contro la mafia. È stato il primo magistrato a recarsi nelle scuole per parlare agli studenti della mafia e dei pericoli della droga.
«Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi» - diceva - «fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai».
In una delle sue ultime interviste, Chinnici ha detto:
«La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare».
Rocco Chinnici è stato ucciso il 29 luglio 1983 con una Fiat 127 imbottita di esplosivo davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico a Palermo, all'età di cinquantotto anni. Ad azionare il detonatore che provocò l'esplosione fu il killer mafioso Pino Greco. Accanto al suo corpo giacevano altre tre vittime raggiunte in pieno dall'esplosione: il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l'appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico Stefano Li Sacchi.

Influenze
In suo onore dal 1985 è stato istituito il Premio Rocco Chinnici. Tra i vincitori: Valentino Picone, Michele Guardì, Giuseppe Tornatore, Fortunato Di Noto, Marco Travaglio, Giorgio Bongiovanni, Marco Benanti, Roberto Scarpinato, Guido Lo Forte e tanti altri.

Opere
▪ L'illegalità protetta. Attività criminose e pubblici poteri nel meridione d'Italia. Palermo, Edizioni La Zisa, 1990. Raccolta di suoi interventi
▪ Leone Zingales, Rocco Chinnici. L’inventore del pool antimafia, Limina, 2006. ISBN 8860410096

Onorificenze
Medaglia d'oro al valor civile
«Magistrato tenacemente impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata, consapevole dei rischi cui andava incontro quale Capo dell'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, dedicava ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la sfida sempre più minacciosa lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Barbaramente trucidato In un proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificava la sua vita al servizio della giustizia, dello Stato e delle istituzioni»
— Palermo, 29 luglio 1983

▪ 2006 - Pierre Vidal-Naquet (Parigi, 23 luglio 1930 – Nizza, 29 luglio 2006) è stato uno storico e accademico francese.
Nato da una famiglia ebrea ma laica, all’età di quattordici anni perde entrambi i genitori, deportati ad Auschwitz. Dopo aver compiuto studi classici, nel 1956 inizia ad insegnare storia antica presso l'Università di Caen.
Nel 1966 entra come docente nella prestigiosa École des Hautes Études en Sciences Sociales, della quale diventerà il direttore tre anni dopo. Concentra i suoi studi sulla Grecia antica, scrivendo un consistente numero di pubblicazioni.
Tuttavia, il suo contributo maggiore lo dà al dibattito sulla guerra d'Algeria (1954-1962), denunciando con forza le violazioni sistematiche dei diritti umani ad opera delle forze armate francesi in Africa, in particolare dei paras agli ordini del colonnello Massu.
Marxista anti-stalinista, è per breve tempo membro del Partito Socialista Francese per poi distaccarsene, divenendo simpatizzante del gruppo Socialisme ou barbarie, fautore di una diversa interpretazione, scevra da dogmatismi, dell’opera del fondatore del comunismo.
Vidal-Naquet si distingue per essere stato fra i pochissimi, all’interno del mondo accademico, che mostrarono apertamente di comprendere le ragioni degli studenti "ribelli" del "Maggio francese".
Negli ultimi decenni, l’attenzione dello storico si sposta però su un altro tema, che lo tocca profondamente da vicino, alla luce della drammatica esperienza personale: la lotta contro quelli da lui definiti «assassini della memoria», ovvero coloro i quali negano l’esistenza stessa dell’Olocausto.
Lo storico spiega le sue intransigenti posizioni di condanna verso i negazionisti dell'Olocausto in un saggio del 1980, dal sottotitolo più che esplicito: Un Eichmann di carta
Si interessa anche al genocidio "dimenticato" degli Armeni, scrivendo tra l'altro la prefazione di A crime of silence.
L’ultimissima parte della sua esistenza è invece dedicata alla riflessione su cosa voglia dire davvero essere “uno storico”.
Una delle sue ultime opere, quasi un testamento spirituale, è La scelta dello storico: perché ho scelto il mestiere di storico, del 2004.