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Il calendario del 28 Settembre

Fonte:
CulturaCattolica.it

Eventi

▪ 480 a.C. - Battaglia di Salamina tra la flotta greca e quella persiana. (la data esatta è incerta)

▪ 351 - L'imperatore romano Costanzo II sconfigge l'usurpatore Magnenzio nella Battaglia di Mursa Maggiore

▪ 1066 - Guglielmo il Conquistatore invade l'Inghilterra

▪ 1106 - Battaglia di Tinchebrai - Enrico I d'Inghilterra sconfigge il fratello, Roberto Cortacoscia

▪ 1396 - L'Imperatore Ottomano Beyazid I sconfigge un'armata cristiana a Nicopoli

▪ 1448 - Cristiano I viene incoronato re di Danimarca

▪ 1464 - Corrado di Fogliano diventa governatore di Genova per gli Sforza di Milano

▪ 1538 - Nei Campi Flegrei inizio dell'eruzione che portò alla formazione del Monte Nuovo, e distrusse l'abitato di Tripergole

▪ 1542 - Il navigatore portoghese Juan Rodriguez Cabrillo arriva in quella che oggi è San Diego (California)

▪ 1708 - Pietro il Grande sconfigge gli svedesi nella Battaglia di Lesnaja

▪ 1821 - Il Messico firma la sua definitiva Dichiarazione d'indipendenza

▪ 1844 - Oscar I di Svezia-Norvegia viene incoronato re di Svezia

▪ 1864

  1. - Inizia il Congresso costitutivo della Prima Internazionale.
  2. - Nel Regno d'Italia Alfonso La Marmora diviene Primo ministro

▪ 1867 - Toronto (Ontario) diventa capitale del Canada

▪ 1871 - Il Brasile approva una legge che libera i futuri figli degli schiavi

▪ 1924 - Roberto Farinacci, gerarca fascista, viene ferito in duello dal principe Valerio Pignatelli

▪ 1938 - Inizia la Conferenza di Monaco tra Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia

▪ 1939 - Seconda guerra mondiale. Germania e Unione Sovietica concordano sulla divisione della Polonia dopo averla invasa. Estonia, Lettonia e Lituania sono costrette a firmare un "Patto di annessione e mutua difesa" che permetteva l'ingresso delle truppe sovietiche

▪ 1943 - Insurrezione popolare di Napoli

▪ 1944 - Battaglia di Arnhem - I soldati tedeschi sconfiggono i paracadutisti britannici ad Arnhem, Paesi Bassi

▪ 1950 - Ingresso all'ONU dell'Indonesia

▪ 1951 - Scoperta di un satellite di Giove, Ananke

▪ 1958
  1. - La Francia ratifica una nuova costituzione; si forma la quinta repubblica
  2. - La Guinea vota per l'indipendenza dalla Francia

▪ 1961 - La Siria si ritira dalla Repubblica Araba Unita

▪ 1973 - Attentato al Palazzo della ITT di New York, per protesta contro il coinvolgimento della ITT nel colpo di stato dell'11 settembre in Cile

▪ 1978 - Morte di Sua Santità papa Giovanni Paolo I

▪ 1980 - In Italia caduta del governo Cossiga II

▪ 1994 - Il traghetto MS Estonia affonda nel Mar Baltico, 852 morti

▪ 2000
  1. - Comincia l'Intifada di Al Aqsa, dopo una visita di Sharon alla moschea di Al Aqsa
  2. - Referendum in Danimarca che respinge l'unione all'euro

▪ 2003
  1. - Viene eletto cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia.
  2. - L'Italia rimane al buio a causa di un colossale black out

▪ 2005
  1. - Inizia la prima tranche del processo sul crack Parmalat: coinvolti i 18 dirigenti del Consiglio d'amministrazione, tra cui Callisto Tanzi. Per la richiesta di risarcimenti alle persone fisiche, bisognerà attendere l'altro processo, quello nei confronti delle banche coinvolte
  2. - Si conclude la missione spaziale di Shenzhou VII, prima missione cinese a prevedere una passeggiata spaziale.
  3. - Il Congresso americano approva una bozza d'intervento per aiutare l'economia in crisi di 250 miliardi di dollari, il più grande piano di salvataggio messo in campo nella storia degli Stati Uniti.

Anniversari

* 1891 - Herman Melville (New York, 1º agosto 1819 – New York, 28 settembre 1891) è stato uno scrittore, poeta e critico letterario statunitense, autore nel 1851 del romanzo Moby Dick, considerato uno dei capolavori della letteratura americana.
Herman Melville ricevette la prima istruzione a New York, dove il padre Allan, ricco commerciante, stimolò con i suoi racconti il desiderio d'avventura del suo terzogenito. La vita della famiglia trascorse agiata fino all'estate del 1830, quando il padre subì un tracollo finanziario, dichiarò bancarotta e manifestò una malattia psichica che lo portò alla morte. Dopo questo evento, che lasciò segni indelebili in Melville, la famiglia (composta di otto figli tra fratelli e sorelle) ridotta in povertà si trasferì nel villaggio di Lansingburgh, sul fiume Hudson. Qui Herman lasciò definitivamente la scuola; dapprima lavorò nell'azienda di uno zio, poi nel negozio del fratello maggiore, infine come insegnante.
L'irrequietezza di Herman e il desiderio di essere economicamente indipendente, nonché la mancanza di una prospettiva lavorativa, lo spinsero nel giugno 1839 a imbarcarsi come mozzo su una nave ancorata al porto di New York e in partenza per Liverpool, la St. Lawrence. Fece la traversata, visitò Londra e ritornò con la stessa nave. Redburn: il suo primo viaggio (Redburn: His First Voyage), pubblicato nel 1849, si ispira a questa esperienza.
Passò buona parte dei tre anni seguenti (1837-1840) insegnando.
La lettura di Due anni davanti all'albero (Two Years Before the Mast) di Richard Henry Dana contribuì probabilmente a ridestare in Melville il desiderio di viaggiare. Il libro, pubblicato nel 1840, descriveva la dura vita da marinaio semplice di uno studente di legge. Melville si arruolò di nuovo come marinaio e il 1º gennaio 1841 partì dal porto di New Bedford (Massachusetts) sulla baleniera Acushnet, diretta verso l'Oceano Pacifico. Non abbiamo informazioni dirette riguardo questo viaggio di diciotto mesi, per quanto il romanzo sulla baleneria, Moby Dick; ovvero, la balena, rielabora probabilmente molti ricordi dell'esperienza a bordo della Acushnet. Una volta a Nukuhiva, nelle Isole Marchesi, Melville disertò con un compagno; il romanzo Taipi e la sua continuazione, Omoo, riguardano questa vicenda, anche se in forma romanzata.
Dopo un soggiorno alle Isole della Società, e l'imbarco su due baleniere, Melville raggiunse le Hawaii (aprile 1843). Vi restò quattro mesi, facendo diversi lavori. Nell'agosto 1843 si arruolò sulla fregata americana United States, che, dopo aver fatto scalo in Perù, raggiunse Boston nell'ottobre 1844. La United States servì da modello alla Neversink (=L'inaffondabile) nel romanzo Giacchetta bianca o il mondo visto su una nave da guerra (White Jacket: or, The World in a Man-of-War). Così tre dei libri di Melville (Taipi, Omoo, e Giacchetta bianca) sono schiettamente autobiografici, mentre Moby Dick lo è indirettamente. Redburn si colloca tra queste due tipologie; Mardi, romanzo filosofico scritto tra Omoo e White Jacket, parte dall'esperienza dei Mari del Sud per divenire presto un lungo viaggio conoscitivo e satirico sul modello dei Viaggi di Gulliver e altri classici che Melville andava via via scoprendo con entusiasmo di neofita.
Con il rientro a Boston finirono le avventure marinaresche e iniziarono quelle letterarie e famigliari. Il 4 agosto 1847 Melville sposò Elizabeth Shaw a Boston. Lizzie Melville, donna intelligente, mite e affettuosa, riuscì nonostante il carattere via via più scontroso e malinconico del marito a stabilire con lui forti legami. Ebbero due figli maschi, entrambi premorti al padre, e due femmine. Melville abitò a New York fino al 1850, anno in cui acquistò una fattoria a Pittsfield (Massachusetts) occidentale; nel febbraio del 1850 pose mano a Moby Dick, che terminò e pubblicò nel 1851. Restò a Pittsfield tredici anni, impegnato a scrivere e a dirigere la fattoria. In vari racconti, fra cui Io e il mio camino (I and My Chimney), Montagna d'ottobre (October Mountain), Cock-A-Doodle-Doo! (Chicchirichì!) e La Veranda (The Piazza), Melville offre immagini della non facile vita a Arrow Head (nome che diede alla fattoria) e della campagna circostante. Il suo racconto più celebre, Bartleby lo scrivano (1853) è invece ambientato a New York.
Dopo i successi di Typee e Omoo, le sue opere furono accolte con favore decrescente e non gli consentirono più di mantenere la famiglia. Per questo e forse per l'affaticamento dovuto all'intensa attività letteraria, dal 1857 Melville cessò di pubblicare narrativa. Dipese economicamente dal suocero, autorevole giudice del Massachusetts. Fra 1856 e 1857 compì un viaggio solitario in Inghilterra (dove visitò l'amico Hawthorne) e in Palestina. Al rientro, nella primavera del 1857 sostò una settimana a Napoli e un mese a Roma; fu anche a Genova e Venezia. Rientrato in patria, tentò dal 1857 al 1860 l'attività di conferenziere itinerante. I suoi argomenti erano le opere d'arte che aveva visto in Europa e le meraviglie dei Mari del Sud. Ma non riscosse il successo sperato, essendo a quanto sembra privo dell'arte di interessare gli ascoltatori.
Nel 1866 ottenne un impiego come ispettore doganale nel porto di New York, lavoro che esercitò con rassegnazione fino al 1885. In questo periodo diede alle stampe una raccolta di poesie ispirate alla Guerra di secessione americana (1866), e pubblicò a spese del suocero un lungo poema, Clarel (1878), liberamente ispirato al suo soggiorno in Palestina.
Nel 1867 il primogenito Malcolm, nato nel 1849, si uccise in casa dei genitori con un colpo di pistola. Il secondogenito, Stanwix (1851-1886) morì più tardi a San Francisco dopo una vita errabonda. Solo la quartogenita Frances (1855-1938) si sposò ed ebbe quattro figlie, che ricordavano un nonno molto assorto nei suoi pensieri. Fra le nipoti, Eleanor Melville Metcalf curò un volume di lettere e documenti famigliari, Herman Melville: Cycle and Epicycle.
Nel 1890 Melville subì un attacco di erisipela. Il 19 aprile 1891 portò a termine il manoscritto dell'ultimo breve romanzo, Billy Budd, ma in seguito lo riprese ancora in mano, lasciandolo inedito alla morte. Morì a New York il 28 settembre 1891 e fu sepolto nel Woodlawn Cemetery, nel Bronx.
Nel 1892 furono pubblicate, a cura di Arthur Stedman, nuove edizioni dei suoi quattro romanzi di maggior successo: Typee, Omoo, White-Jacket e Moby Dick.

I romanzi
I primi romanzi, narrazioni di avventure nei mari del sud, conobbero un notevole successo, facendo di Melville uno dei più noti autori di storie marinaresche. Ma la sua popolarità declinò dopo la pubblicazione di Moby Dick (1851), che pure fu accolto con favore dai recensori, specie inglesi. Alla sua morte, Melville era quasi completamente dimenticato, anche se diversi suoi romanzi erano regolarmente ristampati.

Moby Dick: il capolavoro
Moby-Dick 1851, da molti ritenuto il capolavoro di Melville, fu riscoperto nel 1921 grazie a una biografia di Raymond Weaver. Oggi è considerato una delle opere fondamentali della letteratura mondiale. Melville era amico di Nathaniel Hawthorne, e le sue opere furono ispirate dalla produzione più tarda di quest'ultimo; Moby-Dick è dedicato a Hawthorne.

Opere varie
Il romanzo breve Billy Budd, rimasto inedito e non del tutto finito alla morte di Melville, fu pubblicato nel 1924 e fu presto ritenuto un classico. Due compositori, Giorgio Federico Ghedini e Benjamin Britten, ne hanno ricavato opere per il teatro musicale.
Tra le opere di Melville sono anche i romanzi Taipi Typee), Omoo, Giacca bianca (White-Jacket),Pierre o delle ambiguità (Pierre: or, The Ambiguities), L'uomo di fiducia (The Confidence Man) (che è stato interpretato come una critica alla filosofia ottimista di Ralph Waldo Emerson), numerosi racconti e alcune opere poetiche. Il racconto Bartleby lo scrivano (Bartleby The Scrivener) è uno dei suoi scritti più celebri e discussi, spesso considerato un precursore dell'esistenzialismo e della letteratura dell'assurdo.
Il romanzo breve del 1855 Benito Cereno è una delle poche opere dell'Ottocento letterario americano che si occupa della tratta degli schiavi, raccontando la storia di un ammutinamento realmente avvenuto e prendendosi gioco dei pregiudizi egalitari del capitano americano (che mette in salvo il collega spagnolo vittima dell'ammutinamento).

La poesia
Melville pubblicò poesia in versi dopo aver cessato l'attività di narratore. La raccolta dedicata alla Guerra di secessione, Pezzi di battaglia (Battle Pieces), ebbe discreto successo. Il successivo poema Clarel, che tratta del pellegrinaggio di uno studente in Terra Santa, la più ambiziosa opera poetica di Melville, rimase invece pressoché sconosciuto ai suoi tempi, e ancora oggi è poco letto.

Il Leviathan melvillei
A Melville è stato dedicato il nome della specie di Leviathan melvillei, un cetaceo del miocene affine ai moderni capodogli, con riferimento alla bestia protagonista del suo romanzo Moby Dick.

▪ 1895 - Louis Pasteur (Dole, 27 dicembre 1822 – Marnes-la-Coquette, 28 settembre 1895) è stato un chimico e biologo francese.

«La fortuna favorisce la mente preparata.» (L. Pasteur)
«Quale idea vi fate dunque del progresso della scienza? La scienza fa un passo, poi un altro, poi si ferma e si raccoglie prima di farne un terzo. Vorrebbe dire forse che l'impossibilità di fare questo ultimo passo annulli il successo raggiunto con i primi due? Una madre tiene il proprio bambino in braccio, poi lo mette in terra e gli dice: cammina! Il bambino (e non siamo noi dei bambini davanti al mistero della natura?) fa un passo, poi un altro, poi si ferma esitante. Gli direste voi: ah, tu hai fatto due passi, ma ti fermi al terzo. I tuoi sforzi precedenti non contano nulla; tu non camminerai mai?»(L. Pasteur)


Grazie alle sue scoperte e alla sua attività di ricerca è universalmente considerato il fondatore della moderna microbiologia. Ha inoltre operato nel campo della chimica, e di lui si ricorda la teoria sull'enantiomeria dei cristalli. Occasionalmente si occupò anche di fisica.
Louis J. Pasteur nacque a Dole nel 1822, nella regione del Giura francese.Suo padre, Jean Pasteur, era un conciatore e un veterano delle guerre napoleoniche. Egli crebbe nella città di Arbois dove iniziò gli studi. Poiché il collegio di Arbois non aveva un professore di filosofia, Pasteur si recò successivamente a Besançon dove si diplomò nel 1840 in lettere e in scienze. Le attitudini e le potenzialità del giovane Louis erano state riconosciute dal preside della sua università, che gli suggerì di fare domanda all'École Normale Supérieure. Agli esami delle scuole normali Pasteur fu ammesso al quattordicesimo posto, ma poiché il risultato non gli garbava decise di fare un altro anno di preparazione. L'anno successivo si classificò terzo. Il 23 agosto 1847 Pasteur sostenne le due tesi in chimica e in fisica sul dimorfismo, ossia la capacità di alcune sostanze, come lo zolfo, di cristallizzare in due sistemi differenti.
Dopo avere esercitato brevemente come professore di fisica al liceo di Digione nel 1848, l'anno successivo divenne professore di chimica all'Università di Strasburgo, dove incontrò Marie Laurent, figlia del rettore dell'università. La sposò e insieme ebbero cinque figli, solo due dei quali giunsero all'età adulta.
Nel 1854 si occupò della fermentazione delle bevande alcoliche e dei metodi per l'annientamento dei batteri talvolta presenti nei vini e nella birra. Qualche anno dopo iniziò invece a dedicarsi agli studi sulla generazione spontanea e sui microrganismi.
L'8 dicembre 1862 fu nominato membro dell'Accademia delle scienze e in seguito presentato all'imperatore Napoleone III. Qualche tempo dopo fu colto da il primo di una serie di attacchi di ictus che lo portarono poi alla morte.
È importante inoltre ricordare le ricerche eseguite da Pasteur sulle malattie dei bachi da seta iniziate nel 1865; egli riuscì ad individuare dove risiedesse la malattia e conseguentemente ad ideare un metodo di prevenzione. Gli fu proposta anche la direzione di un laboratorio e di un istituto di sericoltura a Milano ma egli rifiutò per il proprio attaccamento alla patria.
Alla metà di aprile del 1871, ritornò ad Arbois per sfuggire all'incubo della guerra straniera e della guerra civile. Il 17 novembre 1873 affermava che l'alterazione della birra era dovuta alla presenza interna di organismi estranei.
Nel 1876 Pasteur tentò di ottenere un seggio al Senato ma con 62 voti perse l'elezione. In quegli anni furono importanti anche le considerazioni di Pasteur riguardo l'asepsi e l'antisepsi nel ramo della chirurgia.
Negli ultimi quindici anni della sua vita, dal 1880 al 1895 si dedicò allo studio del colera e del carbonchio negli animali da allevamento e del virus della rabbia nei cani e nell'uomo. Successivamente alla scoperta della vaccinazione carbonchiosa,il Governo della Repubblica, come riconoscimento a Pasteur, gli offrì il Gran Cordone della Legione d'Onore. Qualche settimana più tardi già si recava a Londra, al congresso medico internazionale, come rappresentante della Francia.
Il 14 novembre 1888 in onore dell'ultima scoperta di Pasteur venne inaugurato l'Istituto antirabbico chiamato con il suo nome.
Morì il 28 settembre 1895 a Villeneuve-l'Etang a seguito di un ennesimo attacco di ictus.
Durante l'intera vita, Louis Pasteur rimase un fervente cattolico. Una frase a lui attribuita dimostrerebbe la sua profonda devozione: "Ho la fede di un contadino bretone e per il momento in cui muoia spero di avere la fede della moglie del contadino bretone" (la Bretagna era nota per la religiosità dei suoi abitanti).

Le grandi scoperte
È significativo rilevare che tutte le grandi scoperte dello scienziato francese vengono realizzate affrontando i problemi più gravi, a metà dell'Ottocento, dell'agricoltura, dell'industria agraria, dell'allevamento. La successione delle stesse scoperte corrisponde ad una successione di studi su problemi agricoli, agroindustriali, veterinari:
▪ anomalie della fermentazione della birra (1854);
▪ fermentazione del vino e dell'aceto (1861-62);
▪ pastorizzazione (1862);
▪ alterazioni del vino di origine fungina o batterica (1863-64);
▪ malattie del baco da seta (1865-70);
▪ colera dei polli (1880);
▪ carbonchio di bovini, ovini, equini (1881);
▪ rabbia silvestre e sieroterapia.

Anomalie della fermentazione della birra e pastorizzazione
Nello studio della fermentazione della birra Pasteur era guidato da un impulso patriottico. Egli sognava un successo di laboratorio per dare alla birra francese una reputazione eguale se non superiore a quella tedesca. La birra era soggetta a contrarre delle malattie molto più del vino. Si poteva dire che fossero esistiti dei vini vecchi, ma non che fossero esistite birre vecchie. La birra la si consumava man mano che la si fabbricava, era meno acida e meno alcolica del vino; la birra era più impregnata di zuccherati che l'esponevano a delle rapide alterazioni. Il problema stava dunque nella conservazione. Nel processo della fabbricazione della birra, dopo che avveniva l'infusione di malto e di luppolo, ciò che si otteneva, “il mosto di birra”, lo si poneva a raffreddamento prima di essere distribuito in tini o in botti. In quel momento, ad una temperatura costante di circa 20 gradi, avveniva la fermentazione. Tutte le malattie della birra, come dimostrò Pasteur, avevano per causa esclusiva lo sviluppo di piccoli funghi microscopici, di fermenti organizzati, i cui germi, trasportati dalla polvere che l'aria trascinava, contaminavano le materie prima utilizzate per la fabbricazione. Così Pasteur, riconoscendo che le cause dell'alterazione della birra erano le stesse che per il vino, pensò che ancora una volta l'azione del calore fosse il miglior mezzo di preservazione. Ma la birra era una bevanda carica di acido carbonico, e l'applicazione del riscaldamento a delle masse considerevoli del liquido avrebbe tolto questo gas. Queste complicazioni però, secondo Pasteur, non avevano ragione di esistere una volta che la birra fosse stata imbottigliata. Infatti, il riscaldamento ad una temperatura di 50°-55° non soltanto non avrebbe tolto alla birra tutto il suo acido carbonico ma addirittura non avrebbe impedito completamente la fermentazione. Questa operazione porta oggi il nome di “pastorizzazione”, e la birra quello di birra “pastorizzata” ed è tuttora utilizzata per l'eliminazione di alcuni agenti patogeni.

Fermentazione del vino e dell'aceto
Le malattie dei vini secondo Pasteur provenivano dai fermenti organizzati, dai piccoli vegetali microscopici da cui i germi si sviluppavano quando determinate circostanze di temperatura, di variazioni atmosferiche, di esposizione all'aria, permettevano la loro evoluzione. Era dopo molti esperimenti giunto alla conclusione che le alterazioni dei vini erano correlate con la presenza e moltiplicazione delle vegetazioni microscopiche. Il problema si riduceva quindi per Pasteur ad opporsi allo sviluppo dei fermenti organizzati o vegetali parassiti, causa delle malattie dei vini. Dopo alcuni tentativi infruttuosi egli constatò che bastava portare il vino in pochi secondi a una temperatura dai 50 ai 60 gradi.

Malattie del baco da seta (1865-70)
La malattia dei bachi da seta si era estesa in quegli anni in Italia, in Spagna, negli altri paesi sericoli europei, nelle isole dell'Egeo, in Turchia e in Grecia. Nel 1864 tutte le sementi, da qualunque parte d'Europa venissero, erano malate o sospette. Così Pasteur decise di sottoporre i corpuscoli dei bachi da seta, segnalati dal 1849, a degli studi microscopici. Ma il 26 giugno 1865 dichiarava di aver commesso un errore a cercare il male esclusivamente nelle uova o nei vermi poiché potevano portare in sé il germe della malattia, senza presentare dei corpuscoli distinti e visibili al microscopio. Infatti il male si sviluppava soprattutto nelle crisalidi e nelle farfalle. Per questo motivo doveva esserci un mezzo infallibile di procurarsi una semente sana, ricorrendo a farfalle prive di corpuscoli. Il risultato pratico era il seguente: per conoscere se fosse stato necessario soffocare i bozzoli e consegnarli per la filatura o conservarli per la riproduzione si sarebbe dovuto elevare la temperatura di qualche grado per affrettare l'uscita delle farfalle che quindi sarebbero state esaminate al microscopio.

Colera dei polli (1880)
Pasteur dimostrò che la virulenza di questo microbo era così grande che bastava la più piccola goccia di coltura, su qualche briciola di pane, per far morire i polli. Le galline infatti attraverso il loro canale intestinale, eccellente mezzo di coltura per il piccolo organismo, perivano rapidamente. L'animale, incontrata la malattia, prima di morire si ritrovava senza forze, barcollante, con le piume sollevate, colpito da una sonnolenza invincibile. Pasteur prendendo una vecchia coltura, che datava da qualche settimana, e iniettandola alle galline, si accorse che esse portavano i sintomi della malattia ma non morivano. Alcune ricerche non tardarono a provare che l'attenuazione del batterio era causata dal contatto di questo con l'ossigeno dell'aria. Infine Pasteur spiegava che se si fosse presa ciascuna di queste colture di virulenze attenuate come punto di partenza di colture successive, anche esse avrebbero riprodotto la virulenza attenuata. Ciò significava per Louis una speranza nell'ottenere, mediante colture artificiali, dei virus-vaccini contro le malattie virulente che provocavano grandi perdite agli allevamenti.

Carbonchio di bovini, ovini, equini (1881)
Così come per il colera Pasteur si domandava se fosse possibile creare un vaccino anche per la malattia del carbonchio. Le spore del carbonchio al contrario di quelle del colera erano però assolutamente indifferenti all'aria atmosferica e conservavano una virulenza indeterminatamente prolungata. Numerosi esperimenti erano stati condotti nei primi giorni di agosto del 1880 da Toussaint, un giovane professore della Scuola veterinaria di Tolosa. Egli capì che si poteva indebolire il batterio grazie all'azione dell'acido fenico sul sangue carbonchioso. Ma questo non era sufficiente per Pasteur. Il batterio infatti dopo un breve periodo trasportato su altri animali tornava alla virulenza originaria. Per fermare il batterio era quindi necessario preparare dei vaccini a tutti i gradi di virulenza. Il 5 maggio 1881 nella fattoria di Pouilly-le-Fort, vicino a Melun, ebbe luogo il primo esperimento pubblico sull'efficacia del vaccino. A 25 pecore furono iniettate 5 gocce della coltura chiamata “primo vaccino”. Il 17 maggio venne fatta la seconda inoculazione del batterio attenuato ma più virulento del primo. Il 31 maggio infine 50 pecore tra cui i 25 soggetti precedentemente vaccinati vennero inoculati con il liquido più virulento. Le 25 vaccinate furono le uniche a sopravvivere.

Rabbia silvestre e sieroterapia
Fra tutte le ricerche fatte al laboratorio ce n'era una che agli occhi di Pasteur, dominava tutte le altre: lo studio della rabbia. Penetrare le tenebre che circondavano questo male misterioso, di cui si discuteva ancora l'origine, era lo scopo supremo del suo genio. Ciò che si conosceva era che la saliva degli animali arrabbiati conteneva il virus rabbico, che il male si comunicava con morsi e che il periodo di incubazione poteva durare da qualche giorno a parecchi mesi. Pasteur però dopo alcune ricerche scoprì che la rabbia non risiedeva soltanto nella saliva. La maggioranza degli animali che avevano ricevuto sotto la pelle una inoculazione di materia del cervello di cani arrabbiati, soccombevano alla rabbia. Questa materia virulenta agiva meglio della saliva. Dunque Pasteur capì che l'ambiente più favorevole al virus era il cervello. Partendo da questo presupposto decise di creare il vaccino utilizzando parti di midollo. Prelevato un frammento del midollo di un coniglio che era morto di rabbia, lo sospese con un filo in un flacone sterilizzato, l'aria del quale era mantenuta allo stato secco con dei frammenti di potassa caustica posti in fondo al vaso. Con il passare dei giorni, man mano che il midollo si diseccava, perdeva sempre più la sua virulenza. Il virus, una volta divenuto inattivo, veniva tritato nell'acqua pura e infine inoculato sotto la pelle dei cani. Questi, al contrario di quelli non vaccinati, sopravvivevano. La mattina del 6 luglio gli fu condotto un bimbo alsaziano di nove anni, Joseph Meister, morso due giorni prima da un cane rabbioso. Alla vista delle 14 ferite e pesando i pericoli quasi certi che correva il bambino di morire di rabbia, si convinse di provare a strapparlo da quella morte atroce. Gli furono così fatte 13 iniezioni in 10 giorni, ognuna più forte della precedente. L'ultima iniezione conteneva la forma più virulenta, in grado di uccidere un animale in 7 giorni. Il bambino sopravvisse, il suo trattamento antirabbico funzionava se applicato in tempi rapidi. Il 1º marzo 1886, Pasteur poteva affermare davanti all'Accademia delle scienze che, su 350 persone sottoposte al trattamento preventivo, c'era stata effettivamente una sola morte.
I risultati di queste indagini assegnano a Pasteur un ruolo preminente tra i fondatori della moderna industria di trasformazione delle derrate, che non potrebbe sussistere se nel corso dei processi di manipolazione intervenissero fermentazioni incontrollabili, e del moderno allevamento animale, che per offrire i propri prodotti, a prezzi contenuti, a larghi strati di consumatori, deve governare grandi quantità di animali, un intento che sarebbe impossibile senza il funzionale controllo veterinario delle affezioni infettive.
In questi termini Louis Pasteur deve essere considerato tra i grandi protagonisti della storia delle conoscenze agrarie.
Nel 1869-1870 risiedette in Italia a Cervignano del Friuli presso la villa dell'amico Luigi Chiozza; e con questi, che fu anche insignito del titolo di accademico di Francia, studiò le malattie del baco da seta e della vite.

Polemica con Robert Koch
Il 1882 fu per Pasteur un anno molto interessante in quanto continuavano a sorgere dispute con altri scienziati su argomenti che sembravano ormai indiscutibili. La rivista dei lavori dell'Ufficio sanitario tedesco aveva condotto, sotto la direzione di Robert Koch, una vera campagna contro Pasteur, negando l'influenza preservatrice della vaccinazione. Pasteur chiese allora che fossero fatte delle esperienze davanti ad una commissione nominata dal governo tedesco. Il ministro dell'agricoltura, del demanio e delle foreste la costituì. Dopo il congresso, tutti i membri dell'assemblea, che non condividevano le sue opinioni, dovettero ricredersi. Questo fatto però non arrestò gli attacchi di Koch che continuava a misconoscere la scoperta di Pasteur sull'ufficio dei vermi di terra nell'eziologia del carbonchio.

Lo stato infelice della chirurgia ai tempi di Pasteur
Dal principio del XIX secolo c'era stato un arresto se non addirittura un regresso nella chirurgia. Nei secoli precedenti infatti si faceva dell'antisepsi senza saperlo: cauterizzazione con il fuoco, liquidi bollenti, sostanze disinfettanti. Nel 1868 la mortalità, in seguito alle amputazioni negli ospedali, sorpassava il 60%. C'era qualche cosa di ben più temibile che i germi dell'atmosfera: c'erano i germi del contagio, di cui le mani, gli strumenti dei chirurghi potevano essere il ricettacolo, se non si fossero prese delle minuziose precauzioni per eliminare quel pericolo. Negli anni successivi grazie ad una riforma ispirata dai lavori di Pasteur, basata su semplici lavaggi sulle piaghe, le probabilità di infezione e di morte si riducevano drasticamente. Un'esperienza in particolare doveva essere meditata secondo Pasteur dai chirurghi: dopo aver praticato, con un colpo di bisturi una piccola fenditura nello spessore dei tessuti di una coscia di un castrato, veniva inserita una goccia di coltura del vibrione settico. Il vibrione faceva la sua opera. In queste condizioni la carne, diceva Pasteur, era tutta incancrenita, verde alla superficie, gonfia di gas, e rilasciava un liquido marcio nauseante. L'acqua e le spugne con cui si lavavano gli oggetti chirurgici e le garze con cui si ricoprivano le piaghe, depositavano i germi che si propagavano nei tessuti con una facilità estrema, provocando infallibilmente la morte. Per Pasteur era quindi fondamentale una difesa contro i microbi, ossia tutte quelle sostanze che costituivano l'antisepsi come l'acido fenico, il sublimato, lo iodoformio, il salolo. Un altro progresso nella cura del malato consisteva invece nell'asepsi ossia nella pulizia assoluta degli strumenti, delle mani e di tutto ciò che avrebbe avuto un contatto con il ferito. Queste sue affermazioni avevano risvegliato in alcuni chirurghi idee nuove riguardo il sistema antisettico. Joseph Lister, un importante chirurgo britannico, in una lettera a Pasteur datata 18 febbraio 1874, affermava che da nove anni stava cercando di portare alla perfezione il sistema antisettico. Lister ringraziava Pasteur di avergli dimostrato, con le sue ricerche sui microbi e sui germi che portano alla putrefazione, la verità sulle infezioni post-operatorie. Lister, applicando i metodi asettici e antisettici nel suo ospedale ad Edimburgo, affermava che la mortalità si era ridotta e che la chirurgia era grande debitrice a Pasteur.

▪ 1899 - Giovanni Segantini (Arco, 15 gennaio 1858 – monte Schafberg, Pontresina, 28 settembre 1899) è stato un pittore italiano.
Nasce ad Arco, nella parte italiofona del Tirolo, in una famiglia in condizioni economiche precarie (i Segatini: fu poi lo stesso pittore a modificare il proprio cognome), alla morte della madre nel 1865 viene mandato dal padre a Milano, in custodia presso la figlia di primo letto Irene. Privato di un ambito familiare vero e proprio, Segantini vive una giovinezza chiusa e solitaria, spesso vagabonda, tanto che nel 1870 è rinchiuso nel riformatorio "Marchiondi", dal quale tenta di fuggire nel 1871 e vi rimane poi fino al 1873. Segantini viene quindi affidato al fratellastro Napoleone, che ha bisogno di un garzone per il suo laboratorio fotografico a Borgo Valsugana; vi rimane fino al 1874, sviluppando così una prima idea artistica propria, tanto che al ritorno a Milano si iscrive ai corsi serali dell'Accademia di Belle Arti di Brera, che frequenta per quasi tre anni.
A Milano riesce a vivere grazie ad un lavoro presso la bottega di Luigi Tettamanzi, artigiano decoratore, e insegnando disegno all'istituto "Marchiondi". Tale piccolo sostegno economico gli consente di frequentare, dal 1878 al 1879, i corsi regolari dell'Accademia di Belle Arti di Brera, seguendo le lezioni di Giuseppe Bertini, affinando il proprio bagaglio di conoscenze e di esperienza e stringendo le prime amicizie negli ambienti artistici cittadini, in primis con Emilio Longoni. Comincia a dipingere, con evidenti influssi dati dal verismo lombardo, ma già nel 1879, durante l'esposizione nazionale di Brera, viene notato dalla critica e ottiene i primi riconoscimenti: tra chi ne lo sostiene c'è Vittore Grubicy, con il quale instaura un rapporto di lavoro e di amicizia che durerà per lungo tempo.
L'anno dopo conosce anche Bice Bugatti, la donna che ne sarà compagna per tutta la vita; si trasferisce in Brianza, a Pusiano, e lavora grazie al sostegno economico di Grubicy, collaborando strettamente con Emilio Longoni: in questi anni la sua arte tenta di distaccarsi dalle impostazioni accademiche giovanili, ricercando una forma espressiva più personale e originale. Nel 1883 Segantini si vincola in modo definitivo al sostegno di Grubicy, con il quale sottoscrive un apposito contratto.
Nel 1886 lascia l'Italia per trasferirsi a Savognin, nel cantone Grigioni; nel corso della propria evoluzione artistica prende ad avvicinarsi al movimento divisionista, prima con semplici sperimentazioni e col tempo in maniera sempre più netta e totale. Nel frattempo Grubicy compie per lui una fortunata attività promozionale che ne accresce la fama in patria e all'estero, tanto che nel 1889 viene presentato all'Italian Exhibition di Londra; diventa così anche un apprezzato e ricercato collaboratore di riviste d'arte. Nel corso dello stesso anno comincia a integrare la propria caratterizzazione artistica divisionista con marcati accenni di simbolismo, soprattutto attraverso l'uso di allegorie basate su modelli nordici.
Nel 1894 lascia Savognin e si trasferisce in Engadina, a Maloja, anche seguendo un desiderio di più profonda meditazione personale e di riscoperta del proprio misticismo: il piccolo villaggio di Maloja gli consente una vita alquanto solitaria, e la possente presenza del maestoso e incontaminato paesaggio alpino intorno si rispecchia inevitabilmente nelle opere del periodo. Da Maloja si sposta solo nel più freddo periodo invernale, durante il quale soggiorna in albergo a Soglio, in Val Bregaglia, con radi viaggi anche a Milano. Formula un grandioso e ambizioso progetto, la realizzazione del padiglione dell'Engadina per l'Esposizione Universale di Parigi del 1900: una costruzione rotonda del diametro di 70 metri le cui pareti avrebbero dovuto ospitare una gigantesca raffigurazione pittorica del panorama engadinese, lunga 220 metri; nonostante il suo profondo impegno nell'opera, tuttavia, la stessa viene ridotta per i costi troppo elevati e la conseguente mancanza di fondi (viene a mancare anche il promesso supporto finanziario degli albergatori engadinesi, tra i primi committenti dell'opera) e si trasforma nel Trittico della Natura (o delle Alpi), la sua opera più celebre: il trittico pittorico viene però rifiutato, ritenuto non in sintonia con l'immagine turistica che i committenti intendevano trasmettere a Parigi, e finisce per essere esposto nel padiglione italiano.
Muore a soli 41 anni sullo Schafberg, il monte che domina Pontresina, il 28 settembre del 1899, colto mentre sta dipingendo da un letale attacco di peritonite. Oggi il suo corpo riposa nel piccolo cimitero di Maloggia.

▪ 1946 - Achille Grandi (Como, 24 agosto 1883 – Desio, 28 settembre 1946) è stato un politico italiano, sindacalista cattolico co-fondatore della CIL e della CGIL, deputato prima del Partito Popolare Italiano (1919-1926) e dopo della DC nell'Assemblea costituente, fondatore e presidente delle ACLI.
Iniziò a lavorare nel 1894, a soli 12 anni come apprendista tipografo, e questa esperienza segnò la sua maturazione. Nel 1906 si sposò con Maria Croato. Fervente cristiano, si adoperò per organizzare le masse cattoliche secondo le indicazioni della Enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII. La presenza nelle zone di Como delle organizzazioni del Partito Socialista Italiano lo sollecitò ad impegnarsi nelle nascenti organizzazioni sindacali cattoliche. Dal 1907 al 1914 fu segretario della Direzione Diocesana di Como dell'Unione Popolare fra i Cattolici d'Italia che era succeduta all'Opera dei congressi, che aveva operato in Italia dal 1874 al 1904. Durante questo periodo frequentò la "Scuola superiore cattolica di scienze sociali ed economiche" di Bergamo conseguendo una preparazione culturale di tipo universitario.
Contrario al Patto Gentiloni, nel 1914, in contrasto con il Vescovo di Como, Mons. Alfonso Archi, si impegnò sia nella Direzione delle Opere Cattoliche di Como che nella Lega Cattolica del Lavoro di Monza, assumendo anche la carica di vicepresidente del Sindacato Italiano Tessile (SIT), sindacato che aveva contribuito a far nascere nel 1908. Nel 1918 diventò presidente del SIT ed entra nell'esecutivo nella Confederazione Italiana dei Lavoratori (CIL), la neonata organizzazione sindacale cattolica, guidata dal Presidente Giovanni Gronchi fino al 1922. Grandi guiderà la CIL 1922 al 1926, che raggiungerà quasi due milioni di iscritti. Nel 1919 fu tra i fondatori del Partito Popolare e fu eletto Deputato nelle sue liste nella provincia di Como.

L'antifascismo
Grandi capì subito, diversamente da altri ambienti del mondo cattolico, la gravità della Marcia su Roma. Subito dopo il primo discorso di Mussolini Grandi espresse pesanti giudizi in merito sia all'umiliazione del Parlamento che alle evidenti tendenze dittatoriali. Successivamente difese con forza le minacce delle Corporazioni Fasciste contro le organizzazioni cattoliche e nel 1926 lui decise, pur di non scendere a patti, di sciogliere la CIL prima della pubblicazione ufficiale del decreto del governo fascista.
Fu anche critico anche nei confronti dell'Istituto Cattolico per le Attività Sociali (ICAS) per le tiepide posizioni che assunse con il regime. La sua intransigenza lo portò al rifiuto di ogni collaborazione e collusione con il regime fascista e così, dal 1926 al 1944, si guadagnò da vivere ri-svolgendo l'attività di tipografo presso al "Pontificio Istituto delle Missioni Estere" di Via Monte Rosa a Milano.

Il Patto di Roma, la CGIL e le ACLI
Nel 1943, dopo la caduta del regime, il generale Pietro Badoglio lo nominò Commissario straordinario della Confederazione dei Lavoratori dell'Agricoltura. Partecipò attivamente nella stesura del Patto di Roma, firmato il 3 giugno 1944. Il Patto fu l'incontro delle tre storiche componenti politiche e sindacali per la ricostituzione del sindacato democratico ed unitario della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) e che fu firmato da Giuseppe Di Vittorio per i comunisti, Bruno Buozzi per i socialisti e da Achille Grandi per i cattolici.
Grandi, contemporaneamente al progetto dell'unità sindacale, fondò nell'agosto 1944 le Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani (ACLI), diventandone (per soli 6 mesi) il primo presidente nazionale. Secondo Grandi le ACLI dovevano assolvere il compito di rappresentare e formare le coscienze dei cattolici all'interno della CGIL unitaria.
Aderì al partito della Democrazia Cristiana, fu nominato membro della prima Direzione Nazionale come componente della corrente di sinistra che faceva capo a Giovanni Gronchi, ed eletto Deputato nella Assemblea costituente.

Bibliografia
Andrea Olivero, Eredità e attualità di Achille Grandi, Relazione convegno ACLI per il 60º della morte, 28 settembre 2006, Roma (sito delle ACLI)

▪ 1964 - Adolph Arthur Marx in arte Harpo Marx (New York, 23 novembre 1888 – Los Angeles, 28 settembre 1964) è stato un comico e attore statunitense.
Era conosciuto come uno dei cinque Fratelli Marx, un gruppo di teatranti di vaudeville che raggiunsero il successo a Broadway e che diventarono famosi nell'industria del cinema.
Harpo è ricordato per la sua capacità di suonare l'arpa e per la particolarità che non parlava mai durante le sue esibizioni, esprimendosi solo con il linguaggio del corpo e con l'ausilio di suoni (clacson, fischi).
Nel gennaio del 1910 si unì a due dei suoi fratelli (Julius e Milton) per formare il gruppo canoro The three Nightingales. Harpo fu indotto a sviluppare il suo "mutismo" in scena dopo aver letto una delle recensioni del loro spettacolo. Infatti la critica così si esprimeva: "Adolph Marx ha mostrato (al pubblico) una brillante pantomima rovinata solo dai momenti in cui parlava"

L'origine del nome
Harpo ottenne il suo nome d'arte durante una partita di carte al teatro Orpheum a Galesburg (Illinois): il padrone del teatro (Art Fisher) lo chiamò Harpo perché suonava l'arpa (in inglese harp).
Anche i suoi fratelli ottennero i loro soprannomi in relazione alle loro personalità e alle loro passioni; suo fratello Leonard divenne Chico perché inseguiva continuamente le donne ("chicks" lett. "pollastre"), e suo fratello Milton divenne Gummo.

Il rapporto con la musica
Imparò a suonare l'arpa da autodidatta, non eccellendo né nella danza né nel canto. Lo zio Al Shean gli mandò un'arpa (anche se nell'autobiografia di Harpo, è scritto che fu sua madre Minnie Marx a mandargliene una).
Harpo imparò come imbracciare propriamente il suo nuovo strumento trovando in un negozio l'immagine di una ragazza che suonava l'arpa. Nessuno in città sapeva come suonarla cosi Harpo l'accordò come meglio poteva: a senso.
Tre anni dopo scoprì che il suo modo di accordare lo strumento era sbagliato, ma nonostante diversi tentativi di raggiungere un'impostazione corretta, continuò sempre a suonare alla sua maniera (pare che addirittura dei maestri di arpa che egli chiamò per prendere lezioni rimasero affascinati dalla sua strana tecnica.

Il nome
Harpo cambiò il suo nome da Adolph ad Arthur nel 1911. Questo fatto fu principalmente dovuto alla sua antipatia per il nome (da bambino infatti, era chiamato Ahdie e non Adolph). Le leggende urbane sostenenti che il cambiamento del nome fu dovuto alla prima guerra mondiale (a causa del sentimento anti-germanico americano) o alla seconda guerra mondiale (per via della comunanza del nome con Adolf Hitler) sono infondate.

Lo spettacolo e il successo
Apparve senza i suoi fratelli in Too Many Kisses, quattro anni prima del primo film prodotto a larga scala coi fratelli: The Cocoanuts - Il ladro di gioielli. In Too Many Kisses Harpo pronuncia l'unica battuta della sua vita sul set: You sure you can't move? (Sei sicuro di non poterti muovere?). Tuttavia, era un film muto e la platea vide solo le sue labbra muoversi e vide la battuta scritta sullo schermo.
Harpo guadagnò la sua fama per via delle sue tipiche gag visive. In Horse Feathers - I fratelli Marx al college gli viene detto che non si può bruciare una candela da entrambe le estremità (modo di dire). Immediatamente, Harpo tira fuori dal suo cappotto una candela accesa da entrambe le estremità.
Il fatto che non parlasse veniva generalmente ricordato dagli altri Fratelli Marx, attenti a rendere implicito che il mutismo del personaggio era una scelta e non una disabilità. Gli altri fratelli infatti erano soliti scherzare su questo modo di recitare, anche nelle stesse pellicole in cui apparivano insieme.
Il personaggio di Harpo indossava inoltre una parrucca. Nei primi anni della sua carriera, questa parrucca era tinta di rosa, come si evince da alcuni cartelloni e dalle allusioni presenti nei film (in La guerra lampo dei fratelli Marx il suo personaggio si chiama "Pinky" (rosino). Tuttavia la tonalità rosa della parrucca veniva percepita come bionda sullo schermo in bianco e nero. Col tempo, il colore rosa della parrucca fu reso più scuro, assumendo cosi un colore più tendente al rosso; a questo fatto furono fatte nuove allusioni nei film seguenti: il personaggio fu infatti a volte chiamato "Rusty" (rugginoso).

La vita privata
Harpo sposò l'attrice Susan Fleming il 28 settembre 1936. A differenza della maggior parte dei suoi fratelli, che ebbero matrimoni sfortunati (Groucho divorziò tre volte, Chico e Zeppo divorziarono entrambi una volta), il suo matrimonio con Susan durò tutta la vita. La coppia adottò quattro bambini: Bill, Alex, Jimmy e Minnie.

L'autobiografia e la voce
Nel 1961 Harpo pubblicò la sua autobiografia intitolata "Harpo Speaks" (Harpo Parla). In questo libro, il comico racconta la storia di un uomo che non crede che Harpo possa parlare, infatti, molte persone credevano veramente che fosse muto.
Tuttavia, registrazioni della sua voce possono essere trovate su Internet, in alcuni documentari, e in materiali aggiuntivi dei DVD dei Fratelli Marx.
Harpo aveva tuttavia un timbro vocale molto più profondo e risonante di quello di Groucho, forse più appropriato ad un annunciatore televisivo che ad un comico. Inoltre, bisogna notare lo spiccato accento newyorkese che Harpo mantenne per tutta la vita (per esempio il termine "girls"(donne/ragazze) veniva pronunciato "goils" dal comico)

La morte
Harpo Marx morì a settantacinque anni il 28 settembre 1964 durante un'operazione a cuore aperto. I suoi resti furono apparentemente sepolti nella sabbia del suo campo da golf preferito.
Per suo volere, il marchio di Harpo fu donato alla nazione di Israele.

Bibliografia
▪ Marx, Harpo. Harpo Speaks. ISBN 0-87910-036-2

▪ 1966 - André Breton (Tinchebray, 19 febbraio 1896 – Parigi, 28 settembre 1966) è stato uno scrittore, poeta e critico d'arte francese. Noto come poeta e teorico del surrealismo, che favorì con la stesura dei manifesti e curando riviste, mostre e incontri.
André Breton nasce a Tinchebray (Orne) il 19 febbraio 1896, figlio unico di Louis Breton (1867-1955) e Marguerite Le Gouguès (1871-1946), provenienti rispettivamente dalla Lorena e dalla Bretagna.
Nel 1900 la famiglia si trasferisce a Pantin (al 33 di rue Étienne-Marcel) e André frequenta l'Istituto religioso Sainte Elisabeth fino al 1902, anno in cui entra a far parte della scuola comunale di Pantin dove si dimostra un ottimo allievo.
Nel 1907 si iscrive al College Chaptal di Parigi come esterno e continua ad ottenere buoni risultati soprattutto in tedesco. Nasce in questi anni il suo amore per la poesia e sulla rivista della scuola "Vers l'idéal" pubblica, nel 1912, due sue poesie che firmerà con l'anagramma René Dobrant. Scopre in questi anni poeti come Baudelaire, Mallarmé e Huysmans e si appassiona alle arti figurative dimostrando di apprezzare Gustave Moreau, Pierre Bonnard, Édouard Vuillard e Paul Signac, mentre si dimostrerà poco convinto nei riguardi del cubismo e invece attratto dall'arte primitiva. Nascono le prime idee politiche che sono già improntate all'anarchismo.
Nel 1913 si iscrive alla facoltà di Medicina e continua a comporre versi, alcuni dei quali saranno pubblicati sulla rivista "La Phalange", e nello stesso anno si mette in contatto con Paul Valéry al quale sottopone le sue composizioni per avere un giudizio critico.
Nel 1915 viene chiamato al servizio militare che all'inizio passa a Pontigny. Intanto continua la lettura di Rimbaud e scopre Jarry. Scrive in quell'anno la pièce Décembre che invia ad Apollinaire.
Nel 1916, di stanza a Nantes come infermiere militare, scrive il suo primo poema in prosa, Âge che risente fortemente dell'influsso di Rimbaud. Conosce Jacques Vaché e stringe amicizia con Apollinaire. Durante questo periodo pensa anche di occuparsi di psichiatria e conosce Joseph Babinski.
Tornato a Parigi, nel 1917 conosce Pierre Reverdy e Philippe Soupault, scrive su "Mercure de France", e fa l'incontro importante con Louis Aragon, anche lui al momento studente di medicina. Con Aragon e Soupault condivide diversi progetti, tra letteratura e arte visiva, ma soprattutto i tre cominciano a essere conosciuti nell'ambiente culturale parigino.
Nel 1918, grazie ad Aragon, scopre l'opera di Isidore Ducasse conosciuto con lo pseudonimo di Conte di Lautréamont e le poesie che scriverà mostrano il desiderio di rompere con la metrica classica.
Nel 1919 si mette in contatto con Tristan Tzara al quale manifesta il suo entusiasmo per il "Manifesto Dada 3". Nello stesso anno fonda con Aragon e Soupault la rivista "Littérature" (una rivista a cui collaboreranno tra gli altri Jean Cocteau, Jean Giraudoux, Valery Larbaud, Paul Morand, Jules Romains, Max Jacob, Tzara ecc.) ed entra in contatto con Paul Éluard. Esce intanto, presso Au Sans Pareil, Mont de pieté, sua prima raccolta poetica illustrata da disegni di André Derain, e supera l'esame che lo fa diventare medico ausiliario. Alla fine dell'anno, conosciuto Francis Picabia, ne diventa amico.
Quando nel 1920 Tristan Tzara arriva a Parigi, Breton e i suoi amici aderiscono con entusiasmo al dadaismo (dedicando tra l'altro il n. 13 della rivista "Littérature" esclusivamente a loro).
Lascia gli studi di medicina e inizia a lavorare al servizio abbonamenti della "Nouvelle Revue Française", per Gaston Gallimard, mentre pubblica, presso Au Sans Pareil, Champs magnetiques (con Soupault, primo esperimento di "scrittura automatica"). A luglio, però, già stanco del dadaismo che considera monotono e inconcludente, abbandona il lavoro alla "NRF" e il dadaismo.
Nel 1921 accetta un lavoro di bibliotecario offertogli da Jacques Doucet al quale consiglia l'acquisto de Les demoiselles d'Avignon di Picasso che si rivelerà opera cardine del secolo (ma anche altri quadri, di Rousseau il doganiere, Henri Matisse, Max Ernst, Francis Picabia, Giorgio De Chirico, Marcel Duchamp, Man Ray e di altri artisti che contribuirà a far conoscere).
Il 17 settembre sposa Simone Kahn (testimone Paul Valéry), e durante il viaggio di nozze viene ricevuto da Sigmund Freud a Vienna. I due si stabiliscono al 42 di rue Fontaine, dove lui resterà fino al 1949. In questo atelier si tengono esperimenti di scrittura sotto ipnosi, sedute spiritiche, raccolte di oggetti strani ritrovati per strada, ritagli di giornali come collage di parole, maschere e oggetti sacri e discussioni sull'arte, sul sogno e sulla letteratura.
Nel 1923 escono la raccolta Clair de terre (con un ritratto dell'autore in acquaforte di Picasso, una trentina di poesie e cinque racconti di sogni) e l'antologa di articoli Les Pas perdus. Marcel Arland sulla "NRF" parla di "mistica senza oggetto" di un "profeta senza fede"[1].
Nel 1924, dopo qualche anno di tentennamenti dalla rottura con il dadaismo, nasce il surrealismo, ed esce il primo manifesto (firmato tra gli altri da Aragon, Breton, René Crevel, Robert Desnos, Paul Éluard, Pierre Naville, Benjamin Péret, Soupault e Roger Vitrac). Al manifesto viene allegata la raccolta di Breton Poisson soluble. In giugno chiude la seconda serie (iniziata nel marzo 1922) di "Littérature". Parte invece la rivista "La Révolution surréaliste" (dicembre 1924), su cui contribuiranno, oltre ai fondatori, Antonin Artaud, Michel Leiris, Joan Miró, René Magritte, Raymond Queneau ecc.
È il momento di interventi pubblici e prese di posizioni artistiche in tutti i dibattiti dell'epoca, anche fuori di Francia, per esempio contro Anatole France (al momento dei suoi funerali di Stato, Breton dichiara: "È un poco di servilismo che se ne va"[2]). Il gruppo apre un ufficio al 15 di rue Grenelle, dove si tengono riunioni e spettacoli su iniziativa di Artaud (almeno fino alla chiusura l'anno successivo perché considerati troppo violenti). Simone, il cui matrimonio con Breton comincia però già a essere in crisi, apre una galleria d'arte.

Manifesto del surrealismo
Dal "Manifesto del surrealismo":
"Surrealismo, s.m. Automatismo psichico puro per mezzo del quale ci si propone di esprimere, o verbalmente, o per iscritto, o in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza d'ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori d'ogni preoccupazione estetica o morale"
"Il surrealismo si fonda sull'idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme di associazione finora trascurate, sull'onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita"
"Fatevi portare di che scrivere, dopo esservi sistemato nel luogo che vi sembra più favorevole alla concentrazione del vostro spirito in sé stesso. Ponetevi nello stato più passivo, o ricettivo, che potete [...] Scrivete rapidamente senza un soggetto prestabilito, tanto in fretta da non trattenervi, da non avere la tentazione di rileggere. La prima frase verrà da sola"
"Ecco dei personaggi dai modi un po' disparati [...] Così provvisti di un piccolo numero di caratteristiche fisiche e morali, quegli esseri che in verità vi devono tanto poco non si scosteranno più da una certa linea di condotta, della quale non dovete occuparvi. Ne risulterà un intreccio più o meno sapiente in apparenza, a giustificare punto per punto un finale commovente o rassicurante di cui vi disinteressate".

Il surrealismo e la pittura (e il cinema)
Le gallerie si moltiplicano, come pure gli articoli sulla pittura, raccolti nel 1928 in Le Surréalisme et la peinture e gli interventi in città contro chiunque si credeva investito di qualche autorità. Alcuni incidenti e scandali fanno parlare di sabotaggio. La provocazione con lettere aperte, polemiche, manifesti stradali e volantini, si fa sempre più politica (è il momento della Lègitime défense, pubblicata dalle Éditions surréalistes nel 1926).
Al gruppo intanto si sono uniti Marcel Duhamel, Jacques Prévert e Yves Tanguy, se ne sono allontanati Artaud, Naville, Queneau e Soupault. Una sfida al duello con Jean Paulhan non si realizza, e Breton si riavvicina alla psichiatria, seguendo le lezioni pubbliche dell'hôpital Sainte-Anne e accompagnando Nadja, incontrata il 4 ottobre 1926, nei suoi pellegrinaggi per Parigi (un libro, Nadja, tra i più suggestivi del secolo[3], che uscirà nel 1928 e in edizione definitiva nel 1963).
Nel 1927 Breton incontra Suzanne Muzard (divorzierà da Simone e la sposerà in seconde nozze il 1º dicembre 1928) e scrive la Introduction au discours sur le peu de réalité. Nel marzo 1928 esce sul n. 11 de "La Révolution surréaliste" un'inchiesta sulla sessualità (è anche l'epoca dei testi provocatori di Georges Bataille, che andrà presto anche lui su un'altra strada).
Si appassiona anche di cinema, difende Artaud che entra in polemica con Germaine Dulac [4], ma ciononostante Artaud, aiutato da Elsa Triolet, si stacca dal gruppo. Breton diventa amico di Georges Sadoul e Salvador Dalí e si mette a rileggere Hegel.

Il surrealismo e la politica
Nel dicembre 1929 esce il secondo manifesto (sull'ultimo numero de "La Révolution surréaliste", il 12), che ospita anche la sceneggiatura di Un chien andalou di Luis Buñuel. È polemica con il gruppo della rivista "Grand Jeu" (diretta da René Daumal), quindi nel gennaio 1930 l'uscita del pamphlet contro Breton intitolato Un cadavre (stesso titolo che lui aveva messo contro Anatole France), accusato di ipocrisia. Due mesi dopo, Robert Desnos scrive il Troisième manifeste du surréalisme (apparso su "Le Courrier littéraire" di marzo), contro il fondatore stesso del movimento.
Fa quindi partire una nuova rivista, "Le Surréalisme au service de la Révolution" (il primo numero nel luglio 1930, altri sei fino al 1933), e stampare tre raccolte: Ralentir travaux con Éluard e René Char (1930), L'Immaculée Conception, con il solo Éluard, e L'Union libre (1931).
Louis Aragon, Elsa Triolet e Georges Sadoul fanno un viaggio in URSS. Il primo scrive il poema Front rouge subito accusato d'istigazione alla diserzione militare e Breton si procura molte firme[5] intervenendo in sua difesa con L'Affaire Aragon (1932, poi ripreso con la reazione della stampa alla sua uscita, in Misère de la poésie e, in solidarietà con Breton, nel pamphlet collettivo Paillasse!).
Ma la difesa non piace ad Aragon, e per questioni politiche insomma è la rottura tra i due. Nel luglio 1931, intanto, Breton ha ceduto alla corte di Valentine Hugo, che oscilla tra solo amica e confidente e amante. Escono Les Vases communicants (1932) e Qu'est-ce que le surréalisme? (1934).
Nel 1933 lancia con André Thirion, l'"Association des écrivains et artistes révolutionnaires", che dopo un poco lo accusa d'essere contro-rivoluzionario e lo esclude. Parallelamente al'attività politica c'è quella amorosa. Il 14 agosto 1934 sposa in terze nozze Jacqueline Lamba, incontrata solo sei settimane prima (testimoni Alberto Giacometti e Paul Éluard). Poi organizza diverse mostre surrealiste, anche a Copenaghen, Praga, Zurigo, Santa Cruz de Tenerife o Londra (dove porta il Manifeste anglais du surréalisme). Lancia bollettini, partecipa a conferenze, mentre il gruppo continua a cambiare (è il momento dei ready-made di Duchamp). Ma cambiano anche i fatti, in Europa, con l'avvento di fascismo e nazismo.
Una nuova grande mostra surrealista si tiene al MoMA di New York (ma Breton non ci va), poi a Parigi e ad Amsterdam, per la quale, in guisa di catalogo, scrive con Éluard un Dictionnaire abrégé du surréalisme (1938).
Nasce la figlia Aube e pubblica L'Amour fou. Poi parte per il Messico, dove incontra Lev Trotsky in esilio. Al ritorno litiga con Éluard e Dalì. Nel 1939 (con il n. doppio 12-13) chiude anche la rivista "Minotaure" (iniziata nel 1933, era una rivista d'arte d'avanguardia molto ospitale verso gli artisti surrealisti).
Si entusiasma per Julien Gracq, ma è nuovamente richiamato alle armi (Hitler ha invaso la Polonia) come medico militare a Nogent, poi a Noisy, a Poitiers e a Loupiac. Prova orrore per il nazismo come per lo stalinismo. Nel 1940 esce la Anthologie de l'humour noir, ma la distribuzione è sospesa. Hitler è entrato a Parigi, il libro è censurato, il suo nome è sulle liste di comunisti. Sceglie l'esilio.

L'esilio
Breton fugge a Martigues, nel sud della Francia, presso l'amico psichiatra Pierre Mabille, quindi a Marsiglia (dove scrive il poema Fata morgana). Infine, su una nave con Victor Serge, Anna Seghers e Claude Lévi-Strauss raggiunge con la famiglia la Martinica, dove, sorvegliato a vista, riesce però a incontrare Aimé Césaire. Lo raggiunge André Masson, con il quale scrive Le Dialogue créole (uscirà nel 1942). Dopo qualche mese raggiunge New York.
A New York, aiutato economicamente da Peggy Guggenheim, viene intervistato dalla rivista "View" che consacra il n. 7-8 (1941) al surrealismo. Poco tempo dopo Breton lancia una sua rivista americana ("VVV", che vuol dire Victoire et la Vie démultipliées), ma si rifiuta di imparare l'inglese[6]. Jacqueline, più intraprendente, lo lascia e se ne va con il pittore David Hare, portandosi la figlia. Dopo un periodo di disperazione (testimoniato in Arcane 17, da qualcuno considerato il suo libro più riuscito), incontra Elisa Claro (nata Bindhoff), anche lei disperata perché ha perso da poco sua figlia. I due si sposano e dopo un viaggio in Québec, Nevada e Colorado (dove Breton scrive la Ode à Charles Fourier), si recano ad Haiti, quindi a Santo Domingo e nel maggio 1946 in Francia.

Il ritorno
Tornato a Parigi, Breton si sente disorientato. Molte cose sono cambiate in ambito intellettuale e diversi considerano il surrealismo qualcosa di sorpassato. Ciononostante Jean Paulhan, Arthur Adamov e Marthe Robert lo invitano a una serata celebrativa di Artaud, uscito dall'ospedale psichiatrico di Rodez dopo nove anni. Nel 1947 riesce a organizzare con Duchamp una mostra che comprende 86 artisti di 24 nazionalità, ma più che rilanciare il movimento, essa sembra decretarne il ritardo (almeno attraverso la critica).
Breton tenta anche la carta della rivista lanciando "Néon" (5 numeri, gennaio 1948-aprile 1949). Intanto esce un suo bilancio (La Lampe dans l'horloge, 1948) e lo studio di Julien Graq su di lui (primo volume a lui dedicato).
Breton si interessa di "Art Brut", e partecipa con Jean Dubuffet a una "Compagnie de l'Art Brut", intesa a "raccogliere, conservare e mostrare opere di malati mentali"[7]. Poi pubblica un'antologia di testi diversi (Sade, Kafka, Jarry, Roussel ecc.) sotto il titolo di Almanach du dèmi-siècle (1950). Chi gli è rimasto "fedele" dichiara che il surrealismo "non è una scuola né una chiesa, ma un'avventura", e nel 1952 escono le interviste radiofoniche (Entretiens) fatte con André Parinaud.
Pur non avendo sue riviste, collabora a quelle altrui, specialmente a "Medium" e "Arts" e finalmente lancia "Le Surréalisme, même", una rivista che dura 5 numeri (ottobre 1956-marzo 1959). Nel 1957 pubblica l'Art magique, ultima sua grande opera.
Nel 1960, firma il "Manifeste des 121", contro la guerra d'Algeria (tra i firmatari Maurice Blanchot, Dionys Mascolo, Edgar Morin, Claude Simon, Alain Robbe-Grillet, Alain Resnais, Simone Signoret, Pierre Boulez e Robert Antelme).
Al surrealismo si richiamano i situazionisti di Guy Debord, poi la rivista "Tel Quel" di Philippe Sollers e Julia Kristeva, ma Breton non si fa coinvolgere e riesce a lanciare ancora una rivista, "La Brèche" (8 numeri, da ottobre 1961 a novembre 1965). Intanto esce la raccolta di tutti i manifesti (1962), Nadja (1963) e una nuova edizione di Surréalisme et la peinture (1966).
Vittima di una crisi respiratoria, mentre è in vacanza a Saint-Cirq-Lapopie, viene riportato a Parigi dove muore il 28 settembre 1966. Viene sepolto al cimitero di Batignolles.
Nonostante qualche tentativo di continuarne il movimento, Jean Schuster ha officialmente chiuso il surrealismo l'8 febbraio 1969.

Notes
1. ^ numero del 1º maggio 1924.
2. ^ Robert Kopp (a cura di), Album André Breton, Gallimard, 2008, p. 110.
3. ^ Maurice Blanchot lo definirà "libro sempre futuro [...] che mette al centro dell'opera la sua assenza", Le livre à venir, Gallimard, 1959.
4. ^ lui aveva scritto la sceneggiatura di La Coquille et le clergyman e lei lo aveva diretto in modo secondo lui non consono
5. ^ tra le quali quelle di Picasso, Matisse, Le Corbusier, Arthur Honegger, Pierre Mac Orlan, Walter Benjamin, Thomas Mann, Bertolt Brecht e García Lorca.
6. ^ R. Kopp, cit., p. 263.
7. ^ Mark Polizzotti, André Breton, Gallimard, 1999, p. 634.

* 1970 - Gamāl ʿAbd al-Nāṣer (Nasser) (Alessandria d'Egitto, 15 gennaio 1918 – Il Cairo, 28 settembre 1970) è stato un militare e politico egiziano, secondo Presidente della Repubblica, dal 16 gennaio 1956 al 28 settembre 1970.
Nato da modesta famiglia (il padre ʿAbd al-Nāṣer era funzionario delle poste), originaria di Beni Morr, presso Asyūṭ, il giovane Gamāl studiò per i primi due anni ad Asyūṭ e per otto anni a Khatatba (a nord del Cairo, presso il confine libico). All'età di otto anni, rimasto orfano per la morte dell'amatissima madre, viene inviato al Cairo, presso lo zio materno Khalīl Husayn, ma già nel 1929 torna dal padre, trasferito ad Alessandria, che si era da poco risposato.
Nel corso dei suoi studi secondari superiori, come presidente del “Comitato dei liceali”, partecipò all'attività politica nei ranghi dei nazionalisti, che cercavano di ottenere l'indipendenza dal Regno Unito. Il 13 novembre 1935, nel corso di una manifestazione, viene leggermente ferito da un colpo d'arma da fuoco esploso da un gendarme britannico.
Nel 1937 entrò all'Accademia militare egiziana, dopo aver conseguito la laurea al Cairo. Nel luglio 1938 ottiene i gradi di sottotenente. Partecipò come ufficiale dell'esercito alla Guerra arabo-israeliana del 1948, per l'affermazione della causa palestinese. La constatazione della clamorosa impreparazione dell'esercito e del Paese rafforzarono i suoi sentimenti repubblicani. Partecipò così ai dibattiti all'interno dell'esercito, che sfociarono nella costituzione dell'organizzazione segreta dei “Liberi ufficiali” (al-Ḍubbāṭ al-Aḥrār), divenuta poi il modello di riferimento di tutti i movimenti clandestini filo-repubblicani dell'intero mondo arabo nel secondo dopoguerra.

Il colpo di Stato repubblicano
Nella notte fra il 22 e il 23 luglio 1952 un colpo di Stato fu portato a compimento. Il re Fārūq I fu detronizzato e costretto il sabato 26 all'esilio. Un Governo provvisorio fu formato e a guidarlo fu chiamato il rispettato generale d'origine nubiana Muḥammad Naǧīb, che il 18 giugno 1953 divenne il primo Presidente della Repubblica.
Nel 1954 Naǧīb fu però costretto a lasciare spazio all'"uomo forte" del regime, il colonnello Gamāl ʿAbd al-Nāṣer, mentre un accordo firmato il 19 ottobre di quell'anno con il Regno Unito sullo sgombero entro 20 mesi delle sue forze militari, pur protraendo la presenza di tecnici nella zona del Canale di Suez, fu contestato dall'organizzazione islamica dei Fratelli Musulmani. Ad essa il governo rispose energicamente, cercando d'indurre l'organizzazione a destituire il proprio capo, al-Hasan al-Ḥudaybī. Gamāl ʿAbd al-Nāṣer fu fatto oggetto il 26 ottobre di un attentato di cui furono incolpati i Fratelli Musulmani e la conseguenza fu lo scioglimento due giorni dopo dell'organizzazione e l'arresto il 30 ottobre di al-Ḥudaybī e dei maggiori dirigenti della Fratellanza, oltre alla destituzione dalla sua carica di Naguib il 14 novembre, posto fino al 1972 agli arresti domiciliari. Sei dirigenti della Fratellanza furono condannati a morte ma al-Ḥudaybī vide commutata la sua pena in quella dell'ergastolo.

La nazionalizzazione della Compagnia del Canale
Dopo l'adozione di una Costituzione repubblicana di ispirazione socialista con partito unico il 16 gennaio 1956, Gamāl ʿAbd al-Nāṣer, eletto il 23 giugno Presidente della Repubblica, nazionalizzò il 26 luglio 1956 la Compagnia del Canale di Suez (di proprietà franco-britannica). Questo dette modo al Presidente egiziano di recuperare appieno l'indipendenza del paese ma fornì anche la giustificazione per Francia e Regno Unito di organizzare un'operazione militare congiunta contro l'Egitto, cui s'unì Israele che riuscì a condurre una brillante operazione militare, in risposta alla minaccia di Gamāl ʿAbd al-Nāṣer d'impedire allo Stato ebraico il transito attraverso il Canale di Suez, che si concluse con la rapida conquista dell'intero Sinai, da Rafah a al-Arīsh. il 31 ottobre truppe anglo-francesi bombardano Il Cairo, e il 5 novembre occupano Port Saʿīd. 
La guerra del 1956 fu interrotta dall'intervento congiunto sovietico-statunitense, si disse con la minaccia addirittura di un intervento nucleare su Londra e Parigi da parte dell'URSS, ma nulla fu fatto per impedire a Israele di realizzare il suo progetto malgrado il suo esercito, guidato dal genio tattico del generale Moshe Dayan, avesse proseguito nella sua rapida avanzata dopo l'ordine dell'ONU di cessate il fuoco fra le parti. Il "cessate-il-fuoco" entrò in vigore l'8 novembre, ed il 15 dello stesso mese, truppe di pace dell'ONU giunsero nella zona di guerra.

La politica estera e la Guerra dei sei giorni
Nel gennaio del 1958 la Siria pretese, per rafforzare la sua sicurezza, di avviare immediatamente un processo di fusione con l'Egitto, dando così origine alla Repubblica Araba Unita (RAU), alla quale presto si aggiunse quella parte dello Yemen che, ad opera del colonnello Sallāl, s'era ribellato all'Imam Yahya e al suo successore Muhammad al-Badr per costituire una repubblica nella zona di territorio sotto il proprio controllo. Nel settembre 1961 la Siria pretese però di recuperare la sua piena indipendenza e l'Egitto, per esplicita volontà di Gamāl ʿAbd al-Nāṣir, non prese alcuna misura per impedirlo.
La guerra del 1967 fu ancor più devastante per l'Egitto e per le sorti del nasserismo e della sua concezione panaraba. Alla testa di una coalizione militare che, oltre all'Egitto, comprendeva la Siria e la Giordania, ottenne il ritiro delle truppe interposte dell'ONU lungo il confine israelo-egiziano e decise di bloccare i passaggi marittimi verso Israele. Malgrado fosse stato ammonito da Tel Aviv che la chiusura alla navigazione degli Stretti di Tiran avrebbe rappresentato un casus belli, l'aviazione e l'esercito egiziani si fecero cogliere il 5 giugno 1967 del tutto impreparati nelle loro basi (con la distruzione in un solo attacco di 300 velivoli militari, tutt'altro che in stato di allerta e posizionati a terra) dalle forze armate israeliane guidate dal genio militare del Capo di Stato Maggiore, generale Moshe Dayan. Israele, che aveva con grande determinazione scatenato il suo attacco e conseguiti i suoi obiettivi tattici e strategici, non ebbe alcuna difficoltà ad inglobare quanto restava della Palestina (Cisgiordania sotto amministrazione giordana), le alture siriane del Golan e l'intera penisola del Sinai egiziana mediante una rapidissima azione di accerchiamento, come pure la palestinese Striscia di Gaza che l'Egitto amministrava dal 1948. Nonostante la colossale sconfitta militare, Nasser continuò ad avere l'appoggio delle grandi masse di popolazione egiziana, grazie al suo innegabile carisma.
Risale al 1967 la destituzione di ʿAbd al-Ḥakīm ʿĀmer, amico e compagno di Gamāl ʿAbd al-Nāṣir e primo responsabile dell'inadeguatezza della condotta militare egiziana, che si suicidò subito dopo.

L'allontanamento dagli Stati Uniti
Malgrado un'iniziale simpatia di Gamāl ʿAbd al-Nāṣir nei confronti degli USA, specialmente dopo l'intervento di Eisenhower contro l'attacco militare anglo-francese nella zona del Canale, la politica egiziana prese sempre più le distanze da Washington a causa del rifiuto del Cairo di entrare a far parte di uno schieramento anti-sovietico incentrato sul Patto di Baghdad composto da Iraq, Turchia, Iran, USA e Gran Bretagna, cui gli USA replicarono creando gravi difficoltà per il necessario finanziamento da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI) al progetto esposto fin dal 1952 di costruire una diga (Alta Diga, "al-Sadd al-ʿĀlī") ad Aswān, sul fiume Nilo, che avrebbe garantito l'autosufficienza energetica ad un Paese povero di idrocarburi e che avrebbe permesso di bonificare le terre ad ovest del Nilo, dalla depressione di al-Qaṭṭāra (nord ovest egiziano) alle aree a sud di Aswān, per un totale di diverse centinaia di migliaia di chilometri quadrati. Per reazione l'Egitto si rivolse allora all'Unione Sovietica che, cogliendo la favorevole opportunità politica e strategica, finanziò la gigantesca operazione.
Gamāl ʿAbd al-Nāṣir riuscì in qualche misura a raddrizzare la situazione grazie ad imponenti rifornimenti di armi sovietiche e all'avvio nel luglio del 1969 di una "guerra d'attrito" con Israele che mantenne vivo lo spirito patriottico e nazionalistico egiziano. Ciò nondimeno l'esperienza nasseriana era ormai segnata dalla catastrofe militare e politica del 1967 ed anche il dibattito interno - che pure era inizialmente stato molto vivace - fu sempre più mal sopportato dal regime che, negli anni precedenti, aveva provveduto a soffocare qualsiasi tipo di opposizione, specie quella rappresentata dai Fratelli Musulmani, dei quali un esponente di spicco, Sayyid Quṭb, fu arrestato il 9 agosto 1965 e giustiziato al Cairo il 29 agosto 1966.
Gamāl ʿAbd al-Nāṣir morì il 28 settembre 1970 nella residenza presidenziale per un attacco cardiaco e al suo funerale al Cairo partecipò una folla commossa di vari milioni di persone.[4] Alla Presidenza della Repubblica salì il Vice-Presidente Anwar al-Sādāt, che con lui aveva fatto parte del movimento degli "Liberi ufficiali".

* 1972 - Erich Przywara (Katowice, 12 ottobre 1889 – Murnau, 28 settembre 1972) è stato un teologo e filosofo polacco. Diventò gesuita nel 1908. Dopo studi specialistici, fu redattore della rivista Stimmen der Zeit, attraverso cui diffuse il suo pensiero teologico che influenzò molto Hans Urs von Balthasar.[1]
Al centro del suo pensiero è il concetto di analogia entis, che indica il rapporto doppio di trascendenza/immanenza tra Dio e le sue creature, pur nell'obiettiva difficoltà dell'uomo di comprendere questa "Trascendente immanenza" divina, accessibile solo attraverso l'intervento della grazia.[2]

Note
1. Cf. Battista Mondin, Storia della Teologia, vol.IV, Bologna, ESD, 1997. ISBN 8870942481; ISBN 9788870942484. Anteprima limitata su books.google.it.
2. Ibidem.

Opere in italiano
Erich Przywara, Analogia Entis - metafisica. La struttura originaria e il ritmo cosmico, Milano, Vita e Pensiero, 1995. ISBN 8834303687; ISBN 9788834303689. Antepima limitata su books.google.it
Erich Przywara, Agostino inForma l'Occidente, Milano, Jaca Book, 2007. ISBN 8816407700; ISBN 9788816407701. Anteprima limitata su books.google.it

• 1978 - Papa Giovanni Paolo I, nato Albino Luciani (in latino: Iohannes Paulus I; Forno di Canale, 17 ottobre 1912 – Città del Vaticano, 28 settembre 1978), è stato il 263° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica a partire dal 26 agosto 1978.

«Ieri mattina sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere!»(Papa Giovanni Paolo I all'indomani dell'elezione al soglio pontificio)

Il suo pontificato fu tra i più brevi della storia: la sua morte avvenne infatti dopo soli 33 giorni[1] dalla sua elezione al soglio di Pietro.
Viene ricordato con gli affettuosi appellativi di "papa del sorriso" e "sorriso di Dio".[2][3]
A lui è stato dedicato un museo, situato nella canonica del suo paese natale.

Gli anni di Belluno
Nato da Giovanni Luciani e Bortola Tancon, ebbe tre fratelli: Tranquillo Federico che morì in tenera età; Edoardo, morto l'11 marzo 2008; Nina, morta il 5 giugno 2009. Il padre, di idee socialiste, emigrò in seguito in Svizzera per lavoro.
Nell'ottobre del 1923 entrò nel seminario interdiocesano minore di Feltre ed in seguito, nel 1928, nel seminario interdiocesano maggiore di Belluno. Fu ordinato diacono il 2 febbraio 1935 e sacerdote il 7 luglio dello stesso anno nella chiesa rettoriale di San Pietro apostolo a Belluno (contigua al Seminario Gregoriano); venne subito nominato vicario cooperatore di Canale d'Agordo, ma già in dicembre venne trasferito ad Agordo, dove insegnò anche religione all'istituto minerario. Presso il seminario gregoriano di Belluno fu insegnante (1937 - 1958) e vice-rettore (1937 - 1947).
 Il 27 febbraio 1947 si laureò in sacra teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con una tesi su L'origine dell'anima umana secondo Antonio Rosmini: quella di Luciani e dei suoi relatori fu di certo una scelta audace, poiché si trattava di un autore con due libri messi all'Indice dei libri proibiti, all'epoca non ancora del tutto riabilitato dalla Chiesa.
In novembre fu nominato da monsignor Girolamo Bortignon procancelliere vescovile della diocesi di Belluno; il mese successivo venne nominato anche cameriere segreto soprannumerario e segretario del sinodo diocesano.
A queste nomine, il 2 febbraio 1948 si aggiunsero anche quelle di provicario generale della diocesi di Belluno e di direttore dell'ufficio catechistico diocesano.
Durante le elezioni politiche italiane post-belliche del 1947 si schierò apertamente con la Democrazia Cristiana e contro i partiti di sinistra, descrivendo le idee marxiste come un "male terribile", anche se ebbe sempre una pietà paterna per gli uomini dalle idee marxiste, "nostri fratelli erranti".
Nel 1954 divenne vicario generale della diocesi di Belluno; nel frattempo (1949) aveva pubblicato il volume Catechetica in briciole; del libro verranno pubblicate sei edizioni in Italia ed una anche in Colombia.
Il 30 giugno 1956 fu nominato canonico della cattedrale di Belluno.
In questi anni gli fu erroneamente diagnosticata una tubercolosi incurabile e per questo fu costretto a lasciare la parrocchia e a recarsi in sanatorio a Sondalo, in Valtellina, dove i medici si accorsero dell'errore dei colleghi, diagnosticando e curando la vera malattia: una polmonite.
Luciani fu diverse volte proposto per la nomina a vescovo, ma venne respinto per due volte a causa delle sue condizioni di salute, della sua voce flebile, della sua bassa statura e del suo aspetto dimesso.[4] Dopo l'ascesa al soglio di Pietro di papa Giovanni XXIII, il 15 dicembre 1958 fu finalmente promosso vescovo di Vittorio Veneto. A tal proposito si narra che papa Giovanni XXIII, respingendo le varie perplessità riguardo ai motivi per cui fino ad allora non fosse stato promosso, legate principalmente alle sue cagionevoli condizioni di salute, sentenziò bonariamente:[4]

«...vorrà dire che morirà Vescovo.»

L'ordinazione episcopale avvenne nella basilica di San Pietro in Vaticano il 27 dicembre. Insieme a lui fu nominato vescovo anche monsignor Charles Msaklia,[5] originario della Tanzania: i due rimarranno amici e sarà proprio grazie a questo prelato africano che Luciani inizierà a conoscere la realtà della Chiesa cattolica in Africa.[6]

Luciani vescovo di Vittorio Veneto
Luciani prese possesso della diocesi l'11 gennaio 1959. Il "periodo vittoriese" sarà decisivo per la sua formazione. Iniziò subito le visite pastorali nelle parrocchie.
Luciani, che mai in vita pensò alla carriera ecclesiastica, lasciò Belluno a malincuore, prendendo le redini di una diocesi con i bilanci in grave passivo: infatti, quelli erano gli anni in cui lo IOR, meglio conosciuto come Banca Vaticana, era entrato in crisi.
Luciani non nascose di sopportare a fatica la gestione economica della Chiesa, specie negli anni in cui lo IOR fu diretto dall'arcivescovo americano Paul Marcinkus, sostenendo che la Chiesa avrebbe dovuto avere una condotta economica il più trasparente possibile e coerente agli insegnamenti del Vangelo.
Negli anni di episcopato a Vittorio Veneto mostrò innanzitutto insuperabili doti di catechista, per la sua capacità di farsi comprendere da tutti, anche dai bambini e dalle persone di poca cultura, per la sua chiarezza nell'esporre, la sua capacità di sintesi e la sua tendenza ad evitare discorsi e letture difficili, nonostante la profonda cultura che aveva. Lo stesso raccomandò sempre ai suoi sacerdoti.
Si dimostrò insofferente al dovere di risiedere nel Castello di San Martino, residenza storica dei vescovi vittoriesi, posta in posizione arroccata e distaccata rispetto all'abitato di Vittorio Veneto: avrebbe preferito una dimora più vicina alla sua gente.
Avvertì in anticipo i nuovi venti della "contestazione", ribadendo l'importanza dell'Azione Cattolica che cominciava a sentire il peso degli anni. Ebbe grande attenzione per la formazione dei giovani e sollecitò la partecipazione dei laici alla vita attiva della Chiesa, all'epoca ancora piuttosto risicata.[7]
La sua indole bonaria non era però piegata alle idee correnti della moda e, ad esempio, una volta divenuto Patriarca si batté apertamente contro l'istituzione del divorzio durante il referendum del 1974, opponendosi apertamente come Vescovo ad alcune associazioni cattoliche che si rifacevano alla FUCI veneta e che invece si schieravano a favore del divorzio.

Luciani e la chiesa africana
Nel marzo 1962 ricevette la visita di monsignor Andrè Makarakiza,[8] tutsi membro di una famiglia nobile del Burundi, convertito al cattolicesimo e diventato in seguito sacerdote e poi vescovo di Ngozi. Era venuto per chiedere a Luciani alcuni sacerdoti per la propria diocesi, e quest'ultimo acconsentì, conscio delle necessità delle popolazioni locali.
La scelta cadde sul giovane don Vittore De Rosso[9] di Farra di Soligo, che partì in dicembre, destinazione diocesi di Kuntega, Burundi, praticamente senza un soldo in tasca, a causa della grave situazione economica della diocesi. Si trattava del primo sacerdote missionario Fidei donum di quella diocesi; se ne sarebbero aggiunti altri due l'anno successivo.
Qualche anno dopo, i tre missionari chiesero e ottennero dal loro vescovo di celebrare la messa non in lingua latina, ma nell'idioma locale e di comunicare i fedeli per mano e non per bocca per motivi igienici: tutto questo in anticipo rispetto alle disposizioni introdotte dopo il concilio Vaticano secondo.
Dal 16 agosto al 2 settembre 1966, Luciani compì una storica visita pastorale nelle missioni africane della sua diocesi, durante la quale conobbe usi e costumi delle popolazioni locali, celebrò Messa in chiese affollatissime, imparò un po' di lingua kirundi, sopportò a fatica il clima e le zanzare e subì tutta una serie di imprevisti, tra cui una zecca sotto un'unghia e l'impantanamento della jeep su cui viaggiava: in quell'occasione Luciani non si fece problemi a scendere dal mezzo e spingere la vettura insieme agli altri.[10]
Questa serie di incontri ravvicinati con le realtà africane, così come i successivi in Sudamerica, non fece altro che aumentare la sensibilità del futuro papa riguardo ai problemi delle popolazioni del terzo mondo.

Lo scisma di Montaner
Nel 1966-1967 il vescovo Luciani si trovò ad affrontare una spinosa questione riguardante la parrocchia di Montaner, frazione del comune di Sarmede, alle pendici del Cansiglio. Il 13 dicembre 1966 morì l'anziano parroco don Giuseppe Faè, amatissimo dalla popolazione. Nei giorni seguenti maturò fra la gente l'idea che il cappellano Antonio Botteon, che si occupava da tre anni del vecchio parroco, potesse essere perfetto per il paese. Il vescovo Luciani prima ricordò che i parroci non sono eletti dal popolo e poi nominò nuovo parroco di Montaner don Giovanni Gava, il cui insediamento sarebbe dovuto avvenire il 22 gennaio 1967.
In paese, rifiutando la scelta del vescovo, si costituì allora un comitato che proponeva di far rimanere il cappellano Botteon o come nuovo parroco, o come viceparroco. La risposta del vescovo Luciani fu negativa: non solo, come già detto, per il codice di diritto canonico non è contemplata l'elezione del parroco da parte dei parrocchiani, ma il cappellano Botteon era troppo giovane per amministrare da solo una parrocchia. Inoltre, non si riteneva necessario un viceparroco per un paese così piccolo.
La scelta di Luciani provocò una durissima reazione della popolazione, che arrivò a murare porte e finestre della chiesa e della canonica per impedire al cappellano Botteon di andare via.
Montaner si divise allora fra i sostenitori del cappellano Botteon come nuovo parroco ed una minoranza che non riteneva giusto ribellarsi al vescovo. Tra le due fazioni scoppiò un vero e proprio odio, sfociato anche in atti di violenza. Nei giorni seguenti la protesta si inasprì ed il paese venne presidiato stabilmente dai carabinieri, anche per la notizia che a Montaner fossero state trovate delle armi; la cosa non fu smentita dalla popolazione visto che molti in casa avevano pistole e fucili dal tempo della seconda guerra mondiale.
Il 9 febbraio 1967 una delegazione di montaneresi partì per Roma con la speranza, rimasta vana, di un colloquio con Paolo VI. La data più cruenta di questa vicenda fu il 12 settembre 1967: dopo varie mediazioni fallite nei mesi precedenti, nel pomeriggio arrivò a Montaner Albino Luciani in persona, preceduto dal vicequestore di Treviso, alcuni commissari, poliziotti ed un autobus di carabinieri.
Per punire la disobbedienza di quei parrocchiani, Luciani entrò in chiesa, prelevò le ostie consacrate dal tabernacolo e andò via, lanciando l'interdetto contro la parrocchia: da quel momento nessun sacerdote avrebbe più potuto celebrare funzioni o amministrare i sacramenti [11]. I parrocchiani dissidenti, allora, compirono un vero e proprio scisma costituendo in paese una comunità ortodossa che resiste ancora al giorno d'oggi.

Concilio Vaticano II
Il vescovo Luciani partecipò attivamente a tutte le quattro sessioni del concilio Vaticano II (1962-1965), intervenendo e facendosi così conoscere tra i ranghi della Chiesa cattolica.
Il 15 dicembre 1969 papa Paolo VI nominò Luciani Patriarca di Venezia. Neanche cinquanta giorni dopo, il 1º febbraio 1970, Luciani ricevette la cittadinanza onoraria di Vittorio Veneto.

Luciani Patriarca e cardinale
Patriarca nei difficili anni della contestazione, non fece mancare il suo appoggio ed il dialogo diretto con gli operai di Marghera, spesso in agitazione. Anche per questo maturò la consapevolezza del bisogno da parte della Chiesa di adeguarsi ai nuovi tempi e riavvicinarsi alla gente; questo gli fece guadagnare le simpatie dei veneziani.
Anche a Venezia si trovò a dover fare i conti con la crisi economica. Poco amante degli sfarzi, era anche per questo favorevole alla vendita di oggetti sacri e preziosi di proprietà della Chiesa.
Tra il 12 e il 14 giugno 1971 compì un viaggio pastorale in Svizzera. Tre giorni dopo venne nominato vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, carica che manterrà fino al 2 giugno 1975.
Sempre nel 1971 propose alle chiese ricche dell'Occidente di donare l'uno per cento delle loro rendite alle chiese povere del terzo mondo.
Il 16 settembre del 1972 il Patriarca Luciani ricevette Paolo VI in visita pastorale. Al termine della Santa messa in piazza San Marco il Pontefice si tolse la stola papale, la mostrò alla folla e la mise sulle spalle del Patriarca Luciani davanti a ventimila persone, facendolo arrossire per l'imbarazzo. Dell'episodio, assai significativo considerati gli eventi successivi, esiste un documento fotografico, ma non fu ripreso dalle telecamere, che avevano già chiuso il collegamento. La stampa disse che Paolo VI aveva scelto il suo successore: a conferma di ciò, pochi mesi dopo Paolo VI annuncia un concistoro e Luciani è il primo della lista. Il 5 marzo 1973 venne infatti creato cardinale del titolo di San Marco a Roma dallo stesso papa Paolo VI.
L'anno successivo, in occasione della campagna elettorale per il referendum sul divorzio, sciolse la sezione veneziana della FUCI, la Federazione degli universitari cattolici, perché si era mostrata favorevole al no, contrariamente alle indicazioni della Curia.[12]
Tra il 27 settembre ed il 26 ottobre dello stesso anno partecipò a Roma alla terza Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema: "L'evangelizzazione nel mondo moderno".
Il 1975 lo vide due volte all'estero per altrettanti viaggi pastorali, il 18 maggio in Germania e dal 6 al 21 novembre in Brasile, dove l'università statale di S. Maria a Rio Grande do Sul lo insignì di una laurea honoris causa. Fu in Brasile che impressionò moltissimi prelati per la sua profonda umiltà e devozione. A gennaio 1976 pubblicò Illustrissimi, una raccolta di lettere immaginarie scritte negli anni precedenti a personaggi storici o della letteratura; il libro fu un grande successo editoriale e venne tradotto in numerose lingue.
Sin dal suo insediamento a Venezia, portò sempre il classico abito scuro da sacerdote, indossando di rado la fascia paonazza da vescovo e poi rossa da cardinale e attirandosi così molte critiche dai fedeli zelanti veneziani. Era un'altra prova del suo ricercare la semplicità.

L'incontro con suor Lucia
Il 10 luglio 1977, l'allora cardinale Luciani, molto devoto alla Madonna di Fatima, accogliendo l'invito di Suor Lucia, vi si recò in pellegrinaggio (esattamente a Cova da Iria) incontrando al Carmelo di Coimbra la famosa mistica, con la quale si trattenne per due ore in conversazione. Suor Lucia gli avrebbe rivelato il contenuto del Terzo Segreto (o, più correttamente, la III parte del Segreto o Messaggio) di Fatima. Egli ne fu sensibilmente impressionato e, una volta rientrato in Italia, descrisse così quell'incontro: "La suora è piccolina, è vispa, e abbastanza chiacchierona... parlando, rivela grande sensibilità per tutto quel che riguarda la Chiesa d'oggi con i suoi problemi acuti...; la piccola monaca insisteva con me sulla necessità di avere oggi cristiani e specialmente seminaristi, novizi e novizie, decisi sul serio ad essere di Dio, senza riserve. Con tanta energia e convinzione m'ha parlato di suore, preti e cristiani dalla testa ferma. Radicale come i santi: ou todo ou nada: o tutto o niente, se si vuol essere di Dio sul serio".[13]
Si dice anche che suor Lucia abbia predetto a Luciani la sua elezione e il breve pontificato, chiamandolo "Santo Padre". A tale proposito nel 2006 il Segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone ha definito questa storia "tesi vecchia e priva di fondamento"[12].
A tal proposito, si ricorda che il fratello Edoardo vide il Cardinale Luciani tornare molto scosso dal viaggio a Fatima: era diventato silenzioso e spesso assorto nei pensieri e quando gli chiese cosa avesse, Albino rispose: "Penso sempre a quello che ha detto Suor Lucia".
Un altro segno della sua personale via crucis può essere una macchiolina rossa su un occhio riscontrata dopo il viaggio in Brasile, diagnosticata come un embolo. I suoi parenti, fra cui un medico, ritennero che fu un'embolia la vera causa della sua morte[14].

L'addio a Venezia
Il cardinale Luciani lasciò per l'ultima volta Venezia il 10 agosto 1978 per il conclave dal quale sarebbe uscito papa il 26 agosto, al secondo giorno di votazione. È il terzo Patriarca di Venezia del novecento, dopo Giuseppe Sarto (San Pio X) e Angelo Giuseppe Roncalli (Beato Giovanni XXIII) ad essere chiamato al soglio di Pietro.

Il pontificato
«Nessuno è venuto a dirmi: «Tu diventerai Papa». Oh! se me lo avessero detto! Se me lo avessero detto, avrei studiato di più!»(Angelus di domenica 17 settembre 1978)

Il regno sulla cattedra di Pietro fu per papa Luciani brevissimo, durò appena 33 giorni. Ciò malgrado, non mancarono episodi importanti e passaggi fondamentali della storia del papato.

L'elezione
La sua elezione sarebbe stata frutto di una mediazione tra diverse posizioni, tra le quali quelle più conservative della Curia, che sostenevano l'arcivescovo di Genova, cardinale Giuseppe Siri, e la parte sostenitrice delle riforme del Concilio Vaticano Secondo, che sostenevano l'arcivescovo di Firenze, cardinale Giovanni Benelli. Ricevette alcuni voti anche il cardinale Karol Wojtyla, poi papa Giovanni Paolo II, la cui candidatura fu presentata da quei cardinali che auspicavano un'apertura internazionalista del Vaticano. Luciani, tuttavia, chiese sempre di non essere preso in considerazione e, anzi, fu proprio lui a parlare per primo di un papa straniero. Egli infatti aveva sempre votato per il cardinale Aloisio Lorscheider, un francescano che aveva conosciuto in Brasile e che invece fu tra i più accesi sostenitori di Luciani, soprattutto perché non dimenticò mai quella visita in Brasile.
Ad ogni modo, il conclave fu rapidissimo e si concluse dopo sole quattro votazioni, avvenute nella stessa giornata: alle 19:18 del 26 agosto 1978 si aprirono le vetrate della loggia centrale delle Basilica Vaticana, passarono solo ventisei ore e mezzo dalla chiusura delle porte del Conclave e già il nuovo papa era stato eletto. Subito dopo comparve il grande drappo rosso con lo stemma papale e poi il Cardinale Pericle Felici, protodiacono, annunciò l'Habemus Papam. Luciani fu eletto 263º successore di Pietro con una amplissima maggioranza (101 voti tra i 111 cardinali, il quorum più alto nei conclavi del Novecento). Lo stupore della folla in piazza fu grandissimo poiché la fumata, probabilmente per un errore del cardinale fuochista, fu inizialmente grigio chiara per poi diventare nera. La situazione di incertezza durò fino all'annuncio di Radio Vaticana e alla contemporanea apertura della loggia (solo nel conclave del 2005 verranno introdotte, dopo la fumata, le campane a festa). Appena eletto avrebbe voluto parlare alla folla, ma il cerimoniere glielo impedì, obiettando che non era nella tradizione. Papa Giovanni Paolo II, cinquanta giorni dopo, avrebbe invece infranto il cerimoniale e rivolto un saluto alla folla, oltre alla tradizionale benedizione Urbi et Orbi. Fu questo il primo segnale di cambiamento che Luciani, seppur per breve tempo, avrebbe cominciato nella Chiesa.
Si disse che Luciani fu eletto più per "ciò che non era" che per "ciò che era": non era un professionista della Curia che avrebbe potuto assumere un comando autocratico accentrato, nonostante la sua profonda cultura non era un altero intellettuale potenzialmente capace di mettere in difficoltà i porporati, non era nemmeno uno straniero, ciò che per i cardinali italiani era un indubbio valore di continuità.

La scelta del nome
Luciani scelse un doppio nome per la prima volta nella bimillenaria storia della Chiesa, in ossequio ai due pontefici che lo avevano preceduto (papa Giovanni XXIII, che lo aveva nominato vescovo, e papa Paolo VI, che lo aveva fatto cardinale).
All'indomani dell'elezione, Luciani avrebbe confidato al fratello Edoardo che il suo primo pensiero era stato di assumere il nome di Pio XIII ma poi aveva desistito, pensando ai settori della Chiesa che avrebbero strumentalizzato questa scelta[15].
Il nome di Giovanni Paolo I fu il primo nome inedito scelto da un papa dai tempi di papa Lando (morto nel 914). Da allora, per oltre mille anni, tutti i papi scelsero, o comunque utilizzarono, nomi già posseduti da qualche predecessore.
Da non dimenticare che il successore di Luciani, Karol Wojtyla sceglierà il nome di Giovanni Paolo II per non dimenticare il suo predecessore e quindi per tener viva la sua memoria.

Le innovazioni introdotte da Luciani
Fu il primo pontefice a richiedere di poter parlare alla folla dopo l'elezione ma, poiché non era consuetudine, dovette rinunciare: due mesi dopo, invece, Giovanni Paolo II, chiese ed ottenne di poter parlare, rendendo subito omaggio a Luciani prima della benedizione. Fu il primo ad abbandonare il plurale maiestatis, rivolgendosi in prima persona ai fedeli, nonostante zelanti custodi del protocollo prontamente riconvertissero i suoi discorsi per la pubblicazione su L'Osservatore Romano e in altri atti ufficiali.
Il suo ministero iniziò il 3 settembre con una Messa celebrata nella Piazza antistante la Basilica. Per la prima volta nella storia un Papa non sarebbe più stato incoronato: Luciani si impose anche per il cambiamento del nome incoronazione che da allora mutò in solenne cerimonia per l'inizio del ministero petrino. Rifiutò inoltre la tiara, e fu anche il primo pontefice a respingere l'impiego della sedia gestatoria, in seguito ripristinata, per esigenze di visibilità, in occasione delle udienze generali. [16]. Rifiutò anche il trono al momento della Messa, detta di "intronizzazione".
Fu il primo papa a parlare di sé in termini umani: tenendo da un canto i consolidati effetti del dogma che vuole il papa "Vicario di Cristo in terra", non ebbe remore nel presentarsi con il complesso della sua personalità, ammettendo, ad esempio, di essere diventato completamente rosso dalla vergogna quando, ai tempi in cui era ancora patriarca di Venezia, Paolo VI gli aveva messo sulle spalle la stola papale.
Fu inoltre il primo ad ammettere la paura che lo colse quando si rese conto di essere stato eletto papa: "Tempestas magna est super me". Così come non altri prima, espresse umilmente una sensazione d’inadeguatezza al ruolo.

Il suo pensiero, il suo stile
«Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri.»(Preghiera particolare di papa Giovanni Paolo I)

Colto teologo, era considerato per certi versi un conservatore, pubblico difensore dell' Humanae Vitae, che si apprestava a ratificare con una sua enciclica che però mai vide la luce. D'altro canto, però, in una lettera ai suoi diocesiani all'indomani della promulgazione dell'Humanae Vitae, scrisse: «Confesso che […] privatamente avevo sperato che le gravissime difficoltà che esistono sarebbero state superate e che la risposta del Maestro, che parla con uno speciale carisma e nel nome del Signore, avesse coinciso, almeno in parte, con le speranze delle molte coppie sposate dopo che era stata costituita un’apposita Commissione pontificia per esaminare la questione»[17]. Una certa morbidezza nei confronti della questione degli anticoncezionali e della contraccezione, anzi una qualche apertura per l'argomento dopo un convegno delle Nazioni Unite sul tema della sovrappopolazione, furono oggetto di una censura da parte dell'Osservatore Romano, che non pubblicò i commenti papali[18]. Già dai tempi del Concilio Vaticano II (al quale partecipò come membro della commissione allargata sui problemi della famiglia e del controllo delle nascite), infatti, Luciani aveva mostrato idee piuttosto progressiste, parlando di “maternità responsabile” e appoggiando a determinate condizioni l'uso degli anticoncezionali[17].
Giovanni Paolo I, inoltre (come si capisce dal titolo dell'enciclica che avrebbe voluto scrivere: "I poveri e la povertà nel mondo"), si dimostrò molto sensibile al tema della povertà del Sud del mondo, sottolineando l'inutile opulenza del mondo occidentale, senza risparmiare la stessa Chiesa, la quale avrebbe voluto più vicina al suo motto, "humilitas". Parlò anche della questione sociale, dell'importanza di dare "la giusta mercede" ai lavoratori[17].

"Dio è padre e madre"
Durante l'Angelus della settimana successiva, il 10 settembre 1978, Giovanni Paolo I disse:
«Noi siamo oggetto, da parte di Dio, di un amore intramontabile: (Dio) è papà, più ancora è madre»[19].
Questa frase è una citazione di un passo dell'Antico Testamento, nonché semplice interpretazione di alcuni passi del Vangelo[20]. Il concetto fu ribadito più volte anche dal suo successore Giovanni Paolo II, per esempio nell'udienza di mercoledì 20 gennaio 1999 (vedi); sembra diversa invece l'opinione personale di Joseph Ratzinger che, nel suo libro "Gesù di Nazaret" (2007), afferma: "Dio è solo padre".

La morte
Luciani si spense presumibilmente tra le ore 23.00 del 28 settembre 1978 e le ore 5.00 del giorno successivo, nel suo appartamento privato, ufficialmente a causa di un infarto miocardico.
Secondo un comunicato ufficiale del Vaticano[21], poco prima di morire, il Papa era sbiancato in volto, quando aveva saputo del giovane Ivo Zini assassinato a Roma.
Per ore ed ore, il giorno dopo la sua morte, una gran folla di fedeli continuò a sfilare davanti alla sua salma, sotto gli affreschi della sala Clementina, nonostante il brutto tempo.
Nei giorni immediatamente successivi alla morte, venne chiesto invano da una parte della stampa di effettuare l'autopsia sul corpo del papa, respinta però dal collegio cardinalizio in quanto non previsto dal protocollo.
Papa Luciani riposa nelle Grotte Vaticane dal 4 ottobre 1978.

Ipotesi sulla morte
Alcuni mesi dopo iniziarono a serpeggiare alcune ipotesi, alternative a quella ufficiale, su cosa effettivamente fosse accaduto la notte del 28 settembre.
A fare scalpore fu soprattutto la teoria sviluppata dal giornalista investigativo britannico David Yallop sei anni dopo, nel best seller In nome di Dio, in cui l'autore ipotizza un omicidio a sfondo politico ad opera di alcuni cardinali che si opponevano agli interventi di riforma programmati da Papa Luciani (in particolare quella dello I.O.R., allora gestito da Paul Marcinkus[22]) e all'apertura verso la contraccezione[23].
Questa tesi è in parte confermata dal memoriale di Vincenzo Calcara, pentito di Cosa Nostra, secondo il quale l'assassinio scongiurò la rimozione di alcuni cardinali ed alti prelati a capo dello I.O.R. (Istituto Opere Religiose), tra i quali monsignor Paul Marcinkus, a capo della banca e Jean-Marie Villot, segretario di Stato[24], bloccando così l'avvio di una politica di redistribuzione dei beni e degli averi della Chiesa Cattolica Italiana, intrapresa da Giovanni Paolo I con il supporto di alcuni esponenti curiali[25].

La canonizzazione
Il processo di beatificazione

Poco dopo la sua morte da più parti del mondo cattolico vennero le richieste per l'apertura del processo di beatificazione. La richiesta fu formalizzata nel 1990 con la firma di 226 vescovi brasiliani, tra cui quattro cardinali.
Il 26 agosto 2002 il vescovo di Belluno-Feltre Vincenzo Savio, al termine della messa celebrata a Canale d'Agordo in ricordo del XXIV anniversario dell'elezione al soglio pontificio di Albino Luciani, annunciò l'avvio della fase preliminare di raccolta dei documenti e delle testimonianze necessarie per avviare il processo di beatificazione.
L'8 giugno 2003, al termine dell'assemblea sinodale svoltasi in cattedrale a Belluno, il vescovo Savio annunciò che la Congregazione delle Cause dei Santi ha espresso "parere positivo" circa la "possibilità che si proceda, con i passaggi stabiliti, nella causa di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio Giovanni Paolo I" e che "ben volentieri concede che, a livello diocesano, l’indagine circa la vita e le virtù del servo di Dio Giovanni Paolo I, nonché sulla sua fama di santità, si svolga presso la curia diocesana della diocesi di Belluno-Feltre".
Il 23 novembre 2003, alle ore 15, si tenne in cattedrale a Belluno la sessione inaugurale dell'inchiesta diocesana del processo di beatificazione presieduta dal vescovo Savio alla presenza del prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi cardinale José Saraiva Martins.
Il 10 novembre 2006 si tenne in cattedrale a Belluno la sessione di chiusura dell'inchiesta diocesana del processo di beatificazione.
Il 27 giugno 2008 la Congregazione per le Cause dei Santi firmò il decreto di validità sugli atti dell’inchiesta diocesana sulla beatificazione.
Il 30 maggio 2009 si concluse ad Altamura il processo sulla presunta guarigione miracolosa, attribuita all'intercessione del servo di Dio Giovanni Paolo I, di Giuseppe Denora, un fedele pugliese della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti; gli atti furono trasmessi alla Congregazione per le Cause dei Santi in attesa che la consulta medica e la consulta teologica si esprimano in merito.
Il 25 marzo 2010 la Congregazione per le Cause dei Santi ha sancito la validità del processo diocesano sulla guarigione di Giuseppe Denora. Il miracolo deve essere ora investigato nel merito attraverso un supplemento d'indagine condotto dalla consulta medica di laici.

Il Museo e Centro Studi Papa Luciani
Dal 1978 è stato costituito a Canale d'Agordo un museo provvisorio di foto e ricordi appartenuti ad Albino Luciani, ubicato nella canonica dell'arciprete ed aperto nei mesi estivi. L'esposizione, inalterata per circa 30 anni, è stata recentemente rinnovata ed ampliata con l'aggiunta di oggetti di uso personale del Pontefice, finora non visibili al pubblico. Per il museo definitivo bisognerà attendere alcuni anni: l'attuale mostra-museo provvisoria sarà infatti trasferita e sistemata all'interno della vecchia sede municipale ora in disuso. L'inizio dei lavori è previsto per la primavera 2010, la conclusione entro 428 giorni dall'inizio dei lavori; si spera che per il centenario di Albino Luciani (2012) siano portati a termine i lavori del Museo e Centro Studi Papa Luciani.

Via Crucis con Papa Luciani
A Canale d'Agordo suo paese natale, gli è stata dedicata una Via Crucis (inaugurata il 22 agosto 2008) itinerante nel bosco di via Cavallera. Partendo dalla prima stazione in Piazza Papa Luciani davanti alla canonica, si prosegue in direzione del bosco di "Cavallera" per arrivare quasi alla fine del confine di Canale con Caviola, Falcade. La Via Crucis si snoda in un percorso di 2 km e le stazioni sono su grandi massi di roccia bianca su cui sono state posizionate 15 formelle artistiche in bronzo, della "Passione di Cristo", realizzate dell'artista falcadino Franco Murer.

Special televisivi in Italia
Nel 1988 Mixer, storico rotocalco televisivo di Giovanni Minoli in onda su Rai 2, mandò in onda la puntata-inchiesta La strana morte di Papa Luciani, riproposta nel 2006 da un altro programma di Minoli, La storia siamo noi[26]
Nel settembre 2005, in occasione della ricorrenza della scomparsa di papa Luciani, la testata documentaristica La grande storia di RaiTre ha realizzato un film-documento inedito sulla vita ed il pontificato di Giovanni Paolo I, Il Papa del sorriso.

La fiction televisiva
RaiUno ha presentato nelle serate del 23 e 24 ottobre 2006 la fiction Papa Luciani - Il sorriso di Dio, seguita da oltre 10 milioni di telespettatori. Il ruolo di Giovanni Paolo I è interpretato dall'attore Neri Marcorè.
Il film è stato criticato per i ritratti non corrispondenti alla realtà di alcuni personaggi (in particolar modo dei Cardinali del Concilio) e perché sposa, seppur non apertamente, la tesi del complotto, che secondo il film sarebbe emersa già il giorno dopo della morte.
In particolare, il cardinale Tarcisio Bertone[12] ha anche criticato l'etichetta di buonista che è stata affibbiata al protagonista. Albino Luciani era uomo mite, ma estremamente preparato e fermo nelle proprie decisioni: sono assenti, ad esempio, episodi quali la chiusura della FUCI del 1974.
Critiche sono inoltre giunte a causa dell'ambientazione della fiction, che nulla aveva a che vedere con le Dolomiti agordine.
Sue opere [modifica]
▪ Catechetica in briciole, 1949
▪ Illustrissimi, 1977
Antipapi [modifica]
Durante il suo pur breve pontificato, tre persone si dichiararono "il vero papa" (detti papi sedevacantisti):
▪ Gaston Tremblay, alias Antipapa Gregorio XVII (Canada)
▪ Gino Frediani, alias Antipapa Emanuele I (Italia)
▪ Clemente Domínguez y Gómez, alias Antipapa Gregorio XVII (Spagna)

Note
1. ^ H. Jedin, Storia della Chiesa, Jaca Book, Milano 1995, vol. X, p. xxxvii
2. ^ Luigi Bizzarri - Il Papa del Sorriso
3. ^ Giovanni Paolo I, il Papa del Sorriso http://www.papaluciani.com/ita/
4. ^ a b Mario Sgarbossa, Giovanni XXIII - La saggezza del cuore
5. ^ Scheda su catholic-hierarchy.org
6. ^ Ido Da Ros, L'Africa di Albino Luciani e dei missionari vittoriesi, De Bastiani, 1996, pag. 9-10
7. ^ Autori vari, Storia religiosa del Veneto – Diocesi di Vittorio Veneto, Giunta regionale del Veneto – GregorianaLibreriaEditrice.
8. ^ Scheda su catholic-hierarchy.org
9. ^ Scheda del sito diocesano
10. ^ Ido Da Ros, L'Africa di Albino Luciani e dei missionari vittoriesi, De Bastiani, 1996, pag. 13-14, 137-168. Si veda anche Lo scisma di Montaner
11. ^ a b c Intervista a Mons. Tarcisio Bertone, pubblicata su Avvenire il 26 ottobre 2006
12. ^ Don Diego Lorenzi, Maria, Trieste febbraio 1980
13. ^ Orazio La Rocca, Luciani e la profezia de morte. Da Fatima tornò turbato, la Repubblica, 28 settembre 2003
14. ^ Stefania Falasca, La Speranza è aspettare qualcosa di bello dal Signore, articolo pubblicato su 30Giorni, agosto 2002.
15. ^ Il ripristino della sedia gestatoria
16. ^ a b c La strana morte di Papa Luciani: un decesso all'italiana? da "Storia in Network
17. ^ Tra altre dichiarazioni: atti della commissione 4 del "Concilio Ecumenico Vaticano II" in cui Albino Luciani collaborò.
18. ^ ANGELUS, Domenica, 10 settembre 1978
19. ^ Per esempio Vangelo di Matteo 23,37
20. ^ Almanacco di Storia Illustrata n.254 del 1978 - Arnoldo Mondadori editore pag.118
21. ^ I fioretti di Papa Luciani, parte IV, da "Humilitas" - anni 1994 - 1995
22. ^ Articolo su Papa Luciani su "il Cassetto"
23. ^ Lettere e Memoriali di Vincenzo Calcara (parte 5)
24. ^ Lettere e Memoriali di Vincenzo Calcara (parte 2)
26. ^ Puntata di La storia siamo noi sulla morte di Luciani, integrale, dal sito ufficiale

• 1986 - Luigi Serenthà (Monza, 9 agosto 1938 – Milano, 28 settembre 1986) è stato un presbitero e teologo italiano.
Luigi Serenthà fu formato nei seminari milanesi e ordinato sacerdote dal cardinale Giovanni Battista Montini il 28 giugno 1962. In seguito, risiedendo presso il Pontificio seminario lombardo, studiò teologia dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana. Ottenne il dottorato solo molto più tardi quando venne data alle stampe la sua tesi, Servi di tutti. Papa e vescovi a servizio della Chiesa secondo s.Gregorio Magno (Marietti, Torino 1980).
Iniziò ad insegnare in seminario nel 1964, dedicando il suo impegno al rinnovamento dei trattati (in particolare cristologia, teologia trinitaria e antropologia teologica) a partire dalle indicazioni del Concilio Vaticano II: di questa attività resta traccia nella regia del Dizionario teologico interdisciplinare. Fu protagonista della nascita della Facoltà teologica dell'Italia settentrionale, rivestendo il ruolo di pro-segretario (1972-1981) e di direttore di sezione del ciclo istituzionale (1981-1983).
Dal 1967 seguì come assistente spirituale l'Istituto secolare delle Piccole apostole della Carità e le attività de "La nostra famiglia": in questa veste, nel 1979 promosse un convegno di studi su don Luigi Monza, il fondatore delle Piccole apostole.
Nel 1981 il cardinale Carlo Maria Martini, di cui divenne uno dei più stretti collaboratori e ascoltati consiglieri, gli affidò l'incarico di guidare l'Istituto sacerdotale Maria Immacolata (che segue la formazione permanente dei preti del primo quinquennio di ordinazione) e la Scuola vocazioni adulte. Nel 1983 lo nominò rettore maggiore del seminario arcivescovile di Milano. Si fece promotore di una revisione delle linee educative del seminario mediante l'assemblea di tutti gli educatori a Barzio nel 1984.
Morì il 28 settembre 1986 per tumore.

Opere teologiche
▪ Gesù Cristo rivelatore del Padre, Ut unum sint, Roma 1977.
▪ Luigi Serenthà (ed.), Dizionario teologico interdisciplinare, Marietti, Casale M. 1977.
▪ Servi di tutti. Papa e vescovi a servizio della Chiesa secondo s. Gregorio Magno, Marietti, Torino 1980.
▪ Passi verso la fede, ElleDiCi, Leumann 1984.
▪ La storia degli uomini e il Dio della storia, O.R., Milano 1987.

Opere spirituali
▪ Dimorare nella parola, In dialogo, Milano 1982.
▪ Danzare la vita, In dialogo, Milano 1985.
▪ Il regno di Dio è qui. Il discorso della montagna, Ancora, Milano 1988.
▪ Tu sei i miei giorni… Intuizioni e prospettive di pastorale vocazionale, a cura di Walter Magni, Ancora, Milano 1996.
• Luigi Serenthà - Giovanni Moioli - Renato Corti, La direzione spirituale oggi, Ancora, Milano 1988.

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