Il calendario del 27 Settembre
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Eventi
▪ 489 - Odoacre attacca Teodorico nella Battaglia di Verona, e viene sconfitto nuovamente
▪ 1331 - Battaglia di Plowce tra il Regno di Polonia e i Cavalieri Teutonici
▪ 1540 - L'Ordine dei Gesuiti riceve i proprio statuto da Papa Paolo III
▪ 1787 - La Costituzione degli Stati Uniti viene consegnata agli stati per la ratifica
▪ 1821 - Il Messico ottiene l'indipendenza dalla Spagna
▪ 1825 - Apertura della Ferrovia Stockton-Darlington. Prima locomotiva a spingere un treno passeggeri
▪ 1854 - La nave a vapore Arctic affonda con 300 persone a bordo. È il primo grande disastro nell'Oceano Atlantico
▪ 1908 - Viene costruita la prima Ford Modello T
▪ 1915 - La nave da battaglia Italiana Benedetto Brin venne sabotata e affondata nel porto di Brindisi uccidendo oltre 400 marinai
▪ 1922 - Abdicazione di Costantino I di Grecia
▪ 1928 - La Repubblica Cinese viene riconosciuta dagli Stati Uniti
▪ 1938 - Il transatlantico Queen Elizabeth viene varato a Glasgow.
▪ 1939 - Seconda guerra mondiale: la Polonia si arrende alla Germania Nazista e all'Unione Sovietica
▪ 1940 - Il Patto tripartito viene firmato a Berlino da Germania nazista, Impero giapponese e Italia fascista
▪ 1949 - Prima sessione plenaria del Congresso Nazionale del Popolo, viene approvato il disegno della bandiera della Repubblica Popolare Cinese
▪ 1964 - Pubblicato il rapporto della Commissione Warren, che conclude che Lee Harvey Oswald, agendo da solo, assassinò il presidente John F. Kennedy
▪ 1970 - La Giornata Mondiale del Turismo (WTD) è celebrata a livello mondiale ogni 27 settembre, una data che è stata scelta in coincidenza con un importante pietra miliare per il turismo mondiale, l'anniversario dell'adozione dello statuto dell'Organizzazione Mondiale del Turismo il 27 settembre 1970
▪ 1983 - Richard Stallman annuncia la nascita del Progetto GNU e del free software.
▪ 1986 - Alla giovane età di 24 anni, in seguito ad incidente stradale, muore Cliff Burton bassista del gruppo metal Metallica.
▪ 1987 - Nasce il primo partito libero del blocco sovietico, il Forum Democratico Ungherese.
▪ 1996 - In Afghanistan, i Talebani catturano la capitale Kabul, dopo aver scacciato il Presidente Burhanuddin Rabbani ed aver giustiziato Mohammad Najibullamh
▪ 1997 - La Mars Pathfinder termina il suo straordinario compito su Marte. Fu il primo rover sul pianeta
▪ 1998 - Nasce il motore di ricerca Google
▪ 2001 - Viene fondata l'Associazione Attendiamoci O.N.L.U.S.
▪ 2001 - A Zugo, in Svizzera, il killer Friedrich Leibacher fa irruzione nell'aula del Parlamento cantonale uccidendo 14 persone.
▪ 2002 - Timor Est entra nelle Nazioni Unite
▪ 2003 - A Roma, in collaborazione con il comune di Parigi, si tiene la I edizione della Notte Bianca
▪ 2008 - L'astronauta cinese Zhai Zhi Gang, effettua la prima passeggiata spaziale di 15 minuti, nella storia dell'astronautica cinese, le sue parole sono state: "..Saluto i cinesi e la gente di tutto il mondo."
Anniversari
▪ 1456 - Lorenzo da Ripafratta (Ripafratta, 1373 circa – Pistoia, 27 settembre 1456 circa) è stato un religioso italiano, beato, domenicano nel Convento di Santa Caterina a Pisa, (1396), Maestro dei Novizi a Cortona, dove formò spiritualmente Antonino Pierozzi e il Beato Angelico.
È soprannominato Arca del Testamento. Fu vicario generale dell'ordine riformato. Partecipò a un movimento di rinnovamento spirituale degli ordini monastici. Si affiancò al beato Giovanni Dominici per la riforma dell'Ordine dei Frati Predicatori.
Fu beatificato da Pio IX il 4 aprile 1851.
* 1660 - Vincenzo de' Paoli, nome originale Vincent de Paul (Pouy, 24 aprile 1581 – Parigi, 27 settembre 1660), è stato un sacerdote francese, fondatore e ispiratore di numerose congregazioni religiose (Lazzaristi, Figlie della Carità, Società San Vincenzo de' Paoli). È stato proclamato santo nel 1737 da papa Clemente XII.
Nato da un'umile famiglia contadina a Pouy, un borgo contadino presso Dax, grazie ad un ricco avvocato della zona riuscì a studiare teologia a Tolosa e venne ordinato sacerdote il 23 settembre 1600. Nel 1605, mentre viaggiava su una nave da Marsiglia a Narbona, venne catturato dai pirati turchi e venduto come schiavo a Tunisi: venne liberato due anni dopo dal padrone, che era riuscito a convertire al Cristianesimo.
Entrò poi nella corte francese come cappellano ed elemosiniere di Margherita di Valois; fu successivamente curato a Clichy, dove mise da parte le preoccupazioni materiali e di carriera e si dedicò intensamente all'insegnamento del catechismo e soprattutto all'aiuto degli infermi e dei poveri; fondamentale per la sua maturazione spirituale fu l'incontro con il grande Francesco di Sales.
Nel 1613 entrò come precettore al servizio dei marchesi di Gondi; il marchese era governatore generale delle galere. Grazie al sostegno economico dei suoi protettori, Vincenzo de' Paoli riuscì a moltiplicare le iniziative caritatevoli a favore dei diseredati e dei bambini abbandonati. Su richiesta della marchesa, che intendeva migliorare le condizioni spirituali dei contadini dei suoi possedimenti, nel 1625 formò un gruppo di preti specializzati nell'apostolato rurale; questo fu il primo nucleo della Congregazione della Missione, i cui membri vennero poi detti Lazzaristi.
Nel 1633, con l'assistenza di Luisa di Marillac, riorganizzò le confraternite assistenziali fino ad allora fondate nella Compagnia delle Figlie della Carità. Le sue opere di carità e assistenza divennero tanto celebri che Luigi XIII di Francia lo scelse come suo consigliere: si allontanò dalla corte per divergenze con il cardinale Mazzarino e continuò a dedicarsi all'assistenza ai poveri anche durante la lotta della Fronda. Morì nel 1660.
La sua opera ispirò Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza.
Il culto
Papa Benedetto XIII lo ha proclamato beato il 21 agosto 1729; mentre è stato canonizzato il 16 giugno 1737 da papa Clemente XII.
Fino al 1969, la memoria liturgica di san Vincenzo de' Paoli era celebrata il 19 luglio, ma papa Paolo VI ne ha spostato la festa al 27 settembre.
* 1917 - Edgar Hilaire Degas, il cui vero cognome era De Gas (Parigi, 19 luglio 1834 – Parigi, 27 settembre 1917), è stato un pittore e scultore francese.
La maggior parte delle opere di Degas possono essere ascritte al grande movimento dell'Impressionismo, nato in Francia verso la fine del diciannovesimo secolo in reazione alla pittura accademica dell'epoca. Gli artisti che ne facevano parte come Claude Monet, Paul Cézanne, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley, Mary Cassatt, Berthe Morisot, Camille Pissarro, stanchi di essere regolarmente rifiutati al Salone Ufficiale si erano riuniti in una società anonima per mostrare la loro arte al pubblico. In genere le caratteristiche principali dell'arte impressionista sono il nuovo uso della luce e i soggetti all'aperto. Queste caratteristiche non sono sempre applicabili a Degas: anche se lui fu uno dei principali animatori delle mostre impressioniste, non trova un giusto posto nel movimento che asseriva la libertà di dipingere. Ai dipinti all'aperto egli preferiva «ciò che non si vede più nella memoria». Dirà un giorno a Pissarro: «Voi avete bisogno di una vita naturale; io di una fittizia.»
Anche se Degas fece parte ufficialmente degli impressionisti, non era però a loro unito per i tratti distintivi della pittura. La sua situazione d'eccezionalità non sfuggì ai critici di allora: anche se il suo modernismo imbarazzante veniva messo in evidenza, fu il meno controverso degli artisti francesi dell'epoca.
▪ 1956 - Piero Calamandrei (Firenze, 21 aprile 1889 – Firenze, 27 settembre 1956) è stato un giornalista, giurista, politico e docente universitario italiano.
«[...] morti e vivi collo stesso impegno / popolo serrato intorno al monumento / che si chiama / ora e sempre / RESISTENZA.» (Piero Calamandrei, Lapide ad ignominia)
Primi anni
Dopo essersi laureato in Giurisprudenza all'Università di Pisa nel 1912 partecipò a vari concorsi e nel 1915 fu nominato professore di procedura civile all'Università di Messina. Successivamente (1918) fu chiamato all'Università di Modena e Reggio Emilia per poi passare due anni dopo a quella di Siena ed infine, nel 1924, scelse di passare alla nuova facoltà giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile.
Prese parte alla Prima guerra mondiale come ufficiale volontario combattente nel 218º reggimento di fanteria; ne uscì col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello, ma preferì uscire subito dall'esercito per continuare la sua carriera accademica.
Lo studioso
Della sua vasta produzione giuridica, è da ricordare soprattutto l'Introduzione allo studio delle misure cautelari del 1936, una trattazione all'avanguardia, che farà compiere un vero e proprio balzo in avanti alla scienza processuale italiana. Gli spunti di questo lavoro sono interamente confluiti nel libro quarto del codice di procedura civile del 1942, e segnatamente nel capo terzo (articoli da 670 a 702 del vecchio testo). La giurisprudenza e le novelle successive all'entrata in vigore del codice ricalcheranno fedelmente il percorso tracciato da Calamandrei.
Sotto il fascismo
Politicamente schierato a sinistra, subito dopo la marcia su Roma e la vittoria del fascismo fece parte del consiglio direttivo dell'Unione Nazionale fondata da Giovanni Amendola. Partecipò, insieme con Dino Vannucci, Ernesto Rossi, Carlo Rosselli e Nello Rosselli alla direzione di "Italia Libera", un gruppo clandestino di ispirazione azionista.
Manifestò sempre la sua avversione alla dittatura mussoliniana, aderendo nel 1925 al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Durante il ventennio fascista fu uno dei pochissimi professori e avvocati che non ebbe né chiese la tessera del Partito Nazionale Fascista [1] continuando sempre a far parte del movimento antagonista, collaborando ad esempio con la testata Non Mollare. Nonostante ciò, nel 1931 giurò come professore universitario fedeltà al regime fascista e divenne collaboratore di Dino Grandi nella redazione del codice di procedura civile (del quale scrisse anche la relazione ministeriale di accompagnamento[2]).
Contrario all'ingresso dell'Italia nella Seconda guerra mondiale a fianco della Germania, nel 1941 aderí al movimento Giustizia e Libertà [senza fonte] ed un anno dopo fu tra i fondatori del Partito d'Azione [senza fonte] insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa ed altri. In questo periodo (1939-1945) tenne un diario, pubblicato nel 1982.
I rapporti tra Calamandrei e il fascismo sono stati, negli ultimi anni, oggetto di un acceso dibattito tra gli studiosi del diritto processuale civile. In particolare autori come Franco Cipriani, da un lato hanno contestato l'effettiva adesione di Calamandrei a Giustizia e Libertà ed al Partito d'Azione[3], dall'altro hanno evidenziato la stretta collaborazione del maestro fiorentino con Dino Grandi nella redazione del codice di procedura civile (v. "infra"). Secondo tale orientamento Calamandrei, pur restando sempre antifascista, tenne - ad onor del vero al pari di quasi tutti gli intellettuali italiani - una condotta relativamente ambigua, dal momento che si trovò a diventare uno dei più stretti collaboratori di Grandi nella redazione di un codice "fascista", ed arrivando a predisporre il testo della stessa Relazione ministeriale, firmata poi dallo stesso Guardasigilli[4]. Secondo altra dottrina i rapporti tra Calamandrei e il fascismo, ed in particolare tra Calamandrei e Grandi (ed il conseguente apporto del giurista alla redazione del codice di rito), andrebbero letti come un tentativo di - per così dire - "limitare il più possibile i danni"; evitare, cioè, che la legislazione italiana (e quel che più conta l'imminente codice processuale) imboccasse una deriva nazionalsocialista[5]. In ogni caso, va registrato il fatto che il regime lo sorvegliò come antifascista sin dal 1931[6]
Il codice di procedura civile
Fu, insieme a Francesco Carnelutti, a Enrico Redenti, a Tito Carnacini e al magistrato Leopoldo Conforti, uno dei redattori del codice di procedura civile del 1942, in parte ancora in vigore, dove, secondo una teoria classica, avrebbero trovato formulazione legislativa gli insegnamenti fondamentali della scuola di Chiovenda. A riprova di questa teoria, Alessandro Galante Garrone (Calamandrei, Garzanti 1987) sostiene che la relazione del Guardasigilli al Re, scritta in uno stile inconfondibilmente scorrevole e piano, è opera dello stesso Calamandrei. E immediatamente dopo l'entrata in vigore del codice, Conforti in alcuni scritti giuridici e lo stesso Grandi nel suo epistolario con Calamandrei affermarono in maniera esplicita di essersi richiamati all'insegnamento di Chiovenda.
Secondo rielaborazioni più recenti (vedi a proposito Piero Calamandrei e la procedura civile, miti leggende interpretazione documenti di Franco Cipriani, Edizioni Scientifiche Italiane 2007), il codice di procedura civile non aveva nulla di Chiovendiano (Calamandrei sarebbe stato addirittura avversario di Giuseppe Chiovenda), poiché era un codice autoritario, tipico frutto di un regime liberticida; autoritario soprattutto per quanto riguarda l'autorità del giudice, concetto dietro cui si nascondeva il forte autoritarismo e l'inquisitorietà della figura del magistrato istruttore nella conduzione del processo (in particolare in fatto di ammissione delle prove), che riprendeva con pochissime modifiche la bozza Solmi del 1939. Se da guardasigilli lo storico del diritto Arrigo Solmi aveva portato avanti i lavori sul codice di procedura civile senza l'ausilio della dottrina (che rispose in maniera molto critica alle opzioni autoritarie insite in quella bozza, ad esempio lo stesso Calamadrei fu molto critico rispetto ad essa, ma solo sul piano tecnico, sapendo di non poter contrastare il fascismo sul piano dei principi), Grandi, che gli succedette nel 1939 e fine politico, si avvalse principalmente dell'apporto di Carnelutti e Calamandrei, che insieme a Redenti (che aveva collaborato con Solmi) erano gli esponenti più autorevoli della scienza processualcivilistica del tempo. Sempre secondo Cipriani, Calamandrei sarebbe stato l'unico ad accettare di buon grado la collaborazione, probabilmente pensando che fosse l'unico modo per influire sulla bozza del codice ed arginare le tendenze autoritarie che Grandi, avendo l'obiettivo di rielaborare con poche modifiche la bozza Solmi, stava imprimendo alla riforma. Calamandrei tentò di sabotare l'operazione con sottili proposte tese a neutralizzare l'autoritarismo del codice, ma con risultati marginali. A quel punto, provò a creare una base ideologica per il codice nella relazione al Re, puntando sui principi di Chiovenda (quest'ultimo, evento unico, è citato ben sette volte nella relazione al re, mentre sono spariti i riferimenti a Lodovico Mortara, probabilmente espunti dallo stesso Grandi), in verità del tutto assenti nel codice, o inserendo idee che in realtà non erano state accolte nel nuovo testo.
La tesi secondo la quale il codice di procedura civile del 1942 sarebbe stato un codice "chiovendiano" riuscì a influenzare tutta la dottrina successiva, fino ai giorni nostri. Tant'è che la "novella" con cui nel 1950 il codice fu allineato su principi del testo previgente fu accolta dai processualisti vicini a Calamandrei come una vera e propria "controriforma".
Calamandrei partecipò anche ai lavori preparatori per il nuovo codice civile e per la legge sull'ordinamento giudiziario. Si dimise da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al duce che gli venne chiesta dal Rettore del tempo.
La partecipazione alla Resistenza
Nominato Rettore dell'Università di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicché esercitò effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioè dalla liberazione di Firenze, fino all'ottobre 1947.
Ultimi anni
Nel 1945 fu nominato membro della Consulta Nazionale e dell'Assemblea Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipò attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione italiana. I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sui Patti lateranensi, sulla indissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario.
Quando il Partito d'Azione si sciolse, entrò a far parte del Partito Socialdemocratico Italiano, con cui fu eletto deputato nel 1948. Contrario alla «legge truffa» votata anche con l'appoggio del suo partito, fondò dapprima il movimento politico Autonomia Socialista, e nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di Unità popolare con il vecchio amico Ferruccio Parri, che, nonostante l'esiguo risultato ottenuto, fu decisivo affinché la Democrazia Cristiana e i partiti suoi alleati non raggiungessero la percentuale di voti richiesta dalla nuova legge per far scattare il premio di maggioranza.
Avvocato di fama, fu presidente del Consiglio Nazionale Forense dal 1946 alla morte. Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Università di Firenze, fu direttore della Rivista di diritto processuale, de Il Foro toscano e del Commentario sistematico della Costituzione italiana. Non erano queste le sue prime esperienza giornalistiche: nell'aprile del 1945 aveva infatti fondato il settimanale politico-letterario Il Ponte. Memorabile il suo "Elogio dei giudici scritto da un avvocato" in cui condensa l'esperienza professionale e accademica di 40 anni di attività. Collaborò inoltre con la rivista Belfagor.
Il suo discorso al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma, 11 febbraio 1950, in difesa della scuola pubblica, e in particolare la parte «Facciamo l'ipotesi»,[7] è stato spesso citato nel 2008 contro le politiche in materia d'istruzione del governo Berlusconi e del ministro Mariastella Gelmini.[8] Il discorso è stato ripreso anche da Tullio De Mauro, in un suo articolo.[9]
Il 26 gennaio 1955 tenne a Milano un famoso discorso presso la Società Umanitaria di Milano, rivolto ad alcuni studenti universitari e delle scuole medie superiori che avevano autonomamente organizzato un ciclo di conferenze sulla Costituzione italiana nonostante la contrarietà delle loro scuole e anche la contestazione fisica di altri studenti organizzati dalla destra[10][11] sui principi della Costituzione Italiana e della Libertà. Nel febbraio del 1956, il pacifista Danilo Dolci organizza a Trappeto lo "sciopero alla rovescia" per opporsi pacificamente alla cronica mancanza di lavoro per i braccianti siciliani del tempo, organizzando la sistemazione di una strada comunale abbandonata all'incuria. Durante i lavori di sterramento ed assestamento la manifestazione viene repressa da una carica della polizia. Dolci viene arrestato e sarà Calamandrei che ne prenderà le difese in un seguitissimo processo. In accordo con Dolci, Calamandrei incanalò il processo in un dibattito sul quarto articolo della Costituzione. Nella sua arringa dichiarò: "Aiutateci, signori giudici, colla vostra sentenza, aiutate i morti che si sono sacrificati e aiutate i vivi a difendere questa Costituzione, che vuole dare a tutti i cittadini del nostro Paese pari giustizia e pari dignità".
Albert Kesselring, che durante il secondo conflitto mondiale fu il comandante delle forze armate germaniche in Italia, a fine conflitto (1947) fu processato e condannato a morte per i numerosi eccidi che l'esercito nazista aveva commesso ai suoi ordini (Fosse Ardeatine, Strage di Marzabotto e molte altre). Successivamente la condanna fu tramutata in ergastolo, ma egli venne rilasciato nel 1952 per le sue presunte gravi condizioni di salute. Tale gravità fu smentita dal fatto che Kesselring visse altri otto anni libero nel suo Paese, ove divenne quasi oggetto di culto negli ambienti neonazisti della Baviera.
Tornato libero, Kesselring sostenne di non essere affatto pentito di ciò che aveva fatto durante i 18 mesi nei quali tenne il comando in Italia ed anzi dichiarò che gli italiani, per il bene che secondo lui aveva loro fatto, avrebbero dovuto erigergli un monumento. In risposta a queste affermazioni Piero Calamandrei scrisse la celebre epigrafe, dedicata a Duccio Galimberti, "Lo avrai, camerata Kesselring...", il cui testo venne posto sotto una lapide ad ignominia di Kesselring stesso, deposta dal comune di Cuneo, e poi affissa anche a Montepulciano, in località Sant'Agnese, a Sant'Anna di Stazzema, ad Aosta e all'ingresso delle cascate delle Marmore.
"Lo avrai, camerata Kesselring..."
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
Opere principali
▪ Scritti ed inediti celliniani, Firenze, La Nuova Italia, 1971.
▪ La burla di primavera con altre fiabe, Palermo, Sellerio, 1987.
▪ In difesa dell'onestà e della libertà della scuola, Palermo, Sellerio, 1994.
▪ Diario (1939-1945). Vol.1: 1939-1941, Firenze, La Nuova Italia, 1997.
▪ Elogio dei giudici, scritto da un avvocato, Firenze, ponte alla grazie, 1999.
▪ La Costituzione e leggi per attuarla, Milano, Giuffré, 2000.
▪ Inventario della casa di campagna, Roma, Tumminelli, 1945.
▪ Costruire la democrazia. Premesse alla Costituente, Montepulciano (SI), Le Balze, 2004.
▪ Futuro prossimo. Testi inediti 1950, Montepulciano (SI), Le Balze, 2004.
▪ Costituzione e le leggi di Antigone, Firenze, Sansoni, 2004.
▪ Ada con gli occhi stellanti - lettere 1908-1914, Palermo, Sellerio 2005.
▪ Uomini e città della resistenza, Roma-Bari, Laterza 2006.
▪ Zona di guerra - Lettere e scritti, (1915-1924), Roma- Bari, Laterza 2007.
▪ Una famiglia in guerra - Lettere e scritti (1939-1956), con Franco Calamandrei, Roma-Bari, Laterza, 2008.
▪ Fede nel diritto, Roma-Bari, Laterza, 2008.
▪ Per la scuola, Palermo, Sellerio, 2008.
Note
1. ^ Dell'intero Ordine degli avvocati di Firenze, solo tre iscritti non chiesero la tessera del partito fascista: oltre allo stesso Calamandrei, Adone Zoli e Ugo Feri
2. ^ Cfr. Cipriani, Il codice di procedura civile tra gerarchi e processualisti, Napoli, 1992, p. 7 ss.
3. ^ Cipriani, La consulenza tecnica e i doni natalizi di Piero Calamandrei, in Il giusto processo civile, 2009, p. 143 ss.; Id., Il codice di procedura civile tra gerarchi e e processualisti, op. loc. cit.; Id., Piero Calamandrei e la procedura civile. Miti leggende interpretazioni documenti, Napoli, 2009
4. ^ Cipriani, La consulenza tecnica e i doni natalizi di Piero Calamandrei, op. loc. cit..; Id., il codice di procedura civile tra gerarchi e e processualisti, cit., ibidem; Id., Piero Calamandrei e la procedura civile.cit., ibidem; sui rapporti tra Calamandrei e Grandi v. anche Picardi, Il bicentenario del codice di procedura civile in Italia, in Il giusto processo civile, 2008, p. 954
5. ^ Cianferotti, Ufficio del giurista nello Stato autoritario ed ermeneutica della reticenza. Mario Bracci e Piero Calamandrei dalle giurisdizioni di equità della grande guerra al codice di procedura civile del 1940, in Quaderni fiorentini, 37. 3008, p. 284 ss.
6. ^ Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, b. 938
7. ^ Vedi.
8. ^ Cfr. il manifesto, 24 ottobre 2008; Piergiorgio Odifreddi, Così la scuola diventa un affare privato, L'espresso, anno LIV, n. 44, 6 novembre 2008.
9. ^ Scuola pubblica addio: la storia si ripete 60 anni dopo, l'Unità, 3 dicembre 2008.
10. ^ Testo del discorso.
11. ^ Audio del discorso.
▪ 1957 - Leo Longanesi (Bagnacavallo, 30 agosto 1905 – Milano, 27 settembre 1957) è stato un giornalista, editore, disegnatore, elzevirista e umorista italiano.
«Non è la libertà che manca in Italia. Mancano gli uomini liberi.»
«Tutto quello che non so, l'ho imparato a scuola»
Il padre Paolo proveniva da una famiglia di agiati coltivatori. La madre Angela era discendente dei Marangoni, ricchi proprietari terrieri.
Nel 1911, quando Leo ha sei anni, la famiglia si trasferisce a Bologna. Dopo il liceo frequenta l'Università (si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza). Nel contempo avvia le prime collaborazioni giornalistiche. Fonda alcuni periodici: È permesso…?, Il Toro, Il Dominio, dove rivela le sue doti intellettuali e tecniche.
Nel 1925, a soli vent'anni, ottiene la sua prima direzione, del giornale L'Assalto, organo della federazione fascista di Bologna. Estromesso l'anno seguente a causa di un articolo contro il senatore Giuseppe Tanari (finanziatore dello squadrismo bolognese), fonda un suo giornale (14 gennaio 1926), L'Italiano, settimanale artistico-letterario con cui il suo nome si diffonde tra l'Italia colta. Nato in un momento di intenso dibattito circa il rapporto tra arte e regime fascista, si caratterizzava per una presa di posizione nettamente contraria all'esistenza di un'arte fascista. Secondo il parere di Eugenio Montale L'italiano riportava quanto di meglio e di più audace la fronda fascista poté esprimere in quegli anni[senza fonte]. Vi collaboravano, tra gli altri, Vincenzo Cardarelli, Giovanni Comisso e Mino Maccari. Longanesi e L'Italiano parteggiano per il movimento "Strapaese", a carattere tradizionalista e antiesterofilo, convinto difensore della genuinità paesana. Il movimento rivale è "Stracittà" che invece propugna l'inarrestabile progresso verso la moderna civiltà.
Lasciata l'Università, Longanesi si trasferì a Roma, dove inizialmente collaborò con la rivista Cinema di Vittorio Mussolini. Tramite Cardarelli divenne amico del pittore Armando Spadini e ne sposò la figlia Maria. Dall'unione nacquero tre figli.
Nel 1933 chiese a Mussolini il permesso di pubblicare un settimanale. L'autorizzazione gli viene accordata nel '35. Due anni dopo nasce Omnibus, primo settimanale stampato a rotocalco, considerato il capostipite dei settimanali d'informazione italiani. I temi trattati erano la politica e la letteratura. Edito da Angelo Rizzoli, il periodico ottenne un immediato successo. Ma per la spregiudicatezza del suo fondatore, venne sospeso dalla censura nel 1939.
Notevole, anche se frammentaria, la produzione di disegnatore e illustratore culminata con la partecipazione di Longanesi alla XIX Biennale di Venezia del 1934 e la sua personale presso la Galleria Barbaroux di Milano nel '41. A Milano nel Palazzo Reale (24 ottobre 1996 - 12 gennaio 1997) è stata organizzata in suo onore la grande mostra commemorativa "Leo Longanesi. Editore, scrittore, artista 1905-1957" [1]. Nel 2005, per il centenario della nascita, le Poste italiane hanno emesso un francobollo commemorativo con la sua effigie.
Dopo l’8 settembre 1943 Longanesi non rimase per molto a Roma. Agli inizi del 1944 si recò a Napoli, insieme a Mario Soldati. Ben presto affiorò però la sua scontentezza verso il nuovo clima. Cosicché fece ritorno nella capitale.
Alla fine dell'anno 1945 Longanesi si trasferì a Milano, dove proseguì il resto della sua carriera. Chiamato dall'allettante offerta dell'industriale Giovanni Monti, fondò la casa editrice Longanesi. Il bollettino delle novità editoriali della sua casa editrice, uscito dal 1945 al 1950, si chiamava Il Libraio.
Longanesi aveva forti riserve sulla democrazia che aveva sostituito il fascismo e nel 1949 inventò Il Borghese, rivista culturale che si occupava soprattutto del costume dell'Italia intellettuale. Etichettato come "nostalgico", "passatista", in realtà Longanesi, con Il Borghese inseguiva il suo progetto di sempre: utilizzare la stampa per descrivere vizi e virtù degli italiani.
Il 27 settembre 1957, nel suo ufficio a Milano, fu colto da un infarto cardiaco. Prima di perdere conoscenza, ebbe appena il tempo di mormorare «Ecco, proprio come avevo sempre sperato: alla svelta, e fra i miei aggeggi». Trasportato in clinica, poco dopo morì.
"C'è una sola grande moda: la giovinezza!" aforisma scritto in questo periodo da Leo che nasconde un significato profondo ovvero: la moda è sottoposta a continui mutamenti però ce n'è una che non cambia mai ovvero quella di desiderare la giovinezza! Egli crea un paradosso e lascia al lettore la libera interpretazione. [2]
Riviste fondate
▪ È permesso…? (mensile),
▪ Il Toro (mensile),
▪ Dominio (mensile),
▪ L'italiano
▪ Omnibus (il primo e, tra il 1937 e il 1939, l'unico vero rotocalco settimanale italiano),
▪ Il Libraio (1946-1949)
▪ Il Borghese (1950, fino alla morte nel 1957).
Riviste dirette
▪ Index rerum virorunque prohibitorum,
▪ Il Selvaggio,
▪ Storia,
▪ una collana della Rizzoli editore, «Il Sofà delle Muse».
Opere
▪ Vade-mecum del perfetto fascista seguito da dieci assiomi per il milite ovvero Avvisi ideali, Firenze, Vallecchi, 1926.
▪ "Cinque anni di rivoluzione", L'Italiano editore, Bologna 1927
▪ "L'Almanacco di Strapaese" (in collaborazione con Mino Maccari e altri), L'Italiano editore, Bologna 1928
▪ "Vecchio Sport" (Estratto). Dalla Nuova Antologia, Roma 1935
▪ "Piccolo dizionario borghese" con Vitaliano Brancati in L'Italiano, Roma 1941
▪ Parliamo dell'elefante. Frammenti di un diario, Milano, Longanesi, 1947.
▪ In piedi e seduti (1919-1943), Milano, Longanesi, 1948.
▪ Il mondo cambia. Storia di cinquant'anni, Milano, Rizzoli, 1949.
▪ Una vita. Romanzo, Milano, Longanesi, 1949.
▪ Il destino ha cambiato cavallo, Milano, Longanesi, 1951.
▪ Un morto fra noi, Milano, Longanesi, 1952.
▪ Ci salveranno le vecchie zie?, Milano, Longanesi, 1953.
▪ Lettera alla figlia del tipografo, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1957.
▪ La sua Signora. Taccuino, Milano, Rizzoli, 1957.
▪ Me ne vado. Ottantun incisioni in legno, Milano, Longanesi, 1957.
▪ Il meglio, Milano, Longanesi, 1958.
▪ L'italiano in guerra, 1915-1918, Milano, Longanesi, 1965.
▪ I Borghesi Stanchi, prefazione di Indro Montanelli, Milano, Rusconi, 1973.
Numerosi di questi volumi sono stati riediti, specie nel 2005-2006.
Note
1. ^ A cura di Giuseppe Appella, Paolo Longanesi e Marco Vallora, altresì curatori dell'omonimo catalogo (Longanesi, Milano 1996).
2. ^ Cfr. Indro Montanelli, I protagonisti, Rizzoli Editori, Milano 1976, p.227.
Bibliografia
▪ Indro Montanelli, Marcello Staglieno: Leo Longanesi, Milano, Rizzoli, 1984
▪ Marcello Staglieno: La stampa satirica e Longanesi, in AA.VV., La satira in Italia, Comune di Pescara,2002
* 1983 - Dino Torreggiani (Villa Masone, 8 settembre 1905 – Palencia, 27 settembre 1983) è stato un presbitero italiano, della Chiesa cattolica.
Ordinato sacerdote della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, vi svolse attivamente apostolato tra i giovani negli anni trenta e quaranta, tra i suoi allievi-collaboratori nell'oratorio di San Rocco a Reggio Emilia, troviamo un giovanissimo Giuseppe Dossetti, il quale passava molto del suo tempo libero, nell'oratorio San Rocco, dove Dino Toreggiani operava. Altro giovane cresciuto alla scuola di don Torreggiani è Mario Simonazzi il comandante partigiano Azor. Don Dino Torregiani è un prete fuori dell'ordinario per il suo tempo, frequenta le carceri e i nomadi.[1]
L'oratorio di San Rocco
Presente a Reggio Emilia, una città in cui la presenza cattolica è minoritaria, viene sostenuto, animato da don Dino Torreggiani, passa dai 509 iscritti del 1930 ai 1202 del 1934, si occupa di studenti, soldati e operai, viene aperto un cinematografo. Don Torreggiani in quegli anni non può essere definito un antifascista, ma fece in modo che l'esperienza dell'oratorio fosse comunque "altro" rispetto al regime nel quale veniva comunque sviluppandosi sempre più una ideologia totalitaria[2].
Gli zingari
Sempre negli anni trenta don Dino Torregiani, inizia a preoccuparsi e occuparsi degli zingari, si fa promotore verso l'amministrazione di una iniziativa che dia una residenza stabile ai sinti che lavorano come saltinbanchi e giostrai, presso i Servi della Chiesa istituto secolare da lui fondato e riconosciuto quale Istituto di Diritto Diocesano dal vescovo Mons. Beniamino Socche. Impegno proseguito successivamente da don Alberto Altana e don Daniele Simonazzi e spiega le ragioni di un legame che accomuna Reggio Emilia e i nomadi[3]. Inizia così la pastorale dei nomadi e circensi l'OASMI, Opera Assistenza Spirituale Nomadi in Italia, da cui nasce la Fondazione Migrantes, collegata all CEI.
Rapporti con i Neocatecumenali
Nei primi anni 60 sarà lui ad invitare prima a Roma e poi a Reggio Emilia Kiko Argüello, fondatore Cammino Neocatecumenale.
Ha passato un lungo periodo della sua vita in Spagna (dove vi è morto nel 1983).
Culto
Il 5 novembre 2004 il vescovo Adriano Caprioli ha aperto il processo di beatificazione.
Note
1. ^ Giuseppe Dossetti: un itinerario spirituale, p. pag 23. Google Book. URL consultato il 11-02-2009.
2. ^ Loccidentale - visto 11 febbraio 2009
3. ^ «I nomadi a Reggio? Una storia lunga 70 anni». Gazzetta di Modena. URL consultato il 11-02-2009.
▪ 1984
- Nicolò Carosio (Palermo, 15 marzo 1907 – Milano, 27 settembre 1984) è stato un giornalista e cronista radiotelevisivo italiano, per oltre trent'anni voce delle cronache della Nazionale italiana di calcio.
Inaugurò per la EIAR le radiocronache del campionato del mondo 1934 di calcio, che l'Italia padrona di casa vinse; a seguire, fu la voce della Nazionale di calcio alle Olimpiadi di Berlino nel 1936 e al campionato del mondo 1938 in Francia.
In televisione nel 1954, anno dell'inizio ufficiale delle trasmissioni, divenne famoso per il suo «quasi goal» che corredava un'azione da gioco conclusa di poco fuori dallo specchio della porta.
Fu la voce anche al campionato del mondo 1966 in Inghilterra, poi, dopo la parentesi di Nando Martellini che seguì l'Italia vittoriosa al campionato d'Europa 1968 (Carosio commentò la prima finale, Martellini la seconda), riprese il microfono in occasione del campionato del mondo 1970 in Messico.
- Ubaldo Lay, nome d'arte di Ubaldo Bussa (Roma, 14 aprile 1917 – Roma, 27 settembre 1984), è stato un attore italiano.
Dopo gli esordi negli spettacoli del GUF (il primo dei quali fu Una bella domenica di settembre di Ugo Betti, per la regia di Riccardo Mantoni) si iscrisse, grazie all'interessamento di Silvio D'Amico, all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, ma dovette interrompere gli studi con l'arrivo della Seconda guerra mondiale, quando fu chiamato alle armi come ufficiale di fanteria e costretto a partire per il fronte in Jugoslavia.
Dopo l'8 settembre 1943 approdò con l'amico Alberto Ciambricco a Bari, dove prestò la propria voce alle trasmissioni radiofoniche della stazione controllata dagli alleati. Nel 1946, dopo la laurea in legge, debutttò al Teatro Quirino di Roma nella rivista musicale Niente abbasso, solo evviva con Cimara, Proclemer, Bonucci e Caprioli, entrando poi nella compagnia Merlini-Scelzo.
Tornò alla radio nel 1945, quando fu chiamato da Guglielmo Morandi a far parte della Compagnia di prosa di Radio Roma: nel giro di otto anni partecipò a 2000 trasmissioni, da Non ti conosco più di De Benedetti (1947) ai Racconti dell'incubo di Poe (1953), passando per Il ritratto di Dorian Gray di Wilde (1949) e Questo piccolo mondo di Coward (1949, regia di Benedetto).
Dotato di una voce inconfondibile, lavorò anche alla radio italiana di New York (1950-51). Dopo aver lavorato nel cinema in ruoli secondari in film come Totò sceicco di Mario Mattoli (1950) ed Un giorno in pretura di Steno (1953), debuttò in televisione con Dopo cena di Whotsley (1954, la prima commedia della TV italiana), insieme a Marisa Mantovani. Partecipò, inoltre, nel 1956, allo sceneggiato L'alfiere, tratto dal romanzo di Carlo Alianello, e nel 1957 interpretò il ruolo di Mason in Jane Eyre, rivisitazione televisiva del celeberrimo romanzo di Charlotte Brontë.
Nel 1959 conquistò il pubblico con le vicende del tenente Sheridan in Giallo club. Invito al poliziesco, di cui sono state prodotte fino al 1961 tre serie. A metà tra il quiz e lo sceneggiato "giallo" di ambientazione americana, il programma riusciva a tenere milioni di italiani incollati davanti al teleschermo. Avvolto in un impermeabile bianco, Ubaldo Lay perdeva la sua identità reale per acquistarne una televisiva; scambiato per un poliziotto vero, veniva fermato per la strada, nei negozi, all'aeroporto per risolvere piccoli gialli nostrani.
Nel 1963 comparve nella trasposizione televisiva di Delitto e castigo e nel 1965 in David Copperfield. Continuò a vestire i panni del tenente Sheridan fino al 1972, quando, nell'ultima puntata della Donna di picche, venne colpito da una pallottola (fatto che, nella finzione scenica, voleva simboleggiare l'epilogo della serie).
Dopo i successi televisivi, è tornato alla radio sporadicamente, in Alessandro Magno (1973) e La luna nel pozzo di e con Michele Mirabella (1979). È riapparso in video, dopo dodici anni di "convalescenza", come tenente ormai in pensione nella miniserie Indagine sui sentimenti (1984), sua ultima apparizione televisiva.
Fu attivo anche nel doppiaggio, soprattutto all'interno della Compagnia ODI di Carlo D'Angelo.
* 1988 - Giorgio Candeloro (Bologna, 1909 – Roma, 27 settembre 1988) è stato uno storico italiano.
Ha retto la cattedra di storia del Risorgimento presso le università di Pisa e Catania.
È autore della monumentale Storia dell'italia moderna in undici volumi, il cui completamento durò trent'anni, Candeloro è uno storico di ispirazione gramsciana.
Dopo l'8 settembre 1943, ha preso parte alla Resistenza italiana contro il nazifascismo.
Opere
▪ Il movimento cattolico in Italia, Roma, Edizioni Rinascita 1953
▪ Storia dell'Italia moderna, Milano, Feltrinelli 1956-1986
▪ Le origini del Risorgimento (1700-1815), (ISBN 8807807963)
▪ Dalla Restaurazione alla Rivoluzione nazionale (1815-1846), (ISBN 8807807971)
▪ La Rivoluzione nazionale (1846-1849), (ISBN 880780798X)
▪ Dalla Rivoluzione nazionale all'unità (1849-1860), (ISBN 8807807998)
▪ La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), (ISBN 8807808005)
▪ Lo sviluppo del capitalismo e del movimento operaio (1871-1896), (ISBN 8807808013)
▪ La crisi di fine secolo e l'Età giolittiana (1896-1914), (ISBN 8807808021)
▪ La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'Avvento del fascismo (1914-1922), (ISBN 880780803X)
▪ Il fascismo e le sue guerre (1922-1939), (ISBN 8807808048)
▪ La seconda guerra mondiale. Il crollo del fascismo. La Resistenza (1939-1945), (ISBN 8807808056)
▪ La fondazione della Repubblica e la ricostruzione. Considerazioni finali (1945-1950), (ISBN 8807808064)
Bibliografia
▪ Fulvio De Giorgi, Cattolicesimo e civiltà moderna nella storiografia di Giorgio Candeloro, Cavallino di Lecce, Capone 1990
▪ Cristina Cassina (a cura di), La storiografia sull'Italia contemporanea: atti del convegno in onore di Giorgio Candeloro, Pisa, 9-10 novembre 1989, Pisa, Giardini 1991