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Il calendario del 25 Marzo

Fonte:
CulturaCattolica.it

Eventi

▪ 325 - Il Concilio di Nicea sposta la data tradizionale dell'equinozio di primavera dal 25 marzo al 21 marzo

Decisioni del Concilio
Le decisioni prese dal concilio con un'amplissima maggioranza - solo Teona di Marmarica e Secondo di Tolemaide votarono contro - furono essenzialmente tre:
1. su proposta di Eusebio di Cesarea si arrivò ad una dichiarazione di fede, che ricevette il nome di Simbolo niceno o credo niceno. Il simbolo, che rappresenta ancora oggi un punto centrale delle celebrazioni cristiane, stabilì esplicitamente la dottrina dell'homooùsion, cioè della consustanzialità del Padre e del Figlio: nega che il Figlio sia creato (genitum, non factum), e che la sua esistenza sia posteriore al Padre (ante omnia saecula). In questo modo, l'arianesimo viene negato in tutti i suoi aspetti. Inoltre, viene ribadita l'incarnazione, morte e resurrezione di Cristo, in contrasto alle dottrine gnostiche che arrivavano a negare la crocifissione.

2. venne dichiarata ufficialmente la nascita verginale di Gesù, definita nel simbolo niceno: [Gesù] nacque da Maria Vergine. In realtà la nascita verginale di Gesù era già affermata nel vangelo di Matteo, pertanto nel simbolo niceno essa venne solo ribadita.

3. fu condannata come eretica la dottrina cristologica elaborata da Ario, che sosteneva che Gesù non avesse natura divina come il Padre.

Altre decisioni erano invece di carattere non solo dottrinale ma anche disciplinare, e riguardavano la posizione da tenere in particolare rispetto agli eretici e a coloro che avevano rinnegato il cristianesimo,
Il 25 luglio 325 il Concilio si concluse, e i Padri convenuti celebrarono il ventesimo anniversario di regno dell'imperatore. Nel suo discorso conclusivo, Costantino confermò la sua preoccupazione per le controversie cristologiche e sottolineò la sua volontà che la Chiesa vivesse in armonia e pace. In una lettera fatta circolare nella prima festa della Pasqua, annunciò la raggiunta unità di fatto dell'intera Chiesa.

▪ 421 - Fondazione leggendaria di Venezia

▪ 1479 - Venezia conclude la pace con l'Impero ottomano perdendo tutti i propri possedimenti in Grecia

▪ 1522 - Inigo de Recalde de Loyola smette le vesti di cavaliere per iniziare il suo noviziato. Prenderà il nome di Ignazio di Loyola e fonderà i Gesuiti

▪ 1552 - Guru Amar Das diventa il terzo Guru del Sikhismo

▪ 1634 - Viene fondata la colonia del Maryland

▪ 1637 - La città di Genova è consacrata a Maria Santissima

▪ 1655 - Titano, il più grande satellite di Saturno è scoperto da Christian Huygens

▪ 1745 - Viene inaugurata la cappella della Madonna di Loreto nella chiesa di San Pantalon

▪ 1798 - Londra, Richard Trevithich applica alle sue carrozze la macchina a vapore di Watt creando il primo veicolo senza trazione animale

▪ 1802 - Firma del Trattato di Amiens che sancisce la pace tra Francia e Gran Bretagna

▪ 1807 - Viene abolita con lo Slave Trade Act la schiavitù in Gran Bretagna

▪ 1811 - Il poeta romantico Percy Bysshe Shelley viene espulso da Oxford per la pubblicazione dell'opuscolo La necessità dell'ateismo

▪ 1821 - La Grecia dichiara la sua indipendenza dall'Impero Ottomano: inizia la Guerra greca di indipendenza

▪ 1848 - Bassano del Grappa comincia una breve esperienza rivoluzionaria (contro il Regno Lombardo Veneto), conclusa il 5 giugno con la rioccupazione austriaca

▪ 1857 - Leon Scott brevetta il fonoautografo, antenato del fonografo e del grammofono

▪ 1876 - Agostino Depretis diventa Presidente del Consiglio del Regno d'Italia per la prima volta

▪ 1886 - Genova: esce il primo numero del quotidiano Il secolo XIX

▪ 1889 - Menelik II, signore dello Scioà, occupa le regioni di Tigrè e Amhara con il supporto e il beneplacito dell'Italia e assume il titolo di Imperatore d'Etiopia

▪ 1895 - Il poeta cubano José Martí pubblica il Manifesto di Montecristi, proclamando l'indipendenza cubana

▪ 1901 - La Mercedes consegue la sua prima vittoria in una gara automobilistica a Nizza (Francia)

▪ 1918 - La Bielorussia si proclama indipendente

▪ 1924 - La Grecia si proclama repubblica

▪ 1940 - Nasce a Busto Arsizio Anna Mazzini che verrà conosciuta in seguito come Mina.

▪ 1941 - La Jugoslavia firma un patto di alleanza con le Potenze dell'Asse. Uscirà dal patto dopo due soli giorni a causa delle massicce proteste interne suscitate da questa scelta impopolare.

▪ 1944 - Si conclude con un fallimento per le Forze Alleate la terza battaglia di Montecassino

▪ 1947 - Esplosione in una miniera di carbone in Illinois: 111 morti

▪ 1954 - Esce l'enciclica di Pio XII Sacra Virginitas (sulla consacrata verginità)

▪ 1955 - Stati Uniti: dichiarazione di oscenità per L'urlo di Allen Ginsberg

▪ 1957 - Alle 18:46 a Roma si firma il trattato istitutivo del Mercato comune europeo (MEC): ne fanno parte Germania Ovest, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo

▪ 1959 - Nella striscia giornaliera dei Peanuts nasce Sally, la sorella minore di Charlie Brown

▪ 1960 - In Italia comincia il Governo Tambroni

▪ 1961 - Viene lanciata con successo la capsula russa Korabl 5 in un volo di prova con un cagnolino ed un manichino di un cosmonauta

▪ 1965 - Martin Luther King guida una marcia di sostenitori dei diritti civili da Selma (Alabama) al Campidoglio di Montgomery (Alabama)

▪ 1969 - Amsterdam: John Lennon e Yoko Ono iniziano il bed-in per la pace (terminerà il 31 marzo)

▪ 1971 - L'esercito pakistano invade il Bangladesh

▪ 1975 - Faisal di Arabia Saudita viene ucciso da un nipote affetto da turbe mentali. Gli succede il principe Khalid

▪ 1979 - Completata la realizzazione del primo space shuttle orbitante pienamente funzionale, il Columbia, allo John F. Kennedy Space Center

▪ 1985 - Il film Amadeus di Miloš Forman vince otto premi Oscar

▪ 1987 - Giovanni Paolo II pubblica la Lettera Enciclica Redemptoris Mater, sulla Beata Vergine Maria nella vita della Chiesa in cammino

▪ 1991 - Il film Balla coi lupi di Kevin Costner vince 7 premi Oscar

▪ 1992 - Il cosmonauta Sergei Krikalev rientra sulla terra dopo dieci mesi trascorsi sulla stazione spaziale Mir

▪ 1993 - Scoperta la Cometa Shoemaker-Levy 9 dagli astronomi Eugene e Carolyn Shoemaker e da David H. Levy. L'anno successivo la cometa si distruggerà sul pianeta Giove

▪ 1995 - Giovanni Paolo II pubblica la Lettera Enciclica Evangelium vitae indirizzata "ai vescovi ai presbiteri e ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai fedeli laici e a tutte le persone di buona volontà, sul valore e l'inviolabilità della vita umana".

▪ 1996 - L'UE vieta l'esportazione di carne bovina inglese dopo i casi di encefalopatia spongiforme

▪ 2001 - Entrano in vigore gli Accordi di Schengen per Danimarca, Finlandia e Svezia, nonché Islanda e Norvegia (che non fanno parte dell'UE)

▪ 2004

  1. - Grecia: Cerimonia di accensione della fiaccola olimpica, nel sito archeologico dell'antica Olimpia
  2. - Una mozione di condanna di Israele del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per l'uccisione dello sceicco Ahmed Yassin è bloccata dal veto degli Stati Uniti

▪ 2005 - Il prototipo IBM Blue Gene/L diventa il più potente computer del pianeta

Anniversari

* 1801- Novalis (pseudonimo di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg; Schloss Oberwiederstedt, 2 maggio 1772 – Weißenfels, 25 marzo 1801) è stato un poeta, teologo, filosofo e scrittore tedesco, figura di spicco del Romanticismo.
Friedrich von Hardenberg nacque secondo degli undici figli della coppia Auguste Bernhardine Freifrau von Hardenberg, nata von Bölzig (1749-1818) e Heinrich Ulrich Erasmus Freiherr von Hardenberg (1738-1814).
A differenza di Schlegel, il quale intraprende in questo periodo un percorso sostanzialmente unitario, il pensiero di Novalis presenta un’evoluzione rapidissima in due diverse fasi, alle quali corrispondono due diverse visioni del mondo: la prima fase (che si estende dal 1797 al 1798) è quella nota col nome di “idealismo magico”, ad indicare quella dottrina formulata da Novalis in una nutrita serie di frammenti – raccolti sotto il titolo Polline – e nel romanzo incompiuto I discepoli di Sais (1798).
La seconda fase (che si ha tra il 1799 e il 1801, anno della scomparsa di Novalis) esprime un mutato punto di vista ed è definibile con l’etichetta di “neoplatonismo cristiano”: a produrre questo cambiamento di percorso è l’incontro col pensiero di Plotino, di Spinoza e della tradizione mistica tedesca. Le opere che vedono la luce in questa seconda fase sono una nuova serie di frammenti, il romanzo Enrico di Ofterdingen, gli Inni alla notte e il saggio Cristianità o Europa.
Passiamo all’esame più dettagliato della prima fase, quella dell’idealismo magico: si tratta di un periodo marcatamente influenzato dal pensiero di Fichte (è da lui che Novalis desume la componente di idealismo cui allude l’etichetta “idealismo magico”) e, per entrare in medias res, possiamo muovere da due frammenti novalisiani.
“Il metodo di Fichte e di Kant non è stato esposto ancora del tutto e con sufficiente precisione: entrambi non sanno ancora sperimentare con sufficiente facilità” e col giusto punto di vista trascendentale. Il secondo frammento dice invece: “è probabile che esistano e che esisteranno uomini capaci di fichteggiare molto meglio di Fichte”. Dalla lettura dei due frammenti, è facile capire come Novalis subisca il fascino dell’idealismo fichteano, che egli avverte coem sollecitatore di congetture e come stimolante ad ulteriori riflessioni che egli va presentando in forma di ipotesi e di domanda: ciò significa che non si tratta di elaborare sistematicamente il punto di vista di Fichte (e anzi Novalis è profondamente anti-sistematico), ma piuttosto di congetturare a partire da esso, sviluppando – nella forma del frammento - le virtualità e le potenzialità (anche artistiche) di un tale pensiero, che Novalis presenta – con terminologia alchemica - come una serie di “fermenta cognitionis”. Proprio muovendo da queste considerazioni, egli perviene ad un impiego poetico e fantastico della riflessione di Fichte: questi è visto come colui ceh accende la fantasia di chi sa “fichteggiare” meglio di lui stesso, attivando tutte le possibili congetture virtualmente racchiuse nel suo pensiero. E, nella fattispecie, il punto di partenza che Novalis mutua da Fichte è l’idea che il mondo sia il prodotto inconsapevole della struttura trascendentale di tutti i soggetti umani. In particolare, a colpirlo è la nozione di “immaginazione produttiva”: operando inconsciamente in ogni soggetto, essa si prolunga – nota Novalis – nell’immaginazione produttiva dell’artista. Si è spesso sostenuto che i Romantici fraintendono Fichte nella misura in cui confondono l’Io infinito con l’Io empirico: ma, se riferita a Schelling e a Novalis, tale tesi è erronea, giacché nessuno dei due autori cede ad un tale travisamento di bassa lega. Quel che i Romantici fanno è, piuttosto, una “legittima” (almeno dal loro punto di vista) accentuazione dell’Assoluto nel finito: e, del resto, non era forse Fichte stesso ad insegnare che l’Assoluto vive soltanto nel finito, come sua condizione? Si tratta di render consapevole l’inconsapevole, volontario l’involontario, ossia di muoversi nella direzione di un impadronimento cosciente dell’attività assoluta inconsciamente operante nella coscienza di ogni singolo individuo. Fichte notava che il non-Io (cioè il mondo esterno) è, in ultima analisi, l’Io stesso: sulla sua scia, Novalis, alla domanda “che cos’è la natura?”, risponde che essa è “un indice sistematico, enciclopedico dello spirito, un piano dello spirito”.
Con ciò, egli intende dire che essa è inconsapevole limitazione dell’Io stesso. In questo senso, per Novalis la natura è spirito solidificato, attività pratica rappresa, “il passato dell’Io”, ovvero ciò che l’Io cessa sempre e di nuovo di essere in virtù del suo essere attività pratica. Dall’identità di natura e spirito, segue che conoscere il mondo equivale a conoscere se stessi, cosicché “capiremo il mondo quando capiremo noi stessi”: e la comprensione del mondo non può che avvenire congetturalmente, attraverso la conoscenza di ciò che inconsapevolmente siamo (dal canto suo, la scienza conosce solo la superficie fenomenica del mondo, mai l’in sé della natura). Un tal punto di vista mette in luce come, per conoscere l’universo, si debba viaggiare non nell’universo stesso, ma in se stessi: “verso l’interno si volge la via misteriosa” e, a tal proposito, l’immagine che meglio esprime questa concezione è quella del minatore che si cala nelle profondità dell’Io (la psicanalisi di Freud affonda qui le proprie radici). “L’universo non è forse in noi?”, si domanda Novalis: il mondo esterno – come abbiamo detto – non è che Io pietrificato, inerzia, libertà passata, “è la somma delle cose passate e staccate da noi”: il criterio di conoscenza diventa allora quello dell’analogia, che schiude la natura metafisica del mondo. Grazie ad essa, applicando al mondo la conoscenza che abbiamo di noi stessi, possiamo estendere sempre più il nostro sapere. Proprio in questa prospettiva, alla mania congetturale di Novalis si affiancano le divagazioni poetico/fantastiche nelle quali egli non si perita di considerare la natura in analogia con l’uomo, con la conseguenza che essa va incontro ad una progressiva antropomorfizzazione, diventando una persona cara in quanto nota (giacchè la natura siamo noi stessi o, meglio, eravamo noi stessi).
Allora familiarizzare con la natura significa familiarizzare con noi stessi, il che spiega perché i poeti abbiano l’innata tendenza a personificare le cose e a parlarne come se esse fossero persone viventi: “noi dobbiamo considerare natura e mondo esterno come un essere umano che possiamo e dobbiamo comprendere come comprendiamo le persone care”.
Si affaccia qui una relazione dell’uomo con la natura che è di tutt’altro genere rispetto a quella di mero sfruttamento fatta valere dalla borghesia illuministica dell’età della “rivoluzione industriale”. Resta però da chiarire perché l’idealismo di Novalis venga definito “magico”: esso è così detto perché evidenzia il carattere prodigioso della creazione della natura da parte dell’Io; esso la crea senza saperlo e ne resta incantato – qui sta l’elemento magico -, credendo che essa sussista indipendentemente. Il mondo è una creazione dell’Io, ma gli appare come “altro”: a tal punto l’incantesimo è stato forte.
L’Io, preda del proprio stesso incantesimo, è l’Io del punto di vista realistico, per il quale il mondo esterno ha una sua realtà: rispetto a questo punto di vista, l’idealismo di Fichte è una rivoluzione sconvolgente, perché – nell’ottica novalisiana – il mondo è al contempo soggettivo (perché prodotto dall’Io) e oggettivo (perché non riconosciuto dall’Io come sua produzione).
...Il tema della ricreazione del mondo va dunque nella direzione di una sua moralizzazione: in effetti, se esso è una mia rappresentazione, allora dipende da me come me lo rappresento; in tale ottica, non stupisce che lo stesso luogo possa apparirci diverso a seconda degli stati d’animo che abbiamo quando lo osserviamo (se siamo depressi, ci apparirà uggioso; ma se siamo euforici, ecco allora che ci sembrerà allegro). Ciò vuol dire che “noi abbiamo creato la natura come materiale del nostro dovere morale, possiamo ricrearla associandola alla nostra stessa moralità”.
Com’è noto, in Fichte la natura è fatta per essere vinta dallo spirito e dissolta nella pura identità della ragion pura pratica con se stessa: ora, Novalis apporta una variante introducendo la legge morale nella natura stessa. Ciò significa che cade l’antagonismo tra inclinazioni sensibili e imperativo categorico, nel senso che l’istanza razionale è estesa alle stesse inclinazioni sensibili. Quella che abbiamo di fronte è dunque una natura sognata dal poeta, moralizzata e pertanto tale da essere dominata non dalla legge del più forte, bensì da una convivenza armoniosa tra gli uomini, nella quale il rispetto dell’uomo come fine è esteso a tutte le creature viventi in natura (troviamo qui i prodromi del contemporaneo ecologismo). Si tratta quindi di una natura edenica, bonificata e pacificata: ciò non toglie che a dircelo siano sempre congetture e scenari onirici e fiabeschi, in un panorama di utopia e di forte opposizione all’immagine sensistica della natura offerta dall’Illuminismo.

…Novalis, nello scritto del 1799 “La cristianità o Europa“ sosterrà una posizione diversa, criticando aspramente la Rivoluzione francese, e ricordando i tempi in cui risplendeva lo spirito cristiano [ Novalis è un pensatore di stampo pietista, il pietismo vede nel cuore dell’ uomo la sacralità di Dio, la sua espressione più alta in musica è Wagner ].
Novalis si fa emblema di una concezione storica di tipo tipologico – ottimistico, negli accadimenti del passato avviene la prefigurazione aurorale di ciò che avverrà in futuro, la religione si pone come fonte di pace a livello europeo.
Dai tempi idilliaci in cui versava l’ umanità governata dall’ amore e la beatitudine cristiana, si giunge alla Riforma luterana che manda in rovina la Chiesa romana e costruisce una Chiesa di Stato, controllata dal potere temporale.
Il radicalismo di Novalis lo porta a difendere la Chiesa romana, nonostante la sua cultura di forte sapore luterano; ciò che preme sottolineare è come all’ interno di tale opera avvenga una critica alla scienza che desacralizza ed un forte difesa della fede, lo stesso Novalis scriverà riferendosi alla dimensione cristiana iniziale:
“Con ragione il saggio capo supremo della Chiesa si oppose agli sviluppi audaci delle disposizioni naturali dell’ uomo che mettevano in pericolo il senso religioso e alle altre scoperte dannose e inopportune nel campo del sapere.“
Lutero – scrive Novalis – è colui che traducendo la Bibbia in tedesco, pone la sua sacralità in mano ad una scienza terrena, la filologia: si viene a realizzare un processo dove la religione diventa politica e dalla filologia sorge la filosofia:
“Nel frattempo, alla base del Protestantesimo non era rimasto solo quel puro concetto, Lutero, anzi, trattò il Cristianesimo in modo del tutto arbitrario, ne fraintese lo spirito e introdusse un altra lettera e un’ altra religione, cioè la sacra validità universale della Bibbia, mescolando così purtroppo nelle questioni religiose un’ altra disciplina terrena completamente estranea – la filologia – in cui influsso logorante da quel momento in poi risultava evidente (…) “.
L’ illuminismo è un fatto tedesco, anche se si sviluppa in Francia ed in Germania si tocca l’ apice dell’ Aufklarüng in quanto la religione diviene un discorso razionale, si nota l’ acceso contrasto che Novalis nutre con la posizione kantiana:
“In Germania questa impresa fu condotta in modo più approfondito (si riferisce all’Illuminismo), si riformò l’ istruzione, si cercò di dare alle vecchia religione un senso moderno, razionale, più comune, lavandone via meticolosamente ogni tratto di miracolo e di mistero; si mobilitò tutta l’ erudizione per sbarrare ogni via di fuga nella storia, dandosi da fare per nobilitare la storia trasformandola in un quadretto di genere, famigliare e morale, domestico e borghese.“
Riguardo ai giochi di luce del secolo XVIII, riportiamo un breve passo dell’” Europa “ che può risultare chiarificatore:
“Dappertutto il senso sacro subì numerose persecuzioni nelle forme da lui assunte fino ad allora e nella sua configurazione attuale. Il risultato del modo di pensare moderno venne chiamato filosofia e le venne attribuito tutto quello che si opponeva all’ antico e quindi, soprattutto, ogni idea contro la religione“.
La missione di rinascita spetta al popolo tedesco che si fa portavoce di un’individualità universale: avverrà un amplesso tra la giovane Chiesa novella e un Dio d’ amore (Dioniso); in Novalis questo processo è squisitamente di carattere spirituale, in Hölderlin invece è di stampo più materiale.
Riforma protestante, Illuminismo e Rivoluzione francese sono il processo triadico che porta al decadimento della religione cristiana, dopo aver sperimentato mille avversità ci potrà essere in futuro (Novalis non specifica un momento preciso, anche perché la “Cristianità o Europa“ non è uno scritto storico, è bensì un monologo “drammatico“, una sorta di predica diretta verso l’interiorità dell’individuo) una splendida aurora.
Nonostante la crisi della Chiesa, nel corso della storia si fa avanti l’ordine dei Gesuiti che avrebbe il merito di custodire la sacralità dei tempi perduti e porre le basi per il superamento di tale difficile situazione.
La religione si basa sull’entusiasmo, sul calore del cuore che cerca la spiritualità, nel Medioevo che avrebbe dovuto essere - Novalis dirà - che si respirava un’armonia soave ed ogni cosa appartenuta alle figure sacre dei sacerdoti avrebbe benedetto l’esistenza di chi avesse avuto la fortuna di sfiorarla.
Nel clima desacralizzante dell’Illuminismo dove “Dio fu trasformato in pigro spettatore del grande, commovente spettacolo messo in scena dagli eruditi ( … ) “ solo la natura si sottrae a questo inesorabile processo: “Peccato che la natura, nonostante gli sforzi compiuti per modernizzarla, rimanesse così meravigliosa e incomprensibile, così poetica e infinita“.

▪ 1891 - Il conte Stefano Jacini (Casalbuttano, 20 giugno 1826 – Milano, 25 marzo 1891) è stato un politico ed economista italiano.
Proveniva da una delle famiglie più antiche e benestanti della Bassa lombarda.
Studiò in Svizzera, a Milano e in alcune università tedesche. Durante il periodo della Restaurazione del dominio asburgico sulla Lombardia (1849-1859), si dedicò a studi economici e letterari.
Per il suo lavoro su La Proprietà fondiaria in Lombardia (Milano, 1856) ricevette un premio dalla "Società d'incoraggiamento di scienze e lettere" del capoluogo lombardo e fu accolto nell'Istituto Lombardo.
In un altro suo lavoro, Sulle condizioni economiche della Valtellina (Milano, 1858), Jacini espose i mali del dominio austriaco e scrisse per Camillo Cavour, un libro bianco sulle condizioni generali di Lombardia e Veneto.
Cavour stesso lo nominò ministro dei Lavori pubblici del Regno di Sardegna (1860-1861). Fu Ministro dei Lavori Pubblici anche nel neonato Regno d'Italia nei Governi La Marmora I, La Marmora II e Ricasoli II (fino al 17 febbraio 1867).
Le sue capacità diplomatiche (unite alla conoscenza del tedesco) fruttarono il raggiungimento di un accordo anti-austriaco con la Prussia, che fu alleata dell'Italia nella terza guerra di indipendenza. Jacini fornì preziose consulenze anche sull'organizzazione della rete ferroviaria nazionale.
Dal 1881 al 1886 fu presidente della commissione d'inchiesta sulle condizioni dell'agricoltura in Italia, e pubblicò un voluminoso rapporto, tuttora noto col nome Inchiesta Jacini: liberista, chiedeva la riduzione delle spese militari e sgravi fiscali per l'agricoltura.
Fu nominato senatore il 6 febbraio 1870 e ricevette il titolo di conte nel 1880.
Morì nel 1891.

▪ 1991 - Marcel François Lefebvre (Tourcoing, 29 novembre 1905 – Martigny, 25 marzo 1991) è stato un arcivescovo cattolico francese, poi scomunicato da papa Giovanni Paolo II.
Fu fondatore di un movimento tradizionalista oppositore delle riforme apportate dal Concilio Vaticano II, e in particolar modo della soppressione della Messa di rito tridentino (e della conseguente adozione di un Messale Riformato che ha permesso di celebrare la Messa in lingua volgare piuttosto che in latino) e della Dottrina della Libertà Religiosa elaborata dal Concilio medesimo.
Sacerdote dal 1929, membro della Congregazione dello Spirito Santo dal 1932, venne eletto e consacrato vescovo nel 1947 poi arcivescovo dal 1948. Vicario apostolico (1947-55) e primo arcivescovo (1955-62) di Dakar, delegato per le missioni dell’Africa francese (1948-59), vescovo di Tulle (1962), divenne in seguito superiore generale (1962-1968) della Congregazione dello Spirito Santo e fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X (1970). Sospeso a divinis dal 1976 e scomunicato da papa Giovanni Paolo II il 30 giugno 1988.

Giovinezza e sacerdozio
La famiglia Lefebvre a partire dal 1738 ha dato alla Chiesa una cinquantina dei suoi figli, tra i quali un cardinale, diversi vescovi, numerosi sacerdoti, religiose e religiosi, fra i quali il famoso liturgista benedettino Dom Gaspar Lefebvre. Il padre di Marcel, René Lefebvre (1879 - 1944), ricco proprietario di industrie tessili ed esponente di spicco della resistenza francese, venne incarcerato dai tedeschi 1941 e giustiziato nel lager nazista di Sonnenburg nel 1944. La madre, Gabrielle Watine (1880 - 1938), ebbe otto figli, dei quali due maschi (René e Marcel) divennero sacerdoti e due femmine (Bernadette e Christiane), religiose.
Marcel Lefebvre entrò al Seminario francese a Roma e, dopo aver regolarmente svolto il servizio militare in patria, si laureò in filosofia ed in teologia alla Pontificia Università Gregoriana. Il 21 settembre 1929 fu ordinato sacerdote.

Vescovo in Africa
Dopo un breve periodo come vicario in una parrocchia operaia di Lilla, entrò nella Congregazione dello Spirito Santo e partì per il Gabon nell'ottobre 1932 come missionario. Iniziava così un rapporto tra monsignor Lefebvre e l'Africa che durò per trent'anni, fino al 1962. Appena giunto in Africa don Marcel fu nominato Professore di Dogma e di Sacra Scrittura al Gran Seminario di Libreville, che raggruppava tutti i seminaristi dell'Africa equatoriale Francese.
Nel 1934 assunse la direzione del Seminario.
Seppe dare al clero locale una spiccata vocazione evangelizzatrice tanto da triplicare, tra il 1933 ed il 1947, la popolazione cattolica del Gabon; il paese divenne il più cristiano dell'Africa francofona, ed il secondo di tutto il continente africano. Nel 1945 don Marcel fu richiamato in Francia per assumere la direzione del seminario dei padri dello Spirito Santo a Mortain.
Nel settembre 1947, a 42 anni mons. Lefebvre fu, per volontà di papa Pio XII, consacrato vescovo e nominato vicario apostolico del Senegal.
Un anno dopo venne nominato delegato apostolico per tutta l'Africa francese: fu così il rappresentante della Santa Sede in 18 paesi africani, nei quali vi sono 45 giurisdizioni ecclesiastiche e 2 milioni di cattolici, con 1.400 sacerdoti e 2.400 religiose.
Nel 1955 diverrà il primo arcivescovo di Dakar, quando in Senegal verrà istituita la gerarchia locale. Resterà delegato apostolico fino al 1959 e arcivescovo di Dakar fino al 1962.
In 11 anni di lavoro come Delegato apostolico le diocesi passarono da 44 a 65. A Dakar raddoppiò il numero dei cattolici e le chiese da tre divennero 13.
Nel 1962 venne eletto Superiore Generale della Congregazione dei Padri dello Spirito Santo, funzione dalla quale si dimise nel 1968.

Il Concilio Vaticano II
Ritornato in Francia, Lefebvre fu messo a capo della piccola diocesi di Tulle dove rimase per pochi mesi. Come superiore generale dei Padri dello Spirito Santo Lefebvre parteciperà al Concilio Vaticano II dopo aver fatto parte nel 1962 della sua Commissione preparatoria, chiamatovi da Papa Giovanni XXIII che, quale segno di particolare benevolenza, volle nominarlo Assistente al Soglio Pontificio. Durante il Concilio assunse un atteggiamento fortemente critico nei confronti del rinnovamento liturgico, della collegialità episcopale, dell’ecumenismo e della libertà religiosa, che avrebbe lasciato "a tutte le false religioni la libertà d'espressione" in uno spirito "liberale ecumenico".
All'ex missionario l'ecumenismo, le modifiche alla liturgia e all'insegnamento religioso apparivano come altrettante concessioni «a uno spirito neo-modernista e neo-protestante» capace di condurre alla rovina del sacerdozio, all'annientamento del sacrificio e dei sacramenti, alla scomparsa della vita religiosa. Insieme ad altri teologi espresse le sue critiche sulla riforma liturgica nel "Breve esame critico del Novus Ordo Missae" pubblicato nel settembre 1969, documento del quale i cardinali Ottaviani e Bacci scrissero la prefazione.

La Fraternità Sacerdotale San Pio X
Allo scopo di mantenere viva la tradizione liturgica di San Pio V e più in generale la tradizione della Chiesa, aveva fondato nel 1970 la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), con un proprio seminario (ad Ecône, in Svizzera, fondato il 7 ottobre 1970). Lefebvre si era ribellato alla frettolosa attuazione delle riforme conciliari e ottenne l' "istituzione canonica", che gli permise di fondare regolarmente la sua organizzazione. Nel 1970 Mons. Charriere, Vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo firmò il decreto di fondazione della Fraternità. Nel 1971 Mons. Lefebvre annunciò ai suoi seminaristi il rifiuto di accettare il Novus Ordo Missae per motivi di coscienza.

La prima condanna
Fin dal 1972 i Vescovi francesi bollarono Ecône come "seminario selvaggio" e cercarono di ottenerne la chiusura per la formazione e la mentalità ostile al Concilio Vaticano II. Il 19 marzo 1975 Lefebvre dichiarò che non si sarebbe mai separato dalla Chiesa, ma ciò non fu sufficiente a ridurre l'ostilità di parte delle gerarchie svizzere e francesi. Dopo le inchieste e lunghe procedure ecclesiastiche abituali mons. Pierre Mamie, arcivescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, in stretto accordo con la conferenza episcopale svizzera e il Vaticano ritirò il riconoscimento canonico e ordinò la chiusura del seminario di Ecône (1975). Lefebvre rifiutò di accettare questa disposizione e disattese la proibizione di ordinare nuovi sacerdoti e di aprire nuove case. Mons. Nestor Adam vescovo di Sion (Canton Vallese), che fu tra i fautori di questa condanna, si alienò una parte considerevole dei fedeli della sua diocesi. Tuttavia, anche se venne lanciata l'interdizione contro mons. Lefebvre, questi conserverà il potere di ordinare sacerdoti, in modo valido anche se non perfettamente legittimo. Nel luglio 1976 venne sospeso a divinis da papa Paolo VI (ovvero gli fu imposto il divieto di celebrare i sacramenti usando i nuovi riti). La "Messa proibita" che egli celebrò a Lilla nell'agosto 1976 davanti a 10.000 fedeli ottenne, grazie ai 400 giornalisti presenti, una risonanza enorme. Pur avendo avuto un incontro con Paolo VI nel settembre 1976, rifiutò di sottomettervisi per motivi di coscienza.

Il tentativo di accordo con la Santa Sede
Negli anni successivi, quantunque continuasse le ordinazioni sacerdotali permanendo nella condizione di disobbedienza, ci furono diversi tentativi di dialogo da parte della Santa Sede. Con Papa Giovanni Paolo II, che ricevette Lefebvre in udienza privata già nel novembre 1978, i rapporti migliorarono e si riaprì il dialogo con Roma. Nel 1983 Lefebvre lasciò la guida della FSSPX, rimanendone tuttavia l'indiscusso capo carismatico.
Un più risoluto tentativo di riconciliazione tra la Santa Sede e Lefebvre fu compiuto nel 1988 in seguito a una visita apostolica del cardinale Edouard Gagnon alla FSSPX (novembre-dicembre 1987). Poco dopo (8 aprile 1988) una lettera di papa Giovanni Paolo II al cardinale Ratzinger, il futuro Benedetto XVI, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, tracciava le linee di una proposta che permettesse alla FSSPX di ottenere una collocazione regolare nella Chiesa, in piena comunione con la Sede apostolica. Su questa base ebbero luogo diversi incontri tra due apposite delegazioni, fino a raggiungere l’accordo su un protocollo firmato il 5 maggio 1988.
Il 5 maggio 1988 Lefebvre ed il cardinale Ratzinger firmano un protocollo d'intesa per l'utilizzo dei libri liturgici approvati nel 1962 (gli ultimi che il movimento lefebvriano utilizza, poiché precedenti la riforma liturgica), per la costituzione della FSSPX in società di vita apostolica con particolari diritti e prerogative e possibilmente guidata da un vescovo. Il protocollo comprendeva una dichiarazione di ordine dottrinale e il progetto di un dispositivo giuridico nonché di misure destinate a regolare la situazione canonica della FSSPX e delle persone a essa collegate, e ipotizzava la creazione di una commissione vaticana per coordinare i rapporti con i dicasteri della Curia romana e con i vescovi diocesani, come pure per risolvere i futuri problemi. In tale documento, Lefebvre, a nome suo e della FSSPX, promette obbedienza alla Chiesa e al Papa, dichiara di non voler più discutere il Vaticano II in termini polemici, accetta in particolare la sezione 25 della Lumen Gentium sul magistero pontificio, riconosce la validità dei nuovi riti della Messa.
Il giorno dopo Lefebvre ritratterà, affermando di essere caduto in trappola e di non potersi astenere dall'ordinare un vescovo il 29 giugno successivo allo scopo di garantire un suo successore alla Fraternità.
Per evitare che Lefebvre proceda con l'atto ritenuto scismatico, il 24 maggio 1988 papa Giovanni Paolo II gli concede l'autorizzazione di ordinare un vescovo "alla prossima solennità mariana" (nel caso specifico si trattava del 15 agosto, solennità dell'Assunzione della Vergine Maria) ma Lefebvre risponde per iscritto che ha bisogno di non uno ma tre vescovi, e che intende ugualmente consacrarli il 29 giugno. Il cardinale Ratzinger gli risponde che permanendo questo atteggiamento di disobbedienza, il permesso di consacrare un vescovo il 15 agosto sarebbe stato ritirato.
Lefebvre, ritornato in Svizzera e mettendo in discussione il protocollo insistendo, tra l'altro, sulla necessità di ordinare vescovi tre sacerdoti della Fraternità entro il 30 giugno 1988 e chiedendo inoltre di avere la maggioranza dei membri della istituenda commissione romana. Di fronte al rifiuto di Roma, ferma sulla concessione di un solo vescovo e sull'equilibrio prestabilito per la commissione, e di fronte all'invito a rimettersi in piena obbedienza alle decisioni del Papa, Lefebvre, in una lettera del 2 giugno, esprimeva l’opinione che il momento di una collaborazione franca e efficace non era ancora giunto e dichiarava di voler procedere alle ordinazioni episcopali anche senza mandato pontificio.
Lefebvre aveva mandato a monte il paziente lavoro del cardinale Ratzinger perché alla fine non si era fidato delle assicurazioni dei suoi interlocutori, soprattutto per quanto riguardava la consacrazione di un suo successore. Spiega padre Emmanuel du Chalard, collaboratore di Lefebvre in quei giorni: "Il cardinale Edouard Gagnon aveva condotto una visita apostolica a Ecône e aveva fatto intendere che non erano stati trovati dei sacerdoti con profilo episcopale. Monsignor Lefebvre temeva che il cardinale Ratzinger avrebbe chiesto consiglio al cardinal Gagnon e dunque che, non trovando il profilo episcopale all'interno della Fraternità San Pio X, il nuovo successore sarebbe stato cercato fuori".
Qualche tempo dopo, in un'intervista, Lefebvre raccontò di aver firmato l'accordo perché «non volevo si dicesse che non stavo ai patti», salvo ripensarci il giorno dopo. È probabile che a ispirare di forzare la mano fosse stata, all'epoca, l'ala più dura della Fraternità, la stessa che oggi fa capo al vescovo Richard Williamson, uno dei quattro ordinati quel 30 giugno 1988 da Lefebvre.
Il 9 giugno il Papa chiede ancora una volta di non procedere con tale «atto scismatico». Il 15 giugno 1988 Lefebvre annuncia in una conferenza stampa i nomi dei sacerdoti che intende ordinare vescovi, ritenendo che la Chiesa si trovasse in un grave stato di necessità, per la sopravvivenza del sacerdozio e della Messa tradizionale.
L'ordinazione dei quattro vescovi e la scomunica
Nonostante un'ammonizione formale (17 giugno), il 30 giugno 1988 Lefebvre ordinava quattro vescovi (uno in più di quanto aveva annunciato in precedenza) e compiva così un atto scismatico (a norma del canone 751 del Codex iuris canonici), avendo egli apertamente rifiutato la sottomissione al Pontefice e la comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. Di conseguenza sia Lefebvre, sia i vescovi da lui consacrati incorrevano ipso facto (cioè con lo stesso porre in essere l'atto) nella scomunica latae sententiae ("sentenza già data", ovvero vi si incorre per lo stesso fatto di porre il gesto) il cui scioglimento è riservato alla Sede Apostolica.
La sua scomunica da parte della Chiesa fu formalizzata il 30 giugno, a firma del cardinale Bernardin Gantin. Subito dopo, il 2 luglio 1988, Giovanni Paolo II, con il motu proprio Ecclesia Dei afflicta (popolarmente conosciuto solo come "Ecclesia Dei"), dichiara il proprio dolore per l'infelice conclusione della questione, parlando esplicitamente di «disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa» e di «atto scismatico» che ha per conseguenza diretta la «scomunica». Tale atto scismatico è dovuto, secondo il Papa, ad un'«incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione».
La formalizzazione della scomunica riguardò solo i due vescovi consacranti (Marcel Lefebvre e Antônio de Castro Mayer, quest'ultimo in via "presuntiva") ed i quattro vescovi appena consacrati (Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta: a norma del Codice di Diritto Canonico la loro consacrazione fu "valida" anche se "illecita". Il 24 gennaio 2009 papa Benedetto XVI ha rimesso loro la scomunica.
Lefebvre morì di cancro nel 1991. È fatto controverso se in punto di morte gli sia stata revocata la scomunica dal Nunzio apostolico in Svizzera. Anche se, al suo funerale, come è possibile vedere dalla documentazione fotografica e filmata di esso, tutti i preti presenti, compresi il Vescovo del luogo, il segretario del cardinale Hyacinthe Thiandoum, il cardinale Silvio Oddi ed il Nunzio apostolico in Svizzera, benedirono la salma.
Lefebvre è sepolto presso il Seminario Internazionale San Pio X di Ecône, in Svizzera. Sulla sua tomba ha voluto che si scrivesse: Tradidi quod et accepi, ovvero: "Vi ho trasmesso semplicemente ciò che ho ricevuto". Si tratta di una frase paolina (I, Cor. 15,3), in cui il significato di "et" è inteso come “semplicemente”, per ribadire l'interpretazione del mandato apostolico della Chiesa come opera di difesa della dottrina dalle innovazioni, secondo Lefebvre, sempre e comunque degeneranti, della secolarizzazione.

▪ 2003 - Luciano Della Mea (Torre Alta, 29 maggio 1924 – Firenze, 25 marzo 2003) è stato un intellettuale italiano.
Le sue ceneri riposano nel piccolo cimitero di Torre Alta.
Ha vissuto in orfanotrofio per sette anni fra Lucca e Pisa. Interrotti gli studi nel 1940 per andare volontario in guerra, è stato per tre anni carrista nel Montenegro. Dopo l'8 settembre fu internato col suo reparto in un campo di concentramento in Germania. Rientrato in Italia a combattere nell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, disertò e si unì ai partigiani della VI divisione "Giustizia e libertà".
Nel dopoguerra si iscrisse al PSI, poi nel 1964 al PSIUP. È stato redattore dell'Avanti!, di Mondoperaio, di Mondo nuovo, del Paese, dei Quaderni Rossi, di Nuovo impegno, ecc. Ha collaborato a diversi periodici militanti come la rivista Il Labriola, Lotta di classe e La classe. Consulente editoriale del Touring Club Italiano, di Nistri-Lischi, Feltrinelli, Bertani, Mazzotta, Jaca Book, Circolo del Pestival.
Sarà direttore nel 1985 della rivista politico-culturale Il Grandevetro, a cui continuerà a collaborare attivamente fino alla morte. Con altri, nel 1998, fonda la rivista bimestrale InOltre Jaca Book.
Attivista politico, ha vissuto intensamente la stagione dei movimenti della contestazione (1966-1973). È stato direttore del periodico "Il potere operaio" (1966-1968) a cui collaboravano Adriano Sofri, Gian Mario Cazzaniga ed altri. Dopo la divisione del movimento Il potere operaio pisano, Della Mea è stato tra i fondatori della Lega dei comunisti.
Nel 1972 fu tra i primi a organizzare la campagna nazionale di denuncia dell'assassinio di Serantini e a costituire il "Comitato di Giustizia per Franco Serantini".
Fra le sue molteplici attività va ricordata quella a sostegno dei malati mentali, iniziata nel manicomio d'Arezzo con Agostino Pirella nel 1976, sulla base delle pratiche di Franco Basaglia. Sua la cura di diverse pubblicazioni di quel periodo, tra cui il libro dell'internata Adalgisa Conti "Manicomio 1914. Gent. Dottore questa è la mia vita", da cui Cristina Crippa nel 1996 trasse lo spettacolo teatrale "Lola che dilati la camicia".
È stato autore di molti volumi di saggistica, letteratura, teatro e poesia.
È il fratello maggiore del cantautore politico Ivan Della Mea.

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