Il calendario del 24 Luglio

Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Giorno per giorno"

Eventi

▪ 1847 - Dopo 17 mesi di viaggio, Brigham Young guida 148 pionieri Mormoni nella Salt Lake Valley, nella quale verrà fondata Salt Lake City

▪ 1866 - Il Tennessee diventa il primo stato confederato ad essere riammesso nell'Unione, dopo la fine della Guerra di secessione americana

▪ 1908 - Londra: Dorando Pietri, stremato dalla fatica, taglia per primo il traguardo della maratona olimpica sorretto da due giudici di gara. Per questo aiuto verrà poi squalificato e perderà la medaglia d'oro

▪ 1911 - Hiram Bingham riscopre Machu Picchu "la città perduta degli Inca"

▪ 1923

  1. - Il Trattato di Losanna, definisce i confini della moderna Turchia, viene firmato in Svizzera da Grecia, Bulgaria e altre nazioni che combatterono la prima guerra mondiale.
  2. - Edoardo Agnelli è eletto Presidente della Juventus. L'evento segna l'inizio del sodalizio tra la squadra e la famiglia Agnelli.

▪ 1929 - Il Patto Kellogg-Briand, che rinuncia alla guerra come strumento di politica estera, entra in vigore (venne inizialmente firmato a Parigi il 27 agosto 1928 dalle principali potenze mondiali).

▪ 1943 - Seconda guerra mondiale: Inizia l'Operazione Gomorra: aeroplani canadesi e britannici bombardano Amburgo di notte, quelli statunitensi di giorno. Alla fine dell'operazione, in novembre, 9.000 tonnellate di esplosivi avranno ucciso più di 30.000 persone e distrutto 280.000 edifici

▪ 1956 - USA: si interrompe il sodalizio artistico tra Dean Martin e Jerry Lewis, durato 10 anni

▪ 1959 - All'apertura dell'Esibizione Nazionale Americana a Mosca, il vice-presidente statunitense Richard Nixon e Nikita Khruščёv discutono amabilmente di cucina

▪ 1965 - Guerra del Vietnam: Quattro F-4C Phantom di scorta a una missione di bombardamento su Kang Chi vengono fatti bersaglio da parte di missili antiaerei, nel primo attacco di questo tipo contro aerei americani, nel corso di questa guerra. Uno viene abbattuto e gli altri tre danneggiati

▪ 1967 - Durante una visita ufficiale di stato in Canada, il presidente francese Charles de Gaulle dichiara a una folla di oltre 100.000 persone a Montreal, Vive le Québec libre! La frase, ampiamente interpretata come un appoggio implicito all'indipendenza del Québec, provoca il risentimento del governo canadese e di tutti i canadesi anglofoni

▪ 1969 - Programma Apollo: l'Apollo 11 ammara tranquillamente nell'Oceano Pacifico

▪ 1974 - Scandalo Watergate: La Corte Suprema degli Stati Uniti sentenzia all'unanimità che il Presidente Richard Nixon non ha l'autorità per trattenere i nastri della Casa Bianca e gli intima di consegnarli al procuratore speciale che indaga sul caso

▪ 2004 - Alle ore 22:21 viene scaricato legalmente da iTunes music store il brano musicale numero 100.000.000, il primo era stato scaricato 457 giorni prima il 28 aprile 2003 (con una media di più di 200.000 brani scaricati al giorno)

Anniversari

▪ 1115 - La Grancontessa Matilde di Canossa, o Mathilde (in latino Mathildis, in tedesco Mathilde von Tuszien; Mantova, 1046 – Bondeno di Roncore, 24 luglio 1115), fu contessa, duchessa, marchesa e regina medievale. Matilde fu una potente feudataria ed ardente sostenitrice del Papato nella lotta per le investiture; donna di assoluto primo piano per quanto all'epoca le donne fossero considerate di rango inferiore, arrivò a dominare tutti i territori italici a nord degli Stati della Chiesa.

«Matilde, splendente fiaccola che arde in cuore pio. Aumentò in numero armi, volontà e vassalli, profuse il proprio principesco tesoro, causò e condusse battaglie. Se dovessi citare ad una ad una le opere compiute da questa nobile signora, i miei versi aumenterebbero a tal punto da divenire innumerevoli come le stelle.»(Donizone, Vita Mathildis, libro II, prologo II)

Fu incoronata presso il Castello di Bianello (Quattro Castella, Reggio Emilia) dall'imperatore Enrico V.
Nel 1076 entrò in possesso di un vasto territorio che comprendeva la Lombardia, l'Emilia, la Romagna e la Toscana, e che aveva il suo centro a Canossa, nell'Appennino reggiano.
La Grancontessa (magna comitissa) Matilde è certamente una delle figure più importanti e interessanti del Medioevo italiano: vissuta in un periodo di continue battaglie, di intrighi e scomuniche, seppe dimostrare una forza straordinaria, sopportando anche grandi dolori e umiliazioni, mostrando un'innata attitudine al comando. La sua fede nella Chiesa del suo tempo le valse l'ammirazione e il profondo amore di tutti i suoi sudditi.
Matilde nacque a Mantova nel 1046, terzogenita della potentissima famiglia feudale italiana dei Canossa, marchesi di Tuscia (già Ducato di Tuscia), di origine e madrelingua longobarda. Il padre, Bonifacio di Canossa detto "il Tiranno", era l'unico erede della dinastia canossiana, discendente diretto di Adalberto Atto (o Attone), fondatore della casata. La madre, Beatrice di Lotaringia, apparteneva ad una delle più nobili famiglie imperiali, strettamente imparentata con i duchi di Svevia, i duchi di Borgogna, gli Imperatori Enrico III ed Enrico IV, dei quali Matilde era rispettivamente nipote e cugina prima, nonché il papa Stefano IX.
Essendo figlia del signore della Tuscia, a Matilde spettava il titolo di marchesa. La parola germanica Markgraf qualificava difatti i "conti di confine". Tuttavia la Tuscia era stata nell'Alto Medioevo una circoscrizione del Regno longobardo, come tale definita "ducato". Ecco perché a Matilde si attribuiscono sia il titolo di "marchesa" che quello di "duchessa".
Poco si sa dell'infanzia di Matilde, sia perché le cronache del tempo preferirono occuparsi della fanciullezza dei due fratelli maggiori, Federico (legittimo erede di Bonifacio) e Beatrice, sia perché le fonti in nostro possesso si concentrano soprattutto sulle imprese compiute da adulta. Tuttavia, si può affermare con certezza che il nome, come per i fratelli, le fu imposto dalla madre Beatrice[3] che in questo modo intendeva affermare la propria superiorità nobiliare rispetto al marito, infatti il casato di Ardennes-Bar, a cui ella apparteneva, era senza dubbio di stirpe regia.
Matilde trascorse la sua gioventù tra i freddi laghi ed i nevosi boschi padani e a differenza di molte nobildonne del suo tempo, trascorse molto tempo dedicandosi alla cultura letteraria. A tal proposito, Donizone afferma:

«Fin da piccola conosceva la lingua dei Teutoni e sapeva anche parlare la garrula lingua dei Franchi.» (Vita Marhildis, libro II, cap. IV)

Trascorse i primi anni della propria esistenza in agiatezza e serenità nel castello di Canossa, teatro di grandi banchetti e feste sontuose organizzate dal padre. Tuttavia a soli 6 anni, Matilde assistette al primo evento che cambiò radicalmente il corso della sua vita: il 6 maggio 1052, il padre Bonifacio fu ucciso a tradimento durante una battuta di caccia da uno dei suoi vassalli, che lo trapassò alla gola con una freccia avvelenata. L'agonia del duca durò alcune ore; nella tarda serata dello stesso giorno spirò.
La madre rimasta vedova con tre figli piccoli aveva difficoltà a reggere il ruolo di Bonifacio. Nel 1053 Matilde ed i suoi fratelli ottennero un privilegio di protezione personale dall'Imperatore Enrico III, ma in quello stesso anno i due fratelli maggiori di Matilde morirono a causa di un maleficio (probabilmente un avvelenamento involontario).
Alla morte di papa Leone IX, parente di entrambi i genitori di Matilde, venne eletto con l'appoggio imperiale, papa Vittore II (1054). Papa Vittore II era ospitato ad Arezzo dai Canossiani, quando morì nel 1057, lasciando come successore papa Stefano IX.
Visto il crescente potere della Casa di Canossa e la scomparsa del loro alleato Leone IX, Enrico III prese in ostaggio Matilde, che aveva solo 10 anni, e sua madre e le portò in Germania; ma dopo un anno anche Enrico III morì e così Matilde ritornò in Italia. La madre Beatrice cercò una nuova protezione risposandosi con Goffredo il Barbuto, fratello di papa Stefano IX. Goffredo, figlio di Gozzellone, Duca di Lotaringia, era un aristocratico dedito alle armi ed alle arti guerresche di indole belligerante. Fu lui a succedere a Bonifacio come signore della Tuscia. La famiglia dei Canossa, padrona dell'Italia centrale e della Lotaringia, imparentata con Papi e influente sugli imperatori, era in quel momento la famiglia più potente d'Europa.
Dopo la morte di Enrico III, Goffredo il Gobbo tentò di approfittare del temporaneo vuoto di potere per farsi incoronare Imperatore in terra tedesca; ma non ci riuscì per la morte del papa in Tuscia, cioè in terra canossiana. Per evitare il pericolo di sottomettersi in futuro all'imperatore, il papato decise di introdurre un sistema di elezione interna, il conclave dei cardinali, tuttora in vigore. Allontanatosi così dall'impero, il pontificato si affidò alla tutela dei Canossa che, grazie al diritto-dovere dell'accompagnamento dei Pontefici, finirono col determinare la scelta dei Papi e quindi le loro sorti.
Anche il nuovo papa Benedetto X ebbe vita breve; morì infatti, sempre alla corte dei Canossa, nel 1061. Dopo di lui vennero eletti due papi: l'imperatore scelse il Vescovo di Parma Cadalo, che prese il nome di Onorio II, mentre la Chiesa elesse il Vescovo di Lucca, nonché ecclesiastico dei Canossa Anselmo da Baggio, che prese il nome di Alessandro II. Dopo varie vicissitudini si concordò di tenere un nuovo concilio nel cuore dei domini canossiani, a Mantova. Papa Onorio II preferì non partecipare per timore di perdere la vita e comunque Alessandro II dimostrò la legalità della propria elezione; i Canossa giudici dal quale dipendeva il Paparum Ducatus allora decisero di assegnare il papato al loro candidato Alessandro II. Matilde si ritrovò di nuovo con un papa suo alleato.

Il matrimonio con Goffredo il Gobbo
Goffredo il Barbuto, sposando Beatrice, era diventato signore della Tuscia. Una clausola del contratto di matrimonio stabilì che il figlio naturale di Goffredo, Goffredo il Gobbo, avrebbe sposato la figlia naturale di Beatrice, Matilde, per consolidare il suo potere e quello dei Canossa, e per non dover in seguito dividere i possedimenti delle rispettive casate. I due promessi sposi erano così cugini di quarto grado.
Le nozze furono anticipate al 1069, allorché Goffredo si trovò in punto di morte. Matilde alla fine dell'anno accorse al capezzale del patrigno in Lotaringia; prima della sua morte Matilde e Goffredo il Gobbo si unirono in matrimonio. Il marito era un giovane coraggioso e retto ma afflitto da alcuni difetti fisici (tra gli altri gozzo e gobba), comunque Matilde, conscia dei doveri nobiliari per i quali era stata educata e con la persuasione della madre, seppur riluttante restò in Lotaringia coabitando col marito e ne rimase incinta. Tra la fine del 1070 e l'inizio del 1071 partorì una bambina che chiamò Beatrice, per poter rinnovare il nome della madre (nome molto frequente in Lotaringia). Il parto però non fu facile e dopo pochi giorni la piccola Beatrice morì, il 29 gennaio 1071. Il 29 agosto la Beatrice madre eresse il monastero di Frassinoro, nell'Appennino Modenese, com'era usanza tra i nobili, per "la grazia dell'anima della defunta Beatrice mia nipote".
La permanenza di Matilde in Belgio (Orval) fu breve quanto difficile e rischiosa. Matilde rischiò la vita non solo per i postumi di un parto difficile, che nel Medioevo spesso si risolveva con la morte della madre, ma anche per l'ira del casato di Lotaringia che accusò la Grancontessa di portare il malocchio, in quanto non aveva dato un erede maschio al suo "Signore", compito principale, se non unico, per le mogli dell'epoca. Nel gennaio del 1072 fuggì appena le circostanze le offrirono la possibilità, e rientrò a Canossa, presso la madre.
Tra il 1073 ed il 1074 il marito Goffredo scese nella penisola italiana per riconquistare Matilde offrendole possedimenti ed armate, ma la risposta della Grancontessa fu estremamente ferma e rigida. Sul suo atteggiamento si è costruito il mito di una donna priva di debolezze.
Goffredo il Gobbo nel 1076 cadde vittima di un'imboscata nelle sue terre nei pressi di Anversa. Lamberto di Hersfeld riporta che durante la notte, spinto da bisogni corporali, si recò al gabinetto e un sicario che stava in agguato gli conficcò una spada tra le natiche lasciandogli l'arma piantata nella ferita. Sopravvisse, ma una settimana dopo, il 27 febbraio 1076, morì, lasciando Matilde vedova. Molti l'accusarono di essersi macchiata personalmente di questo crimine: ..con la complicità di una serva fedelissima lo fece uccidere in gran segreto mentre stava seduto al cesso, infilandogli la spada nell'ano.. (Landolfo padre, storico di Milano); comunque come colpevole viene indicato più verosimilmente il conte fiammingo Roberto I delle Fiandre. In ogni caso Matilde non versò al clero neppure un obolo per l'anima del marito ucciso, né fece recitare una messa o gli dedicò un convento, com'era d'uso.

40 anni di regno
Il 18 aprile 1076 muore Beatrice, la madre di Matilde, e da questo momento, anche se prima aveva già regnato affiancata alla madre, diviene a 30 anni l'unica sovrana incontrastata di tutte le terre che vanno dal Lazio al lago di Garda.

L'umiliazione di Enrico IV
Nel 1073 era salito al soglio pontificio Ildebrando di Soana, col nome di Gregorio VII. Nello stesso anno il nuovo imperatore Enrico IV, dopo aver riorganizzato il territorio tedesco, si era rivolto verso i suoi possedimenti in Italia. Cominciò tra i due personaggi un duro duello, che vide contrapposta l'autorità della Chiesa a quella dell'Impero (lotta per le investiture). Nel 1076 il papa decise di scomunicare l'imperatore.
Matilde si ritenne libera di agire secondo la sua completa volontà e si schierò con decisione al fianco di papa Gregorio VII, nonostante l'imperatore fosse suo secondo cugino. La scomunica indusse Enrico IV a venire a patti col papa. L'imperatore scese in Italia per parlare personalmente col pontefice. Gregorio VII lo ricevette nel gennaio 1077 mentre era ospite di Matilde nel castello di Canossa. In quell'occasione l'imperatore, per ottenere la revoca della scomunica da parte del papa, fu costretto ad attendere davanti al portale d'ingresso del castello per tre giorni e tre notti inginocchiato col capo cosparso di cenere. Il faccia a faccia si risolse con un compromesso (28 gennaio 1077): Gregorio revocò la scomunica a Enrico, ma non la dichiarazione di decadenza dal trono.
Nel 1079 Matilde donò al papa tutti i suoi domini, in aperta sfida con l'imperatore, visti i diritti che il sovrano vantava su di essi, sia come signore feudale, sia come parente prossimo. Ma in due anni le sorti del confronto tra papato ed impero si ribaltarono: nel 1080 Enrico IV convocò un Concilio a Bressanone in cui fece deporre il papa. L'anno seguente decise di scendere una seconda volta in Italia per ribadire la sua signoria sui suoi territori. Decretò Matilde deposta e bandita dall'impero.
Ma la Grancontessa non se ne diede per vinta e, mentre Gregorio VII era costretto all'esilio, Matilde resistette e il 2 luglio 1084 riuscì a sbaragliare inaspettatamente l'esercito imperiale nella famosa battaglia di Sorbara, presso Modena riuscendo nella formazione di una coalizione favorevole al papato a cui aderirono i bolognesi e contrapposta alla lega imperiale.

Il matrimonio con Guelfo V
Nel 1088 Matilde si trovò a fronteggiare una nuova discesa dell'Imperatore Enrico IV e si preparò al peggio con un matrimonio politico, dato che l'attuale pontefice disgiungeva il potere vaticano da quello canossiano, com'era stato sino a questo momento, per ultimo fino a Gregorio IV. Matilde scelse il Duca diciannovenne Guelfo V (in tedesco Welf), erede della corona ducale di Baviera. Le nozze facevano parte di una rete di alleanze di cui faceva parte anche il nuovo papa, Urbano II, allo scopo di contrastare efficacemente Enrico IV.
La quarantatreenne Matilde inviò una lettera al suo futuro sposo:

«Non per leggerezza femminile o per temerarietà, ma per il bene di tutto il mio regno, ti invio questa lettera accogliendo la quale tu accogli me e tutto il governo della Longobardia. Ti darò tante città tanti castelli tanti nobili palazzi, oro ed argento a dismisura e soprattutto tu avrai un nome famoso, se ti renderai a me caro; e non segnarmi per l'audacia perché per prima ti assalgo col discorso. È lecito sia al sesso maschile che a quello femminile aspirare ad una legittima unione e non fa differenza se sia l'uomo o la donna a toccare la prima linea dell'amore, solo che raggiunga un matrimonio indissolubile. Addio.»

La Gran Contessa inviò migliaia di armati al confine della Longobardia a prendere il Duca, lo accolse con onori, organizzò una festa nuziale di 120 giorni con un apparato di fronte al quale sarebbe impallidito qualunque sovrano medioevale. Cosma di Praga, autore del Chronicon Boemorum, riporta che dopo il matrimonio, per due notti, il duca aveva rifiutato il letto nuziale ed il terzo giorno Matilde si presentò nuda su una tavola preparata ad hoc su alcuni cavalletti dicendogli tutto è davanti a te e non v'è luogo dove si possa celare maleficio. Ma il il Duca rimase interdetto; Matilde, indignata, lo assalì a suon di ceffoni e sputandogli addosso lo cacciò con queste parole: Vattene di qua, mostro, non inquinare il regno nostro, più vile sei di un verme, più vile di un'alga marcia, se domani ti mostrerai, d'una mala morte morirai.... Il Duca fuggì; per questo fu soprannominato Guelfo l'impotente. Matilde e il giovane marito si separarono dopo pochissimi giorni; ovviamente i due non ebbero mai figli.
Successivamente Matilde fomentò i due figli dell'imperatore, Corrado di Lorena ed Enrico e ne appoggiò le rivolte contro il padre; si appoggiò inoltre alla potente casata comitale dei Guidi in Toscana, per ostacolare un'altra dinastia, gli Alberti, fedeli all'impero.

La vittoria contro l'imperatore
Dopo numerose vittorie, tra le quali quella sui Sassoni, l'imperatore Enrico si prepara nel 1090 alla sua terza discesa in terra italica, per infliggere una sconfitta definitiva alla Chiesa. L'itinerario fu quello solito, il Brennero e Verona, confine coi possedimenti di Matilde che iniziavano a partire dalle porte della città. La battaglia si accentrò presso Mantova. Matilde si assicurò la fedeltà degli abitanti esentandoli da alcune tasse come il teloneo ed il ripatico e con la promessa di essere integrati nello status di Cittadini Longobardi col diritto di caccia, pesca e taglialegna su entrambe le rive del fiume Tartaro.
La città resistette fino al tradimento del giovedì santo, nel quale i cittadini cambiarono fronte in cambio di alcuni ulteriori diritti concessi loro dall'assediante Enrico IV. Matilde si arroccò nel 1092 sull'appennino reggiano attorno ai suoi castelli più inespugnabili. Sin da Adalberto Atto il potere dei Canossa si era basato su una rete di castelli, rocche e borghi fortificati situati nella Val d'Enza, che costituivano un complesso sistema poligonale di difesa che aveva sempre resistito ad ogni attacco portato sull'Appennino. Dopo alterne e sanguinose battaglie, il potente esercito imperiale venne preso in una morsa.
Nonostante l'esercito imperiale fosse temibilissimo, fu distrutto dalla vassalleria matildica dei piccoli feudatari ed assegnatari dei borghi fortificati, che mantennero intatta la fedeltà ai Canossa anche di fronte all'Impero. La conoscenza perfetta dei luoghi, la velocità delle informazioni e degli spostamenti, la presa delle posizioni strategiche in tutti i luoghi elevati della val d'Enza, avevano avuto la meglio sul potente imperatore. Pare che la stessa contessa avesse partecipato, con un manipolo di guerrieri scelti e fedeli, alla battaglia, galvanizzando gli alleati all'idea di combattere una guerra giusta. L'esercito imperiale fu preso a tenaglia nella vallata, ma la sconfitta totale fu più di una guerra persa: Enrico IV si rese conto dell'impossibilità di penetrare quei luoghi asperrimi, ben diversi dalla Pianura Padana o della Sassonia: non si trovava più di fronte ai confini tracciati dai fiumi dell'Europa centrale, ma a scoscesi sentieri, calanchi, luoghi impervi protetti da rocche turrite, da casetorri che svettavano verso il cielo, dalle quali gli abitanti scaricavano dardi di ogni genere su chiunque si avvicinasse: lance, frecce, forse anche olio bollente, giavellotti, massi, picche infocate. Con queste armi chi si trovava più in alto aveva spesso la meglio.
Dopo la vittoria di Matilde molte città come Milano, Cremona, Lodi e Piacenza si schierarono con la Contessa canossiana per sottrarsi al controllo imperiale. Nel 1093 il figlio secondogenito dell'Imperatore, Corrado di Lorena, sostenuto dal papa, da Matilde e da una lega di città lombarde, veniva incoronato Re d'Italia. Matilde liberò e diede rifugio persino alla moglie dell'imperatore, Prassede, figlia del Re di Russia ed ex vedova del Marchese di Brandeburgo, che aveva denunciato al Concilio di Piacenza del 1095 le inaudite porcherie sessuali che aveva preteso Enrico da lei e per le quali veniva relegata in una specie di prigionia-alcova a Verona. Si accese dunque una lotta all'interno stesso della famiglia imperiale, che indebolì sempre più Enrico IV.

Regina d'Italia
Enrico IV morì ormai sconfitto nel 1106; ma il suo figlio primogenito Enrico V del Sacro Romano Impero riprese a sua volta la lotta contro la Chiesa e l'Italia. Stavolta l'atteggiamento della Granduchessa nei confronti della casa imperiale dovette modificarsi e Matilde si conformò ai voleri dell'imperatore. Nel 1111, sulla via del ritorno in Germania, Enrico V la incontrò al Castello di Bianello, vicino a Reggio Emilia. Matilde gli confermò i feudi da lei messi in dubbio quando era vivo suo padre, chiudendo così una vertenza che era durata oltre vent'anni. Enrico V conferì alla Granduchessa un nuovo titolo. Così il figlio del suo vecchio antagonista creò Matilde Regina d'Italia e Vicaria Papale.

Fondazione di Chiese
A Matilde la tradizione, non sempre confermata dagli storici, attribuisce la fondazione di diverse Chiese, tra cui:
▪ Sant'Andrea Apostolo di Vitriola, a Montefiorino (MO)
▪ San Giovanni Decollato, a Pescarolo ed Uniti (CR)
▪ Santa Maria Assunta, a Monteveglio (BO)
▪ San Martino in Barisano, a Forlì
▪ San Zeno, a Cerea (VR).

La morte
Matilde morì di gotta nel 1115. Venne prima sepolta in San Benedetto in Polirone (San Benedetto Po), poi, nel 1633, per volere del papa Urbano VIII, la sua salma venne traslata a Roma in Castel Sant'Angelo. Nel 1645 i suoi resti trovarono definitiva collocazione nella Basilica di San Pietro a Roma, unica donna insieme alla regina Cristina di Svezia. La sua tomba, scolpita dal Bernini, è detta Onore e Gloria d'Italia.
Matilde morì senza eredi diretti; di conseguenza il suo immenso patrimonio fu frantumato. Alcuni castelli rimasero in possesso dei discendenti di Prangarda, sorella di Tedaldo (il nonno di Matilde), altri a signori locali e a Communi Militum, cioè cavalieri e mercenari; alcuni possedimenti vennero addirittura dimenticati in un vuoto di potere, altri semplicemente inglobati nei territori papali.
I Vassalli dei Canossa diedero vita alle dinastie dei Baratti, nel Parmense, e degli Attoni (Iattoni o Jattoni) di Antesica e di Beduzzo, nella Val Parma.
Dopo la sua morte attorno a Matilde venne a crearsi un alone di leggenda. Gli agiografi ecclesiastici ne mitizzarono il personaggio facendone una contessa semimonaca dedita alla contemplazione e alla fede. Lo stesso Dante Alighieri ne sentì parlare e la inserì nell'XI canto del Paradiso della Divina Commedia, ponendola nella cerchia dei militanti per la fede.
Qualcuno sostiene che si sia trattato di un personaggio di forti passioni sia spirituali sia carnali. Probabilmente Gregorio VII ed il monaco Anselmo condizionarono diverse sue scelte facendo leva sulla sua fede quasi incondizionata. Si narra che dopo la morte di Anselmo, Matilde, che soffriva di un eczema, per curarsi si coricasse senza vesti sul tavolo dove era stato lavato il monaco defunto. In realtà nel Medioevo il culto delle reliquie (e la certezza riguardante i loro poteri miracolosi) fu molto sentito. Si dice che Matilde conservasse tra le reliquie anche un anello vescovile, che utilizzava per calmare i frequenti attacchi di epilessia.

▪ 1739 - Benedetto Marcello (Venezia, 31 luglio o 1 agosto 1686 – Brescia, 24 luglio 1739) è stato un compositore, poeta, scrittore, avvocato, magistrato e insegnante italiano, a lui è stato dedicato il Conservatorio di Venezia.
Benedetto, fratello di Alessandro Marcello, anch'egli compositore, era di famiglia nobile (nelle sue opere è frequentemente descritto come Patrizio Veneto) e, sebbene allievo di Francesco Gasparini, fu avviato dal padre a dedicarsi alla legge. La tradizione biografica secondo cui avrebbe studiato anche con Antonio Lotti non trova riscontri documentari e v'è motivo di credere che sia del tutto falsa dato che Marcello recensì con grande severità una raccolta di composizioni vocali di questo autore. Ebbe un atteggiamento critico anche nei confronti di Antonio Vivaldi, da lui ritenuto un operista alquanto volgare e modaiolo. Benedetto Marcello, infatti, guardava con sospetto ai nuovi stili musicali basati su una semplificazione dell'impianto melodico-armonico e contrappuntistico, inoltre era convinto che il melodramma avesse bisogno di una profonda riforma (da questo punto di vista può essere considerato un acuto anticipatore di Francesco Algarotti e di Gluck). Era un ottimo musicista e esperto conoscitore della musica antica. Si narra che un giorno, nel 1728, mentre passeggiava nella chiesa dei Santi Apostoli a Venezia, cadde in una tomba aperta e svenne. In seguito a questo fatto, decise di dedicarsi esclusivamente alla musica sacra e alla composizione di poesia religiosa. Come patrizio della Repubblica di Venezia nel 1711 entrò nel Consilio dei Quaranta, e nel 1730 si recò a Pola come Provveditore, ma le sue condizioni di salute andarono peggiorando a causa del clima istriano. Nel 1738 fu nominato camerlengo a Brescia, dove morì l'anno successivo all'età di 53 anni.
Benedetto Marcello è spesso ricordato per il suo Estro poetico-armonico (Venezia, 1724-1727), lavoro che mette in musica, per voci e basso continuo i primi cinquanta Salmi, nella versione in parafrasi italiana realizzata da Girolamo Ascanio Giustiniani. Questi componimenti furono molto ammirati da Charles Avison, che con John Garth curò un'edizione con testi in inglese (Londra, 1757). Tra gli ammiratori dei Salmi di Marcello, che godettero di grandissimo prestigio e di fama europea per tutto il Sette e l'Ottocento, si annoverano anche Goethe, Rossini e Verdi.
Il famoso Adagio del Concerto per oboe, trascritto per strumento a tastiera da Johann Sebastian Bach e divenuto popolare ai giorni nostri grazie al film Anonimo veneziano (1970), è in realtà attribuibile al fratello Alessandro Marcello.
Compose inoltre più di trecento cantate, per una o più voci; quattro oratori (fra cui Joaz su libretto di Apostolo Zeno per la corte imperiale di Vienna) e diverse serenate. La biblioteca del Conservatorio di Bruxelles possiede alcuni interessanti volumi di cantate da camera composte per la sua donna amata. Sebbene Marcello stesso scrisse il libretto di un'opera nel 1708, La Fede riconosciuta, a Vicenza, egli nutrì scarsa simpatia per questa forma di composizione, e diede sfogo alle sue opinioni sullo stato del dramma musicale a quel tempo nel pamphlet Teatro alla moda, pubblicato anonimamente a Venezia nel 1720; questo piccolo lavoro, che fu più volte ristampato, non solo è molto divertente, ma è anche un pregevole contributo alla storia dell'opera.
Il suo sepolcro si trova nella chiesa di San Giuseppe di Brescia, luogo di sepoltura per eccellenza delle personalità bresciane in campo musicale. Benedetto Marcello si trova sepolto sotto una grande lapide pavimentale al centro della navata maggiore, davanti alla scalinata che sale al presbiterio. L'iscrizione ricorda alla pari i suoi notevoli risultati come camerlengo e la proficua attività in campo musicale.

▪ 1854 - Modestino di Gesù e Maria O.F.M. (Frattamaggiore, 5 settembre 1802 – Napoli, 24 luglio 1854) è stato un religioso italiano, beatificato da papa Giovanni Paolo II il 29 gennaio 1995.
Il frate francescano Modestino di Gesù e Maria, al secolo Domenico Nicola Mazzarella, nacque a Frattamaggiore il 5 settembre 1802 nella modesta famiglia del funaio Nicola e della casalinga tessitrice di canapa Teresa Esposito.
Fin dall’infanzia il suo percorso spirituale si svolse nel segno tipico della religiosità e della devozione popolare della sua comunità paesana. Egli aveva circa 5 anni quando vide la via principale del paese riempirsi delle torme e del clamore suscitato dalla traslazione dei Santi Sossio e Severino dal monastero napoletano alla chiesa patronale frattese. Si racconta che fu talmente impressionato da quell’evento che iniziò subito a manifestare e a vivere il suo attaccamento per le cose della Chiesa. Partecipò con entusiasmo alla scuola parrocchiale e visitò quotidianamente l’effigie della Madonna del Buon Consiglio.
Durante una celebrazione ebbe modo di manifestare la sua vocazione religiosa al vescovo di Aversa Mons. Agostino Tommasi, in visita alla chiesa frattese. Data la ristrettezza dei mezzi economici della famiglia il vescovo provvide personalmente ad accoglierlo in Seminario facendogli svolgere l'ufficio di inserviente del capitolo del Duomo. Domenico Nicola svolse con zelo i suoi studi, ma si andò formando per lui un clima sfavorevole che, dopo la morte del vescovo Tommasi, assassinato nel 1821, lo costrinse a tornare al suo paese.
Nel 1822 frequentò il convento francescano alcantarino di Grumo Nevano intitolato a Santa Caterina e a San Pasquale. In quel luogo egli sperimentò la guida spirituale di padre Fortunato della Croce e di frate Modestino di Gesù e Maria da Ischia, il quale gli fece conoscere la famiglia francescana. Il giovane maturò così la scelta francescana, e nel novembre dello stesso anno entrò nel noviziato di Santa Maria Occorrevole di Piedimonte Matese, vestendo l'abito alcantarino e prendendo il nome di frate Modestino di Gesù e Maria, in onore del suo maestro grumese morto pochi mesi prima. Dopo gli studi di Teologia, il 22 dicembre del 1827 fu ordinato sacerdote nella Cattedrale di Aversa dal vescovo Francesco Saverio Durini. Si avviò, così, a vivere nella rigida diaspora francescana dei conventi alcantarini dell’area campana.
Come semplice frate fu nei conventi di Grumo Nevano, di Marcianise e di Portici; fu poi guardiano nei conventi di Mirabella Eclano e di Pignataro Maggiore. Dal 1837 operò a Napoli, prima nel convento di Santa Lucia al Monte e poi in quello del popolare quartiere della Sanità.
Come confessore frequentò carceri ed ospedali. Con sè recava sempre l'immagine della Madonna del Buon Consiglio ed era molto amato dal popolo che lo chiamava in dialetto Gesùcristiello (piccolo Cristo). Con l'arcivescovo di Napoli, il cardinale Sisto Riario Sforza, condivise molte iniziative spirituali, ebbe un grande credito morale presso il re Ferdinando II, e del papa Pio IX fu personale confidente.
Godendo della fiducia del Re di Napoli che lo ebbe spesso a corte, padre Modestino fu nominato nel 1853 elemosiniere della principessa Gianuaria per beneficare i poveri del regno.
Quando nel 1854 la città fu colpita dal colera, come sempre aveva fatto, egli continuò a recarsi dagli ammalati per portare conforto e preghiera, e finì per ammalarsi egli stesso. Si spense il 24 luglio del 1854 e fu sepolto nelle catacombe di San Gaudioso situate nella basilica di Santa Maria della Sanità.
La sua tomba stette in quel luogo sotterraneo fino al 1901; oggi essa è posta all'interno della chiesa nella Cappella laterale all’atrio delle stesse catacombe, ed è meta di un continuo pellegrinaggio.

Culto
La fama della sua santità e della sua capacità di fare miracoli fu immediatamente forte ed estesa, tanto che la diocesi napoletana si mosse subito per la sua beatificazione.
È stato beatificato da papa Giovanni Paolo II il 29 gennaio 1995.

▪ 1969 - Witold Gombrowicz (Małoszyce, 4 agosto 1904 – Vence, 24 luglio 1969) è stato uno scrittore polacco, appartenente alla piccola aristocrazia rurale di lontana origine lituana. È considerato uno dei maggiori scrittori polacchi del XX secolo, attivo dal 1930 fino alla sua morte.

«Sono nemico del comunismo solo perché sto dalla parte del proletariato»

Negli anni dieci i Gombrowicz si trasferiscono a Varsavia, dove Witold compie gli studi laureandosi in legge nel 1926. Abbandonata la sua patria nel 1939, alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale, visse in Argentina per ventiquattro anni, insegnando nell'università di San Miguel de Tucumán. Fece ritorno in Europa nel 1963, invitato a Berlino dalla Fondazione Ford.
L’autore di Ferdydurke, destreggiandosi inconsapevolmente fra le onde del suo destino agitato fra i venti di guerra, si ritrovò come giornalista a bordo di una gratuita crociera a Buenos Aires, sponsorizzata da un armatore polacco per meglio promozionare la sua ultima novità navale, proprio al momento dell’avanzata nazista: non tornò in Polonia con la nave, ovviamente rimase in Sud America eludendo la seconda guerra mondiale e dandosi ad una vita scarpettianamente aneddotica, inventandosi per sopravvivere nell’arte dell’arrangiarsi, mestieri assurdi come l’invitato a matrimoni e ai funerali – quest’ultima è una versione al maschile delle prefiche greche, le vecchiette pagate per piangere ai funerali – sino a divenire professore all’università di San Miguel de Tucumán.
Influenzata da quella del suo conterraneo e amico Witkiewicz, l'opera di Gombrowicz è caratterizzata da una satira nei confronti della società che dà luogo a una visione grottesca della realtà. All'inizio degli anni sessanta inizia ad avere successo in Europa in concomitanza con la rivalutazione che all'epoca interesserà altri grandi scrittori polacchi, primo fra tutti Witkiewicz.

▪ 1980 - Richard Henry Sellers detto Peter (Southsea, 8 settembre 1925 – Londra, 24 luglio 1980) è stato un celebre attore, regista e sceneggiatore inglese.
È ricordato per le spiccate doti di attore comico, e per l'abilità nei travestimenti e nelle imitazioni, ma fu interprete di notevole spessore anche in ruoli drammatici.
La sua fama è legata soprattutto al ruolo dell'imbranata comparsa indiana Hrundi V. Bakshi in Hollywood Party (1968), film ricco di esilaranti gag, e per la brillante interpretazione del goffo Ispettore Clouseau nella serie de La Pantera Rosa, oltre al Dottor Stranamore dell'omonima pellicola di Stanley Kubrick, nel quale recitò in tre ruoli diversi (che avrebbero dovuto essere quattro, se Sellers non si fosse infortunato durante le riprese).
La sua vita, difficile e travagliata nonostante il grande successo, è narrata nel film Tu chiamami Peter (The Life and Death of Peter Sellers) (2004), nel quale Sellers è interpretato da Geoffrey Rush.